§ STRATEGIE ECONOMICHE

La Nep di Gorbaciov




Gennaro Pistolese



Il complesso delle riforme che Gorbaciov sta varando, o si propone di varare, nell'Unione Sovietica, nella speranza e nell'attesa anche di imitazioni od approvazioni che ne dovrebbero discendere nell'intero sistema dei Paesi dell'Est, ha avuto soprattutto ai suoi inizi, per il suo carattere di novità, un'enfasi probabilmente superiore ai suoi reali contenuti. Quali siano questi contenuti, quali le loro motivazioni, quali i loro precedenti, quali i parallelismi registrati negli altri Paesi del socialismo reale, quali ancora le implicazioni interessanti l'Occidente sul piano economico, quali infine le concatenazioni con la dottrina marxista o le mutazioni rispetto ad essa e le riserve che oltre la facciata possono e devono essere manifestate, riassumono i termini di questa nostra trattazione. Con uno scopo di messa a punto delle zone di luce, nei limiti in cui esse realmente si intravvedono, e delle zone d'ombra, che continuano ad essere tante, pur in una politica dello spettacolo che è tanta parte delle condotte dittatoriali.
Al fine di collocare questa NEP di Gorbaciov nell'evoluzione, oltre che delle condotte di politica economica, anche della stessa dottrina economica, una più ampia panoramica può ricercarsi nella pubblicazione alla quale anche questo articolo si richiama, e cioè al "Pensiero economico d'oggi". (Volume curato da Sudpuglia, per la collana economica A mercuriali", come supplemento di questo fascicolo, N.d.E.).
Il confronto con siffatto pensiero è diretto a fornire delle motivazioni in pro ed in contro a quanto il Segretario generale del Partito comunista sovietico è venuto fin qui prospettando come svolta di un assetto economico, che - egli dice - vuoi essere diverso dal passato, nella conferma tuttavia di una continuità che di fatto, intenzioni a parte, esclude innovazioni sostanziali. In effetti, la scoperta di Gorbaciov non riguarda il riconoscimento della libertà economica, come è intesa dal pensiero illustrato nella pubblicazione alla quale questo articolo fa riferimento, bensì la strategia dell'efficienza. Ma quante dittature l'hanno promessa senza mai conseguirla? E ciò perché essa ha a che fare soprattutto, e si può dire unicamente, con la libertà e l'iniziativa dell'individuo, al quale nessuno Stato può positivamente sostituirsi.
Quanto ai contenuti, una prima discriminazione bisogna fare rispetto ad essi. Da una parte c'è la filosofia, dall'altra la strategia. Nella filosofia (e Gorbaciov l'ha motivata nel noto discorso di 84 pagine), ci sono la critica ad una direzione inefficiente, ed alla mancata comprensione del bisogno di cambiare, il richiamo all'autocritica ed a un nuovo pensiero, che in particolare dovrebbe sfociare nella ristrutturazione, nella riforma, nella partecipazione, e perfino nella "democratizzazione" (ma -questa da intendere alla maniera dei sistemi totalitari, e cioè con un solo partito).
Nella strategia rientrano indirizzi e norme. I primi sono diretti ad una maggiore libertà dell'attività di controllo, ad una formazione dei prezzi risultante oltre che dal valore sociale anche dall'offerta e dalla domanda, ad un assetto ed uno sviluppo fondati sull'efficienza, alla partecipazione dei lavoratori alle decisioni relative al luogo di lavoro (dice Gorbaciov che "una casa può essere tenuta in ordine soltanto da una persona che la sente sua": ma in quale sistema è stato mai detto il contrario o, invece, l'asserto non è stato ripetuto anche sinceramente fino alla sazietà?), all'instaurazione di contatti diretti fra le imprese interessate all'esportazione e ad i mercati esteri, ecc.
Quanto invece alla normativa, i principali punti di riferimento sono al momento così riassumibili:
- una legge approvata dal Soviet Supremo, che consente alcune forme di lavoro autonomo su base individuale e familiare. la legge si basa sul principio che lo Stato regola il lavoro individuale e ne assicura l'impiego nell'interesse della società, che tutte le restrizioni infondate alle attività personali utili vengono eliminate, che i redditi da attività di lavoro individuale devono corrispondere alla prestazione di lavoro personale ed ai principii di giustizia sociale, che il diritto di rilasciare i permessi e di regolare il lavoro individuale è affidato ai soviet locali.
