§ BOTTEGA DELLE SPEZIERIE

Oronzo Coluccia: poesia e solo un poco d'ombra




Antonio Verri



Il quarto nuovo autore dell'inchiesta di Sudpuglia abita da due anni un mitico incantevole paesino a due passi da Martano. Il paesino in questione è Borgagne, noto per essere, da sempre, culla di belle donne normanne ma anche di milioni di cepponi d'uva che danno un rosato squisito. L'autore è un pittore, Oronzo Coluccia, ovvero un'avventura, una felicità mentale, spericolata (in pratica viene a darci, e ci riesce benissimo, testimonianza del caos, leggi e fortune di un disordine avvincente, maturo coloristicamente, anche se ]abile!).
Coluccia, per molto tempo emigrato in Svizzera, è un poeta della digressione (primi nomi: Barucchello, Leandro), uno che per puro ardore, per istinto, fa i conti e poi facilmente gioca con quella strana combriccola di folletti e fantasmi che presiede e regola la nostra vita; ha uno stupore per tutto (riesce a trasmetterlo in modo colossale), sembra che tutto bruci, che tutto frani, che tutto sia nato dalla non fragorosa spaccatura di una rossa e friabile argilla, e che lui, Coluccia, d'intesa con chissà quale misterioso dio della profondità, si diverta, s'ingegni a darci forme chiave, simboli chiave, un po' come quelle regole valide per tutto e per tutti dei "Tarocchi" di Giordano Bruno.
Ogni sua tela è un rettangolo testo. Quando riesce a placare, a dominare i suoi fantasmi, la tela è una festa sconsiderata, parodistica, parossistica, ricchissima (altri nomi: Serrault, certi espressionisti): l'uso del rosso, del giallo, del blu è divino. In un sol colpo, da Zurigo a Borgagne, praticamente dominando e imperando in quel favoloso, suggestivo e immenso regno della Scuola di Parigi. Densa e pastosa la sua pittura. Vertigini cromatiche, bufferie cadenzate, citazioni visive e verbali, a volte ammiccanti, a volte, non sempre, volutamente banali, decorative. Ma il suo segreto è tutto nell'armonia della composizione, nel saper dosare con maestria e umiltà lo spazio a disposizione. è anche un lettore. Ecco. Un attento ma nello stesso tempo allampanato lettore delle sue stesse cose. A questo punto vi lasciamo immaginare quanto creativa, voluttuosa e vulcanica deve essere la sua officina. Animali dalle lunghe orecchie, profili, greche, perfino vecchi orologi, arzigogoli combinati nei solito suo mondo segreto, impenetrabile, suggestivo, incontrollabile, ai limiti della purezza, del furore. Conigli che sembrano colombe, uccelli un po' perfidi, un po' malinconici, personaggi in primo piano saggi e grintosi, situazioni stranissime, densissime; stupenda la ragazza alla Van Gogh con una fetta di cocomero e tanto cielo, le mezze teste di Mirò, serpentelli e draghi, il troppo amato Pablo ... e le citazioni continuano, c'è Guernica, c'è Lennon e il suo mito ("il filo conduttore"), ancora serpentelli in mezze tavolozze e mani e chiavi di violino (quanto mai verde), un goffo enciclopedismo, un florilegio di colori. Il suo è un viaggio negli oggetti, nelle contese, nelle voluttà, nell'ostinazione, nell'indifferenza, nel gusto del parodiare: è un controcanto della migliore scuola, se il controcanto ha mai avuto una scuola.
Difficile non leggere nelle sue tele l'inferno della sua emigrazione, tali e tante sono state le sue esperienze in una Svizzera non certo idilliaca. E allora Borgagne, il Salento, il piede sempre sul treno, un riconoscimento che deve arrivare. Ma Borgagne non è più il paese dei suoi archi, dei suoi sogni, il ragazzo è cresciuto, ha il suo inferno: niente più mitica società contadina ma, ci dice, mormorazioni, dicerie e ... malocchio! Ecco allora rinasce l'Inghilterra, secondo lui felice dimora, ideale dimora per la sua elementarità nei rapporti, per la sua bonarietà, per la sua essenzialità.
