§ BOTTEGA DELLE SPEZIERIE

Conversano, un canguro babelico, vorace e manierista




Antonio Verri



Pare Proprio che nel presentare oggi, a fine secolo, un poeta, un pittore o, perché no, un musicista non si possa fare a meno di incasellare, di incolonnare, di richiamare il poeta o il pittore o il musicista ad un principio di scuola, ad un gusto, ad una scuola qualsiasi: e il gioco è diventato tanto sofisticato che ogni corrente o scuola che nasce o rinasce ha tanto di quel senso lato, tanto di comprensivo e di sempre meno assoluto, che il tutto veramente ci sembra un pasticcio di critici "innamorati" o di buontemponi non sempre in buona fede.
Esempi recenti di queste scuole o correnti, o neo-scuole o neo-correnti in senso lato? Subito. Il postmoderno, che si vuole che raggruppi poeti, pittori, musicisti, scultori, filosofi e altro, che verso un recente passato o verso lo stesso fare creativo "mostrano un atteggiamento tra il distaccato e il cinico". Oppure un nuovo arrivo, affascinante, suggestivo, il neo-manierismo, tanto ampio che veramente non sembra una scuola ma solo una disposizione naturale di quasi tutta l'arte e la poesia contemporanee, ossessionate più dal ludico galoppante, dalla varietà di stile e dalla preoccupazione del proprio fare, che dalla storia dell'uomo, dal dolore e dall'inferno dell'uomo.
Terzo autore "eccessivo", dopo Toma poeta e Colazzo compositore, dell'inchiesta di Sudpuglia è Lucio Conversano, personaggio a suo modo, scontroso, arciconvinto dell'inutilità delle cose, un po' pigro, un po' canguro, di solito al centro di quei vortici o dentro a quei vulcani che molto spesso disegna. Eroe del guizzo e della non stabilità, disegnatore favolista più che pittore.
Ecco, neo-manierismo per lui va bene, gli va a pennello, specie se questa neo-scuola la si assume come il più possibile "aperta", senza schemi e regole precise. In crescendo e in prospettiva.
Allora. Per Lucio Conversano devo necessariamente partire da lontano, da tanti stupori fa, da tante sofferenze fa (non è difficile il compito visto che la sua storia, c'è da dirlo, la sua storia creativo è coincisa per moltissimi versi con la mia: parlo di "Pensionante" ma anche di tante altre esperienze in libro o rivista.
Bizzarro, estroso, scontento, orso, disgustato, dopo dieci minuti, da tutto quello che avvicina, lento, pigro, furibondo, legato alla vita da un rapporto di non perfidia, preda candida e taciturna dei suoi stessi perfidi e incantati mostri.
Ecco, Conversano l'ho conosciuto dieci-dodici anni fa a Calimera. Abitava un posto tremendamente buio con i genitori, un fratello, il nonno, una speciale umiltà, un furore negli occhi. Da figlio del Sud.
Poche parole in una specie di studio-letto e il patto era fatto. C'era un giornale da fare. Andai via da casa sua molto contento e molto sorpreso: il tipo volava! Il giornale mesi dopo fu cosa fatta. Timidamente cominciò a darmi una mano anche nella distribuzione. Poi arrivò "Caffè Greco". Il gioco cominciò ad essere più interessante. Avevamo dei lettori. lui continuava a fare l'Accademia, ad essere preda e meraviglia di quelle cose che poi hanno fatto la sua storia; intanto mi consegnava tele ridipinte, incantevoli disegni (negli oli dominava il grigio) e furiose poesie strapiene di strozzature, neologismi, colori (quando la furia verbale rallentava, allora, stupendamente, parlava di sua madre col volto di farina o dei treni che andavano a Milano); dopo quattro numeri della rivista scema un po' la voglia di usar parole ed eccolo alla carica con le sue figure altissime, dinoccolate, armoniose, pure, sbigottite, in odor di totale palingenesi, cariche anche di quel nascosto rancore e di quella inutilità della provincia che Conversano, come altri, ogni giorno respirava. E' il periodo che comincia a stilizzare, un po' anche a deformare, ma Modigliani c'entra poco.
