§ L'INCHIESTA - L'ANSIA INCONSCIA DEL POTERE

Chi è il diavolo?




Giuliana Giuliani



Ne abbiamo sentito parlare fin da bambini e abbiamo cercato spiegazioni che, accomunate alla paura di ciò che confusamente capivamo, sono rimaste in ognuno di noi, latenti e mai espresse, se non attraverso lo scherzo attuato per esorcizzare oscure paure infantili o attraverso la risposta storico-filosofica e letteraria. Ma è vero che, ormai adulti, abbiamo dimenticato il diavolo o sappiamo tutto di lui e possiamo, perciò, pensarci con distacco? Certo, potremmo dirci che è un concetto primordiale e universale, o che è un angelo ribelle, o che è l'alienazione di molti e l'alibi di pochi, o che è la proiezione dei negativi dell'uomo, affinché se ne senta vittima: ma forse, prima di tentare una risposta a tutte queste domande, sarà bene compiere un breve viaggio intorno alle vicende storiche, filosofiche, artistiche, quotidiane di questo temuto, misconosciuto, onnipresente personaggio.
Da Talete di Mileto apprendiamo che il mondo è un essere vivente pieno di demoni. Nasce allora il desiderio di sapere come fu considerato il diavolo nel mondo antico. Il suo nome deriva dal greco "diàbolos" (accusatore, calunniatore) e fu usato nel III sec. d.C. dai traduttori alessandrini del Vecchio Testamento, come equivalente dell'ebraico Sâtân che aveva il significato di "comportarsi da avversario". Ma la tradizione ci ha conservato molti nomi col quali è stato indicato e che sono la prova di una sua lenta assimilazione a varie divinità pagane: Abbadon, il distruttore, il re infernale dell'Apocalisse, è assimilato ad Apollo; Astarotte al culto di Astarte, divinità femminile cananea a cui era legata la prostituzione sacra; Belfagor e Belial hanno legami con la divinità semitica Baal. Di tali legami con il mondo semitico e pagano dell'Occidente, è prova la diversa morfologia che il diavolo assume nella fantasia popolare e religiosa: egli ha le corna e gli occhi di fuoco; secondo un canto popolare siciliano è una fanciulla; secondo un poemetto di Anonimo lombardo del Trecento ha la libertà di assumere vari aspetti, sempre, comunque, apportatori di emozioni paniche ambivalenti tra l'umano e il bestiale, carichi di tensione preannunciante disordine, rottura dell'armonia, caos.
Presso la fantasia degli uomini primitivi fu, certo, il misterioso alternarsi della luce e delle tenebre che diede vita al dualismo di opposti principi carichi di ogni significato di bene e di male e, presso gli agricoltori egizi, fu Seth: la siccità e la tempesta. Forse proprio la lotta tra i due principi è adombrata nelle numerosissime leggende di fratricidio rintracciabili in ogni cultura fino a Romolo e Remo. Presente in ogni mito antico-orientale, il diavolo fu conosciuto dagli Ebrei durante la cattività babilonese del sec. VI a.C., quando essi vennero in contatto col mazdaismo zoroastriano. Al contrario, le religioni provenienti dal mondo greco-romano ignorano l'antitesi personale del Bene e del Male e la fusione tra demonio cristiano e demone greco avvenne durante il passaggio dall'una all'altra età. Il daimon è preomerico e orfico, nato dalla cultura minoico-micenea, intermediario tra l'uomo e la divinità, voce della coscienza, atteggiamento preconscio che mette in comunicazione il mondo umano con quello divino. le divinità mitiche della Grecia sottintendono forze della natura e personificazioni di passioni: i satiri, i sileni, i silvani, i fauni corteggiano Pari, simbolo della libido, forza dilagante, momento di passaggio dalla inconsapevolezza che faceva dell'uomo un organismo immerso nella natura, al primo barlume della coscienza, del desiderio straripante di forza vitale. Il cattolicesimo lo assimilerò, per questo, al diavolo.