Il provvedimento, nell'elencare le attività consentite, ne precisa il loro carattere esemplificativo, dovendosi prevedere integrazioni a livello locale. Le attività tassativamente proibite sono invece quelle interessanti la produzione e la riparazione di armi, la produzione di sostanze tossiche e di narcotici, la gestione di case da gioco e l'organizzazione di giochi d'azzardo. Se questa fosse la reale demarcazione fra sfera pubblica e sfera privata, sarebbe un messianesimo realizzato al massimo grado per il più retrivo dei conservatori, ma così non è, e ciò non solo per il carattere estremamente circoscritto delle forme di lavoro autonomo ritenute possibili, ma anche per la persistenza dei compiti attribuiti ai soviet locali, che restano un punto fermo, nonostante che non si manchi di rilevare che "le organizzazioni di Stato e le cooperative non hanno soddisfatto in pieno la domanda dei consumatori di merci e servizi".
- un progetto di legge, che dovrebbe entrare definitivamente in vigore entro l'anno, diretto alla modernizzazione della struttura industriale del Paese, con l'attribuzione di autonomie e responsabilità maggiori al management delle aziende sovietiche, con la limitazione del potere delle autorità centrali dello Stato alle decisioni di carattere strategico generale, con la possibilità di dichiarazione di fallimento delle aziende in perdita, con la sottoposizione degli amministratori delegati ogni cinque anni al voto dei dipendenti, con elezioni ogni due o tre anni per gli altri dirigenti.
Naturalmente non mancano in sede interpretativa i commenti trionfalistici, come non mancano le enunciazioni di criteri di massima che poi all'atto pratico subiscono l'erosione della realtà e dello, loro effettiva improponibilità. E ciò viene a riguardare il proposito di sostituire le decisioni di tipo burocratico con forme di gestione basate sulle performances economiche, l'elasticità della formazione dei prezzi, oggi invece rigidamente determinati dal potere centrale, gli stessi rapporti fra produttività e salari a fronte delle difficoltà di determinazione della prima e della rigidità di effetti che ne dovrebbero derivare per i conseguenti livelli salariali. Entro il 1990 tutti questi traguardi dovrebbero essere raggiunti, partendo da avvii che già da ora investirebbero sette dicasteri e 36 aziende.
Ma mentre si preparano, anzi si sospirano, questi sviluppi, non mancano gli ammonimenti e le denunce - spettacolo dirette a fornire il look del nuovo corso. Così quando la Tass ha annunciato il primo fallimento, quello di una grande impresa di Leningrado (che fra l'altro è la prima a fallire nel nuovo corso, perché quelle che nel passato l'hanno preceduta su questa strada beneficiavano dell'intervento di ripianamento del bilancio da parte dello Stato), ha fatto la sua bella denuncia delle colpe dei dirigenti "che spesso non riescono a consegnare in tempo gli edifici, che oltrepassano i limiti delle spese previste, che non garantiscono una qualità adeguata del loro lavoro, e che ora dovranno fare i conti con l'autorità superiore".
Il riscontro in cifre di tutte queste premesse, come dell'immediato sbocco del supporti così impostati, si ricava dal piano di sviluppo socioeconomico per l'anno corrente e dal bilancio preventivo dello Stato, che prevedono:
- una crescita del reddito nazionale del 4,1% (nell'Occidente è invece di almeno un punto in meno, con la preoccupazione di un realismo che porta gli organi internazionali a continui aggiornamenti), con un giuoco di previsioni che poi lascia abitualmente nell'ombra i consuntivi di segno inferiore.
- la destinazione di tre quarti dell'incremento del reddito nazionale alla elevazione del livello di vita della popolazione, con un orientamento del bilancio ad una maggiore attenzione per gli impieghi sociali (ma per le spese militari è prevista un'ulteriore lievitazione anche se percentualmente rispecchieranno, nelle intenzioni, lo stesso livello dell'anno scorso), con un aumento dei redditi reali della popolazione di almeno della metà, però inferiore rispetto alla crescita del prodotto interno lordo.
