"Cantami,
o diva, del Pelide AchiIle/ l'ira funesta che infiniti addusse/ lutti
agli Achei ...". Chi non ricorda il proemio con il quale Omero
inizia il racconto dell'epico scontro durato dieci anni tra il mondo
greco e la città di Troia, narrato nell'Iliade? E chi non è
rimasto entusiasta per le gesta di Achille, il valore di Ettore, la
severità di Agamennone, la saggezza di Priamo, l'astuzia di Ulisse?
Nessuna meraviglia, dunque, se notizie come quella della localizzazione
di Troia ad opera dello Schliemann, oppure come l'ultima in ordine di
tempo, comunicata dal linguista della prestigiosa Università
di Harvard, Calvert Watkins, che avrebbe decifrato un testo luvio del
1400 a.C., riecheggiante frasi dell'Iliade, ci commuovono profondamente
e ripropongono alla nostra riflessione il problema della storicità
e dell'autenticità dei poemi omerici.
Chi erano gli Acheidi di cui parla Omero? Si trovano tracce della loro
esistenza nella ricca documentazione anatolica, soprattutto degli Ittiti?
In ultima analisi, c'è una parvenza di storicità nei fatti
narrati da Omero, oppure l'Iliade è una meravigliosa costruzione
letteraria, frutto dell'ingegno e della fantasia del cieco cantore greco?
Da sessant'anni a questa parte il mondo degli studiosi delle civiltà
anatoliche ha vissuto momenti di acceso dibattito attorno al tema delle
origini storiche dell'Iliade e del suoi personaggi. Un dibattito a volte
anche violento, che ha fatto schierare gli esperti su due fronti irriducibilmente
in lotta tra loro, e ha dato luogo ad una bibliografia quanto mai vasta,
destinata ora, con la comunicazione del linguista della Harvard, ad
allungarsi sempre più.
Le premesse per la riscoperta storica di alcuni personaggi dell'Iliade
sono già insite nel racconto del gran poeta: la descrizione accurata
della città di Troia e la caratterizzazione dei personaggi facevano
sperare che un giorno forse se ne sarebbero ritrovate le tracce nella
documentazione cuneiforme che incominciava ad affiorare dagli scavi
tedeschi nell'antica capitale degli Ittiti, Hattusa, l'odierna Boghazkòi,
vicina ad Ankara, capitale della Turchia. Quando poi in Stefano di Bisanzio
si leggeva che Paride si era rifugiato insieme con la moglie Elena presso
un potente re locale, chiamato Motylos, allora le aspettative per un'eventuale
conferma storica dei poemi omerici erano più che giustificate.
Ed ecco che nel 1924 lo studioso E. Forrer pubblica due studi, dai quali
risulta che gli Achei dei poemi omerici erano in effetti menzionati
nei testi ittiti con il nome di Ahhiyawa. Nella stessa documentazione,
oltre agli Achei, era attestato anche un personaggio dal nome Piyamaradus,
un re locale della Jonia in contatto col re degli Ittiti e degli Achei,
subito identificato con Priamo, il vecchio re troiano; come pure ricorrevano
due nomi di città, Wilusiya e Taruisa, riconosciuti come Ilio
e Troia, i due nomi della capitale dell'omonimo regno assediata e distrutta
dagli Achei. Ma le scoperte non si fermavano qui: tra i documenti ittiti
veniva individuato il testo di un trattato siglato dal re ittita Muwatalli
e dal suo vassallo Alaksandu di Wilusa, quindi Alessandro di Ilio, da
sempre identificato con Paride, figlio di Priamo, il cui secondo nome
era appunto Alessandro.
