§ L'INCHIESTA - LE APOCALISSI GNOSTICHE

La scintilla smarrita di Dio




Umberto Galimberti



Agli albori della nostra epoca storica, l'Occidente appena iniziato si incontra con l'Oriente, e prima di separarsene per proseguire il suo percorso "occidentale" e raggiungere la sua attuale identità, vive con l'Oriente una mitica storia dell'uomo, narrata da personaggi precosmici, di cui la vicenda umana nel mondo naturale non è che un'eco lontana. E' una storia che narra di una divinità sottoposta a tentazioni; di una Sapienza fallibile di Dio che vaga, in preda alla sua follia, errando nel buio da essa creato, dibattendosi nella materia, e soffrendo un ardente desiderio dell'anima; di un Creatore cieco e arrogante che domina la creazione, pur essendo egli stesso prodotto dell'errore e dell'ignoranza; di un'Anima impigliata e smarrita nel labirinto del mondo da cui cerca di sfuggire spaventata, ma respinta dai guardiani della prigione cosmica; di un Messaggero proveniente dalla luce che si avventura nell'oscurità del mondo, aprendo un cammino che, percorso, risana la divina infrazione, il fallimento di Dio.
E' un racconto di luce e di tenebre, di conoscenza e di ignoranza, di serenità e di passione sulla scala non dell'uomo, ma di esseri divini che non sono esenti dalla sofferenza e dall'errore. E' una storia di scarso interesse, se non fosse nata dall'incontro tra Oriente e Occidente, e se l'Occidente, per realizzare se stesso secondo il modello che la razionalità greca aveva appena coniato, non avesse impiegato diversi secoli per rimuoverla, costringendola a quella vita sommersa, segreta, esoterica, le cui tracce sono reperibili nella mistica, nella kabbalà, nell'alchimia, nell'eresia e nello sfondo appena delineabile di gran parte della filosofia, della poesia e della psicologia. Scavando sotto questi edifici, per quanto ornati di concettualità, forse è possibile rintracciare quell'"anima straniera" che Hegel aveva sospettato sotto la piramide: la segreta storia dell'immaginazione simbolica sempre sottesa agli impianti concettuali con i quali l'Occidente ha costruito se stesso.
Le "Apocalissi gnostiche", recentemente pubblicate con la ricostruzione di Luigi Moraldi, fanno tutte parte di quel tesoro di testi che fu ritrovato casualmente, nel 1045, a Nag Hammadi e che ha rivoluzionato, da allora; le nostre conoscenze sullo gnosticismo. Mentre prima prevalevano di gran lunga le fonti dei nemici della gnosi, e prima di tutti i padri della Chiesa, oggi possiamo dire di possedere un insieme importante di scritti che illustrano la gnosi dall'interno. Paradossali, criptiche, radicali e brucianti nell'enunciazione, queste Apocalissi lasceranno in noi alcune immagini che non si cancellano. Basti pensare a quelle del Dio vagabondo e sconosciuto che gli gnostici concepiscono come il totalmente Altro, inconoscibile nei termini di qualsiasi analogia mondana. Rispetto a lui, il mondo non è creazione di Dio, ma di un principio inferiore, la cui inferiorità è perversione divina, suo tragico fallimento, i cui terribili effetti sono insensata dominazione e cieco potere. A questo mondo appartiene l'uomo con la sua ragione (nous) ordinata secondo l'ordine del mondo, ma non la sua anima (psykhé) che, come una scintilla smarrita da Dio nel tragico giorno del suo fallimento, abita questo mondo disabitandolo, in attesa della chiamata divina che, come vuole l'espressione di Heidegger, "chiama nel modo spaesato del tacere"
La dispersione di Dio ha il suo corrispondente nella vita straniera che le sue scintille separate conducono nel mondo. "Vita straniera" è una delle parole-simbolo più espressive che si incontrano nella letteratura gnostica per indicare che proviene da altro luogo, e a quelli del luogo appare strano, non familiare, incomprensibile. Allo stesso modo, il luogo che lo straniero si trova ad abitare è per lui estraneo e perciò carico di solitudine. Angoscia e nostalgia della patria sono parte del destino dello straniero che, non conoscendo le strade del paese estraneo, girovaga sperduto. Se poi impara a conoscerle troppo bene, allora dimentica di essere straniero e si perde in un senso più radicale perché, soccombendo alla familiarità di quel mondo non suo, diventa estraneo alla propria origine. Nell'alienazione da sé l'angoscia sparisce, ma incomincia la tragedia dello straniero che, dimenticando la sua estraneità, dimentica anche la sua identità.