La sua formazione, la sua scuola? Niente scuola. In Svizzera e in Francia ha guardato moltissimo Picasso, Mirò, Chagall, Matisse, Calder.... l'amicizia con Roberto Sanno, l'atelier di un pittore greco godereccio, una Zurigo ricchissima ma pronta all'arte, una collettiva a Firenze, una a Bologna. Densa e pastosa la sua pittura, dicevamo. Siamo nell'attimo zero della creazione; dall'universo pervaso da un rosso indicibile sembrano staccarsi grappoli e bolle e corone e ruote e imbuti e vetri e parti di meteore. Inconscio galoppante e dominante. Coluccia fuori da ogni schema accademico non accetta quel che ci porto la realtà. La vera vita è nella surrealtà, nella realtà dilatata, nell'invenzione al limite del mistero, in quegli audaci e sottilissimi fili rossi che possono sì mentire al giallo, ma non possono certo resistere alla magia del blu di Prussia... Ma cercare cosa e quante cose attendere? Il suo è un viaggio strapieno di triboli nei nostri succulenti labirinti interiori. E' un racconto. Una sofferta e incantata metafora. Facile perdersi. Un faraone campeggia su di un paesaggio notturno mentre cerca di afferrare un volatile, e il lupo vigila... l'inquietudine presente e ostinata quando trae dal contemporaneo i suoi modelli che piacevolmente affossa nel suo inconscio da favolista: usa tutto per tessere i suoi miti, Chick Corea per esempio, o i Santana ... i suoi collage da esploratore nel segno della più fervida e colorata arte povera.
Ma come perdersi nel rosso porpora di una voluttà da brigante scaltrito? Si può, si può. E' la solita storia, il solito destino dei trasgressori: denunciano banalità e vertigini e sani principi. Trasgressori di carta. E' così anche il nostro Coluccia, dominato dal terrore arabescato delle sue invenzioni, delle sue scoperte casuali. A volte sembrano storie senza tema le sue, e allora ci accontentiamo del cromatismo che vien fuori, delle diverse dimensioni coloristiche, del suo materico ... : ha tanti volti l'irruenza, tante mani e corpi l'arroganza, ma tante armi la morte! Coluccia accarezza con filosofia tutto sua, con incredibile senso, il sogno di una grandiosa notorietà. Trova idiota continuare adesso a dipingere se non gli si riconosce qualcosa. Spera negli amici più schietti (ha fiducia immensa, da bambino quasi), nella infinita lista dei suoi protettori, spera anche in Sudpuglia, spera nell'inghilterra che ama. Fin da bambino, ci dice, ha sognato Liverpool, Manchester, Londra...
Ma guardiamo qualche sua tela. "La scala" per esempio. Un tuffo nel regno che da sempre dipinge, il poroso regno del simboli, dove pesci s'innamorano di ragazze bionde e sarcofaghi fanno il filo ad una vecchia turca che si reca al cimitero e galline e cervi e ceppi d'uva e ciliegi che escono da un blu intensissimo e una scala che nasce dalle profondità marine e una vela istoriata da figure egizie (sembra una splendida icona) e Gesù che campeggia a prua e le "tavole" che si confondono nel paesaggio ... Ancora. "Euforia" stavolta. Bene in evidenza un ritratto di Dalì con vestito ampolloso (sui suoi muri ritagli di Dalì, e di Dalì ha il gusto della surrealtà, dell'estro, del disarmo), un volto 'alla picasso', un cavallo tanto per scomodare anche De Chirico, rondini, volatili in genere, e l'Uccello Gigantesco (vecchio sogno dell'uomo) e un profilo di donna con sull'occhio una farfalla e ossessioni più o meno evidenti e vestito regale e scultorei vezzosi oggetti e un pesce sopra un tappeto volante e un gallo arcigno tra lingue di fuoco ... mentre sopra la vita continua come una giostra che rosicchia l'azzurro ... E poi ("Leggerezza") una pacatezza tutta orientale chiusa in mille spezierie su delle tele enormi, anfore, acropoli, teste di leopardo, donnine che sembrano esili e divertiti cardinali, e qualche volta il bianco dominante e uccelli-drago sopra mezzalune e cupole, in una atmosfera leggerissima. E c'è uno splendido, avido, borioso, avventuroso, incredibile "omaggio a Picasso" (due anni di lavoro), già esposto a Firenze, di una densità, di un vuoto, di una disarmonica rappresentazione della vita ... Il divino è a portata di mano. Si tocca.