Comincia a fare sul serio. le figure perdono di armonia, ancora più stilizzate, più fredde, il collo quasi ad angolo retto, in un vuoto profondo e silenziosissimo, come se raccontassero, non capite, cose di chissà quale dimensione. Dalle mani, dal corpo di queste figure spuntano misteriosissimi fili, più in là qualche ramo, qualche foglia, un po' di gioco d'ombre. Il foglio comincia a popolarsi. Sembrano soldati dopo una battaglia o cavalieri purissimi capitati per caso in un festino erotico. Da incanto!
Comincia la vera storia di Conversano. Siamo nei primissimi anni ottanta. I problemi sono tanti. A volte pare proprio che non basti il candore, l'umiltà, l'atto creativo. Come tutti i buoni artisti del segno anche Conversano ama violare le leggi della verosimiglianza e della plausibilità. C'è tanto di quel furore nei suoi fogli, nei suoi ritagli di fogli, nella sua carta da pesce, nelle sue tele ridipinte, nelle sue elaborazioni fotografiche, nelle sue "verbosità" serigrafiche, che a questo punto poco importa, 'veramente, richiamare una scuola o l'altra. E' inutile, ognuno di noi ha un bagaglio dietro, e l'avventura continua, l'avventura è riscrivere, creare, ricreare, e allora Chagall è ottimo, Modi è incantato ed elettrizzante, Joyce è superbo, Giacometti è la bibbia, e Matisse e Pound e Sanguineti...
La tensione è continua, la realtà è un carnevale di segni e di vuoti; stilizzare, deformare, più tardi dilatare, sembrano essere i suoi giochi preferiti; il suo segno si carica tanto da arrivare a sfiorare la vignetta; corre con grazia e ironia da una esperienza all'altra (collage, poesia visiva, ricerche coloristiche, eccetera). Però, non l'ho mai sentito usare il termine avanguardia. Oddio, avevamo già addosso, pesante, il fatto di essere estrema provincia dell'Impero che proprio non ci potevamo permettere altri provincialismi. E poi eravamo e siamo per i guizzi, per la complessità della costruzione, per la creatività non domenicale: e la provincia è bell'e superata!
Parentesi. Purtroppo c'è anche chi pensa che creatività e cultura altro non sono che ingranaggi della grossa ruota del potere, e Lecce alcuni mesi fa è stata al centro di una baraonda "avanguardista". E' la provincia più sguaiata, faraonica, assurda, presuntuosa, colonia infelice, oggetto di smaccate "gite" e pastoni e beveroni in nome di puri rigurgiti, false etichette, sbornie. C'è da ridere, da arrossire. Perdonate la insistenza, ma le idee qua non sono molto chiare: quando diciamo di prediligere il guizzo, la tensione che riempie tutto il giorno, la cultura dell'autore, sprecare e sottrarre in una sola direzione, o cose del genere, non facciamo (uso il "noi": ci sono anche i miei amici) altro che condannare - detestare, ignorare, forse è meglio - quei grossi guru che, persa ogni gioventù, perso il sopraddetto guizzo, si sono messi tranquillamente a teorizzare, a santificare, a vendere parole subdole e sedotte per qualche gettone o magari una sola "gita": vecchio blando mestiere che puntualmente diventa pratica di vita quando il ragno creativo (se mai c'è stato) non pizzica più.
Vale la pena scomodare Luciano Berio per ricordare che "chi definisce se stesso d'avanguardia è un cretino"? Beh, forse sì. E Berio lo facciamo continuare: "La vera avanguardia ha lo sguardo profondo e non usa etichette, né può assumere il ruolo di una piccola sbornia (appunto) liberatoria...". (Anche se poi una vera avanguardia Lecce, per esempio, l'ha avuta: il movimento genetico di F.S. Dodaro, con Gelli, Massari, Mignani genovese, Caruso napoletano-fiorentino, e tanti altri, con diramazioni in Europa, America. E' tutta da fare ancora la storia di questo movimento, del suo valore artistico e letterario (possiamo benissimo ascrivervi un poeta come C.A. Augieri); e Dodaro, intanto, a musoduro, continua, lavora, cataloga, scheda ...).