Carattere più cupo ha il demone romano di tradizione etrusco-latina, associato alla stessa sorte che toccherà a tutte le divinità del popoli pagani: il mondo cristianizzato le considererò demoni. Sarebbe assai lungo enumerare le metamorfosi subite dalle divinità pagane, ma valga, per tutte, la sorte toccata a Diana-Ecate, divenuta protettrice di streghe; allo stesso modo tutti i riti dionisiaci, le feste druidiche del primo maggio, i riti arcaici a sfondo erotico, nati per evocare la fertilità della terra, diventeranno sabba di streghe e ritrovi di demoni. Relegati a ruoli subordinati, i diavoli di argine pagana trovano un re nel diavolo biblico, noto come incarnazione del tenebroso potere terreno del re babilonese durante l'esilio degli Ebrei (Isaia, XIV, 12) dove la forza è chiamata Helel, termine ancora rintracciabile nel nome di un sovrano di lingua semitica, "Hailè Selassiè". Interessante sembra notare che nei libri più antichi del Vecchio Testamento il diavolo non è distinguibile da Jahvè quando fa la sua apparizione nel libro I delle Cronache (XXI, I), scritto cinquecento anni più tardi rispetto al IX sec. a.C. e, perciò, posteriore all'esilio. Nel racconto relativo a Giobbe, anzi, ha le vesti di un tranquillo interlocutore di Dio, anzi di suo collaboratore. Lo ritroviamo nel Nuovo Testamento nella parte di tentatore.
Ma chi è il diavolo per Gesù? Gli propone di compiere miracoli, gli promette i regni della terra, la trasmutazione delle pietre in cibo e la possibilità di spiccare il volo dal pinnacolo del Tempio; in altri termini, prove di onnipotenza a proposito di beni materiali in situazione di potere. Il sentimento che se ne ricava è la tensione tra due opposte forze: l'una che attrae verso il sogno di dominare la natura, trasformandola, vincendone le leggi di gravità, instaurando un potere incontrastato; e l'altra che osserva e vuole osservare l'armonia che è in essa, il suo equilibrio, mantenendo il posto che da essa è stato dato agli uomini come a tutti gli altri esseri. la tensione, dunque, sembra crearsi tra il mantenimento dell'ordine naturale e la tentazione di un suo sconvolgimento. Dove la natura e le sue leggi sono il principio generatore, cioè il Padre, il tentativo di sconvolgerle è ribellione. Si fa chiaro, allora, che la tentazione del potere nasce dalla ribellione all'ordine naturale del mondo. Dunque, il diavolo è la tensione mai sopita e placata di conquistare e dominare, la fame di potere che porta l'uomo all'estraneazione rispetto alle sue radici animali e biologiche e, l'uomo, così estraniato, si allontana dalla casa del Padre, la Natura, destinato, perciò, a sentirsi alieno nel mondo che tenta di dominare e di trasformare, separato dalle sorgenti vitali del cosmo di cui è parte, inaridito nel cuore, accecato e confuso tanto da non distinguere la ricerca e l'esplorazione razionale, dall'uso che poi di essa tenta di fare come disorientato apprendista stregone. Si profila una interpretazione del diavolo come tensione insanabile tra conformità alla natura e tentativo di dominio su di essa: come tale, il diavolo è storicizzabile e rintracciabile nel cammino storico dell'uomo, in universale.
Ma, per non allargare troppo i confini di questa breve ricerca, sarà opportuno soffermarci sulla storia dell'Occidente. l'età medievale sembra la più adatta ad accogliere il mito del diavolo, densa come fu di fermenti e di forze contraddittorie, di lotte laceranti, di esplosioni emotive su cui cercava di mettere ordine una struttura di potere che tanto più diveniva rigida, quanto più le lotte e le contraddizioni erano dilanianti. Sembrò, per questo, che il ribollire delle forze contrastanti dovesse essere dominato, e la struttura di potere acuì le angosce, mostrando all'uomo l'immagine del Maligno affinché servisse per allontanare dal potere i molti e rimanesse alibi di pochi. L'immagine diabolica ripetuta oralmente e iconograficamente s'impose come presenza vera e fece sì che la fantasia trionfasse sulla ragione, l'ignoranza sulla libertà critica del pensiero. L'ideologia delle classi di potere non trovò più, così, rivali temibili. Da Tertulliano e da Origene il diavolo viene presentato come la causa di ogni male fisico, naturale e morale, allontanando dalle classi di potere ogni sospetto. La delega ai tribunali laici delle colpe religiose da parte della Chiesa diede vita alla tragica confusione tra reato e peccato. Così, i movimenti ereticali assunsero il valore e il senso d'una gigantesca lotta condotta tra Dio e il diavolo. Non è raro rintracciare nelle dottrine di molte tra queste eresie la convinzione che il diavolo sia il vero amico dell'uomo e a lui si associano la magia e la stregoneria come arti adatte a conquistare il potere. Proprio il desiderio di potere delle classi subordinate assume l'aspetto diabolico che viene utilizzato come strumento di governo da coloro che dominano, associato al rimorso, alla paura, alla superstizione. Ma tra le persone colte e meno disposte a rinunciare alla libertà di pensiero, tra i medici e gli alchimisti, nascono le pratiche demoniache, la libido sciendi, e l'alleanza col diavolo si compie nel desiderio di accrescere la propria scienza e la propria potenza. Ma al diavolo l'opinione pubblica guidata continua ad addossare la responsabilità di ogni avvenimento che funesti la vita.
