§ L'INEDITO

Il presepio




Enzo Panareo



Come in tutte le case, quella dell'allestimento del presepio in casa nostra, un paio di settimane circa prima del Natale, era circostanza per la quale in un modo o nell'altro finiva coi trovarsi mobilitata tutta la famiglia. Allora erano sollecitazioni, preghiere, richiami, raccomandazioni, moti d'insofferenza, magari qualche imprecazione prudentemente e pudicamente attenuata dal clima particolare che le giornate prenatalizie diffondevano. Non mancava, peraltro, qualche broncio, che poi gloriosamente rientrava. Infine, come per miracolo, l'antivigilia di Natale il presepio stava lì, esposto in un angolo della casa, maestoso, pronto a riscuotere l'ammirazione di quanti ci si accostavano.
Mio padre, diventato in casa il nonno, nel momento in cui, ogni anno, s'accingeva a porre mano al presepio - ché quello, non dovevano esserci dubbi, era compito a lui riservato, e lo fu fino a quando le forze lo sorressero -, si ricordava sempre di quando, nel carcere, erano i detenuti ad occuparsi del presepio. Ed erano per lui, vecchio ed umano secondino, continue preoccupazioni a causa dei materiali compromettenti, martelli, chiodi ed altra roba del genere, distribuiti al gruppetto di detenuti offertisi per quel l'operazione. Di quei materiali egli doveva rendere conto ai superiori.
Intanto era imminente un altro Natale e bisognava cominciare a pensare al presepio.
- Se non si fa per il tredici - proclamò con voce severa, stando addossato alla porta della cucina, dopo aver bevuto il caffè pomeridiano non si fa più!
Si riferiva, naturalmente, al presepio da allestire quell'anno. Era il dieci di dicembre: ancora tre giorni, dunque, ed il presepio, secondo lui, se non ci si decideva in tempo, si dileguava inesorabilmente.
Marco - quattro anni appena - l'osservò con un certo visino ironico. Anzi, lo considerò attentamente, con stupito e incredulo interesse. Era evidente che, sebbene divertito per l'affermazione dalla perentorietà del tutto fuori luogo, doveva fare qualche sforzo per afferrare il significato di quelle parole enigmatiche.
- Perché poi... - fece eco, sottovoce, mia moglie dubbiosa - chissà perché ... Mah!... -. Apparsa in quel momento in cucina alle spalle di mio padre, aveva colto insieme con le parole, il tono che non ammetteva repliche. Probabilmente, corrugando la fronte, tentava anch'essa di rendersi conto di come stavano per mettersi le cose.
Poi, temperamento estremamente pratico, piuttosto sorda alle lusinghe di sentimenti ritenuti futili, mia moglie si guardò intorno. lentamente sorvolò con un'occhiata sconsolata tutto il tinello. Sul cui tavolo erano già state frettolosamente accatastate le prime carabattole necessarie all'allestimento del presepio. Se n'erano occupati subito i bambini.
Mia moglie prevedeva, con comprensibile sgomento, il disordine che si sarebbe creato nel momento in cui le operazioni fossero cominciate. Proprio al tinello, nei giorni precedenti, aveva dedicato senza risparmio di energie cure amorevoli per lustrare pavimento e vetri e per togliere la polvere depositatasi sui mobili.
La sentii che mormorava: - Se me ne fossi ricordata prima. Ecco buttata al vento la mia povera fatica!
- Mi guardate? - proclamava intanto mio padre, vittima improvvisamente di una crisi di protagonismo. Aveva incrociato le braccia, assumendo un aspetto risoluto. lo guardavamo tutti intimiditi piuttosto. Poi continuò: - Vi ripeto che se per Santa Lucia il presepio non è bell'e fatto, quest'anno ve lo sognate. La pastorale e tutto il resto andate in parrocchia a cantarvela!
- Per piacere, chiedigli di smetterla - supplicò, sempre sottovoce, mia moglie -, non t'accorgi che Marco sta quasi per piangere?