Ma torniamo a Conversano. Senso d'angoscia a primavera, ma nelle altre stagioni non va meglio, assalti improvvisi e altrettanto improvvise ritirate, uno svilimento e un azzardo in tutte le cose. Il personaggio c'è: è goffo, svagato e perduto quanto mai, riesce facilmente a trovar quiete davanti al foglio bianco, al suo acrilico, alle sue cere, oppure una sua speciale sicurezza la trova in treno, nelle piccole stazioni, nelle trattorie un po' anonime ma ricche del buon grignolino di Ovada, del moscato di Strevi e di bianchi tovagliolini bianchi che lui, sempre fornito di varie matite, macchia in modo superbo. E che poi mi spedisce, spedisce agli amici.


Molto lavoro insieme, molti libri con suoi disegni, una stupenda cartella serigrafica ("Ventifogli: la sposa ubriaca"), fogli e riviste, due mostre a Lecce (la prima nella libreria "Rinascita", nel 1983, la seconda a fine ottantacinque nella Biblioteca Provinciale), una preparata, organizzata e non fatta a Rouen in Francia. Tutto, come si è scritto, come si è appuntato, sotto il segno di una calda, a volte quasi cordiale trasgressione, di un candore, di un modo di muoversi scorbutico e geniale, di una fusione libro-segno-immagine certamente non comune e non casuale.
Ancora un'autocitazione, serve per capire il Conversano di quegli anni. Statuette etrusche, Giacometti e le sue figure nella piazza, lunghe, lunghissime, consumate dallo spazio e dal tempo di una memoria anch'essa scarna, affilata, da guizzo narrativo palingenetico... Poi forse, man mano, Giacometti è sempre meno importante, bisogna raccontare adesso, esprimere, ricostruire. Poi tutto non ha più valore, tutto è un pretesto, le stesse immagini, le figure ripetute in un tema fisso diventano nient'altro che ricerca del segno, del colore, del gioco continuo di tempera, olio, smalto, acquerello, collage. Tutto serve per dipingere, per imbrattare: incide con ogni oggetto che lascia un segno, rossetti da donna, matite per gli occhi di ogni colore, ancora smalti, carbone, vernici... Vuole arrivare alla fusione delle diverse forme d'arte, ad uno scambio rapido del segno-azione-gesto.
Questo era il Conversano della libreria Rinascita, questa la storia recente del canguro allegro e smodato che con me lottava e lavorava (è ancora autocitazione) per inventare tutto, per inventare dal niente, per combattere anche chi da sempre pensa che la storia non si fa qua, che si fa altrove, che qui resta sempre intenso il profumo della fresia, del gelsomino o del gerani sui balconi barocchi.


Poi cinquanta disegni in Biblioteca Provinciale, continui viaggi a Besançon, Parigi... Adesso Lucio vive in una mansarda a Strevi, dove insegna, a due passi da Acqui, a due passi dalla langa di Pavese (l'anno scorso insegnava a Valenza e cercava di proporre ad orafi distratti e diffidenti i suoi fantasiosi disegni di collier e bracciali, le sue anguille, i suoi serpenti), un po' solo, un po', anche lui, con tanta voglia di se stesso. Una solitudine che consuma bene, però. Lavorando come un matto. Da suoi ultimi, anche ironici, pensieri sparsi possiamo dirvi di una sua ossessione dell'orrido che rasenta il caricaturale, ossessione della morte incombente in atmosfere di malcelato espressionismo, uno stato delicato, quasi giocoso, del colore, segni come ghirigori, gioco, graffi, incisioni, schizzi e spruzzi, delicatezze cromatiche, sfumature, trasparenze, fumi (ma penso ai tanti disegni su uno studio di maschere; ai disegni avvolgenti, drammatici per la mia "Betissa", tanto aderenti al testo per carnosità, per voracità, per sospesa stupidità; alle sculture sottilissime, con ghigno, dell'estate '86; ai progetti più vari e ai soldini che a volte mancano anche per tele, o legni, e colori e altro).