Lo scontro tra Dio e il diavolo si acuisce nel periodo che va dal XV sec. alla fine del XVII, che corrisponde all'età rinascimentale e barocca. Nella repressione contro la stregoneria si scontrano la religione e il potere costituiti contro le istanze del libero pensiero e delle sue manifestazioni magiche. E' questa una lunga età in cui il diavolo sembra fare da tiranno ma, a ben guardare, è più dalla parte del persecutori che da quella dei perseguitati. L'opera di repressione che fa da tragica controparte allo splendore del Rinascimento è sostenuta da uomini di cultura, santi, pontefici e demonologi, scrittori e magistrati. Possediamo una numerosissima pubblicistica a proposito, ma valga per tutte il Malleus maleficarum, del 1487, opera del teologi domenicani Enrico Institoris e Jacob Sprenger, frutto della Bolla di Innocenzo VIII del 5 dicembre 1484; esso fu il manuale ufficiale di tutti i cacciatori di streghe per due secoli. Tuttavia negli uomini di cultura è chiaro che la stregoneria viene vista come strumento di resistenza al potere centrale e ciò è attestato, nel 1580, dal procuratore del Re di Francia, Jean Bodin, nell'opera "Demonomanie des sorciers".
Tuttavia, non mancarono coraggiose voci di protesta da parte di religiosi e di laici. il fenomeno si presenta, a questo punto, degno di essere considerato da vicino, perché si tenti qualche ipotesi conclusiva. Da quanto è stato detto finora, sembra che le radici della stregoneria siano da ricercare nel tentativo di conservare i culti pagani di fertilità, i culti dionisiaci e i giochi di Diana, cerimonie lunari di giovani donne, atte a sfogare la libido repressa; nel tentativo delle plebi rurali di organizzarsi in forme di confusa contestazione nei riguardi del potere, nella non conoscenza dell'attività del subconscio, nelle condizioni fisiologiche mentali delle contadine e delle popolane. La stregoneria si manifesta nelle zone agricole depresse, in montagna, dovunque regnino ignoranza e miseria e dovunque avvenimenti funesti possano essere attribuiti al diavolo. Ma perché la strega, l'alleata del demonio, è la donna? la risposta che nasce per prima è che né patristi né asceti perdonarono mai alla donna il peccato originale: la misoginia è frutto dell'avversione alla sessualità e i sabba sono la rappresentazione scenica della libido liberata. A questo scopo servirebbe da sufficiente prova l'odio col quale s'infierisce sul corpo della strega, con torture che assumono aspetti grotteschi e carattere disgustosamente sadico-pornografico (L'Enciclopedia italiana calcola un milione di vittime in Europa tra il 1575 e il 1700). Nell'età che corre dall'illuminismo al Positivismo, il diavolo è duramente contrastato dalle filosofie razionalistiche e dall'affermarsi del pensiero scientifico. Anzi, ad opera della poesia di Milton e di Blake, ripresa in pieno da quella romantica, Satana comincia ad acquistare i caratteri della bellezza eroica ribelle e perdente, adornandosi di una giustificazione filosofica nell'opera di De Sade. Così Satana diviene, e per tutto l'Ottocento, l'immagine del Male, della devianza che sotterraneamente opera per la distruzione del mondo come ordine costituito. Un coro di poeti, teologi, politici, uomini di cultura conferma tale convincimento: Satana agisce nella ricerca scientifica, nei mutati costumi della gente che si pasce di "romanzi neri" e di pratiche magiche, nelle logge massoniche come nella fantasia dei poeti. Come simbolo di rivolta e di libero pensiero è accettato dall'Europa rivoluzionaria e condannato dall'ordine costituito.
