§ TROIA E GLI ACHEI: DALLA TURCHIA ALLA PUGLIA

Il segreto ittita




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta
Interventi di: Alba Palmieri, Mario Liverani, Clelia Laviosa



"Cantami, o diva, del Pelide AchiIle/ l'ira funesta che infiniti addusse/ lutti agli Achei ...". Chi non ricorda il proemio con il quale Omero inizia il racconto dell'epico scontro durato dieci anni tra il mondo greco e la città di Troia, narrato nell'Iliade? E chi non è rimasto entusiasta per le gesta di Achille, il valore di Ettore, la severità di Agamennone, la saggezza di Priamo, l'astuzia di Ulisse? Nessuna meraviglia, dunque, se notizie come quella della localizzazione di Troia ad opera dello Schliemann, oppure come l'ultima in ordine di tempo, comunicata dal linguista della prestigiosa Università di Harvard, Calvert Watkins, che avrebbe decifrato un testo luvio del 1400 a.C., riecheggiante frasi dell'Iliade, ci commuovono profondamente e ripropongono alla nostra riflessione il problema della storicità e dell'autenticità dei poemi omerici.
Chi erano gli Acheidi di cui parla Omero? Si trovano tracce della loro esistenza nella ricca documentazione anatolica, soprattutto degli Ittiti? In ultima analisi, c'è una parvenza di storicità nei fatti narrati da Omero, oppure l'Iliade è una meravigliosa costruzione letteraria, frutto dell'ingegno e della fantasia del cieco cantore greco?
Da sessant'anni a questa parte il mondo degli studiosi delle civiltà anatoliche ha vissuto momenti di acceso dibattito attorno al tema delle origini storiche dell'Iliade e del suoi personaggi. Un dibattito a volte anche violento, che ha fatto schierare gli esperti su due fronti irriducibilmente in lotta tra loro, e ha dato luogo ad una bibliografia quanto mai vasta, destinata ora, con la comunicazione del linguista della Harvard, ad allungarsi sempre più.
Le premesse per la riscoperta storica di alcuni personaggi dell'Iliade sono già insite nel racconto del gran poeta: la descrizione accurata della città di Troia e la caratterizzazione dei personaggi facevano sperare che un giorno forse se ne sarebbero ritrovate le tracce nella documentazione cuneiforme che incominciava ad affiorare dagli scavi tedeschi nell'antica capitale degli Ittiti, Hattusa, l'odierna Boghazkòi, vicina ad Ankara, capitale della Turchia. Quando poi in Stefano di Bisanzio si leggeva che Paride si era rifugiato insieme con la moglie Elena presso un potente re locale, chiamato Motylos, allora le aspettative per un'eventuale conferma storica dei poemi omerici erano più che giustificate.
Ed ecco che nel 1924 lo studioso E. Forrer pubblica due studi, dai quali risulta che gli Achei dei poemi omerici erano in effetti menzionati nei testi ittiti con il nome di Ahhiyawa. Nella stessa documentazione, oltre agli Achei, era attestato anche un personaggio dal nome Piyamaradus, un re locale della Jonia in contatto col re degli Ittiti e degli Achei, subito identificato con Priamo, il vecchio re troiano; come pure ricorrevano due nomi di città, Wilusiya e Taruisa, riconosciuti come Ilio e Troia, i due nomi della capitale dell'omonimo regno assediata e distrutta dagli Achei. Ma le scoperte non si fermavano qui: tra i documenti ittiti veniva individuato il testo di un trattato siglato dal re ittita Muwatalli e dal suo vassallo Alaksandu di Wilusa, quindi Alessandro di Ilio, da sempre identificato con Paride, figlio di Priamo, il cui secondo nome era appunto Alessandro.
