§ L'inchiesta

Se il colletto bianco fa crack




M.C. Milo, R. Canziani



Sveglia alle sei del mattino. Senza eccezioni. Si può fare la prima colazione in camera, oppure nella sala-ristorante. li menù offre un'ampia scelta, dalle classiche uova fritte con pancetta, al kosher (il cibo purificato secondo i dettami della religione ebraica), fino alla dieta vegetariana. La giornata scorre abbastanza veloce tra lavoretti di "bricolage", corsi di giardinaggio e di import-export, un poco di ginnastica in una palestra super-attrezzato, qualche buona lettura in una biblioteca fornito di oltre cinquemila volumi. La sera è possibile giocare a tennis o a baseball nei campi illuminati con luce artificiale, fare una partito a biliardo, guardare la tv o la cassetta di un film di recente programmazione sul videoregistratore. O, infine, si può stare tranquilli nella propria stanza, a studiare le quotazioni di borsa sul Wall Street Journal (che arriva puntuale ogni mattina, con la posta), e a tirare le somme di investimenti e di affari personali su un personal computer.
Benvenuti al "Club Fed", equivalente carcerario del "Club Med", i Club Mediterranée delle agenzie turistiche. Ce ne sono diciannove in tutti gli Stati Uniti: le cosiddette "prigioni di minima sicurezza", a cui sono destinati i delinquenti meno pericolosi, e in particolare quelli colpevoli di white collar crimes, i crimini del colletti bianchi.
Truffatori e bidonari di ogni razza, categoria e bravura, affollano tradizionalmente queste carceri più simili ad un campeggio, ad una clinica termale, o ad una caserma per allievi ufficiali, che ad una galera. Ma da alcuni mesi i "colletti bianchi" che prenotano un posto nei "Club Fed" provengono quasi tutti dalla medesima località di origine: Wall Street. Sono le vittime dell'"insider trading", lo spionaggio finanziario che è stato messo sotto accusa negli ultimi anni a Wall Street, aprendo una voragine sotto il gioco in Borsa, dentro la quale si è spenta la lunga stagione di ottimismo e aggressività rampante, caratteristica degli Anni Ottanta.
Non è un reato del tutto nuovo. Tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine degli Anni Settanta, la Sec (Securities and Exchange Commission, l'organismo di controllo delle attività di Borsa, simile alla Consob italiana) ha incriminato 47 persone per "insider trading". Ma da allora ad oggi il ritmo è freneticamente aumentato: 137 casi in meno di un decennio. Una generazione di vecchi maestri dell'imbroglio, come lo zar del "take-over" Ivan Boesky, ed un'altra composta da giovanissimi, ambiziosi banchieri e brokers, come Dennis Levine, hanno improvvisamente scoperto un gioco finanziario più fruttuoso di quelli classici, favorito dall'ondata di fusioni e di acquisizioni, spesso ostili, tra grandi corporations.
Passando al momento giusto informazioni riservate sulle intenzioni di vendere o comprare di una determinata compagnia, questi ladri dall'aspetto rispettabilissimo hanno potuto ordire immense speculazioni. Quando Levine, per esempio, meditava il "take-over" di una società, avvertiva in anticipo il suo complice Boesky, che razziava sul mercato tutte le azioni disponibili dei due gruppi coinvolti nell'operazione: appena l'affare veniva annunciato, le azioni delle due compagnie salivano, consentendo a Boesky di moltiplicare da un giorno all'altro il suo capitale, e di trovarsi per di più in posizione di arbitro, con un solido pacchetto di minoranza della corporation appena formata.
Era in realtà un trucco non più complicato di quello delle tre carte, scoperte e ricoperte su un tavolo di cartone dai prestigiatori di strada. E' stato a lungo difficile stanare l'imbroglio, anche perché in America non esiste una chiara definizione legale di cosa sia l'"insider trade", ovvero quali informazioni sia lecito passare, e quali no (in Italia non esiste un analogo reato di spionaggio finanziario). Ma, guidati dai procuratore-capo del distretto federale di New York, Rudolph Giuliani, il celebre castigamatti della mafia siculo-americana, un gruppo di abili magistrati e di "agenti" della Sec sono riusciti a stroncare parecchi anelli di questa catena criminosa.