Coluccia, che pretende anche una sorta di ammirazione estasiata dall'eventuale lettore delle sue tele, è di una voracità incredibile. Nella fusione testo-segno le citazioni più impensabili, il suo mondo a fili, a greche stupende (è necessario ripescare Lennon perduto tra i coralli). Si dice appassionato di medicina solamente per introdurci una sua tela ("Birdy") piena di note e rondini e una fuoriserie guidata da uccelli e figure e figurazioni di sconcertante trapezismo e corpo umano sezionato. Citazioni, naturalmente, anche qua. Il mondo è di una varietà! Ancora. Relazioni indescrivibili, a tutta tela, le spericolate sguscianti auree invenzioni sul dorso di un cinghiale. Un mondo fantastico, insomma, lillipuziano, strapieno di carica inconscia, giochi cromatici e splendori e coscienza del tempo e quanto mai poetiche trasfigurazioni.


Oronzo Coluccia a Borgagne ha uno zio, zio Apollonio, che è il ritratto di Ligabue (un vecchio che guarda con ruvido stupore le sue tele). Non ha molto altro. Ci racconta, ci dice con avidità, invece, della sua incantevole e quanto mai amara esperienza svizzera, cominciata nel '72, a Zurigo, quando fonda la sua prima band, dipinge, conosce gente, s'intrufola tra i pittori, ecc.; esperienza poi finita con una sua totale non accettazione e conseguente allontanamento (solita vecchia storia: non ci è voluto molto a non accettare il puro De Candia, o a schiacciare l'esplosivo Leandro) cercando di tenere sempre accesi i peccati dell'eccesso e della vitalità. Bene. Tra tanti amici là conosciuti che lui stima, e la memoria addolcisce, Rolando Sanna pittore, Aristotele pittore, Croci medico, e Lüthi e Contangelo e Aldner e Veneziano; c'è una signora che corre spessissimo nei suoi discorsi. E' Katerina Sprüngli, un angelo appassionato d'arte; molto ricca, proprietaria di due fabbriche di cioccolato e di una serie di caffetterie, intraprendente e riservata mecenate di pittori e scrittori in grosse difficoltà. Lì a Zurigo, sulla Bahnofstrasse. Ma è sempre l'arte a spuntarla? Meccanismi surreali, di una surrealtà intensissima, al di là del sogno, stazionanti nelle sue continue cefalee, tra i pettegoli e dispettosi folletti dell'insonnia ... : le mille facce e i mille giochi, le mille perversità sono là nelle sue tele, il mondo dove tutto è possibile, bizantinismi e sregolatezze, oscenità della mente e dolcezze incredibili (in "Riflesso" è il pancione di una donna in attesa che una amazzone bacia!). L'uomo è sempre in attesa, tra coloratissime vele e segnali nell'acqua, e forse altro non è che questa pervadente, sottilissima malinconia che tutto incide e in tutto s'insinua, con stupore, a volte con clemenza...