Il risveglio si annuncia col riconoscimento dell'estraneità della dimora che abita e con la ripresa della nostalgia dell'origine. Tutto ciò appartiene alla sofferenza dello straniero, ma anche alla sua eccellenza, perché la sua estraneità gli vieta di confondersi con gli altri e di disertare quella vita segreta, sconosciuta all'ambiente circostante e ad esso impermeabile, perché incomprensibile. Entrambi gli aspetti dello straniero: l'estraneità e la superiorità, la sofferenza e la differenza fanno di lui un essere che abita il mondo senza esserne coinvolto, richiamato da un aldilà che lo disabita. "E dove mai - scrive Heidegger - la spaesato, 'disabituale' e fredda sicurezza con cui il chiamante chiama il chiamato potrebbe trovar fondamento, se non nel fatto che l'uomo, isolato nel suo spaesamento, è assolutamente inconfondibile? Che cosa sottrae all'uomo in modo tanto radicale la possibilità di rifugiarsi nell'equivoco, fraintendendosi e disconoscendosi, se non la solitudine dell'abbandono a se stesso? Lo spaesamento è un modo fondamentale dell'essere-nel-mondo, anche se quotidianamente nascosto".
Allora l'anima si dimentica, dimentica sé nel l'assorbimento opaco della terra, dove non c'è cosa che possa ricordarle la sua origine acosmica, se non un sentimento negativo di estraneità, di non compiuta appartenenza. Qui il disagio dell'anima diventa il simbolo di una differenza, di una irriducibilità dell'uomo alla dimora che lo ospita. Con ciò non si vuoi dire che altre dimore attendono l'uomo. Dopo l'avvertimento di Nietzsche: "Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra, e non credete a coloro che vi parlano di speranze sovraterrene", questa possibilità non è più data, eppure la terra non ha dimesso il suo aspetto di prigionia e di esilio. Da che cosa ci esilia la terra? Come ci rende irriconoscibili? A noi stessi prima che agli altri? Immemori, ignari? Perché la morte di Dio, contrariamente alla promessa di Nietzsche, non ci ha riconciliato con la terra? Che cos'è propriamente la sua inospitalità che l'anima sente come male?
La letteratura gnostica offre descrizioni molto estese del banchetto orgiastico preparato dalla Terra per la seduzione dell'Uomo: "La Terra e i Pianeti formularono piani tra loro e dissero: 'Inganneremo Adamo, lo prenderemo e lo tratterremo con noi. Gli daremo da mangiare e da bere, mentre con corni e flauti faremo in modo che non possa allontanarsi da noi. Orsù, prepariamo un banchetto in modo da sedurlo'".
Al termine del convito, Torpore, Sonno, Ubriachezza e Oblio subentrano a far dimenticare all'anima la sua estraneità alla Terra, favorendo uno stato di incoscienza e di ignoranza di sé. Si tratta di un'ignoranza che non è semplice assenza di conoscenza, ma condizione contrastante, altrettanto provocata e mantenuta per impedire la memoria della propria identità e quindi della propria differenza. Perduta nel mondo, l'anima diventa indifferenziata, e non c'è più chi la possa chiamare se' non l'ha conosciuta prima del banchetto, del torpore, del sonno, dell'ubriachezza e dell'oblio. "Coloro i cui nomi erano noti in precedenza, alla fine furono chiamati, sicché colui che conosce è colui che è stato chiamato, mentre colui il cui nome non è stato chiamato è ignorante. In verità, come potrebbe una persona udire il suo nome se non è stato chiamato?".
Così recita la gnosi. In queste immagini e in altre innumerevoli vediamo convergere tutti i temi peculiari dell'esistenza, che si mostrano in sequenze narrative oscure e lampeggianti. Sono le tracce di un'esperienza grandiosa, che per secoli sarebbe stata condannata e oggi, per un'accidentale scoperta, torna a parlarci con la propria voce dei grandi temi dell'umano soffrire e gioire.

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