Oggi, molti di questi banditi dal colletto bianco si ritrovano nell'Allenwood Federal Prison Camp, il più celebre dei "Club Fed" americani, situato in Pennsylvania, nel verde del monti Appalachi. E' una prigione con vista su un grande campo da golf, la più comoda e sofisticata tra le carceri di minima sicurezza. Vi abitano, già da alcuni anni, criminali celebri, come Gordon Liddy, uno degli esecutori dello scandalo Watergate, e come l'ex senatore Harrison William, elargitore di favori legislativi in cambio di lucrosi contratti per le sue compagnie private. Gli spioni dell'alta finanza sono dunque in ottima compagnia.
Debbono lavorare quaranta ore a settimana in officine di falegnameria (costruiscono mobili per ministeri e per altri uffici governativi): un orario di tutto riposo, per gente abituata a restare in ufficio da dieci a quindici ore al giorno, combinando affari d'oro a Wall Street. la paga, comunque, è molto al di sotto degli standard a cui erano abituati: da 11 cents a un dollaro e 30 l'ora. In compenso, hanno tempo in abbondanza per coltivare interessi personali, per leggere, per studiare, per conversare, per fare ginnastica. E se si comportano bene, se rigano dritti, ogni fine settimana hanno diritto ad una "razione di affetti familiari", e persino ad una "razione di sesso": possono ricevere moglie, figli, parenti stretti, dalle 8 di mattina alle 3 di pomeriggio.
"E' come un club di campagna", ammette uno dei residenti forzati di Allenwood. E certo, visto da fuori o da dentro, non sembra neanche lontanamente un penitenziario. Non ci sono muri di cinta con filo spinato, torrette con fari o guardie armate, sbarre o porte metalliche a chiusura elettronica. I secondini somigliano a degli infermieri o a del bidelli di scuola. L'atmosfera è rilassata. Gli unici controlli consistono in un appello ripetuto tre volte al giorno, come si farebbe in una classe a tempo pieno, per vedere se ci sono tutti. Fino ad ora non è mancato mai nessuno. Gli ospiti del "Club Fed" sono ben consci del privilegi di cui godono, e di quel che rischierebbero se fossero sorpresi anche una sola volta fuori dal territorio del carcere, senza permesso o senza scorta: una imputazione per evasione, ed il quasi sicuro trasferimento in una prigione normale. La minaccia di un trattamento più vicino a quello riservato ad assassini, stupratori, rapinatori, trafficanti di stupefacenti, è sempre presente tra i criminali dal colletto bianco. E' una minaccia che viene abitualmente usata dai procuratori federali per convincere gli "insider traders" a collaborare e a implicare i loro complici nell'inchiesta. "Sareste sorpresi di vedere quale cambiamento può provocare, in un banchiere di successo, qualche settimana in un vero carcere", confida un detective della Sec.
Girano storie raccapriccianti: come quella di un broker, giovane, bianco, carino, scelto come amante da un compagno di cella, un nero con una fedina penale lunga come il listino di Borsa. "Dopo pochi giorni ci implorava di tirarlo fuori di lì, era pronto a dire tutto quel che volevamo", racconta un funzionario della procura federale.
Ma nemmeno i colletti bianchi scherzano, e bisogna stare attenti a come li si distribuisce tra un "Club Fed" e l'altro. Dennis Levine, ad esempio, sperava in un primo tempo di andare ad Allenwood; ma poi gli inquirenti si sono accorti che parecchi banchieri da lui implicati nello scandalo dello spionaggio finanziario erano già ad Allenwood, e minacciavano di. conciare per le feste il loro ex complice, non appena si fosse unito alla compagnia. Così Levine è finito in un altro penitenziario di minima sicurezza, sempre in Pennsylvania: a Lewisburg.
Anche lì si sta piuttosto bene; Levine - fa sapere il suo avvocato - è in forma, abbronzato per il lavoro all'aria aperta (fa il giardiniere), elegante nel suo completo da lavoro (una tuta mimetica militare), o da riposo (una divisa color kaki). Guadagna 50 dollari al mese, la cifra che spendeva nei suoi frettolosi lunch di lavoro, un tempo, ma sembra contento. A Lewisburg i due anni della sua sentenza passeranno in fretta più che altrove, sicuramente più in fretta che nell'adiacente penitenziario federale, che ospita 1.300 pericolosi carcerati, compresi boss di Cosa Nostra e violenti rapinatori.
La *permanenza obbligata in carcere, spesso non più lunga di due o tre anni (tanti ne ha presi Boesky), grazie alla cooperazione con le autorità, è in fin dei conti la parte più facile, e meno dura, della condanna per spionaggio finanziario. Il peggio viene quando si torna in società, quando si prova a rientrare in un mondo lasciato all'apice del successo, ricominciando da poco più di zero, con una reputazione distrutta e col morale a terra.