Infatti, dimessi quei suoi lineamenti infantilmente divertiti, il bambino cominciava a fare il viso corrucciato. S'era rifugiato in un cantuccio, con qualche giocattolo e faceva finta d'essere intento al gioco. Se non era ancora scoppiato in lacrime, ma non ci voleva molto ormai, era soltanto perché sperava che tutta la situazione si evolvesse a favore del presepio, al quale cominciava a temere seriamente di dover rinunziare. In fondo, l'ostinazione di mio padre era scaturita dal fatto che, nell'angolo nel quale ogni anno tradizionalmente era stato allestito il presepio, adesso faceva bella mostra di sé, lubricamente luccicante, il televisore. Questo era stato trasferito dal salotto nel tinello. Dove, essendo l'ambiente piuttosto vasto, erano state sistemate anche delle ampie poltrone, appena acquistate. Ma con queste lo spazio del tinello s'era subito ridotto. Uscendo dal salotto, invece, il televisore aveva opportunamente decongestionato quest'ambiente e, in più, aveva consentito di tenerlo un po' al riparo dal traffico dei bambini. Quindi il salotto era più disponibile a far fare a mia moglie una buona figura in occasione di qualche imprevista ed improvvisa visita. Nel salotto, infine - per colmo d'imprevidenza da parte mia - il posto lasciato dal televisore era stato subito occupato da uno di quei tavolinetti, in stile come si dice, che a me piacevano tanto e che mia moglie detestava. Su questo tavolinetto adesso luccicava un vaso portafiori in ottone. Di modo che, in casa, nelle stanze utili, non era rimasto un qualsiasi spazio che potesse accogliere degnamente il presepio.
C'è da rilevare, tuttavia, che quando, durante l'estate, erano stati effettuati questi cambiamenti, specialmente quando erano entrate in casa le poltrone nuove, mio padre aveva tempestivamente osservato che in quell'angolo del tinello, dove adesso si era insediato il televisore, a Natale si sarebbe dovuto allestire il presepio. Nessuno, allora, gli aveva dato retta e lui di quest'indifferenza s'era risentito. Non lo aveva fatto capire, ma io in particolare, che ne conoscevo le intime reazioni, me n'ero accorto.
Che in casa, nel tinello, quello fosse l'angolo più adatto per il televisore, chiunque l'avrebbe visto. Ma lui tenacemente non demordeva. Voleva, come sempre, il presepio in quell'angolo. A nulla erano valse, nei giorni precedenti, le preghiere perché si cercasse, in casa, un altro angolo. Che - bisognava onestamente riconoscerlo - non c'era! A meno che non si volesse sacrificare il presepio in cucina!!!
Ma lui era stato irremovibile! E non gli si poteva dare torto.
E adesso s'era già al dieci di dicembre: Santa Lucia non era lontana e, dunque, nemmeno la fiera. Nel corso della quale mio padre tranquillamente dilapidava tutta la pensione di novembre in pupi per il presepio, oggetti per decorare la casa e giocattoli per i due nipotini. I quali, dal canto loro, avendo tutto calcolato, non solo temevano per il presepio, ma anche per i giocattoli che il nonno comprava ogni volta che s'immergevano, con aria solenne, nell'allegro frastuono della fiera.
L'orizzonte familiare, certo, quell'anno non si dimostrava, ad una prima occhiata, del più sereni e nulla si scorgeva, nemmeno lontanamente, che contribuisse a rischiararlo.
La discussione, che animatamente progrediva a proposito della localizzazione del presepio, aveva creato un insostenibile clima di freddezza, una tensione incredibile degli animi. E fino a quando impregiudicato restava la questione del presepio, tutto vagava come in una nebbia.
Chi avrebbe ceduto? Chi si sarebbe rassegnato a subire il punto di vista dell'altro? Chi avrebbe cantato vittoria? E, infine, per andare sul pratico: quali potevano essere, in una situazione siffatta, le alternative?
Spostare il televisore? Ma questa soluzione, che appariva come l'unica praticabile, avrebbe dato, per un mese circa, l'aspetto del disordine a tutta la stanza. Inoltre, avrebbe messo in difficoltà me per una libreria a muro, che sarebbe rimasta del tutto coperta, e mia moglie per una credenzina che non aveva trovato posto in cucina quando avevamo preso in affitto quel l'appartamento. In questa credenzina mia moglie teneva conservate tante cose di uso quotidiano. Della credenzina, con il televisore davanti, non si sarebbero potuti aprire i cassetti.
