§ Anomalie dello Stato sociale

Una riforma piccola piccola




Claudio Alemanno



Gli accenti esasperati che si colgono nel dibattito sui temi fiscali hanno bisogno di qualche spiegazione che non sia puramente tecnica o partigiana. C'è da chiedersi come mai un paese che l'ottimismo illuministico di alcune élites d'opinione colloca al quinto posto nella scala delle potenze economiche mondiali è percorso al suo interno da una guerriglia defatigante che attraversa categorie e classi pronte a reclamare tutela per il proprio status e provvedimenti punitivi per altri gruppi sociali. E' un segnale di semplice impotenza nell'esercizio dell'azione di governo? Oppure al conflitto ormai istituzionalizzato occorre dare un significato diverso, configurando in senso weberiano un mutamento marcato di ruolo nella funzione del bilancio pubblico e delle politiche fiscali?
Certamente lo Stato-finanza e lo Stato-fisco hanno bisogno di processi continui di riequilibrio che non consentono alla base sociale di costituirsi in stabili aggregazioni. C'è poi la crisi dell'attuale modello mercantile che con la pressante ricerca di contenimento degli spazi accordati allo Stato sociale innesca indubbi motivi di tensione. Come pure altri motivi di tensione derivano dall'esaurirsi del circolo virtuoso fondato sulla crescita produttiva trainante la crescita dell'occupazione e dei servizi.
Tutto ciò spiega il forte carattere redistributivo insito nella questione fiscale e la massima attenzione che il
Sindacato presta alle sue tematiche, intese come oggetto di permanente negoziazione. Ma allo stesso tempo denuncia il logoramento di un'istituzione il cui potenziale rivendicativo, stretto nella morsa fisco-salario, difficilmente riesce ad esprimere strategie diversificate nel campo delle relazioni industriali e del riordino più generale del mercato del lavoro.
Dunque attorno al laboratorio fiscale ruota l'intero assetto di una rinnovata democrazia economica che sulle ceneri di un modello di Welfare riesca a dare contenuti credibili alla qualificazione della spesa pubblica, all'efficienza e selettività delle prestazioni, alla definizione dei compiti e dei ruoli dei soggetti istituzionali e più in generale al rapporto costi-benefici in cui ogni contribuente resta pur sempre ingabbiato. Massima attenzione va riservata al coordinamento tra politiche monetarie e fiscali tenendo presente che anche in sede di mercato europeo unificato la funzione redistributiva sardi sempre di pertinenza statale. Ciò significa che il riordino delle politiche fiscali va effettuato guardando soprattutto alla dimensione nazionale ed a questo fine occorre trovare alcuni criteri-guida che consentano di ancorare gli effetti redistributivi alla dinamica ed alla destinazione dei trasferimenti. Possibilmente disaggregando queste funzioni su base regionale in modo che sul divario di capacità fiscale (criterio con cui si misurano le entrate potenziali, non quelle reali) si possa impostare a livello centrale un impegno ragionato degli investimenti con il concorso responsabile delle stesse autorità locali nella gestione del processo di sviluppo. In questo modo anche il profilo meridionalistico dell'intervento ordinario troverebbe impulsi positivi per un suo razionale sviluppo con riflessi sicuramente significativi anche per la gestione più organica del connesso intervento straordinario.
La valutazione disaggregata per aree fiscali costituisce il nucleo ispiratore di ogni serio tentativo di decentramento in questo settore. Se invece si percorrono scorciatoie, con il riconoscimento di una capacità impositiva aggiuntiva agli enti locali si perverrà semplicemente all'aumento del carico fiscale - altro cahier de doléances - senza intaccare il male oscuro della cosiddetta finanza derivata.
L'obiettivo finale deve comunque riguardare l'attuazione di un processo che tenda a far confluire le funzioni del prelievo e della spesa in un centro decisionale unificato in modo da rendere più chiare e convincenti le manovre redistributive e le finalità riallocative. Non a caso il disagio attuale, prendendo le mosse dal crescente ed incontrollato fabbisogno dello Stato, si snoda tra conflitti fiscali e di bilancio, con riflessi immediati sui meccanismi impositivi e sull'andamento dei titoli di debito pubblico, che lasciano nella più completa incertezza il delicato rapporto contribuente-risparmiatore.