Sennonché, mentre si immaginano questi obiettivi, i punti di riferimento più immediati appaiono tutt'altro che soddisfacenti ed in linea con questo finalismo. le spinte alla NEP di Gorbaciov vengono proprio da questa realtà, che è compromessa dai risultati in atto, dalla qualità delle strutture vigenti, dal contesto in cui esse operano, dalle strategie finora dominanti, il tutto con un grado di sopravvivenza di non facile condizionamento. Di qui le constatazioni ufficiali (ma quali constatazioni nell'URSS almeno finora sono state differenti?), secondo le quali l'industria in gennaio non ha realizzato il proprio piano, a causa delle trascuratezze nel lavoro organizzativo, dell'insoddisfacente preparazione di una serie di settori e regioni di fronte ad accresciute esigenze di consorzi ed aziende, di difficoltà nei trasporti ferroviari e nelle costruzioni dovute ai rigori dell'inverno. E questi sono fattori ufficialmente tutti elencati dal massimo organismo dei PCUS, che riflettono altrettante insufficienze strutturali e di condotta produttiva, per superare le quali giocano fattori umani di difficile e non vicina correzione in vista del traguardo dell'efficienza e della competitività. Che è, come si sa, un traguardo già difficile per i sette Paesi maggiormente industrializzati dell'Occidente, che pure partono a questi fini da ben più avanzati e conformi presupposti.
La realtà è che fin qui sono mancati i risultati positivi attesi dai programmi di Gorbaciov, già avviati nei limiti di cui prima si è detto, proprio nei settori più importanti per il finalismo della NEP nuova edizione, e cioè crescita dell'industria meccanica e beni di consumo, con incertezze e frenate, più che accelerazioni, che ne derivano per un finalismo. Che è naturalmente di buone intenzioni, a determinazione di una nuova immagine, ma queste accompagna con una strumentazione non nuova nelle sue formulazioni, perché ricorrente nella storia del comunismo sovietico. La realtà è che su 68 anni di regime sovietico se ne "salvano" (perché è subentrata l'esaltazione eroica) solo i 6 di Lenin. Il resto è critica od autocritica, che ne ha generato deviazioni consistenti dal pensiero originario. I tentativi, infatti, si sono susseguiti ai tentativi. Stalin ha avuto la storia che si conosce. La NEP di Malenkov, di Kruscev, del primo Kossighin non ha lasciato alcun segno, né pratico, né teorico. Ha trovato gli argini di una cosiddetta dottrina ortodossa e di un apparato che è duro a morire nell'ancoraggio a principii e metodi retrivi ed ostili ad ogni sia pure parziale passo innanzi. Ha avuto a che fare con l'intransigenza dei custodi delle memorie, a cominciare da Suslov, il massimo capo ideologico del sistema, che è morto nel 1982. Oggi la dottrina non può contare su tale capostipite, ma la macchina esiste ed è diffusa e potente.
La perestroika (ristrutturazione dell'economia) è un'insegna che può essere allettante ed accattivante, ma deve fare e sta facendo i conti da una parte con il velleitarismo e, dall'altra, con la rigorosa ed intransigente sopravvivenza di cardini duri a morire, a cominciare dal partito unico. Comunque gli osservatori allineano le seguenti principali resistenze che impediscono il reale decollo delle riforme, pur limitate, che Gorbaciov si è proposto di realizzare, e cioè:
- un'efficienza conseguente ad una pur difficile assunzione di tecnologie di avanguardia, che stenta a tradursi in una produzione di prima qualità, capace pure di sostenere qualsiasi concorrenza sul mercato mondiale. E' questo un appello rivolto al popolo sovietico dal Comitato Centrale del PCUS, ma che non combina con i presupposti a ciò necessari e di cui realmente si vuoi disporre. In conseguenza, si prevedono - è vero - ridimensionamenti dei programmi precedenti, purtuttavia, anche se a livelli inferiori, il finalismo perseguito appare lo stesso insostenibile. Così è per i piani di produttività, che trovano smentita e determinano rettifiche allo stesso indomani della loro prima ed immediata definizione.
- la rigidità del sistema dovuta alla staticità delle sue ispirazioni come alla resistenza dell'apparato e delle varie sedi del "potere" (segreteria di Gorbaciov, Consiglio dei Ministri, Commissione centrale di controllo, Politburo, Presidium, Comitato Centrale, Congresso PCUS, Soviet Supremo e l'elenco può continuare a lungo nelle varie sedi statuali e periferiche). Come è scritto in un documento che risale al 1983 (ma da allora nessuno è riuscito nel passato o pur oggi ad attenuarne e correggerne contenuto ed effetti), "le strutture di base dell'attuale sistema di gestione economica sono state create 50 anni fa, ma non c'è stato mai un cambiamento qualitativo che riflettesse cambiamenti decisivi attuati all'interno delle forze produttive".