- E allora... - chiesi, meglio azzardai, con un tono che voleva ondeggiare tra il neutro e il compiacente e conciliante, cingendo con il braccio destro la vita di mia moglie. la quale, perspicace, non fece fatica a rendersi conto che questa manifestazione di affetto aveva uno scopo ben preciso. Per questo, forse, prudentemente non rispose. Incoraggiato continuai: - Che si fa? La spostiamo questa macchina diabolica? Non vedete che ne escono soltanto spettacoli indecenti? e i rumori? ... E poi, scene di violenza che hanno corrotto e continuano a corrompere gli animi di piccoli e grandi...
Mia moglie taceva e io la guardavo sottecchi per potermi regolare, sperando di indovinare gli umori. Vedendo che non diceva nulla, mi sentii ancor più incoraggiato e continuai: - Io, per me, potrei anche fare a meno del televisore... -. Mi resi conto, però, che era meglio smettere, osservando i visini inquieti dei bambini. Questi adesso cominciavano ad intravedere la necessità di dover fare a meno del televisore.
Che mia moglie non gradisse il ruolo della vittima, m'era noto, fin troppo anzi ... E, d'altro canto, nemmeno a me faceva piacere che si sentisse umiliata. Tuttavia, il nodo andava subito sciolto. Con serena determinazione anche! Non che il fratello ci tenesse di meno, ma più grande di tre anni, un tantino più smaliziato, piuttosto sornione, faceva di tutto per tenersi al di sopra della mischia. Intuiva che, alla fin fine, c'era da trar profitto da qualsiasi alternativa.
Finalmente mia moglie, non potendone più, scoppiò: - Sentite: sapete che c'è di bello? Al diavolo il televisore e tutto il resto e fate quel che vi pare! -. Probabilmente, tra le cose da mandare al diavolo lei includeva anche il presepio: ebbe, tuttavia, l'avvedutezza di non dirlo! E, tutto sommato, la sua era una resa. Ma era anche la sua maniera, abbastanza collaudata, d'uscir vincitrice da un qualsiasi battibecco domestico. In fondo, anche se la meno dignitosa, era la maniera più pratica di concludere un discorso come quello.
Tuttavia, mio padre non si sottrasse alla voglia di stravincere e con finta umiltà - gli si leggeva tutto chiaramente negli occhi -, con voce insinuante chiese: - E dove lo sistemiamo questo benedetto televisore per poterlo guardare in santa pace?
Poteva essere il colpo di grazia. Per fortuna non accadde nulla: mia moglie era già in terrazza - la si scorgeva, tutta imbacuccata, attraverso la porta-finestra -, a raccogliere la biancheria, già asciutta, indurita, sciorinata la mattina. E a me, che cominciavo a perdere la pazienza, non restò che far cenno, stizzosamente, a mio padre di smetterla. Mi sfuggì anche la minaccia di prendere tutte le carabattole del presepio e di farle volare dalla finestra nella strada.
Mezz'ora dopo in quella stanza regnava il più pittoresco disordine!
Tutta la zoologia che un presepio decente prevede, ed anche quella che non prevede, dalle più mansuete pecorelle alle più feroci tigri, era allineata sul cristallo del tavolo per la cui lucentezza il giorno prima mia moglie aveva dato fondo ad un'intera boccetta di detersivo.
- Mamma - esclamò d'un tratto Marco esaltato -, vieni a vedere un leone che se ne va a passeggio con l'asinello! - Poteva essere, con intenzione maligna, un'allusione troppo scoperta ed a me scappò anche un sommesso risolino. Ma mia moglie fortunatamente non ci fece caso. Bofonchiò: - Certo, certo, amore, ma adesso lasciami: non vedi che ho da fare?
Il bambino, con l'intuito che della sua età è tipico, rendendosi conto che in famiglia c'era stata, e sinistramente perdurava, aria di burrasca, stabilì che era preferibile non insistere.