Le iscrizioni ittite confermavano le giuste aspettative degli studiosi,
in quanto documentavano la presenza degli Achei in Anatolia a cominciare
dal 1450 a.C., e menzionavano due personaggi di primo piano dell'Iliade,
Priamo e suo figlio Paride, oltre alle città di Ilio e Troia.
la datazione dei documenti in cui compaiono Priamo e Paride, rispettivamente
1349-1315 e 1315-1290, corrispondenti ai periodi di regno di Mursili
II e Muwatalli, colloca i due personaggi in un preciso contesto storico
che costringe ad anticipare la data della distruzione di Troia di almeno
duecento anni. Ma come si verifica spesso negli studi, anche le cose
valide vengono contrastate da argomenti singolari e speciosi. Nel 1932
arriva infatti la smentita più clamorosa delle tesi del Forrer
ad opera di un altro studioso tedesco, F. Sommer, nel monumentale lavoro
"Die Ahhiyawa-Urkunden", dove si negano documentatamente tutte
le identificazioni proposte in precedenza: gli Achei non possono essere
i Greci, Priamo e Paride non possono essere gli omonimi personaggi dell'Iliade,
Troia ed Ilio vanno localizzate in posti diversi dalla Troia dei poemi
omerici.
Negli anni successivi, gli studiosi si dividono in due campi: gli assertori
delle tesi del Forrer e i convinti sostenitori delle critiche del Sommer.
Non potendo seguire tutte le fasi dell'acceso dibattito, ne ricordiamo
le conclusioni, così come sono cristallizzate prima degli anni
Ottanta. Per l'identificazione degli Ahhiyawa con gli Achei era diffuso
un certo scetticismo, dovuto soprattutto all'incertezza se localizzare
il loro regno sul suolo anatolico oppure in un paese d'oltremare. Ma
si era accettata concordemente la localizzazione di Wilusa e di Taruisa
proposta dallo studioso inglese O.R. Gurney nel territorio della Troia
riportata alla luce dallo Schliemann.
A smuovere le acque pacifiche del silenzioso consenso degli studiosi
sulla non-attendibilità dell'equazione Ahhiyawa-Achei, ci ha
pensato uno del più grandi e stimati ittitologi moderni, il professor
H. Güterbook, dell'Università di Chicago, e maestro di Calvert
Watkins. In una relazione tenuta al Generai Meeting dell'Archaeological
Institute of America nel dicembre '81, egli ripropone in modo convincente
l'equazione di Ahhiyawa con gli Achei e dimostra che il loro regno va
localizzato, in base ai testi ittiti, in mezzo al mare rispetto all'Anatolia
e che il loro re era considerato dello stesso rango del re ittita. la
scoperta dei Watkins, alla quale si accennava sopra, del l'identificazione
di un testo luvio di frasi echeggianti il poema omerico dell'Iliade,
si inserisce quindi in un filone di studi molto vivo e non sorprende
affatto gli studiosi, che anzi attendono con comprensibile ansia i risultati
delle sue ricerche. Non possiamo escludere che i poemi cantati da Omero
siano la fase ultima di una lunga tradizione letteraria presente già
in Anatolia presso gli Ittiti e gli altri popoli, o la fusione armonica
di racconti che si tramandavano oralmente e per iscritto sull'epico
scontro fra Greci e Troiani, culminato col memorabile evento della presa
e della distruzione di Troia. Presa che portò i Troiani alla
diaspora, con Enea approdato nel Lazio; ma anche a conflitti fra Greci,
con Diomede - ad esempio - sbarcato secondo la leggenda nelle Isole
Tremiti, e lì morto, dopo escursioni all'interno del promontorio
garganico, dove fra ]'altro ritroviamo una Troia ricostruita da profughi
e una Cassandra sulle rive dell'Ofanto, insieme con Calcante e altri
minori superstiti. Nulla, però, ci è rimasto, oltre la
tradizione orale, di queste presenze in Puglia. Anche se gli storici
non disperano mai.
Ma ritorniamo alle origini del discorso. E lo facciamo con tre esperti:
A. Palmieri, Ordinario di Preistoria del Vicino e Medio Oriente dell'Università
"La Sapienza", di Roma; M. Liverani, Ordinario di Storia del
Vicino Oriente Antico, della stessa Università; e C. Laviosa,
Ispettore Centrale del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.