Tra i reduci del gangsterismo borsistico ci sono sconfitti e vincitori: uno fa l'autista di una limousine, uno ha messo in piedi una piccola compagnia di computer, uno fa il giornalista per una stazione radiofonica di provincia, uno è agente immobiliare, uno ha una concessionaria d'automobili della Subaru, uno guida i taxi, uno ha scritto una autobiografia divenuta un bestseller, uno fa il tipografo, uno si è rimesso a fabbricare materassi nell'azienda del padre, uno è camionista, uno è assicuratore, uno fa il commesso in un negozio d'antiquariato, uno fa il netturbino.
Altri sono disoccupati. Qualcuno è latitante, visto per l'ultima volta a Zurigo o a Caracas. E poi c'è chi, come Martiri Siegel, il banchiere-prodigio della Drexel Burnham e della Kidder Peabody, rovinato dalle truffe con Ivan Boesky, ha atteso la sentenza in totale isolamento, chiuso nella sua splendida villa sul mare, a Jacksonville, in Florida, acquistata per tre milioni di dollari esattamente un anno e mezzo fa, quando ancora il futuro gli sembrava tutto roseo.
Storie di ordinaria follia, che tutte insieme compongono il quadro di una Wall Street impazzita, di una corsa forsennata, interrotta di colpo, come per un collasso cardiaco. C'è quello che recrimina, ancora convinto di non aver fatto nulla di strano: "Se vado a sessanta miglia all'ora, in una strada che ha un limite di cinquantacinque miglia, e tutti ti stanno sorpassando a sessanta, ottanta, novanta miglia, come si fa a darti la multa?", dice Daniel Silverman, membro della cosiddetta "Banda dei Cinque", un quintetto di yuppies arrestati per frode nell'86, e portati fuori dagli uffici in manette, tra lacrime e urla di disperazione. Oggi Silverman, 25 anni, è riuscito ad acquistare una concessionaria della Subaru, dice che gli affari vanno a meraviglia, e predice: "A trent'anni sarò a Palm Beach a scrivere le mie memorie. Sentirete ancora parlare di me".
Invece, Krishan Taneya, 45 anni, si è visto chiedere il divorzio dalla moglie appena uscito da un "Club Fed". Si è trovato senza famiglia, senza casa, senza soldi. Ha provato a lavorare di nuovo nel settore finanziario, ma nessuno lo ha voluto. Adesso fa il tassista, settanta ore settimanali nel traffico rovente di New York, nella speranza di risalire un giorno la china. "I soldi vengono, i soldi vanno", commenta acido, "questa è la lezione che ho imparato".
Darius Keaton, 63 anni, ne ha imparata una differente: è entrato in carcere che era un acceso conservatore, ne è uscito dopo un anno con una coscienza politica. "In prigione ho capito i problemi della gente comune, sono stato un repubblicano tutta la vita, ma adesso comincio a credere nei democratici, nell'impegno sociale", dice.
Vincent Chiarella, il primo "insider trader" incriminato in tempi moderni, ha invece ancora l'amaro in bocca: "Ho perso tutto per una truffa che mi ha fruttato 29.000 dollari. Con cifre del genere, Ivan Boesky si comprava appena le sigarette". Il caso più singolare, e più preoccupante dal punto di vista delle autorità, èquello di Adrian Antoniu. Prima di dichiararsi colpevole di "insider trading", nell'83, era un banchiere della Lehman Brothers, frequentava il bel mondo di Hollywood, faceva crociere col suo yacht personale con l'attrice Natalie Wood, era fidanzato con la figlia del presidente della Twentieth Century Fox, uno del maggiori studios della capitale del cinema americano. Il matrimonio tra i due si celebrò in una chiesa di Venezia, ma non fu mai consumato, se così si può dire: la prima notte di nozze, Antoniu confessò alla moglie che era oggetto di un'indagine giudiziaria per "insider trading", e lei lo mollò seduta stante, facendo prontamente annullare la loro unione. Abbandonato dalla moglie, condannato dal tribunale, sbattuto in un "Club Fed" per due anni, Adrian Antoniu ètuttavia riuscito a risorgere. Con due nuovi soci ha aperto una catena di negozi di articoli sportivi, che ha avuto talmente successo da spingere una (per ora anonima) corporation a proporgli di acquistare l'azienda per due milioni e mezzo di dollari. Ma all'ultimo momento, i suoi soci lo hanno denunciato per frode, il "take-over" è saltato, e la compagnia è finita sotto l'esame della giustizia federale. Per Antoniu, la storia si ripete: segno che il virus della truffa non si può estinguere?