- la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale è un'utile suggestione, che le varie dittature anche d'Occidente hanno più o meno promessa, ma è difficile ad essere tradotta nella realtà. Può essere un mezzo per ripulire gli angolini, come si diceva una volta, e per diminuire il peso della burocrazia e dei suoi apparati di resistenza oltre che di comando, ma è di difficile praticabilità a pena di sommovimenti ideologici in una realtà che li nega in linea di principio, in forza delle limitazioni delle libertà politiche e della interpretazione di queste affidata ad un solo partito e perciò così impedite.
- la flebilità della valorizzazione del fattore umano, personale privato in contrapposizione allo Stato, nel confronto e nella coesistenza della privata e della pubblica iniziativa, e ciò perché prevalente ed esclusivo è il peso del totalitarismo.
- la debolezza della carica riformista, che si traduce anche nel fatto che quando Gorbaciov assunse il potere promise riforme ben più grandi e reali, ma oggi ne ha lasciate da parte almeno i quattro quinti. Qualcuno degli osservatori, pure russi, dice che si è più che altro innanzi alla retorica, sia pure ammantata di buona volontà, come quella che ad esempio è stata dimostrata con taluni cambiamenti delle denominazioni delle strade di Mosca con quelle ante-rivoluzione.
- la persistente sostanziale distanza (meglio, opposizione) da ogni modello esterno di pianificazione, ma più ancora dalle possibili esperienze in questa direzione. Invece in questa materia sono più le lezioni che l'URSS intende dare che non quelle che è disposta a ricevere, e ciò nonostante gli accordi e gli accostamenti tentati con l'Occidente, fra l'altro con la ricerca di convergenze fra COMECON e Comunità Europea.
- una credibilità che stenta a farsi strada anche fra quanti ne dovrebbero costituire il motore essenziale; una credibilità che il messianesimo delle stesse enunciazioni od idee-forza prescelte non vale certo a rinvigorire, tanto più che mostra essere più il frutto della politica-spettacolo che non di una condotta tecnicamente e funzionalmente definita e posta in essere. Gorbaciov dice che il suo compito è quello di lanciare il Paese in quello che lui chiama il terzo millennio. Ma noi sappiamo che soprattutto le dittature che si appellano ai secoli hanno poca buona fortuna.
- la pretesa di un passaggio all'altro della stessa vita economica, quando non si è ancora consolidata una fase. Si dice che come l'era agricola della Russia èstata dominata dagli zar, e che come l'era di Lenin si è caratterizzata con una seconda ondata, quella odierna - la terza - dovrebbe trasformare la Russia in una nazione post-industriale. Abbiamo detto post, quando l'ante è quello che è, nonostante i piani industriali ed i risultati di cui fin qui abbiamo parlato.
- una critica ed un revisionismo che denunciano e si contrappongono più al l'interpretazione ed applicazione di determinati principii, che non alla loro stessa essenza. Le critiche rivolte, ad esempio, a Breznev sono infatti quelle di aver esasperato l'autoritarismo, a tutti i livelli del partito-stato, di aver incrementato le degenerazioni, il carrierismo, gli abusi di potere, complicità di vario tipo, e così via. Quanto alla dottrina, se ne denuncia la cosiddetta stagnazione o sclerosi in talune sue applicazioni, ma si postula una democrazia che, pur fregiandosi di leninista, si sa cosa in effetti possa rappresentare ed abbia rappresentato, come è confermato dal fatto che proprio da questa "democrazia" sono stati generati quei danni che si vorrebbero riparare.
In queste condizioni, perestroika, gosprijomka, ecc. perdono gran parte del loro significato, perché il finalismo perseguito con l'ampliamento e la generalizzazione della gestione autonoma si annuncia macroscopico, ma si estrinseca con una microprogettualità, perché l'accettazione di stato - vale a dire la verifica da parte di speciali commissioni della qualità della produzione industriale - non promette molto di più di quanto finora hanno fatto altri controlli, sia pure differentemente denominati e realizzati. D'altra parte, si noti che tale accettazione è limitata a 1500 imprese di 28 ministeri industriali (e si noti l'incongruità della prima cifra e l'esuberanza della seconda).