Dal canto mio indicando i bambini indaffarati a mia moglie, me ne uscii con un ipocrita: - Ma come si divertono... -. M'accorsi subito, però, che anch'io dovevo lasciar correre: il volto di mia moglie era clorotico, anche perché nel frattempo Marco era andato ad affondare la manina in una scatola di puntine da disegno. Piangeva sconsolatamente: da un ditino della destra gemeva una rossa goccina di sangue. Furibonda, mia moglie s'affrettò verso lo stipetto dei medicinali per un disinfettante e qualche cerottino.
Finalmente, prelevato dal garage, dove era conservato, un tavolo sopravvissuto alla decimazione dei vecchi mobili della casa della mia infanzia fece la sua comparsa. E mio padre cominciò a picchiare con il martello. E finalmente, come Dio volle, nella tarda serata la sommaria ossatura del presepio era quasi pronta. Prefigurava una cavità, che sarebbe diventata la grotta, e alcune gibbosità, nelle quali non era difficile intuire monti e colline: l'orografia, insomma. Un'assicella, sulla quale si leggeva il peso lordo d'una cassetta di agrumi pregiati, sarebbe diventata, mercé un sapiente e fantasioso rivestimento, un dolce declivio.
Dunque, l'idea della mistica scenografia già c'era!
A terra, però, c'era anche una confusione di chiodi di tutte le misure, di pezzi di legno, di carta, di giornale e da imballaggio, appallottolata e raggrinzita, pronta a diventare ruvida roccia. Sul tavolo, e anche a terra poi, c'erano cinque o sei scatole di scarpe, scoperchiate, con dentro i pupi d'argilla.
Le colle, dagli odori pesanti e nauseabondi, e le terre variopinte, un intero arcobaleno, fecero la loro comparsa l'indomani. Ed a questo punto il disordine ruppe gli argini!
Un fatto grave accadde mentre mio padre mesticava i colori: Marco, con le manine inesperte brancicanti il groviglio di paglia e muschio sintetico nel quale i pupi erano avvolti, fece cadere uno dei magi. Baldassarre, sosteneva sicuro il bambino.
Al piccolo tonfo fece seguito una imprecazione, trattenuta a stento tra i denti, di mio padre che osservava sgomento i poveri frammenti di Baldassarre sparsi sul pavimento. Che furono subito tutti trovati e messi insieme. Ma i tentativi di restauro, precipitosamente seguiti allo sbigottimento generale, non dettero apprezzabili risultati. Tutt'altro! Ma fu subito convenuto, con un senso di sollievo da parte di tutti, che alla fiera, tra le altre cose, bisognava ricordarsi di acquistare anche un Baldassarre. Intervenne inopportunamente mia moglie: priva del più elementare senso della tradizione, propose l'acquisto di un Baldassarre di plastica.
- Anzi, dal momento che ci siamo - se ne uscì con disarmante candore, consapevole, tuttavia, d'essersi messa su di un sentiero piuttosto accidentato -, perché non prendiamo la decisione di sostituire i pupi d'argilla, naturalmente quelli che via via si romperanno, con pupi di plastica? Ne ho visti di veramente belli ai Grandi Magazzini. Così, la spesa si fa una sola volta e basta!
Se la radio o la televisione avessero improvvisamente diffuso l'annuncio dello scoppio di un conflitto atomico, mio padre non avrebbe esibito in quel momento un volto più trasecolato. Gli si leggeva negli occhi il bruciore per l'offesa ond'era stato colpito. Si levò con solennità, si guardò intorno con aria smarrita, improvvisamente impallidito lasciò cadere il martello che maestosamente impugnava - e che gli cadde sul piede sinistro, strappandogli un'esciamazione di dolore -, ed affermò vigorosamente: - No, un presepio di pupi di plastica da me non lo avrete mai! -. Si sentiva ferito nella più civile delle dignità, che era quella della tradizione, alla quale bisognava, in ogni caso, portare rispetto. Poi continuò, mentre il respiro gli diventava difficile per la concitazione e mia moglie se ne tornava in cucina, allarmata per il vespaio che aveva suscitato: - Vuoi dire che, se sono queste le vostre intenzioni, dall'anno prossimo il presepio ve lo farete voi! lo non c'entro un belniente, intesi? E non lo guarderò nemmeno...-. Il tono era perentorio, la decisione prospettata irrevocabile.