La sincera conversione di altri criminali dal colletto bianco sembra dimostrare il contrario. Ma certamente non sono in molti, in quest'America in cerca di una nuova epoca, di nuovi ideali, di nuovi campioni, a sospettare che gli spioni dell'alta finanza non cambieranno mai, e a ritenere che rappresentino il peggio di un'età, di un passato da estinguere con la forza, anche brutalmente, senza alcuna clemenza. In questo Paese, dove anche l'uomo della strada gioca in Borsa, o almeno legge le quotazioni del titoli, è facile incontrare un tassista, un cameriere, un impiegato che ti dicono amaramente:
"E' gente come Boesky ad avere rovinato l'America".
Ma c'è anche modo di riderci su. Alcuni mesi fa, mentre infuriavano le proteste dei rifugiati cubani nelle carceri di Atlanta e della Florida, uno dei disegnatori satirici più celebri degli Stati Uniti, il cartoonist Gary Trudeau, ha dedicato la sua striscia settimanale ad una immaginaria protesta in un carcere di minima sicurezza, un "Club Fed". Barricati nelle loro celle, i carcerati chiedono migliori collegamenti via computer con le Borse di tutto il mondo. "Siate ragionevoli ... ", implora al megafono il direttore del carcere. "Ragionevoli un corno", replica il capo della rivolta, "ieri abbiamo perso 115 milioni di dollari in un giorno. La Borsa di Hong Kong apre tra un'ora. Se non ci collegate subito, cominciamo a uccidere un laureato in economia di Harvard ogni cinque minuti!".

L'inchiesta
L'onestà muore di freddo

Un terzo delle cosiddette "Fortune 500", le cinquecento maggiori compagnie d'America, classificate in ordine di fatturato e di profitti, ogni anno, dalla rivista Fortune, è attualmente oggetto di un'inchiesta giudiziario per "insider trading" o altri tipi di illecito finanziario. In altri termini, tutto Wall Street è sul banco degli imputati, e l'indagine si è allargata così in fretta che il mondo della Borsa non ha avuto il tempo di organizzarsi, di prepararsi, di difendersi. Quando finalmente si è guardato intorno, cercando i mezzi migliori per combattere una gigantesca battaglia legale, si è accorto che scarseggiavano: di avvocati specializzati in questo campo ce n'erano pochi, e di. avvocati bravi ancor meno.
Sensibile più che mai alle leggi della domando e dell'offerta, Wall Street è rapidamente corsa ci ripari, andando a cercare la materia prima dove ne esiste in abbondanza: alla procura federale di New York. Vale a dire, tra i magistrati che hanno messo Wall Street sotto inchiesta.
Sino a meno di un anno fa, Charles Cornberry si guadagnava da vivere seguendo le piste di Ivan Boesky, Dennis Levine e soci, lavorando sedici ore al giorno in un ufficio spartano, al quarto piano della procura federale, dietro vetri antiproiettile, con agenti del Fbi con la rivoltella sotto l'ascella. Come capo dell'Unità Anti-Frode Finanziario, questo trentottenne avvocato ha diretto la più grande investigazione nella storia di Wall Street.
Ma oggi Carnberry non del più la caccia ai colletti bianchi, è passato dalla loro parte: se vogliono, gli imbroglioni dell'alta finanza possono trovarlo in un ampio, elegante ufficio rivestito in legno, presso uno dei più prestigiosi studi legali di New York, contraddistinto - come vuole lo regola - da una sfilza di cognomi: Jones, Day, Reavis & Pogue, i "seniors partners".
E' una mossa che hanno compiuto anche altri colleghi di Carnberry, come Thomas Puccio, passato nelle file di Milbank, Tweed, Hadley & McCloy, o Benito Romano, assunto da Dewey, Ballantine, Bushby, Palmer & Wood, o Martin Auerbach, chiamato da Dornbush, Mensch, Mandelstrarn & Silverman. Sono tutti avvocati fra i trenta e i quarant'anni, laureati nelle migliori università del Paese, migliorati da un'esperienza di qualche anno negli uffici della procura federale, generalmente a New York. Per loro, il passaggio alla privato professione significa moltiplicare per dieci uno stipendio che di solito si aggira sui 25.000 dollari l'anno lordi di partenza. Per gli studi legali che li assumono, significa riempire un vuoto con elementi di garantito talento, guadagnare somme enormi in un settore fino ad ora quasi del tutto ignorato (un processo per "insider trading" comporta parcelle di milioni di dollari per l'avvocato difensore), e instaurare rapporti più profondi, più stretti con le corporations che richiedono una difesa legale.