Gorbaciov fa perciò appello all'apporto umano ed al rispetto e soddisfacimento di quanto rappresenta domanda. Egli dice che ci "sono bisogni umani al di sopra del compiti del proletariato": questo ermetismo di espressione viene da qualcuno interpretato con l'affermazione che alcuni problemi generali non possono essere risolti esortando semplicemente i lavoratori a rovesciare il capitalismo. E questa è un'affermazione che Gorbaciov fa risalire allo stesso Lenin. Sennonché non si può cacciare dalla porta quello che stabilmente è dentro la casa e tale si vuole che rimanga.
Le esortazioni ed i moniti così si susseguono. Un passo innanzi c'è rispetto ad esempio ad Andropov, che, nel breve periodo in cui rimase al potere, si servì di arresti e di minacce di indagini. Gorbaciov mostra certo un diverso stile e metodo di approccio; di qui la sollecitazione ai quadri dell'economia di precisione e responsabilità, di competenze e spirito di iniziativa, di rafforzamento della morale, di intensificazione di interventi da parte degli organi del controllo popolare. Ma siamo più sul piano enunciativo (con quanto esso può dare) che non su quello dell'instaurazione di un contesto operativo vero e proprio, adeguatamente strumentato. Si susseguono pertanto i bandi, fra cui quello della Pravda (6 febbraio scorso), secondo la quale "è necessario fissare un rigido controllo sul lavoro del quadri in tutti i settori della vita del partito, dello Stato, dell'economia e della società, rafforzando la lotta contro l'inerzia ed il burocratismo, facendo osservare a tutti i dirigenti ed ai comunisti il programma e lo statuto del partito". Programma e statuto del partito: abbiamo scritto. Dunque, Gorbaciov non critica l'ideologia alla quale aderisce sostanzialmente ed anche formalmente, ma gli uomini corrotti ed incapaci ed il modo con cui hanno agito, mettendo a repentaglio le posizioni della Russia. Intende quindi eliminare tali uomini, perché già Lenin aveva detto che, se il treno non marcia, bisogna cambiare il macchinista. Fogli d'ordini, cambi della guardia; ecc., di altri tempi ricordano le stesse cose in altre realtà, con la conclusione che hanno avuto. Gorbaciov è giovane, così da poter realizzare un programma di lunga lena? Ma anche Stalin, Kruscev e Breznev prima di diventare vecchi erano stati giovani e sono andati al potere più o meno all'età in cui è andato Gorbaciov.
Oltre che nell'Unione Sovietica, altri esempi ed anche travagli innovativi, nell'apparenza o nel tentativo di modificare la realtà, si sono susseguiti nei Paesi a socialismo reale. Ci sono gli esempi della Yugoslavia, i conati della primavera a Praga, le spinte di base avutesi nella Polonia, ecc., ma c'è anche dominante l'esempio della Cina Popolare. C'è alle spalle di questo esempio tanta storia contraddittoria. C'è lo slogan di Mao, "facciamo fiorire cento fiori", a cui seguì la decimazione di chi lo aveva preso sul serio. C'è il pensiero di Deng Xiaoping, che ha affermato che la Cina non può trovare e dare risposta ai problemi attuali sulle pagine ingiallite di Marx o Engels. C'è oggi la ricerca di una strada che si viene definendo come quella del lenin-capitalismo, ad indicazione di un nuovo corso, che avvia od annuncia riforme, che pratica rigore, che impone austerità in vista di nuovi traguardi. Un passo avanti ed uno indietro, con un impulso riformatore che anche qui ha la sua origine nel fatto che ormai una gran parte sempre crescente delle popolazioni sa quanto sta meglio quella dei Paesi capitalisti. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, e si sa del resto che sempre Deng Xiaoping ha dichiarato che "senza dittatura le cose non vanno".
Ma come si concretizza questo nuovo corso della storia cinese, della grande riforma di Deng Xiaoping, dell'apertura del Paese più popoloso della terra ai modi di produzione occidentali e ad una maniera innovativa di consumismo? Alla fine degli anni '70 le puntualizzazioni della "modernizzazione" perseguita da Deng hanno investito quattro settori, e cioè l'agricoltura, l'industria, la scienza e la tecnologia, la difesa.