"Il Greco", su sfondo nero, ha delle essenzialità stupendamente picassiane, in morbide movenze, in sguardi affascinanti, distratti, forse ossessionati. Si accentuano gli aspetti floreali, i punti di colore, i ghirigori, nell'economia delle sue baldanzose tele. Il più delle volte è il particolare ad essere in rilievo, e le sue celebrazioni altro non sono che le sue continue sconfitte, o le sue audacie mozzate, o le sue immense catastrofi, o ... il solito correre stolto. Così. Splendidamente torna l'Africa e il suo Picasso e gli occhi sbarrati, a decine, e i suoi stregoni e i vari addobbi e "il vecchio con pipa" e il solito metà corpo della solita africana sulle cui gambe sono incisi simboli di felicità e chiusure e voluttà incredibili...
La solita splendida storia, il testo aperto, il senso, il palpabile, la friabilità, l'argilla. Bene, bene. Coluccia chiuso in casa a plasmare, a inventare, a ritoccare le sue meraviglie, i suoi paesaggi mentali, i ricordi, le malinconie, i presagi, le ore consumate. Coluccia chiuso in casa è una sorta di semidio, di demiurgo, a volte felice, a volte scontroso, a volte ... Sì, va bene, ma come dire al mondo della scelta fatta? Come dire della propria rivoluzione, consumata, da consumare, del proprio essere giullare, della fame di ogni cosa, del proprio racconto, dei ghiribizzi, delle voracità, delle vertigini?
Oh, c'è "l'asino col fiore in bocca" (ancora Africa), uscito da una sua cefalea, da una frenetica scommessa con la vita, dal recit surreale, tiritere, splendori punteggiati, giovinezza, paure, gesti, sommesso dolore...


"Il sogno", finalmente. Da raccontare. Si è appena svegliato. E' in un bar svizzero. Ha ordinato un caffè. Primo sorso e gli occhi di una splendida donna bionda (velati, angosciati). Al secondo sorso una mucca. E la ragazza e la mucca si confondono, sulla tela è una specie di centauro dal capo raggiato. Divinità. "Ancora oggi, ci dice, sono ipnotizzato dagli occhi di un bue, di un cavallo; poi ho pensato: ma una mucca non va mica al ristorante?". Stupenda e segreta mia Harlette, col suo male e la sua tristezza nelle viuzze medievali di Sciaffusa! Angosce, inganni, violini verdi, le sere dopo le sere, le usate confidenze, le finzioni, gli amori ... Che succhiare da questa vita?
Ecco, cominciamo a fare il punto su Oronzo Coluccia pittore, creatore. lo facciamo noi. lui ... lasciamolo correre dietro le sue sofisticate boutiques, dietro la sua Inghilterra ... Coluccia è così. A volte ha sogni e progetti comunissimi, la nuova band, ville immense, lussuosi macinini. Quando invece è l'inconscio creativo a farla da padrone, allora i suoi pensieri e le sue tele riflettono stupendamente le sue ossessioni, levoci notturne, la speciale assunzione, tutta sua, di Mirò e Picasso e Matisse, certi oggetti-simbolo calati, con una forza da grande narratore, in un groviglio di sensazioni e di forme. Ancora. Le tiritere voraci, i voli arditi della sua spericolata e coloristicamente gaglioffa fantasia, i suoi piani di colore, le sue bravate in ghirigori, in greche, in eliche, uccelli, la sua straordinaria e sterminata voglia di raccontare, la ricerca inconscia e continua dell'uomo dorato, della gallina dalle uova d'oro. Eccetera. Eccetera. Fantasia e cultura e anima da grande disertore. Nient'altro.