I lineamenti di mio padre, tirati per lo sforzo dei nervi che avevano dovuto sopportare un simile affronto, misero in uno stato di disagio i bambini. I quali ammutolirono. Ritenni opportuno intervenire con un conciliante: - Via non esageriamo., che in quel momento non produsse alcun effetto.
Poco dopo, comunque, le acque si mostrarono piuttosto placate, al punto che mio padre chiese a mia moglie - e si sentiva, in effetti, che era sincero - se le piaceva come stava venendo il presepio.
Trascorse così, tra un contrasto e l'altro, anche la seconda giornata. A sera mio padre poteva cominciare a valutare, con i suoi occhi miopi, l'opera che gli stava uscendo dalle mani.
S'avvicinava al presepio, se ne allontanava, si situava in prospettive diverse, accostava le imposte, poi le apriva, accendeva tutte le lampade del lampadario centrale, poi ne spegneva una serie, socchiudeva gli occhi, lentamente li riapriva. I bambini lo seguivano in queste prove, in questi spostamenti per così dire strategici esprimendo, mentre l'ombra di un sorriso ironico passava sulle loro labbra, pareri dei quali in ogni caso il nonno voleva tener conto. Perché, tutto sommato, il presepio per la gioia dei bambini si allestiva e, dunque, loro dovevano essere felici. A noi adulti, per restare nel clima di una dolce tradizione, sarebbe bastata una semplice nascita da situare su qualche mobile basso.
- Una piccola lampada elettrica di fronte e via... - concludeva con convinzione mia moglie pensando alla nascita, cioè al gruppetto dei pupi, compresi il bue e l'asinello, il cui posto è nella grotta. Poi levava gli occhi al cielo sospirando. E concludeva sottovoce: - Bah, per i figli s'accetta tutto! - ed era palese che il suo pensiero affranto correva continuamente a tutto il disordine che nel giro di un paio di giorni s'era prodotto in casa.
Ad essere obbiettivi, non si poteva negare che in ogni angolo della casa c'erano chiodi, trucioli, fili di paglia, ciuffetti di muschio artificiale, frammenti di polistirolo, pezzi di spago, fili d'argento caduti dai festoni decorativi, frammenti di pupi che i bambini, avendoli sottratti dalle scatole nelle quali erano conservati, avevano rotti, tentando, subito dopo, di nascondere tutto.
Dopo tre giorni, finalmente, il presepio poteva dirsi terminato. Per qualche imprevisto dettaglio, si sarebbe potuto intervenire all'ultimo momento, il giorno precedente la vigilia di Natale. Con gli acquisti effettuati alla fiera, poi, quel presepio, già impostato con molta larghezza d'idee, era diventato una cosa veramente pregevole, per non dire lussuosa. Si trattava, comunque, di un lusso sobrio, sempre rispettoso della tradizione storica ed evangelica, un lusso che eccitava oltre ogni misura l'orgoglio di mio padre. Il quale andava in visibilio quando qualcuno, capitato in casa per un motivo qualsiasi, si complimentava con chi era riuscito a realizzare un presepio tanto fastoso. Ci capitò qualche fornitore ed un postino salito in casa per una raccomandata da firmare. Certo, mia moglie ed io ci rassegnammo a rinunziare alla nostra agibilità domestica per colpa del televisore che era andato a finire poco discosto da un altro angolo della stanza, in prossimità di una porta, rendendo praticamente malagevole il passaggio. Per seguire qualche trasmissione, ci adattammo: in linea di massima, rinunziammo a buona parte degli spettacoli, anche se non ce la sentimmo di rinunziare al telegiornale. Che, tuttavia, se eravamo tutti, potevamo seguire o stando in piedi e facendoci di lato se qualcuno dei bambini chiedeva di passare, o stando accatastati l'uno sull'altro. Ma i bambini preferivano sistemarsi tranquillamente sotto il tavolo, allungati su un tappeto per non prendere freddo. Mio padre, invece, durante tutto quel periodo sostenne che non aveva nessuna voglia di seguire gli spettacoli televisivi. Dei quali diceva, con aria di sufficienza: - Ne ho fin sopra i capelli! -. Ma noi sapevamo che non era vero perché a lui il televisore piaceva moltissimo. Ma il presepio stava lì, scenograficamente maestoso, suggestivamente ricco di luci e di richiami spettacolari. In una parola solenne! E questo doveva bastare!