Mai, che io ricordi, un Conversano così vivo, così ben stimolato da viaggi e letture, con tanta voglia di arricchirsi, così avventuroso (prendete la parola nella suo naturale accezione: è la dominante, è la risultante della buona arte, della buona poesia), casi anche attraversato da fabie, da disastri, da folletti carognette, con accanto le teorie estetiche di Argan, l'emicrania, la visita dell'amica paziente da sempre, fremendo e imbottigliando le ossessioni più cretine, dando agio al furore quando questo può far vivere in pieno anche un solo giorno (chiamo in causa De Candia ovvero il puro barbaro, chiamo in causa Totò Toma ovvero l'ironia del grande favolista), eludendo per quanto si può la Signora Con La Falce, la media insignificante barbarie dei tantissimi travet, la mediocrità di critici anche arraffoni, gli spazi in gallerie "che hanno già i loro artisti", ecc. ecc.
Allora. Esaltazione, spudoratezza, arroganza, umiltà, splendore, aristocraticità dell'atto creativo, del puro atto (non so perché penso ai suoi vulcani e alle sue stelle presenti in moltissimi suoi disegni). E ancora gioco, ancora ghirigori, figure mostruose, fatalismo, trasparenze, allacciamento, come lui stesso ci dice, al programma espressionista nei temi, accavallamento della memoria dell'onirico: il momento del creare, del costruire, dell'operare, insomma, come momento rarissimo e purissimo, anche angoscioso, da catturare, da consumare, da tener sospeso.
Ed è con la stessa avvolgente complicità (quando con intensità si naviga insieme, hanno pochissima importanza le due o le quattro mani), con lo stesso identico sibillino candore con cui si è fatto "Ventifogli" o tanto altro, che, come cosa naturalissima, vi snoccioliamo, andiamo ad ascoltarci in una nostra ipotetica chiacchierata su cose d'arte.
- Sono qui per sentirti. le tue certezze, i tuoi dubbi...
- La mia vita è l'unica mia certezza, la camicia che indosso, la paura e il fascino della morte, i cinque peli bianchi sul mio torace in mezzo ad una miriade di peli neri; la paura di invecchiare senza aver costruito niente, di essere sempre solo all'inizio; l'ossessione a Strevi o altrove del mio isolamento edificante e costruttivo... Sai cosa faccio quando prevedo un incontro troppo ravvicinato? Mi strappo i peli bianchi, mi faccio la barba, la doccia, metto il gel e...
Conversano a volte è così. Compresso nelle sue razze giganti, razze speciali che anziché sposare il fondo marino, e in esso dilatarsi, abitano e alitano invece in un cielo di buffe e roteanti stelline, picaresche meteore, comete avide e dispensatrici. Compresso nella boccalabirinto di uno squalo che non ama le dilazioni, che assale, in ogni istante assale, e azzanna, in ogni istante azzanna, quando altri non trova, se stesso.