Nel cuore dell'Anatolia
Alba Palmieri
La preistoria
dell'Anatolia nel corso degli ultimi 25 anni, attraverso ricerche
e scavi, si è arricchita di dati con ritmo via via più
accelerato, fino ad offrire oggi un panorama di informazioni pieno
di novità eccitanti, variegato in rapporto alle diverse realtà
regionali che contraddistinguono questo grande Paese, da cui cominciano
ad emergere le linee di una ricostruzione di sviluppi culturali molteplici
ed interrelati attraverso i millenni.
Alcune soglie fondamentali si delineano ora chiaramente lungo questo
percorso millenario, ed appaiono illustrate in modo privilegiato nel
compimento nel VII e VI millennio a.C. della cosiddetta "Rivoluzione
Neolitica"; nel manifestarsi alla fine del IV millennio a.C.
nell'Anatolia sud-orientale delle prime forme di organizzazione urbana
legate al mondo mesopotamico; nell'emergenza nel corso del III millennio
a.C. di consistenti unità tribali e di dominii precursori del
regni degli inizi del II millennio, su cui ci ragguaglieranno i documenti
scritti degli insediamenti commerciali assiri.
L'espressione "Rivoluzione Neolitica", coniata da V.G. Childe,
evoca una trasformazione globale e radicale determinatasi in ogni
aspetto della vita del gruppi umani con l'avvento della produzione
di cibo basata su agricoltura e allevamento. La sedentarizzazione
e l'assetto produttivo delle nuove comunità agricole di villaggio
sono condizione per l'apparizione di nuove tecniche, quali la fabbricazione
della ceramica e la metallurgia. Prove di attività metallurgica
si hanno già nel VI millennio (Catal Hùyùk),
ma le prime sostanziali attestazioni appartengono alla fine del IV
millennio a.C., mentre nel III millennio si registra un forte sviluppo
della produzione e dello scambio dei metalli (essenzialmente rame
e argento) di cui l'Anatolia è ricca, parallelamente alla piena
affermazione della metallurgia delle leghe, in particolare del bronzo
allo stagno. Le prime sperimentazioni in questo campo si verificarono
nella seconda metà del IV millennio con leghe di rame e arsenico,
come appare ben indicare l'eccezionale rinvenimento di un gruppo di
ventidue oggetti di metallo, costituito da spade, lance e da una placca
per cinturone, portato alla luce ad Arslantepe-Malàtya dalla
Missione Archeologico italiana dell'Università di Roma "La
Sapienza". Il contesto in cui tale ritrovamento si inserisce
è quello di un complesso di edifici pubblici datati tra il
3300 e il 3000 a.C., attestanti l'esistenza in questo periodo di un
centro urbano sull'Eufrate anatolico, prova della partecipazione delle
regioni situate oltre le montagne dell'Antitauro all'elaborazione
della prima cultura urbana di matrice mesopotamica. E' infatti nei
grandi centri protourbani della Mesopotamia, come quello della leggendaria
Uruk, che compaiono per la prima volta sistemi politico-economici
centralizzati, al cui funzionamento si connettono la costruzione di
edifici pubblici, templi e palazzi, e lo sviluppo di una tecnologia
amministrativa basata sull'uso dei sigilli e sulle prime forme di
scrittura. Un'estensione settentrionale di questa cultura protourbana
ènota in centri definiti coloniali, ubicati sul Medio Eufrate
siriano.
Gli scavi della Missione italiana hanno portato a riconoscere in Arslantepe,
sull'Eufrate turco, un centro locale, certamente non diretta emanazione
del contemporanei centri siro-mesopotamici, anche se con essi manifesta
evidenti connessioni.
Il nostro progetto di ricerca è stato quindi incentrato sullo
studio interdisciplinare del più antichi sviluppi urbani in
un'area periferica rispetto alla pianura alluvionale mesopotamica.