La tragedia scoppiò fulminea la sera della vigilia, quando era imminente l'ora di mettere, come si dice, il Bambino al presepio.
Mancava - s'erano da poco diffuse le prime ombre della sera - appena un'oretta al momento in cui, con una semplice cerimonia familiare, avremmo devotamente celebrato il rito della nascita di Gesù. Già si respirava per casa una certa aria di raccoglimento religioso. Ed era manifesta una certa trepidazione. In effetti, era anche il momento solenne del presepio. Ognuno faceva fretta agli altri allo scopo di giungere subito al momento tanto atteso. Sul tavolo erano pronte le candeline variopinte, una per ogni componente la famiglia, con le quali, una volta accese, accompagnare in giro nelle stanze, fino alla grotta del presepio, cantando motivi religiosi, chi doveva depositare il Bambino Gesù nella mangiatoia. Privilegio, questo, riservato al più piccolo della famiglia. Toccava a Marco, che ne andava orgoglioso!
Mia moglie, intanto, si dava da fare in cucina, donde proveniva, insieme con un invitante odore di pesce fresco, il brusio della frittura. Ed il tavolo circolare della cucina era stato preparato con una tovaglia sulla quale erano stampati motivi natalizi. Il televisore, ovviamente, era spento!
Dopo il rito della nascita, sarebbe stata la volta dei doni, e poi tutti a tavola.
- Vieni, mamma - sollecitava Gigi e Marco pescava con la manina in una coppa di vetro nella quale momentaneamente era stato riposto il Bambino. Lo trovò, protetto da un cespuglietto di paglia. Dalla quale tentò di liberarlo. E fu a questo punto che si verificò la tragedia.
S'udì chiaramente un colpo secco: a terra, tra pochi fili di paglia, giaceva, miseramente privo di entrambe le braccine aperte a raccogliere tutte le colpe degli uomini, il Bambino Gesù.
Fu uno di quei momenti che entrano - con la solennità drammatica di certi eventi - a far parte sostanziale della storia di una famiglia. Fu un momento che non tanto facilmente sarebbe stato dimenticato.
- Mamma mia! - esclamò mio padre atterrito, mettendosi le mani sui pochi capelli che l'elmetto nei lunghi mesi di guerra gli aveva consentito di conservare -, mamma mia, come mi sembra di cattivo augurio tutto ciò! A queste parole fece rumorosa e penosa eco il pianto repentino di Marco.
- Via - intervenne subito, riprendendosi, mia moglie, che faceva di tutto per non lasciar trasparire il turbamento interno dal quale anche lei era stata aggredita -, non facciamone un dramma ... Adesso si provvede...
Gigi, intanto, con il muso lungo, sconsolato, s'era seduto sull'impiantito, facendo ogni sforzo per non sciogliersi in lacrime anche lui.
- Ripariamolo - proposi con finta decisione. Ma era palese che non ero molto persuaso del risultato. la mia voce era turbata ed usciva a stento.
- Come? - chiese incredulo mio padre.
- Con un po' di mastice i frammenti certamente andranno al posto loro - ma era chiaro che della mia incertezza nessuno dubitava.
- Ci staranno? - chiese Gigi con perspicace dubbio.
- Non lo so - dissi lealmente -, ma si può sempre provare.
- Sai che puoi fare? - sibilò d'un fiato mia moglie -, esci e vanne a comprare un altro!
- A quest'ora? - osservai, ancor più sgomento. Ma dovetti subito riconoscere che era la cosa più saggia da fare. Difatti, infilai giacca e cappotto e via per le scale.
