§ DOPO IL RAPPORTO SVIMEZ - 1

La rissa è aperta




Redazionale



"Lasciamo le polemiche fuori dalla porta, perché non giovano a nessuno": qualcuno, quasi annusando aria di tempesta, ha detto così, quando la Svimez di Pasquale Saraceno ha presentato il Rapporto 1987. Probabilmente, la polemica era già nell'aria, visto che al Sud, tanto per cambiare, veniva ascritto un altro primato negativo. Il Rapporto Svimez, su elaborazioni Istat, dimostra infatti che negli ultimi tre anni il divario Nord-Sud si è aggravato, pur nel miglioramento delle condizioni generali dell'economia nazionale. Sostenuto da una batteria di cifre, Saraceno - con l'esperienza dei suoi oltre quarant'anni di studi meridionalisti - dice che il divario è cresciuto, che non si sono neppure spesi i denari dei completamenti, che la legge 64 è in preoccupante ritardo. "Ci vuole un aumento della spesa pubblica per porre riparo alla ancor grave deficienza di infrastrutture e di servizi reali; ci vogliono agenzie per facilitare alle imprese l'ottenimento di fattori ed esperienze di cui sono manchevoli; ci vuole un sostegno durevole alla domanda di lavoro": queste le tre proposte che Saraceno aveva persino anticipato. In aggiunta, Saraceno e il testo del Rapporto insistono sulla necessità di un'effettiva programmazione per guidare la crescita del Sud. Il ministro per il Mezzogiorno, De Vito, che si è sentito il principale responsabile del fosco quadro tracciato dalla Svimez, ha reagito con una replica studiata nei dettagli, che non ha disdegnato neppure le puntuali citazioni del testo di Saraceno. Una, in sostanza, la critica: la Svimez sarebbe una "nostalgica" dell'intervento straordinario e della Cassa, ignorando del tutto il ruolo dei nuovi soggetti meridionali.
Sul momento, la stanchezza del sabato napoletano non aveva consentito la replica della Svimez. A freddo, però, il direttore Salvatore Cafiero ha contestato punto per punto le accuse ministeriali: "Non è affatto vero che noi ignoriamo i nuovi soggetti meridionali, anche se ce ne sono di meno che nel Nord, e non si trovano dappertutto. E' vero, invece, che ci sono attività contraddittorie con lo sviluppo, come l'organizzazione criminale, oppure l'inefficienza amministrativa, che producono diseconomie gravi. Nasce di qui il bisogno di iniziativa pubblica centrale, di programmazione metodologica". Dice ancora Cafiero, quasi meravigliato dell'attacco di De Vito, ("Con cui, fino a sabato, abbiamo sempre avuto buoni rapporti"): "Le proposte che arrivano dal Sud vanno valutate secondo criteri più generali, in quanto bisogna garantirsi che la vitalità abbia conseguenze positive e non perverse. Bisogna controllare l'anarchia e ricondurre a logiche d'indirizzo generale. Sono i metodi di governo che servono, non gli ukase dell'alto". Proprio sulla questione Cassa, Cafiero ci tiene a precisare: "Non c'è proprio alcuna nostalgia di quello strumento, semmai di un suo carattere di autonomia, quando ne furono stese le linee guida. C'è, questo sì, nostalgia per una forte autonomia rispetto a interessi di parte, ai frutti della lottizzazione".
Altre due questioni - la legge 44 sull"occupazione giovanile che la Svimez avrebbe ignorato e la centralità della questione urbana su cui invece l'istituto ha insistito - hanno suscitato le proteste di De Vito: sul primo problema, Cafiero dice che "la Svimez parlerà della 44 quando essa avrà prodotto più dei nove contratti di lavoro per 91 occupati"; sul secondo, spiega che "chiunque visiti una città del Sud resta colpito da un abbandono e un degrado che precludono qualsiasi insediamento innovativo".