Gli scavi ad Arslantepe hanno ,portato in luce un tempio ed un palazzo,
unitamente a prove di metallurgia evoluta, di cui si è detto,
e di attività amministrativa. Nell'edificio palaziale è
stato identificato un complesso di magazzini contenente vasellame
di forme diverse nei diversi vani, probabilmente indicante una sorta
di specializzazione. In uno dei magazzini sono stati trovati e identificati
resti di vite coltivata, tra i più antichi finora noti, una
prova della complessità della produzione primaria nel nuovo
assetto centralizzato. Altra prova a questo riguardo si ricava dallo
studia archeozoologico, da cui risulta per questo periodo un rilevante
incremento dell'allevamento della pecora, probabilmente legato allo
sviluppo dell'industria tessile. Nei magazzini numerose cretule, grumi
di argilla su cui i funzionari apponevano il sigillo, garantivano
la chiusura dei contenitori. Queste cretule si aggiungono alle migliaia
rinvenute in grandi accumuli collocati in punti particolari all'interno
delle strutture, da interpretare come scarichi di materiale amministrativo.
Gli ottanta sigilli ricostruiti dalle impronte forniscono sulla base
dell'iconografia e dello stile indicazioni sia sulle relazioni con
la Mesopotamia sia sulle grandi capacitò di elaborazione autonoma
di questo centro settentrionale. Questo antico centro urbano, caratterizzato
da un sistema burocratico-amministrativo basato sulla centralizzazione
e la redistribuzione di prodotti, doveva probabilmente detenere il
controllo delle materie prime della regione, in particolare dei metalli.
Lo sviluppo di Arslantepe indica quindi l'importante ruolo svolto
dalle regioni metallifere dell'Anatolia orientale nel sistema di scambio
interregionale della fine del IV millennio.
Il valoroso, colto popolo dei monti
Mario Liverani
Le grandi scoperte
dei secolo scorso attirarono l'attenzione del mondo scientifico e
del grande pubblico sulle civiltà dell'Egitto e della Mesopotamia.
La remota antichità, l'imponenza del monumenti, la ricchezza
della documentazione scritta assegnarono alle vallate del Nilo e del
Tigri-Eufrate una netta preminenza rispetto alle regioni circostanti,
considerate "periferia" attardata, fonte di materie prime,
oggetto di influssi culturali e di dominio politico.
Quando, nei primi decenni del nostro secolo, gli scavi in Anatolia
(primo fra tutti quello della capitale ittita a Boghazkòi)
attirarono l'attenzione anche su questa presunta periferia, il quadro
storico cominciò a cambiare. Ma ci son voluti più di
cinquant'anni per riconoscer che le civiltà dell'Anatolia meritavano
di essere poste su un piano di parità con quelle più
famose e spettacolari dell'Egitto o dell'Assiria. A dire il vero,
l'attenzione degli studiosi sui cosiddetti "Popoli dei Monti"
è stata a lungo più di natura linguistica che archeologica,
attratta com'era dal loro carattere indo-europeo. Nella Germania tra
le due guerre (indiscusso centro degli studi orientalistici, specie
filologici) l'elemento indo-europeo trovò una valutazione privilegiata
rispetto ai Semiti della Mesopotamia e della Siria-Palestina. Si costruì
tutta una "mitologia", in cui le predilezioni degli Ittiti
per l'arte della guerra, il diritto, la storiografia venivano spiegati
con la loro origine indoeuropea. Il concetto di migrazione era il
cardine delle interpretazioni storiche correnti.
Oggi la visione storica è radicalmente mutata. L'archeologia
ha affermato il suo ruolo, e sì tratta di un'archeologia nuova,
attenta all'analisi dell'occupazione del territorio, allo sviluppo
economico e tecnologico, alla dislocazione delle risorse. I dati archeologici
sono magari di meno immediata ,messa in opera per la ricostruzione
storica, ma anche meno soggetti alle "ideologie" degli studiosi.
Lo sviluppo e gli interscambi culturali dell'antico Oriente sono oggi
ricostruiti in maniera più complessa, come un "sistema"
all'interno del quale diversi fattori interagiscono, modificandosi
a vicenda. La priorità e centralità mesopotamiche sono
oggi messe in dubbio: e non certo per svalutarne la semiticità,
anzi come risultato di una dinamica storica in cui la connessione
lingua-cultura è dubbia e sfumata.