Le iscrizioni ittite confermavano le giuste aspettative degli studiosi, in quanto documentavano la presenza degli Achei in Anatolia a cominciare dal 1450 a.C., e menzionavano due personaggi di primo piano dell'Iliade, Priamo e suo figlio Paride, oltre alle città di Ilio e Troia. la datazione dei documenti in cui compaiono Priamo e Paride, rispettivamente 1349-1315 e 1315-1290, corrispondenti ai periodi di regno di Mursili II e Muwatalli, colloca i due personaggi in un preciso contesto storico che costringe ad anticipare la data della distruzione di Troia di almeno duecento anni. Ma come si verifica spesso negli studi, anche le cose valide vengono contrastate da argomenti singolari e speciosi. Nel 1932 arriva infatti la smentita più clamorosa delle tesi del Forrer ad opera di un altro studioso tedesco, F. Sommer, nel monumentale lavoro "Die Ahhiyawa-Urkunden", dove si negano documentatamente tutte le identificazioni proposte in precedenza: gli Achei non possono essere i Greci, Priamo e Paride non possono essere gli omonimi personaggi dell'Iliade, Troia ed Ilio vanno localizzate in posti diversi dalla Troia dei poemi omerici.
Negli anni successivi, gli studiosi si dividono in due campi: gli assertori delle tesi del Forrer e i convinti sostenitori delle critiche del Sommer. Non potendo seguire tutte le fasi dell'acceso dibattito, ne ricordiamo le conclusioni, così come sono cristallizzate prima degli anni Ottanta. Per l'identificazione degli Ahhiyawa con gli Achei era diffuso un certo scetticismo, dovuto soprattutto all'incertezza se localizzare il loro regno sul suolo anatolico oppure in un paese d'oltremare. Ma si era accettata concordemente la localizzazione di Wilusa e di Taruisa proposta dallo studioso inglese O.R. Gurney nel territorio della Troia riportata alla luce dallo Schliemann.
A smuovere le acque pacifiche del silenzioso consenso degli studiosi sulla non-attendibilità dell'equazione Ahhiyawa-Achei, ci ha pensato uno del più grandi e stimati ittitologi moderni, il professor H. Güterbook, dell'Università di Chicago, e maestro di Calvert Watkins. In una relazione tenuta al Generai Meeting dell'Archaeological Institute of America nel dicembre '81, egli ripropone in modo convincente l'equazione di Ahhiyawa con gli Achei e dimostra che il loro regno va localizzato, in base ai testi ittiti, in mezzo al mare rispetto all'Anatolia e che il loro re era considerato dello stesso rango del re ittita. la scoperta dei Watkins, alla quale si accennava sopra, del l'identificazione di un testo luvio di frasi echeggianti il poema omerico dell'Iliade, si inserisce quindi in un filone di studi molto vivo e non sorprende affatto gli studiosi, che anzi attendono con comprensibile ansia i risultati delle sue ricerche. Non possiamo escludere che i poemi cantati da Omero siano la fase ultima di una lunga tradizione letteraria presente già in Anatolia presso gli Ittiti e gli altri popoli, o la fusione armonica di racconti che si tramandavano oralmente e per iscritto sull'epico scontro fra Greci e Troiani, culminato col memorabile evento della presa e della distruzione di Troia. Presa che portò i Troiani alla diaspora, con Enea approdato nel Lazio; ma anche a conflitti fra Greci, con Diomede - ad esempio - sbarcato secondo la leggenda nelle Isole Tremiti, e lì morto, dopo escursioni all'interno del promontorio garganico, dove fra ]'altro ritroviamo una Troia ricostruita da profughi e una Cassandra sulle rive dell'Ofanto, insieme con Calcante e altri minori superstiti. Nulla, però, ci è rimasto, oltre la tradizione orale, di queste presenze in Puglia. Anche se gli storici non disperano mai.
Ma ritorniamo alle origini del discorso. E lo facciamo con tre esperti: A. Palmieri, Ordinario di Preistoria del Vicino e Medio Oriente dell'Università "La Sapienza", di Roma; M. Liverani, Ordinario di Storia del Vicino Oriente Antico, della stessa Università; e C. Laviosa, Ispettore Centrale del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali.


