§ DOPO IL RAPPORTO SVIMEZ - 3

Critiche ingiuste




Nino Novacco



Da più di un anno - dopo la lungamente ripetuta denuncia dei gravi danni che il "non governo" dell'intervento straordinario, tra il 1981 e il 1986, aveva provocato -tutte le analisi sul Mezzogiorno partivano dal l'esclamazione: Finalmente!
Finalmente!, si diceva, dal 10 marzo '86 il Sud aveva una nuova legge, la n. 64, che consentiva di uscire dall'incertezza, e che profondamente innovava sui criteri del precedenti interventi; una legge perciò tutta nuova, che aveva aperto il cuore alla fiduciosa speranza di molti. Quel Finalmente! che era riecheggiato in tanti commenti, e che caratterizzava i giudizi previsionali sul Mezzogiorno del Centro Studi della Confindustria, all'apparire del Rappporto ha avuto una secca doccia fredda. Se pur sotto i veli di una prosa assai prudente - e nella comprensibile cautela di un economista "saggio" come Saraceno - dopo aver constatato fattualmente che l'operatività del nuovo ordinamento previsto dalla 64 "non può dirsi a tutt'oggi avviata", il Rapporto non si perita dal mettere nero su bianco l'affermazione che "non manca chi ritiene che nel breve periodo non potrà non emergere l'esigenza di modifiche e aggiustamenti normativi anche rilevanti".
E non è solo questione di "ritardi", pur cospicui e gravi, anche se è vero che tali ritardi concorrono a determinare la circostanza che "gli importi degli impegni e delle spese dell'intervento straordinario, fatti uguali a 100 quelli medi del triennio 1978-80, sono caduti rispettivamente a 37 ed a 72 (in termini reali) nel 1986". Il fatto è che - a parte i colpevoli ritardi, favoriti anche dalle complessità e farraginosità procedurali e gestionali della legge 64 - è il suo stesso meccanismo che si dimostra in effetti scarsamente governabile, e privo comunque di un punto di riferimento e di direzione politica; non ci sono più neanche le istituzioni dell'intervento, soppresse, o depotenziate, o non rese funzionali o deteriormente politicizzate ( o nei confronti delle quali ci si imbarca in inutili e capziose operazioni, come quella di volerne cambiare per forza, senza costrutto, la forma giuridica), e mentre non si può certo pensare che alle funzioni in passato da esse assolte possano provvedere gli interessi delle imprese, siano pur esse a Partecipazione statale.
In tale situazione, voglio sperare non sia un caso che le analisi recenti della Confindustria e della Svimez abbiano ritenuto di dover mettere l'accento sui limiti strutturali cui la politica meridionalista rischia in queste condizioni di andare incontro nel prossimo futuro. Un futuro preoccupante, dominato dalla caratterizzazione tutta "meridionale" delle situazioni più delicate e sensibili (l'aumento nei prossimi dieci anni dell'offerta di lavoro meridionale, e quindi inevitabilmente, salvo forti rinnovate migrazioni, anche della disoccupazione nel Sud, fino a livelli che ancor ieri non sarebbero stati ritenuti né possibili né accettabili). Un futuro difficile, con riferimento al quale anche le meditate denunce del Governatore della Banca d'Italia sui pericoli di divaricazione nazionale rimangono sostanzialmente inascoltate, mentre il ministro del Tesoro arriva ad avanzare l'ipotesi - per la verità non specificata in termini di fattibilità e praticabilità nel nostro ordinamento, e quindi come tale non costruttiva e per taluni versi provocatoria - che occorra addirittura "spostare fisicamente" dal Nord al Meridione interi insediamenti industriali.
Ecco, a fronte di problemi e scenari di tal fatta, la 64 appare un modesto strumento tecnico; strumento debole, i cui testi scritti di pur eleganti ma inapplicabili piani e programmi non riescono - malgrado l'abuso di terminologie modernizzanti e il richiamo a fantasiosi "moltiplicatori tecnologici" - a dare concretezza e capacità d'impatto, mentre la proliferante legislatura nazionale moltiplica luoghi e livelli di non governata incentivazione. Il messaggio indiretto che la Svimez ha lanciato in luglio a Napoli mi pare lo si possa ritrovare in queste pacate osservazioni: "Resta più che mai viva la lezione di quei grandi servitori dello Stato che nel dopoguerra formularono l'idea stessa di uno speciale apparato pubblico non burocratico al quale facessero capo unitariamente le responsabilità di programmazione, progettazione e finanziamento pluriennale degli interventi aggiuntivi e intersettoriali volti allo sviluppo della società meridionale".
Si tratta di un messaggio che non può essere certo letto in chiave di rimpianto di vecchi strumenti, oggettivamente e comunque obsoleti - e non si può non considerare banale e scorretta ogni forzatura dialettica in tal senso nei confronti della Svimez - né può essere inteso come una critica preconcetta al rafforzato protagonismo di una pluralità di soggetti locali, peraltro di per sé e inevitabilmente incapaci di visione adeguata e di efficiente decisionalità; ma che certo deve essere letto in chiave di confronto col disordine attuale, e col "non governo" dell'intervento al Sud, un "non governo" che continua anche dopo la legge 64. Nel tentativo di replicare a simili giudizi presenti nel Rapporto, il ministro per il Mezzogiorno si è impegnato in una difesa - tutta "futuribile", e che sprizzava ottimismo per l'avvenire - assai polemica, condotta sul filo di una contestazione puntigliosa, e in più punti nervosa e quasi offensiva, delle linee di analisi della Svimez, invece e comunque assai documentate e scarsamente controvertibili. La riflessione attorno al futuro del Sud - che per tanti aspetti vuoi dire una riflessione sul futuro dell'intera nazione - sarebbe utile abbandonasse per un momento temi minori e strumentali, per ricercare invece nuove logiche "alte" (il riferimento della Svimez è a "riforme istituzionali"), logiche sistematiche e "di proposta", cui il disegno politico e organizzativo della legge 64, al di là dei suoi "ritardi" e della sua comunque difficile operatività, appare francamente inadeguato.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000