Con il reddito individuale assoggettato a continue sollecitazioni da parte del Tesoro delle Finanze si creano schiere poderose di vincitori e vinti per cui è fatale che la contestazione monti alimentando la "società dell'impazienza". Le tumultuose vicende con cui si è aperto l'89 hanno certamente amplificato la crisi dello Stato sociale per il cumularsi di opzioni conflittuali in sede di acquisizione delle entrate, di gestione della spesa e di organizzazione dei servizi. Col risultato che il cittadino si sente sempre più nudo, assillato da uno stato di disagio quotidiano per la duplice condizione di contribuente tartassato e di utente insoddisfatto.
La ricerca di correttivi per porre rimedio al pasticcio fiscale ed al controllo della spesa pubblica è ancora argomento di diagnosi. Ma una concreta riflessione sul versante delle terapie forse può essere avviata dall'esterno, aggredendo un problema corposo com'è quello dei servizi sociali sul terreno sindacale, proprio nel contesto di una nuova strategia delle relazioni industriali. Si tratta in breve di riappropriarsi del conflitto capitale-lavoro arricchendolo di contenuti sociali.
Al tavolo delle trattative tra imprenditori e sindacati si potrebbe portare un salario non configurato come fredda variante del capitale (corrispettivo di prestazioni) ma come espressione del valore professionale e sociale della forza lavoro. La contrattazione potrebbe così farsi carico non solo del segmento retributivo e delle condizioni di lavoro ma più in generale della condizione dei lavoratori.
Ciò consentirebbe di depotenziare il conflitto fiscale riducendo i processi di finanziarizzazione della società a carico della Pubblica Amministrazione. Il progetto del Ministro della Sanità che prevede la cessione di alcuni ospedali a società controllate dalle Partecipazioni Statali o dall'Iri va in questa direzione ma potrebbe essere ampliato inserendo nel mercato più soggetti istituzionali in modo da rompere la tradizionale gestione monopolistica delle politiche strutturali.
L'argomento è di sicura attualità anche in funzione dell'accresciuta internazionalizzazione del mercato che impone alle imprese nuove strategie operative, nuove filosofie di gestione e quindi un rapporto dialettico con la società civile sicuramente più ricco di temi coinvolgenti.
Per apprezzare il senso della sfida bisogna concepire l'Impresa come laboratorio socioeconomico disponibile a sperimentare percorsi innovativi, atti a trasferire al livello microeconomico alcuni grandi temi macroeconomici (redditi, formazione dei prezzi, assistenza, ecologia, ecc.) e per questa via incidere sull'intero assetto sociale.
Lavorare in questa direzione significa in primo luogo liberarsi della logica corporativa con cui viene a tutt'oggi gestita la contrattazione collettiva, riconoscendo al Sindacato un ruolo più ampio rispetto alla tradizionale funzione redistributiva che gli viene accreditata.
Portare i temi sociali più sentiti dal mondo del lavoro all'interno della contrattazione collettiva offre la duplice opportunità di rendere il Sindacato partecipe del finanziamento e della gestione diretta dei servizi restringendo nello stesso tempo l'area dell'intervento pubblico e dunque l'entità degli oneri finanziari di estrazione statale.
Esperienze consolidate in questo senso si trovano nella realtà economica degli Stati Uniti dove già negli anni '50 i sindacati decisero di dare uno sviluppo notevole alle forme assicurative per l'assistenza medica inserendo appositi programmi nei contratti collettivi stipulati con i datori di lavoro. I sindacati di New York, per esempio, operano in stretta collaborazione con il "New York Health Insurance Plan" (32 cliniche gestite) che è diretto da un Consiglio di amministrazione di cui fanno parte medici e rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Gli associati versano una quota fissa mensile pari a quella versata dai loro datori di lavoro ed hanno diritto a fruire gratuitamente di tutti i servizi sanitari.
Di particolare interesse sono poi i servizi offerti dal Sindacato Internazionale Lavoratori dell'Abbigliamento Femminile (ILGWU) che, oltre ad aver istituito i "poliambulatori sindacali", ora in forte sviluppo, forniscono un'assicurazione contro gli infortuni e l'invalidità oltre naturalmente ogni possibile forma di assistenza medica.