La sua colossale semplicità è nient'altro che il solito suo succoso mondo, un mondo strapieno di varietà antropomorfe e situazioni e volti (una sorta di mondo joyciano). Una universalità polverizzatrice. Oronzo Coluccia un primitivo? No di certo. Istintuale, questo sì, sempre pronto a rincorrere una poeticità antica, questo sì. Carico, poi, di quella fascinosa sostanza, di quei miti sotterranei, di quella materia friabile, rugosa, che nasce e muore e si ricrea dal faraonico e ampolloso ma anche polverizzatore caos ... Sicuramente inconsci - o almeno nati dal suddetto caso amico - anche i suoi impasti. Fittissimi scorrono i suoi profili, i suoi mezzi volti, le sue felci, i suoi uccelli, le sue lumache ... : un'espressionismo insito, istintuale dicevamo, anche se raffinato. Ecco, crediamo di poter dire che il suo vero mestiere è svelarci quei che di più orrido e misterioso e fascinoso e meraviglioso c'è nella vita! Serve poi tutto. La frenesia d'andare, le esplosioni di candore, il furore verbale, le sue donne, le sue madri predatrici, quasi sempre silenziose, pronte a dilatarsi, a polverizzare ... Sono sempre là i suoi collages bizzarri, i suoi idoli, i suoi maestri, sempre lì, in quella sottile atmosfera di trasgressione, pronti alla parodia, alle digressioni, alla surrealtà...
Che altro? Estrema sfiducia in critici e galleristi e piccoli collezionisti. Le sue tele, secondo lui, non hanno prezzo, o se volete hanno un prezzo altissimo. Odia, in definitiva, i piccoli mercanteggiamenti. Alla fine, ci dice, è sempre la favola che vince! E' un po' come quei suo cavaliere, incontenibile, mentre combatte il fungo atomico: candido, deluso, innamorato!


Da notare, ancora una volta, la grossa armonia nella costruzione della tela, i suoi insiemi, i suoi congegni sempre più al limite del sogno, dell'azzardo. Provate ad inoltrarvi nella sconfinata follia del "direttore d'orchestra" che quest'oggi la sua musica la prova in strada, tra fiori, fischi del treno, la gente che passa e si esalta tra rumori e colori...
La sua boscaglia è fittissima. E sono tanti i fili e i rapporti e gli ammicchi, privilegiati bisogna dire, che la nostra iniziale certezza di lettori sconfina e si perde piacevolmente. Ma è frutto del sogno, solo del sogno, questa immensa terra di fuochi e di lacche? E a cosa porta e da dove viene quell'odore mistico de "L'irraggiungibile", deliziosissima e delicatissima scena chiusa tra due mari: una favola, in effetti, nata per confermarci la meraviglia del mondo? (E' opera del 1985. Come pure dell'85 è "La Sirena", una squisitezza mediterranea, una epopea del piacere di vivere in piena libertà, nell'estro parodistico, nel rettangolo testo dov'è facile alimentare appunto una laccata surrealtà, una irresponsabilità dorata).
Ecco, la lettura delle sue tele sempre più aperta. Anzitutto la struttura complessa, misteriosa, magica, profetica (ogni tanto vien fuori la gabbia: una gabbia racchiude la vitalità di una stupenda "Betissa" che ci ha dedicato); tutto nelle sue tele è equivalente alla sua acutissima insonnia, agli alchemici mostri del dormiveglia... Simboli voraci di una splendida estrema commedia, in uno spazio-pagina brevissimo, delimitato, scontato e diviso dai diversi piani di colore, dal suo cromatismo innocente. Anche mostri, creature della notte, inseguiti, in pieno candore, da citazioni eteree e allo stesso tempo pastose (l'impasto, lo ripetiamo, è densissimo, a volte mesi di lavoro per una tela; sgomenti e rabbie finché non viene fuori l'effetto desiderato). Moralismo, ironia lieve, banalità, assurdità, segni primordiali ... : quando ci parla della popolazione delle sue tele è tale e tanta la sua fantasia, l'immenso e mesto e audace suo mondo, da farci quanto meno arrossire...
In quali pensosissime ombre, sulle ali di quale vertigine, fra quali dispettosi folletti e segrete chimere corre la poesia, la coscienza di sé?


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