§ Societą a somma zero

L'economia dopo Keynes




Paolo Sylos Labini



A maestri che illuminarono in passato l'economia politica si dedicarono ai grandi problemi della società in cui vivevano e dettero ai loro insegnamenti un contenuto e una forma tali da offrire lumi per la coscienza civile e l'azione politica. Economia politica e riforma sociale si presentarono spesso al pubblico come un binomio inscindibile". "Il pericolo specifico sul quale si vuole richiamare l'attenzione è che l'uso di strumenti raffinati di analisi venga scambiato, a prescindere dai contenuti, per una prova di maturità e competenza professionale, o, peggio ancora, per il segno di riconoscimento del moderno studioso di economia politica".
Sono affermazioni incluse in una lettera stilata di recente da un gruppo di economisti, fra i quali il sottoscritto. Molti hanno inviato la loro adesione. Ma non meno numerosi sono i perplessi. Con chi intendete polemizzare? C'è una scuola particolare di economisti specializzati nel pestare l'acqua nel mortaio? Non vi rendete conto di correre il rischio di passare per oscurantisti o di fornire una copertura a economisti mediocri e preoccupati della realtà immediata per amore di soldi e di carriera e non per amore della ricerca disinteressata, che spesso non può essere lontana dai fatti concreti? E, ammesso che abbiate ragione, qual è il rimedio? Che bisogno avete di pubblicare lettere, quando come docenti potete praticare direttamente quello che predicate?
No, non c'è una scuola di formalisti puri, anche se non sono rari gli economisti che sembrano considerare certi metodi come fini piuttosto che come mezzi, ovvero - per usare le parole del Premio Nobel Robert Solow - che ragionano come se la scienza economica fosse la fisica della società. La nostra preoccupazione non è dunque quella di contrapporci a scuole, che almeno in Italia non esistono, ma di mettere in guardia i giovani che si avviano agli studi di economia. Partecipando a commissioni di concorsi a cattedra e a commissioni per borse di studio abbiamo notato che il numero dei giovani che cadono nell'equivoco che abbiamo denunciato è in aumento. Per fare un solo esempio: se al suo nascere la teoria dei giochi era servita a chiarire certi importanti problemi concettuali ed aveva suscitato non poche speranze fra gli economisti, in seguito si è avviluppata in una spirale di sterili elaborazioni astratte; dopo diversi decenni ciò può essere tranquillamente affermato, anche se bisogna riconoscere che certe volte è arduo distinguere Fra astrazione sterile ed astrazione almeno potenzialmente feconda.
Avversione per i metodi moderni e oscurantismo. I lettori che hanno fretta sono sempre numerosi. Noi scriviamo che è senza dubbio raccomandabile, nelle ricerche di economia, l'impiego di tutte le tecniche analitiche più efficaci, siano pure altamente specialistiche, purché alla fine i risultati raggiunti e la loro utilità siano spiegati in modo comprensibile per tutti. Questo è oscurantismo?
La copertura ai mediocri e ai faccendieri. Sì, il rischio esiste. Ma se ci si lascia paralizzare dai timori, alla Fine non si Fa nulla. Perché scriviamo lettere, quando, dalle cattedre o nelle riviste scientifiche, possiamo esercitare opera di persuasione? Ci sforziamo di far questo, ma riteniamo che non basti. Intendiamo estendere il nostro tentativo di persuasione presso i nostri colleghi, e, ancor di più, presso le nuove generazioni.
I Fisici, spesso presi come termini di riferimento - la Fisica è considerata la regina delle scienze - hanno la costante preoccupazione della verifica empirica dei loro modelli teorici. Quando un fisico teorico elabora un nuovo modello, si attende che qualche fisico sperimentale lo verifichi, magari modificandolo: qualche volta il fisico teorico è anche fisico sperimentale, cosicché procede direttamente all'una ed all'altra operazione.
Questo accade ancora di rado in economia. Molti economisti teorici elaborano i loro modelli, senza preoccuparsi di possibili verifiche empiriche; anzi, spesso quei modelli sono elaborati in modo tale da rendere impossibili le verifiche. Ciò non va bene. Qui, e non nell'imitazione di metodi formali o nella ricerca d'inesistenti leggi eterne, dobbiamo prendere come riferimento non solo i fisici, ma tutti gli scienziati sperimentali. L'economia non è e non può essere la Fisica della società, soprattutto perché l'oggetto non resta lo stesso nel corso del tempo, ma è storicamente condizionato.
Senza dubbio, c'è una graduatoria: in basso troviamo modelli talmente generali - come quello del baratto - da far dubitare del loro condizionamento storico. Al polo opposto troviamo i Fenomeni monetari, che subiscono in pieno le spinte dei mutamenti storici. Sempre tra i fenomeni ad alto tasso di storicità troviamo i processi dello sviluppo ciclico. Fra i due estremi troviamo la massima parte dei modelli teorici.
Se non riconosciamo questo stato di cose e c'incamminiamo sulla strada della fisica della società, alla Fine scopriamo che la strada non ha uscita: possiamo elaborare modelli logicamente corretti, che tuttavia risulteranno inutili. Il fatto è che la coerenza formale non basta: direttamente o indirettamente i modelli teorici debbono anche avere una certa capacità di interpretare quegli aspetti del mondo reale che ogni specifica scienza si propone di esaminare; ed una tale capacità dipende dal grado di realismo delle ipotesi, che sono ricavate da fatti storicamente condizionati.
Sarebbe ingannevole classificare gli economisti in formalisti e realisti: si tratta, semmai, di prevalenza, anche se non mancano i casi-limite, come quelli di un probo economista italiano del principio del secolo che usava l'economia come pretesto per i suoi esercizi matematici e che fu ironicamente definito "astronomo" dal nostro Pantaleoni. E' certo però che nei più grandi economisti - da Smith a Ricardo, da Marshall a Keynes, da Pantaleoni a Einaudi - era preminente, anche se spesso non evidente in modo immediato, la preoccupazione per i fondamentali problemi del loro tempo.
Dopo la crisi della teoria keynesiana, che fina a non molto tempo fa dominava la scena dell'economia politica, e, più in generale, dopo la crisi delle ideologie, si è accentuato, tra i giovani, l'interesse per i problemi logico-formali. La spinta principale in questa direzione è venuta dagli Stati Uniti; ma è da quello stesso Paese che cominciano a venire i contravveleni: nel libro "Economia e storia", tradotto di recente in italiano, compaiono diversi dei concetti inclusi nella nostra lettera, concetti familiari in Italia da molti decenni.
Non si tratta di tornare indietro - se è vero che l'economia politica è una disciplina storicamente condizionata - ciò è escluso proprio in via di principio. Si tratta invece di ammodernare i vecchi modelli e di elaborarne nuovi, che possono farci comprendere meglio i grandi problemi del nostro tempo: sviluppo del Terzo Mondo, occupazione e disoccupazione, aspetti economici dei movimenti demografici, problemi dell'ambiente e dei costi economici e sociali dello sviluppo, problemi economici dell'educazione e della ricerca scientifica, conseguenze delle innovazioni tecnologiche e fattori economici che le condizionano.
Noi auspichiamo che allo studio di questi problemi, indicati qui solo a titolo di esempio, si dedichino le nuove generazioni di economisti, cercando di evitare sia il rischio dell'astrazione sterile sia quello della descrizione superficiale. Solo andando in profondità nell'analizzare in essi dei diversi processi si può fare opera socialmente e civilmente utile nel senso auspicato nella nostra lettera.

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