Gli apporti degli Ittiti allo sviluppo di questo "sistema"
non vanno tanto ricondotti alla loro origine, quanto al loro ruolo
storico nei vari periodi. Si prende il caso dell'arte bellica: questa
si rapporta alle condizioni politico-organizzative e tecnologiche
esistenti nel Vicino Oriente nel Il millennio a.C., e non a quelle
- diversissime - che gli eventuali antenati indoeuropei potevano avere
nelle loro steppe originarie. Lo stesso vale per il sistema giuridico
o per la letteratura storica, che in quelle condizioni "originarie"
non avrebbero avuto modo né motivo di costituirsi.
Così, depurato sia del vecchio schema "centro/periferia"
sia delle mitologie moderne sulle caratteristiche culturali (per non
dire di quelle "razziali") del popoli, il ruolo degli Ittiti
ha recuperato una sua importanza in termini più concreti e
in forme differenziate nel tempo e nei vari campi. Lo schema oggi
corrente è policentrico e dinamico, si basa sullo scenario
ecologico e demografico, sui fattori socio-economici, sulle ideologie
politiche e religiose antiche, assai più che sulla classificazione
linguistica e sulle migrazioni dei popoli. Questo schema si applica
al meglio proprio nel periodo dell'impero ittita (1700-1200 a.C.),
quando nel Vicino Oriente c'era un equilibrio tra grandi potenze (Ittiti,
appunto, Mitanni, Assiria, Babilonia, Elam, Egitto) che si consideravano
di pari rango e intrattenevano rapporti di pace e di guerra senza
sbilanciamenti di livello culturale e di centralità politica,
poiché ognuno considerava se stesso come "centro del mondo"
e respingeva gli altri alla "periferia" della propria mappa
mentale.
Ma lo schema policentrico e dinamico si applica (in forme diverse)
anche ai periodi che precedettero e seguirono quello ittita. Basti
pensare alle culture neolitiche dell'Anatolia, quando un centro come
Catal Hùyùk non ha l'eguale in tutto il Vicino Oriente.
Basti pensare al periodo protourbano, quando il palazzo di Arslantepe-Malàtya
si pone agli stessi livelli organizzativi e tecnologici dei centri
mesopotamici della fase di Uruk. Basti pensare all'artigianato artistico
dell'età del ferro (Urartei e Neo-Ittiti, Frigi e Lidi), che
trasmise al Mediterraneo e all'Europa elementi essenziali del patrimonio
tecnico e culturale, avendo alle spalle la millenaria tradizione dell'Oriente.
Genti elleniche in terra d'Asia
Clelia Laviosa
Intorno al 1000
a.C., gruppi di genti elleniche di varie provenienze si stabilirono
lungo le coste egee dell'Asia Minore. Nell'arco di circa tre secoli
gli insediamenti si erano estesi su una vasta area, prevalentemente
costiera, raggruppandosi in tre fasce: una fascia detta "eolica"
a Nord (dai Dardanelli al fiume Hermos), una "ionica" al
Centro, fin oltre la vallata del Meandro, ai confini della Caria,
e una "dorica" a Sud. La divisione linguistica, poi spiegata
ricorrendo a una genealogia mitica, si andò attenuando in seguito
verso una comunità di cultura nella quale emergevano tuttavia
forti tradizioni locali.
Dal punto di vista politico, le singole città-stato erano indipendenti,
con la capitale sulla costa e un retroterra più o meno esteso
che assicurava il necessario sostentamento; qualcosa di comparabile,
in un certo senso, con l'odierno Principato di Monaco.
La ricchezza e fertilità della zona erano già conosciute,
grazie ai traffici con l'Oriente, almeno dall'età minoica in
poi, cioè dall'inizio del il millennio a.C. La presenza di
ceramica di produzione e di imitazione cretese in alcune località
della Jonia, come Mileto e Jasos, ha confermato l'esistenza di rotte
navali e di empori commerciali. A Jasos, nel golfo di Bargylia, a
sud di Mileto, gli scavi recenti condotti da una missione archeologica
italiana hanno rivelato la presenza di un centro abitato con un grande
edificio quadrato risalente al periodo Medio Minoico.