Capito spesso che dopo essere stato difesa con almeno parziale successo, una compagnia utilizzi il medesimo studio legale per questioni fiscali e per acquisizioni o fusioni societarie. Un'azienda ha molto da perdere ad essere condannata per "insider trading". Anche se la condanna può essere mite dal punto di vista penale (finora i colpevoli se la sono cavata con grosse multe e con brevi pene carcerarie, mentre ovviamente una compagnia non può finire in prigione), il vero danno deriva in termini di reputazione: calo di clienti e di contratti, perdita di ogni appalto governativo. Succede così che un avvocato difensore si trovi ad avere il massimo accesso ai vertici aziendali, presidente e amministratore delegato, stabilendo un legame che poi diventa difficile sciogliere.
Fino a qualche anno fa, la difesa del colletti bianchi era considerato un mestiere poco rispettabile da parte dei grandi studi legali di Wall Street, e veniva lasciata ad uffici minori o addirittura a singoli avvocati. "Ma lo scandalo dello spionaggio finanziario ha aperto nuove prospettive, creando una incredibile fonte di profitti, che non poteva essere ignorata", afferma Charles Stillman, anche lui un ex procuratore federale, che ha fondato un omonimo ufficio legale, ottenendo immediato successo. "Il fatto è che gente come me èstata da entrambe le parti del tavolo", osserva Ira Lee Sorkin, per due anni procuratore federale, ora con lo studio legale di Squadron, Ellenoff, Plesent & Lehrer. "E' una prospettiva che mi dà un enorme vantaggio su altri avvocati. So quel che cerca e quel che vuole l'accusa, so come funziona dal di dentro la Sec, posso trattare".
Le corporations sotto processo hanno bisogno di questo tipo di esperienza, perché il più delle volte la difesa del colletti bianchi è un gioco di tattiche e di sottili strategie, che necessito di un continuo scambio di informazioni con l'accusa, in modo da ricevere un po' di clemenza in cambio dell'aiuto a implicare qualcun altro nell'indagine. I più celebri magistrati del passato, da Robert Morgenthau a John Martin, erano tutti finiti da tempo nel settore privato, attirati dal desiderio di accumulare in fretta una fortuna, dopo anni trascorsi a rappresentare il nome della legge, con salari da impiegato. Questa seconda ondata, però, è più massiccia. Gli uffici legali non hanno più bisogno solo di qualche autorevole principe del foro, ma di un esercito di manager della legalità (o dell'illegalità) finanziaria, da schierare tutti insieme su casi di dimensioni macroscopiche.
Al lavoro richiesto da un caso come l'inchiesta contro la Drexel Burhnam Lambert non potrebbe mai essere svolto da un piccolo ufficio", ammette il professar John Coffee, che insegna Diritto penale e finanziario alla facoltà di Giurisprudenza della Columbia University; "per casi del genere c'è bisogno di cinquanta, e anche di cento avvocati".
Quello della Drexel è forse l'esempio migliore per comprendere il dramma di Wall Street e dintorni. Da circa un anno, Sec e magistratura non hanno più presentato incriminazioni per spionaggio finanziario. Molti ritengono che tra non molto la sfilata di "cadaveri eccellenti" possa ricominciare, trascinando nello scandalo Mike Milken, il controverso "re del junkbonds" (le obbligazioni-spazzatura, ad alto rischio e ad alta rendita, che hanno reso famosa la Drexel) e molti del suoi collaboratori. Sono ormai due anni e mezzo che le autorità federali riconoscono pubblicamente di avere iniziato una approfondita inchiesta nei confronti della Drexel, la società che ha registrato i più alti profitti a Wall Street fino all'87. E' la più grossa inchiesta giudiziaria della storia della Borsa e, anche se alla Drexel sostengono di non avere alcuna colpo da nascondere, gli addetti ai lavori hanno rivelato poco tempo fa che ogni singolo "take-over", ogni singola transazione finanziaria curato dalla società di Milken è sospettato di frode dagli inquirenti.
La Drexel ha già speso 70 milioni di dollari in una compagna di pubbliche relazioni per rispondere al flusso costante di pubblicità negativa derivato dalle indagini. Solo per fotocopiare le casse di documenti richiesti dal governo, la compagnia si è vista recapitare un conto di svariati milioni di dollari. Ma questo è meno che niente, predicono gli esperti, in confronto a quello che spenderà se, come sostengono i bene informati, Milken e l'intera società verranno formalmente incriminati. Le ex guardie di Wall Street, passate dalla parte dei ladri, non vedono l'ora di presentarsi alla cassa.


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