Fortunatamente, malgrado il freddo, la macchina non fece capricci: partì subito. E cominciai così il giro del negozi nei quali presumibilmente potevo trovare un Bambino da acquistare. I pupari, come ogni anno, a mezzogiorno avevano smontate le loro baracche. C'era solo da tentare, per qualche probabilità di successo, in qualcuno di quei negozietti di periferia nei quali si vende un po' di tutto. Altrimenti, ci saremmo dovuti accontentare di un Bambino ... mutilato di entrambe le braccine.
Peraltro, c'era anche da pensare al fatto che, se avessi trovato da acquistare un Bambino, questo non sarebbe stato benedetto. Ma in qualche chiesa, aperta, un prete attardatosi in sacrestia avrei sempre potuto trovarlo al quale chiedere la cortesia di benedire il Bambino nuovo. Evitato il centro storico, dove i negozi erano quasi tutti chiusi, lasciati da parte i quartieri residenziali nei quali non si trovavano molti negozi, affrontai, sulla circonvallazione, le stradette di periferia, dove la città si smargina e poi finisce con la campagna. Ma anche qui i negozi, tranne quelli di generi alimentari, o erano chiusi o stavano per chiudere. Ero disperato! Pensavo che a casa mi aspettavano ansiosi: soprattutto pensavo a Marco che aveva combinato il pasticcio ed a mio padre che vedeva ombre da per tutto.
In una stradina deserta, battuta da un vento stizzoso, quasi ai margini dell'abitato, scorsi un negozietto disadorno dalla cui porta a vetri, chiusa, trapelava una fioca luce. C'era anche una misera insegna, ma era al buio. Automaticamente, come per una voce interiore dalla quale mi sentissi chiamato, fermai la macchina di fronte a quei negozietto: si trattava di una polverosa merceria nella cui vetrinetta, scolorita e disadorna, era esposto, tra nastri, trine, cordoncini e gomitoli di filo, anche qualche pupo. - Come mai? - mi domandai repentinamente e feci di tutto per non pensare ad un intervento del destino. Comunque, ebbi un tuffo al cuore! E mi passò negli occhi la visione della famiglia racconsolata. In un cantuccio di quella vetrina, guardando attentamente, quasi nascosto da alcune matassine di filo, c'era un bel Bambino.
Eccolo: era il nostro Bambino. le cui proporzioni, a occhio e croce, erano quelle desiderate. Misi, prima di entrare nel negozio, la mano sulla vetrina, come per chiedere a quei Bambino di non muoversi di là. Quando entrai, la vecchina che gestiva il negozio, seduta in quel momento di fronte ad uno scaldino, non nascose un improvviso sentimento di paura. Visibilmente, si agitò sulla sedia, guardò prima le povere braci alle quali chiedeva un po' di calore e, sollevando la testa, mi chiese che cosa desideravo.
Per rassicurarla, aprii il volto ad un sorriso e chiesi subito il Bambino esposto in vetrina. Poi, per meglio rassicurarla, precipitosamente le spiegai quel che era accaduto a casa mezz'ora prima.
La vecchina sorrise, del tutto tranquillizzata, raggrinzendo il volto, estrasse con cautela il Bambino dalla vetrina e, fatta una modesta confezione con un po' di carta velina, me lo porse.
- Quanto? - chiesi, prendendo il pacchettino che infilai subito nella tasca del cappotto.
- Niente! Va' a caso e quando lo metterete al presepio, pensate, per un momento, ad un bambino morto tanti anni fa ... Proprio solo un mamento...diceva la vecchina come temendo di chiedere troppo. Qualche lacrima le rigò il volto tornato piuttosto disteso. Sollevai il volto: al muro, in una vecchia cornice, c'era la fotografia, sbiadita, di un bambino sorridente.
Stavo per chiedere alla vecchina qualche notizia, ma mi trattenni: mi resi conto che forse avrei rinnovato a quella donna il dolore di una memoria ormai placata nella rassegnazione. Commosso me ne uscii, promettendo di tornare. Ma capii subito che non lo avrei fatto.
A casa, riprendemmo in fretta la cerimonia. Che si concluse ... con due Bambini nella grotta.
- Perché - s'era chiesto Marco - l'altro non deve stare pure lui nella grotta? Anche Perché chissà che dolore avrà provato quando è caduto ed ha perduto le braccia!

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