I rapporti si intensificarono in età micenea (seconda metà
del secondo millennio a.C.) col moltiplicarsi lungo tutta la costa
di "fondaci" destinati allo scambio commerciale con le popolazioni
dell'entroterra ricco di materie prime pregiate (oro, argento, rame),
ma anche di allume per le tinture, di legname, ecc. Era naturale quindi
che il flusso riprendesse dopo il periodo oscuro che seguì
alla caduta dei regni micenei. Le prime città ioniche, che
stabilirono come centro di riunione religioso, ma anche socio-politico,
il santuario di Poseidon al Panionion presso Micale, furono - secondo
la tradizione - Mileto, Samo, Efeso e Teos, cui si unirono altre minori.
Anche Smirne, inizialmente eolica, fu poi attratta nell'orbita ionica.
A questa fase risale un primo nucleo di leggende epiche, tramandate
oralmente da poeti girovaghi, sulla distruzione della città
di Troia dopo dieci anni d'assedio. Una tradizione voleva che Omero
fosse un poeta d'Asia Minore, forse di Smirne.
Tra il VII e il VI secolo a.C., le città ioniche ed eoliche
divennero centri economici e culturali di grande livello; città
come Mileto, Smirne ed Efeso erano celebri per il loro fasto, i santuari
erano pieni di offerte votive provenienti da tutte le parti, anche
dall'Oriente e dai regni anatolici confinanti, e l'aristocrazia ostentava
il lusso più raffinato. In quei tempi nasceva però anche
la filosofia greca: Talete, Anassimandro, Anassimene gettarono le
basi per una scienza sperimentale. Di Mileto sarà Ippodamo,
uno del più geniali urbanisti dell'antichità. La cultura
artistica, da Mileto e da Samo, si diffuse in Grecia e in Italia,
particolarmente in Etruria. Centri di incontro culturale erano i grandi
santuari, l'Artemision di Efeso, l'Apollonion di Didyma, come l'Heraion
di Samo. A Bayarakli, primitivo sito di Smirne, il grande tempio di
Atena è una delle maggiori testimonianze dell'architettura
eolica arcaica.
Delle città eoliche, patria di musicisti e di poeti come Alceo
e Saffo, ricordiamo Pitane, Myrina, Lesbo, Kyme e soprattutto Focea,
città marinara i cui mercanti attraversarono il Mediterraneo
fondando empori e colonie, come Marsiglia, Ampurias in Spagna, Alalia
in Corsica, ed Elea sulla costa lucano, celebre per la sua scuola
filosofica. L'origine della storiografia antica ci porta invece nella
dorica Alicarnasso, quasi ai confini della Licia, dove nacque Erodoto.
I rapporti di tutte queste città con i regni dell'interno,
i Frigi prima, i Lidi poi, (il cui re, il ricchissimo Creso, offrì
munifici doni ai santuari ellenici), furono alterni, e in ultimo i
Persiani sottomisero l'intera Ionia e costrinsero i Focei ad emigrare.
Vendicatore della violenza persiana fu considerato Alessandro Magno,
che liberò le città e assunse nel suo esercito e fra
i suoi funzionari più importanti molti cittadini d'Asia Minore.
Alla sua morte, i territori furono divisi fra i suoi successori: i
Seleucidi, i Tolomei di Alessandria d'Egitto e gli Attalidi di Pergamo,
i quali ultimi si dimostrarono i più fedeli alla tradizione
"ellenizzante", dando vita a un centro artistico che dominò
il periodo ellenistico con l'irruenza del suo gusto barocco. L'architettura
e l'urbanistica ebbero nuovo impulso nelle vecchie gloriose città,
come Mileto, Priene e la stessa Pergamo, ma i canoni lì stabiliti
si diffusero presto ovunque nell'Occidente ellenizzato.
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