Le prime riforme hanno riguardato l'agricoltura e risalgono al 1978. I 180 milioni circa di famiglie contadine non devono più consegnare l'intero raccolto allo Stato, possono conservarne una parte e vendere la restante ad un prezzo stabilito più o meno autonomamente, ma sempre sotto l'occhio vigile e repressivo del potere, con le tante sfumature locali che lo distinguono. Sette anni dopo, questa riforma doveva divenire più incisiva, lasciando al contadino tutto il suo raccolto contro la percezione da parte dello Stato di una tassa. I risultati di questo indirizzo sono visibili nei raccolti e nell'aumento del reddito pro-capite.
Meno netto è invece il processo riformatore interessante l'industria. Con l'obiettivo di attrarre capitali e tecnologie stranieri e con quello di stimolare le esportazioni, vengono create quattro zone economiche speciali lungo la costa del Pacifico, di cui due vicine ai centri commerciali e finanziari più rilevanti in questa parte del Continente, e cioè Hong Kohg e Macao. Dal 1984 questa rete si estende fino a comprendere oltre 70 città con zone industriali, nelle quali le aziende continuano ad essere di proprietà dello Stato, ma tendono verso indirizzi che dovrebbero essere puramente economici. In qualche azienda viene pure introdotta la proprietà per azioni, mentre si tende a ridurre i controlli burocratici, con un adeguamento degli indirizzi in materia di prezzi e di salari ai condizionamenti provocati dagli andamenti congiunturali. Ma la marcia in questa direzione, che pur nei limiti in cui è stata e può essere attuata ha dato anche per l'industria risultati di crescita produttiva e di miglioramento di condizioni di vita, incontra attriti e limiti di natura politica e perciò fondamentalmente strutturale. Non si fanno, infatti, reali, consistenti, costanti passi innanzi, se la politica così come finora è stata intesa non viene superata. Il problema dei problemi è in sostanza quello della riforma politica, che significa fra l'altro separazione dei compiti e delle responsabilità tra Governo e partito comunista, ridimensionamento dell'apparato burocratico, trasferimento di almeno una parte del potere decisionale alla base.
In questa direzione spingono alcune correnti, ma un argine a queste spinte viene proprio dai detentori del potere, che respinge la "propaganda borghese" e ribadisce due professioni, quella nell'ideologia comunista e quella nel partito unico. In conseguenza, rilevano gli osservatori che hanno svolto le loro indagini sul posto, non appena si decentra sul piano economico, sorgono spinte per un analogo decentramento nel settore politico. Ma mentre il primo finalismo trova a seconda dei casi promozioni, tolleranze, sforzi e promesse di gradualità, il secondo viene nettamente respinto, con le conseguenze che è facile osservare.
Abbiamo fin qui detto del "nuovo corso" nei due più grandi sistemi socialisti, che stanno provocando, soprattutto nelle impostazioni sovietiche, opposte reazioni negli altri Paesi dell'Est. Vi sono quanti, come ungheresi e polacchi, sono convinti dell'opportunità di esportare negli altri Paesi le "riforme" di Gorbaciov; vi sono altri popoli, fra i quali quello rumeno, che dagli anni '60 ha sempre cercato di mantenere saldi i suoi "distinguo", che formulano riserve sulla trasparenza e sul decentramento economico, postulati da Gorbaciov. Il che è stato confermato anche dal recente viaggio di Gorbaciov a Bucarest, dove ha incontrato vivissime resistenze alla sua "politica di rinnovamento". Bucarest eretica, è stato detto.
Questa contrapposizione di reazioni fa dire a molti che la "riforma", creando consensi da una parte e dissensi dall'altra, ha come suo insuperabile condizionamento la necessità anche economica, oltre che politica, di mantenere unito l'impero dell'Est. Per quanto riguarda l'Occidente, vi sono certamente alcuni interessi primari per questo "riformismo" e per la sua sorte, che hanno a che fare con i riflessi nella politica e strategia internazionale, come nella specifica sfera economica. In particolare, l'Italia è genericamente interessata ad ogni sviluppo economico (sovietico o cinese che sia) che allenti la pressione ed il controllo sulle masse e che ne aumenti il benessere. Fra l'altro, una società decompressa e più prospera costituisce certo anche una minore minaccia per il mondo esterno. A questa luce vanno rilevati, per quanto riguarda l'URSS, gli sforzi di intensificazione dei nostri scambi, la nostra posizione di prima fila nella firma di Joint venture (anche se non è ancora operativa la nuova legge), la conclusione dei primi trenta contratti in sei mesi, che vengono a riguardare chimica e petrolchimica, costruzioni, tessile ed abbigliamento, settore auto, macchine utensili, industria alimentare e così via.