Così, il botta-risposta tra Svimez e ministro. Ma vediamo quali altre reazioni ha sollevato il Rapporto 1987 tra alcuni di quelli che hanno ascoltato, "in diretta", il battibecco. "Il contrasto è un fatto serio e non nominalistico - dice Ferdinando Ventriglia, direttore del Banco di Napoli -. La relazione di Saraceno continua a dare un peso predominante ai settori direttamente produttivi di reddito e alle infrastrutture; De Vito, invece, ritiene superata la fase del l'industrializzazione e delle grandi infrastrutture e pensa che la scorciatoia del terziario possa far progredire più in fretta il Sud". Secondo Ventriglia, le due scelte portano a preferire da un lato politiche d'intervento accentrate, dall'altro a partecipazione diffusa. "Le prime almeno nel periodo '50-60, hanno prodotto risultati positivi. Le seconde devono ancora essere sperimentate. li pericolo, però, è che ci si trovi di fronte a un terziario troppo ricco destinato a servire settori direttamente produttivi, ma non strutturati per utilizzare i servizi avanzati".
Ventriglia taglia secco, invece, sull'intervento straordinario: "E' proprio strano affermare che non ci si crede più, dopo essere stati promotori di una legge che prevede una spesa di 120 mila miliardi. E' anche vero che quell'intervento di per sé non risolve i problemi, se la politica economica nazionale non si confronta, in ogni suo atto, con il Sud. Queste cose si capivano e si praticavano abbastanza bene negli anni '50, quando c'erano persone dotate di autorevolezza tale da interloquire, anche al di la dei tavoli ufficiali, nelle scelte di politica economica nazionale, per evitare che esse non fossero coerenti con quelle per il Mezzogiorno". Dunque, un punto a favore della Svimez. Ma c'è chi, come l'economista Mariano D'Antonio, solleva sul Rapporto perplessità più generali: "E' ripetitivo nel metodo, perché è tutto puntato sul divario macroeconomico, mentre i problemi sono ben più complessi e articolati. In più, il puntello statistico è debole. la Svimez, con un finanziamento di tre miliardi e mezzo, potrebbe fare di più e meglio: un'analisi microeconomica, con indagini monografiche che, ogni anno, mettano sotto osservazione un settore, come ha fatto il Centro Studi della Confindustria. Oggi ci vuole una conoscenza mirata della realtà, altrimenti tutto si risolve in una predica, in un "meridionalismo del lamento", che suona come una richiesta d'attenzione rivolta alla spesa pubblica. Il rischio è che si creino blocchi d'interessi, più o meno nobili, con l'imprenditore volenteroso da una parte, ma il camorrista dall'altra".
Nel Rapporto, D'Antonio vede "una mentalità di tipo quasi sovietico, con la voglia di programmazioni alla grande, con il risultato di avere opere che poi neppure gli enti locali sanno gestire, perché non-hanno strumenti né uomini". Un "aziendaIista", Lucio Sicca, (docente di Tecnica Industriale a Napoli), ribatte che il Rapporto "resta oggi l'unico che quantifichi i problemi, analizzi i dati e usi l'informazione statistica per guardare al futuro, mentre gli altri restano nel vago, parlano di "fermenti", ma non dicono come si creano i posti di lavoro". Una sarebbe, secondo Sicca, la principale lacuna della Svimez: "Nessuno dice, anche di fronte al totale vuoto d'impegno dello Stato e dei governi locali, quale dovrebbe essere la funzione delle Partecipazioni Statali, il cui ruolo oggi si potrebbe giustificare solo in chiave meridionalistica, con dimensioni d'investimento molto consistenti e trasferendo al Sud i centri decisionali". Conclude Salvatore D'Amato, presidente dell'Unione industriali di Napoli: "Non condivido questo pessimismo per il futuro. Al Sud è conveniente investire, però bisogna che ci siano i servizi, e quelli non possiamo realizzarli da soli".

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