Nel cuore dell'Anatolia

Alba Palmieri

La preistoria dell'Anatolia nel corso degli ultimi 25 anni, attraverso ricerche e scavi, si è arricchita di dati con ritmo via via più accelerato, fino ad offrire oggi un panorama di informazioni pieno di novità eccitanti, variegato in rapporto alle diverse realtà regionali che contraddistinguono questo grande Paese, da cui cominciano ad emergere le linee di una ricostruzione di sviluppi culturali molteplici ed interrelati attraverso i millenni.
Alcune soglie fondamentali si delineano ora chiaramente lungo questo percorso millenario, ed appaiono illustrate in modo privilegiato nel compimento nel VII e VI millennio a.C. della cosiddetta "Rivoluzione Neolitica"; nel manifestarsi alla fine del IV millennio a.C. nell'Anatolia sud-orientale delle prime forme di organizzazione urbana legate al mondo mesopotamico; nell'emergenza nel corso del III millennio a.C. di consistenti unità tribali e di dominii precursori del regni degli inizi del II millennio, su cui ci ragguaglieranno i documenti scritti degli insediamenti commerciali assiri.
L'espressione "Rivoluzione Neolitica", coniata da V.G. Childe, evoca una trasformazione globale e radicale determinatasi in ogni aspetto della vita del gruppi umani con l'avvento della produzione di cibo basata su agricoltura e allevamento. La sedentarizzazione e l'assetto produttivo delle nuove comunità agricole di villaggio sono condizione per l'apparizione di nuove tecniche, quali la fabbricazione della ceramica e la metallurgia. Prove di attività metallurgica si hanno già nel VI millennio (Catal Hùyùk), ma le prime sostanziali attestazioni appartengono alla fine del IV millennio a.C., mentre nel III millennio si registra un forte sviluppo della produzione e dello scambio dei metalli (essenzialmente rame e argento) di cui l'Anatolia è ricca, parallelamente alla piena affermazione della metallurgia delle leghe, in particolare del bronzo allo stagno. Le prime sperimentazioni in questo campo si verificarono nella seconda metà del IV millennio con leghe di rame e arsenico, come appare ben indicare l'eccezionale rinvenimento di un gruppo di ventidue oggetti di metallo, costituito da spade, lance e da una placca per cinturone, portato alla luce ad Arslantepe-Malàtya dalla Missione Archeologico italiana dell'Università di Roma "La Sapienza". Il contesto in cui tale ritrovamento si inserisce è quello di un complesso di edifici pubblici datati tra il 3300 e il 3000 a.C., attestanti l'esistenza in questo periodo di un centro urbano sull'Eufrate anatolico, prova della partecipazione delle regioni situate oltre le montagne dell'Antitauro all'elaborazione della prima cultura urbana di matrice mesopotamica. E' infatti nei grandi centri protourbani della Mesopotamia, come quello della leggendaria Uruk, che compaiono per la prima volta sistemi politico-economici centralizzati, al cui funzionamento si connettono la costruzione di edifici pubblici, templi e palazzi, e lo sviluppo di una tecnologia amministrativa basata sull'uso dei sigilli e sulle prime forme di scrittura. Un'estensione settentrionale di questa cultura protourbana ènota in centri definiti coloniali, ubicati sul Medio Eufrate siriano.
Gli scavi della Missione italiana hanno portato a riconoscere in Arslantepe, sull'Eufrate turco, un centro locale, certamente non diretta emanazione del contemporanei centri siro-mesopotamici, anche se con essi manifesta evidenti connessioni.
Il nostro progetto di ricerca è stato quindi incentrato sullo studio interdisciplinare del più antichi sviluppi urbani in un'area periferica rispetto alla pianura alluvionale mesopotamica. Gli scavi ad Arslantepe hanno ,portato in luce un tempio ed un palazzo, unitamente a prove di metallurgia evoluta, di cui si è detto, e di attività amministrativa. Nell'edificio palaziale è stato identificato un complesso di magazzini contenente vasellame di forme diverse nei diversi vani, probabilmente indicante una sorta di specializzazione. In uno dei magazzini sono stati trovati e identificati resti di vite coltivata, tra i più antichi finora noti, una prova della complessità della produzione primaria nel nuovo assetto centralizzato. Altra prova a questo riguardo si ricava dallo studia archeozoologico, da cui risulta per questo periodo un rilevante incremento dell'allevamento della pecora, probabilmente legato allo sviluppo dell'industria tessile. Nei magazzini numerose cretule, grumi di argilla su cui i funzionari apponevano il sigillo, garantivano la chiusura dei contenitori. Queste cretule si aggiungono alle migliaia rinvenute in grandi accumuli collocati in punti particolari all'interno delle strutture, da interpretare come scarichi di materiale amministrativo. Gli ottanta sigilli ricostruiti dalle impronte forniscono sulla base dell'iconografia e dello stile indicazioni sia sulle relazioni con la Mesopotamia sia sulle grandi capacitò di elaborazione autonoma di questo centro settentrionale. Questo antico centro urbano, caratterizzato da un sistema burocratico-amministrativo basato sulla centralizzazione e la redistribuzione di prodotti, doveva probabilmente detenere il controllo delle materie prime della regione, in particolare dei metalli. Lo sviluppo di Arslantepe indica quindi l'importante ruolo svolto dalle regioni metallifere dell'Anatolia orientale nel sistema di scambio interregionale della fine del IV millennio.