Il Novecento conosce un nuovo smascheramento nato dalla neuropatologia e dalla psicoanalisi; così, il diavolo è ridotto a nevrosi fino a quando gli orrori delle guerre mondiali, in qualche modo, lo rimaterializzano. Il consumismo, in seguito, penserà a farne un bene di consumo attraverso diffusissime e costosissime pratiche magiche e astrologiche. A livelli più alti di cultura, tuttavia, il diavolo non è morto, poiché continua a celare la ragione dietro la grande falsificazione che risale alle origini: la separazione manichea del Bene e del Male.
Così, dunque, attraverso i tempi storici, il diavolo ha cambiato aspetti e compiti, sintetizzando sempre il principio del Male, anzi di ciò che ogni epoca o società ha avvertito come il Male, specialmente adatto ad assimilare al male la libertà di pensiero e il desiderio. la nostra cultura è assai ricca di produzioni filmiche, letterarie e persino fumettistiche volte ad interpretare quel sottosuolo umano dove immaginiamo che il diavolo abbia il suo dominio ctonio. Basti pensare all'opera di Allan Poe, ad alcuni film di Buñuel o di Bergman, al Diabolik dei fumetti e, in questi strani e irriverenti accostamenti, scopriremo il diavolo in una gamma non enumerabile di linguaggi rappresentativi.
Ma se vogliamo ricondurre il problema dall'ambito della conoscenza dei fatti come oggetto del conoscere a quello della soggettività riflettente e perciò riportare l'oggetto nell'ambito del mondo delle rappresentazioni del soggetto conoscente, il nostro discorso dovrà prendere un'altra piega. Infatti, l'uomo vive il mondo esterno come altro da sé ma, in quanto esso è pur sempre vissuto come rappresentazione soggettiva, non può non apparirgli come proiezione di parti di sé; nasce qui il conflitto tra il dentro e il fuori, il fruibile e il non fruibile, la sicuzezza del conosciuto e l'ansia per il sopravveniente attimo in movimento, tra il sentimento di potere che si esercita sul posseduto e quello d'impotenza rispetto all'alieno. Ma l'impotenza, si sa, genera frustrazione, e l'ansia ad essa connessa si trasforma in comportamenti aggressivi. Così, l'animale ansioso che chiamiamo uomo si dibatte costantemente in una conflittualità autoalimentata che lo porta ad autoaggredirsi nelle apparenze di un lo alienato o, che è lo stesso, nelle mille frammentazioni estraniate dell'io impotente. E' facile, ormai, trarre la conclusione che ognuno di noi, aggredendo il mondo considerato altro da sé, aggredisce se stesso.
E' questo un tema che ci porterebbe assai lontano, se volessimo applicare tale assunto ad un'analisi psicologica, sociologica, antropologica, politica ed economica. Sono questi i campi in cui l'aggressione dell'uomo sull'uomo o dell'uomo sull'ambiente si è storicamente esercitata e continua ad esercitarsi nelle mille forme che il disvelamento epocale dell'essere, per dirla con Heidegger, comporta e sempre, nel profondo, narcisistico convincimento che il dominio sull'altro possa fondare la sicurezza del dominante. Così, ciò che tra gli uomini ha più potere è, proprio, paradossalmente, la debolezza scaturente da un perenne stato d'insicurezza che nasce dall'impossibilità di fermare e, perciò, di possedere l'attimo. "La mia anima sarà tua, quando vorrò fermare l'attimo", diceva Faust al diavolo, e noi continuiamo a scoprire che proprio nella paura del movimento è la nostra dannazione. Che cosa porterebbe l'uomo alla fame di possesso materiale e psichico, alla gelosia, alla competizione, alla rabbia suicida e omicida della guerra se non la speranza di non dover temere l'ignoto? Il mondo economico è dominato dall'ossessione del futuro e quello politico delira su impossibili tentativi di irrigidire i sistemi e di perpetuarli. il più ottuso atteggiamento reazionario autogiustificantesi e il più violento rivoluzionarismo razionalizzante non sono altro che la medesima medaglia su due facce. Si scatena nell'uomo la lotta per il dominio sul tempo e allora Dio e il diavolo manifestano la loro specularità: il diavolo sta nei conati di tutti coloro che vogliono cambiare le cose per fermarle a loro uso, e Dio dalla parte di coloro che momentaneamente sono riusciti in questo sforzo. Poi le cose si ribaltano e colui che era sembrato Dio, perché aveva fermato il tempo, diviene il diavolo quando lo rimetterò in movimento. La lotta di classe, l'avvicendarsi delle civiltà nel mondo, come la nostra quotidianità nei rapporti d'amore e di lavoro, stanno ampiamente a testimonianza di ciò.