Nei riguardi della Cina, da una parte sono da registrare lo stato di "stanca" del rapporti commerciali attuali (con una contrazione dell'interscambio nel 1986 del 4,3%) e, dall'altra, sono da ritenere i propositi e le iniziative, che vedono l'Italia formulare pacchetti finanziari idonei e la Cina assicurare la validità e continuità dell'apertura economica. Si afferma - è vero - che "le riforme continuano", ma si aggiunge che il 1987 sarà l'anno dell'austerità e della lotta alla liberalizzazione borghese, "la cui pericolosa influenza va eliminata" e queste sono parole del segretario del PC, il quale aggiunge che "le idee liberali dell'Occidente, se lasciate senza controllo, precipiterebbero il Paese nel caos".
Ecco, dunque, la portata e la capacità dei freni in atto, nell'URSS come nella Cina, nella quale ultima il linguaggio appare più netto di quanto non si registri nella prima. Il segretario del PC cinese denuncia decisamente l'eccedenza della domanda sull'offerta, sollecita il raffreddamento della richiesta di beni di consumo da parte delle aziende, che a ,loro volta concedono eccessivi aumenti di salario a detrimento dell'accumulazione di fondi, chiede una sensibile riduzione delle importazioni di molti beni, specie di quelli che possono essere sostituiti dalla produzione locale. Il segretario del PCUS, invece, è portato a personalizzare i suoi rilievi, le sue critiche, le soluzioni, chiamando in causa soprattutto l'apparato burocratico, cercando di scalfire le strutture, mantenendo sempre salda la immutabile pregiudiziale ideologica nell'affermazione di principii e nella pratica. Pur con questa attitudine, le ambizioni di mutamenti futuri spaziano nei campi più diversi, come ha avvertito recentemente in una conferenza a Roma un membro dell'Accademia delle Scienze dell'URSS e, si dice, consigliere di Gorbaciov, Abel Aganbeghiam, e cioè dovrebbero investire una revisione del sistema dei prezzi, un nuovo rapporto fra la circolazione monetaria ed i beni di mercato, una riforma finanziaria e del credito, una modifica del sistema fiscale.
Un grosso programma, dunque, che ha però a che fare con premesse che lo impediscono o lo caratterizzano nella parte di eventuale esecuzione con contenuti di circoscritta portata e non certo compatibili con un'economia di mercato sia pure limitata, e con la globalità ed unitarietà della libertà, che congiuntamente è politica ed economica. Fra l'altro, per quanto attiene all'aspetto monetario, è stato sottolineato da esperti occidentali che un regime che rifiuta di riconoscere il ruolo del mercato come strumento ottimale per la formazione dei prezzi e la allocazione delle risorse, è incompatibile con la convertibilità esterna della moneta, poiché conduce inevitabilmente ad un sistema di prezzi arbitrario e senza rapporto col sistema di prezzi prevalente nei Paesi che si affidano in tutto od in parte ai meccanismi di mercato.
E questo è solo un campo di applicazione e di confronto fra soluzioni velleitarie ed improbabili finalismi, ben lontani dall'aver posto in soffitta Marx, Engels e tanto meno Lenin, di cui più che denunciare i superamenti si ricordano i tradimenti e le divergenze subiti nella prassi di questi anni, nonostante le varie NEP, le cui prime formulazioni risalgono alle origini, e sono state, più che aggiornate, condannate a posteriori ed enfatizzate al loro apparire.
L'esperienza ci dice queste cose, coincidendo tutte con la riaffermazione della "purezza ideologica". Le vicende di oggi fanno ritenere, comunque, che qualche spiraglio si sia aperto o si stia aprendo, per lo meno nel segno del l'attenuazione di una certa rigorosa ed intransigente ortodossia. E' così? Le speranze sono dure a morire, anche se torna alla mente il pensiero di Tocqueville, lo storico francese dell'800 (che sopravvive con il suo credo nella libertà come fondamento di ogni compagine sociale), secondo il quale quando le dittature ricorrono alle riforme è proprio il momento nel quale non intendono realizzarle a tutti gli effetti.

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