Sanità, infortunistica del lavoro e invalidità sono temi di larga valenza sociale che notoriamente costituiscono per la Pubblica Amministrazione di casa nostra dei centri di costo "impazziti". Un Sindacato che si appropriasse di questi temi promuovendo formule di cogestione finanziaria ed amministrativa con i responsabili dell'imprenditoria consentirebbe di produrre un salto qualitativo di notevoli proporzioni su tutta la linea programmatica e politica. Le opposte ideologie sullo statalismo e la privatizzazione verrebbero di fatto bilanciate dalla presenza di un terzo interlocutore: il privato sociale. In fondo lo spirito originario che ha promosso l'estensione dei diritti sociali era fondato su un progetto di solidarietà concepito a migliore e maggiore tutela dei lavoratori mentre la pratica dell'affidamento a forme accentuate di stabilizzazione ha reso sempre più precario il rapporto tra domanda e offerta dei servizi.
Portare il mondo del lavoro e della produzione ad un rapporto meno mediato con i servizi sociali vuoi dire anche produrre un passaggio quasi organico tra le mutate professionalità che hanno accresciuto l'autonomia operativa degli addetti coinvolti nei processi di innovazione e ristrutturazione e la ricerca di esperienze manageriali tanto avvertita nell'ambito dell'attuale gestione dei servizi. Si darebbe in termini di mercato un messaggio di responsabilità e di emancipazione promuovendo l'ampliamento e l'utilizzazione di formule aziendali realmente praticabili.
Naturalmente un progetto di questo tipo presuppone la necessità di riflettere sulle compatibilità percorribili in termini di mercato. Ma, essendo obbligatorio pensare in europeo, è logico attendersi dall'internazionalizzazione dei processi economici e dal salto tecnologico ed organizzativo delle imprese nuovi livellamenti salariali e contributivi, nonché l'aspettativa per un'accresciuta domanda di istanze a carattere sociale.
Un'ampia revisione delle componenti che concorrono a determinare il costo del lavoro dunque s'impone. Ed in questo contesto particolare attenzione dovrà essere riservata al riordino dei meccanismi contributivi nel cui ambito potrebbero studiarsi formule assicurative finalizzate alla gestione di determinati servizi.
Per l'impresa degli anni '90 diventa centrale il tema di un controllo più diretto della formazione e allocazione delle risorse ed in quest'ottica le disfunzioni in atto nella gestione dei servizi sociali rappresentano a un tempo fattore di disturbo ed occasione per l'assunzione di nuove responsabilità. Ci sono proiezioni culturali, aspettative diffuse ed esigenze di razionalizzazione insite nell'evoluzione del mercato che sollecitano l'impresa a situare il controllo diretto di tali servizi tra le nuove funzioni di emancipazione collettiva.
Questa valutazione, attinente all'area di autonomia progettuale dell'Impresa, dovrebbe avere eco favorevole anche nel mondo sindacale, attraversato da una profonda crisi di rappresentanza e rappresentatività, alle cui cause non sono estranee le difficoltà incontrate nel processo di riordino dello Stato sociale.
In particolare il recupero di strumenti di direzione strategica darebbe al Sindacato più ampie possibilità d'intervento nell'orientare le tendenze di politica economica. Inoltre il processo di accumulazione non avrebbe più nella valorizzazione del capitale il suo punto di riferimento esclusivo dovendo tenere conto della necessità di aderire attraverso la contrattazione ai bisogni di realtà differenziate presenti nel mondo del lavoro. E la stessa attuazione pratica della politica dei redditi ne trarrebbe vantaggio poiché la sua articolazione passa necessariamente attraverso l'ampliamento dei compiti e delle responsabilità di gestione delle diverse componenti del mondo del lavoro.
In breve, potenziare la sfera progettuale, gli spazi di autonomia finanziaria ed i temi di contrattazione significa per il Sindacato entrare come soggetto di diritto nella gestione dei principali problemi di democrazia economica che contraddistinguono e qualificano ogni modello di sviluppo pensato per gli anni '90.
Sul versante italiano purtroppo non spuntano in questa direzione correttivi strutturali di rilievo per cui il tentativo di utilizzare la contrattazione collettiva sui temi di maggiore valenza sociale meriterebbe almeno l'ingresso nei laboratori di sperimentazione.
Consoli e proconsoli permettendo, naturalmente!

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