In modo assai particolare, le nostre società gerontocratiche, sia a livello politico che giuridico-ideologico, sono il risultato di quest'ansia di immobilità paradisiaca o nirvanica che tutti ci pervade, nell'inane tentativo di ritrovare il tempo senza tempo della indeterminatezza, della vita intrauterina, cosicché appare assai evidente quanto i mali dell'uomo siano solo il risultato di quella paura impotente che egli chiama il diavolo e, perciò, di quella sete di potere che lo conduce all'aggressione e alla alienazione di parti assai vaste del Sé.
Se questo fosse chiaro e accettato dalle coscienze individuali, se le ideologie dominanti tendessero alla liberazione delle coscienze e se si cercasse il libero pensiero, ognuno ricondurrebbe a sé la responsabilità della sua vita e nella pienezza del suo esistere come progetto dinamico, anzi dialettico, troverebbe i limiti assai precisi della sua impotenza ed in ciò la sua forza: "Chi domina sugli altri è potente, chi domina su se stesso è forte", ci ammonisce il Tao Te Ching. Ma, allora, forse, si intravede la possibilità di sconfiggere il diavolo, immagine alienata della nostra paura e metafora persecutoria del potere. Ogni uomo che si assumerà la sua paura, finirà per ciò stesso di porsi nel mondo come veicolo di potere, poiché la catena della paura del singoli, o nel privato o nelle forme associative e organizzate, tende a veicolare il potere in mille forme subdole, sottili e disparate.
Assumersi la propria paura è una decisione esistenziale di indicibile forza e chiarezza proprio perché l'esistenza nel mondo ci avvolge di paura emergente dal vuoto dell'ignoto del tempo che assume i tentacoli dell'Idra sempre recisi e sempre rinascenti. Ma, nel mito, Ercole trovò il modo di non far più rinascere tali orrendi tentacoli poiché, via via che li recideva, li bruciava. E il mito può ancora aiutarci, solo che noi vogliamo rappresentarcelo come metafora dell'agire dell'io nel mondo, simile al fuoco, elemento che arde consumandosi. Per uscir di metafora, solo quando ognuno percepirà se stesso come attimo carico d'energia vitale da offrire nel qui e ora al manifestarsi dell'essere, solo quando la pienezza del nostro ardere ci farà recuperare nell'attimo stesso il progetto del futuro, l'uomo cesserà di vedere il ghigno del diavolo, l'orrenda morte con le fauci spalancate, e si troverà accanto un'immagine di essa assai diversa: la morte sarà una dolce consigliera che ci aiuterà a discernere il vero dal falso, ciò che conta da ciò che non conta, e il fuoco in cui il diavolo arde non sarà più il terrore del tormento, ma la luminosa energia che ci consuma vivendo, quel fuoco vivo proprio nel suo ardere poiché la paura sarà diventata progetto di autocombustione.
La progettualità potrà emergere dall'amore che lega ogni cosa e che altro non èse non il riconoscimento di ogni singolo io nella totalità dell'essere, nell'infinito oceano dell'essere, sullo sfondo buio e illimitato dell'esistente dove ogni uomo passa e brilla come breve bagliore di fiaccola. Potremo così concludere con la percezione visiva della stupenda immagine lucreziana che vede gli uomini avvicendarsi come corridori tedofori che si trasmettono l'un l'altro la fiaccola della vita. Proprio in questi uomini che "quasi cursores, vitae lampada tradunt" è contenuta la progettualità dell'esistenza autentica, alimentata e compensata da quel recupero della paura che ci ha consentito di scoprire nel diavolo niente altro che una metafora dell'ansia inconscia del potere.

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