- Ehi, canguro, non sfuggire come al solito, credo che sia ora che tu faccia sul serio.
- Guarda che io ho sempre fatto sul serio.
- E allora perché non sei arrivato? I pochi che ti ammirano e ti conoscono si aspettano grandi cose da te.
- Sei tu a non essere serio. Vieni al dunque.
- Le tue esperienze. Più o meno siamo restati sempre in contatto, so che hai fatto balordaggini e cose serie: dai tempi dell'Accademia con i tuoi studi su Giacometti e l'arte etrusca, poi attraverso le tecniche di stampa lavorando in serigrafia e tipo-offset... In modo originale hai fatto anche poesia visiva, incisioni... Poi la mostra alla libreria "Rinascita", con quel guizzo sperimentale, concettuale, senza cornici e senza soldi...
- Avevo solamente in mente di rivalutare le esperienze del sessanta, intendendo l'arte come documentazione del momento in cui essa viene ad essere concepita, un documento non freddamente fotografico ma che vive una seconda volta come oggetto d'arte e quindi di consumo. - Da sempre tiro fuori, quando parlo delle tue cose, Klee, Kandinky, Chagall, nelle tue opere però non riesco a trovarli...
- Mi sembra naturale: stimarli, amarli ma non imitarli!
Come faccio a dirvi della sua furia, della sua disperazione, del flusso arrogante e assoluto del suo segno, oppure dell'eleganza, della trasparenza, del sottile gioco d'ombra, della densità del racconto, del pasticcio certosino che alimenta con le sue matite, con le sue cere, col suo acrilico, con i suoi argenti?
- Hai preso contatti con il mondo artistico culturale francese, parigino. Dovevi fare una mostra a Rouen, e poi?...
- E poi mi sono reso conto che era tutto sbagliato. Muovermi mi è servito ma non mi ha stimolato al lavoro concreto. Diciamo che è stata una forte esperienza. Ho passato ore ed ore nel "Beaubourg", al Museo Rodin ma anche al Louvre, al Museo degli Impressionisti. Quello che non riesco a dimenticare sono le sensazioni che ho provato di fronte alle Ninfee di Monet. Favolose. E poi Parigi è sempre Parigi.
- E Milano, Torino, Venezia?
- Sì, culturalmente interessanti, ma troppo caos "intellettuale". Non si capisce niente.
- E allora il Salento...
- Non è un ripiego, il Salento è un posto di dolcezza e di sgomento, è un buon punto di partenza. Sono ancora a niente. Sto preparando, lo sai bene, una mostra...
- Parliamo un attimo delle tue opere più recenti. La tecnica?
- Uso qualsiasi supporto di base. E poi preferisco l'acrilico, più immediato dell'olio nella lavorazione e resistente alla luce, al tempo; intervengo con carbone, cera, pastelli oleosi, matite grasse, incidendo e graffiando...
Come posso dirvi del lunghissimi anni passati a cercare di colmare un vuoto storico-artistico e culturale-geografico, mentre la maggior parte degli amici sceglievano il controllo, la comodità, gli agi?
- E i temi?
- Preminenza al racconto, voglio dire delle cose in modo esplicito; quando non avrò niente da raccontare farò dell'astrattismo geometrico o puro informale, oppure espressionismo materico, o oggettuale. Per ora mi avvalgo di tutto ciò avendo come fine ultimo il racconto.
- Il tuo racconto è surreale? Espressionista?
- No, anzi non lo so, sicuramente onirico. In questo senso con un po' di immaginazione puoi sentire la presenza di A. Kubin, più evidente nelle grafiche più recenti, della tua "Betissa", ma c'è anche Klee, Kandinky, Chagall, gli espressionisti tedeschi, Pollok. C'è di tutto con un po' di fantasia di troppo.
C'è una tela, nella sua stanza salentina a San Cesario, finita nel maggio '87, tanto bene popolata, disarmonica nella giusta armonia, dove la narrazione, le ossessioni, le disperazioni dell'artista sono racchiuse in una sorta di rettangolo testo...
- In due parole, che pittura stai facendo?
- Ho capito, vuoi a tutti i costi una definizione. lo direi che si può parlare di Manierismo...
- Manierismo? E che vuoi dire?
(Oddio, non sono un ingenuo. Anch'io a volte mi alimento di Argan, e decisamente gli artisti di questi ultimi nostri anni mi sembrano, al pari dei manieristi, dei tipi così strani, sofisticati, giustamente "preoccupati soltanto di superare le 'difficoltà' dell'arte, prospettandone continuamente delle nuove per doverle poi faticosamente superare").
- Che vuoi dire Manierismo? Saper fondere, saper utilizzare... E' come se si muovesse freneticamente sulla sedia. Mi dice che niente è un punto fermo, tutto è assunto come punto di partenza, come punto di riferimento. Tutto è continuazione, tutto è interpretazione, tutto è commento: ma non sono anche le linee di tendenza di moltissima musica contemporanea, di molta poesia contemporanea?
- Perché non cerchi i contatti giusti?
- Mi credi idiota? Presso chi? I galleristi, anche quelli di serie A, hanno perso l'amore per le scoperte (sono loro che fanno il brutto e il cattivo tempo). I critici... beh, lasciamo perdere!
Conversano finisce parlandomi, o riparlandomi, della manipolazione in arte. Mi lascia con un palmo di naso quando dice: "C'è un grosso pesce palla pieno di pustole, è un mostro, ma un mostro in fin di vita, ferito da un laser, e più che aggredire l'uomo che vola, che a sua volta sembra aggredire il pesce, sembra che boccheggi nell'esalare l'ultimo respiro. Cos'è che brilla? l'oscurità, l'ambiguità del racconto, il capovolgimento delle situazioni, lo stupore sospeso dell'uomo-lupo, anche un pizzico di rassegnazione, la lotta abbastanza facile, la voracità e l'incredulità del pesce palla.
Chissà che si diranno, nella mansarda luminosa e ben messa, tutta quella genìa di personaggi avidi, mostruosi, sbigottiti?
E che senso ha l'uomo che vola in un impasto tra cielo e lava con la sola preoccupazione di tappare le bocche dei vulcani?
Intanto Conversano costruisce i suoi "puzzle" (E' una mania di questi ultimi tempi), colora pezzi di legno delle più varie forme e dimensioni, distratto, convinto, svagato, forse ha intuito, per quella forza profetica propria dell'Arte, il sottilissimo gioco, l'enorme, l'inutile, il perfido, l'ironico, l'amaro, l'assurdo gioco che lega i vari attimi del nostro quotidiano, dei nostri istanti. Forse, anche lui, è sulla via colossale e veramente barbara di una costruzione, della costruzione. Servirà a custodire i nostri sgomenti e i nostri momenti luminosi, ma soprattutto ad avvicinarci, per complessità, per grazia, per stupore, alla foga e all'armonia del Grande Costruttore.


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