Il valoroso, colto popolo dei monti

Mario Liverani

Le grandi scoperte dei secolo scorso attirarono l'attenzione del mondo scientifico e del grande pubblico sulle civiltà dell'Egitto e della Mesopotamia. La remota antichità, l'imponenza del monumenti, la ricchezza della documentazione scritta assegnarono alle vallate del Nilo e del Tigri-Eufrate una netta preminenza rispetto alle regioni circostanti, considerate "periferia" attardata, fonte di materie prime, oggetto di influssi culturali e di dominio politico.


Quando, nei primi decenni del nostro secolo, gli scavi in Anatolia (primo fra tutti quello della capitale ittita a Boghazkòi) attirarono l'attenzione anche su questa presunta periferia, il quadro storico cominciò a cambiare. Ma ci son voluti più di cinquant'anni per riconoscer che le civiltà dell'Anatolia meritavano di essere poste su un piano di parità con quelle più famose e spettacolari dell'Egitto o dell'Assiria. A dire il vero, l'attenzione degli studiosi sui cosiddetti "Popoli dei Monti" è stata a lungo più di natura linguistica che archeologica, attratta com'era dal loro carattere indo-europeo. Nella Germania tra le due guerre (indiscusso centro degli studi orientalistici, specie filologici) l'elemento indo-europeo trovò una valutazione privilegiata rispetto ai Semiti della Mesopotamia e della Siria-Palestina. Si costruì tutta una "mitologia", in cui le predilezioni degli Ittiti per l'arte della guerra, il diritto, la storiografia venivano spiegati con la loro origine indoeuropea. Il concetto di migrazione era il cardine delle interpretazioni storiche correnti.
Oggi la visione storica è radicalmente mutata. L'archeologia ha affermato il suo ruolo, e sì tratta di un'archeologia nuova, attenta all'analisi dell'occupazione del territorio, allo sviluppo economico e tecnologico, alla dislocazione delle risorse. I dati archeologici sono magari di meno immediata ,messa in opera per la ricostruzione storica, ma anche meno soggetti alle "ideologie" degli studiosi. Lo sviluppo e gli interscambi culturali dell'antico Oriente sono oggi ricostruiti in maniera più complessa, come un "sistema" all'interno del quale diversi fattori interagiscono, modificandosi a vicenda. La priorità e centralità mesopotamiche sono oggi messe in dubbio: e non certo per svalutarne la semiticità, anzi come risultato di una dinamica storica in cui la connessione lingua-cultura è dubbia e sfumata.
Gli apporti degli Ittiti allo sviluppo di questo "sistema" non vanno tanto ricondotti alla loro origine, quanto al loro ruolo storico nei vari periodi. Si prende il caso dell'arte bellica: questa si rapporta alle condizioni politico-organizzative e tecnologiche esistenti nel Vicino Oriente nel Il millennio a.C., e non a quelle - diversissime - che gli eventuali antenati indoeuropei potevano avere nelle loro steppe originarie. Lo stesso vale per il sistema giuridico o per la letteratura storica, che in quelle condizioni "originarie" non avrebbero avuto modo né motivo di costituirsi.
Così, depurato sia del vecchio schema "centro/periferia" sia delle mitologie moderne sulle caratteristiche culturali (per non dire di quelle "razziali") del popoli, il ruolo degli Ittiti ha recuperato una sua importanza in termini più concreti e in forme differenziate nel tempo e nei vari campi. Lo schema oggi corrente è policentrico e dinamico, si basa sullo scenario ecologico e demografico, sui fattori socio-economici, sulle ideologie politiche e religiose antiche, assai più che sulla classificazione linguistica e sulle migrazioni dei popoli. Questo schema si applica al meglio proprio nel periodo dell'impero ittita (1700-1200 a.C.), quando nel Vicino Oriente c'era un equilibrio tra grandi potenze (Ittiti, appunto, Mitanni, Assiria, Babilonia, Elam, Egitto) che si consideravano di pari rango e intrattenevano rapporti di pace e di guerra senza sbilanciamenti di livello culturale e di centralità politica, poiché ognuno considerava se stesso come "centro del mondo" e respingeva gli altri alla "periferia" della propria mappa mentale.
Ma lo schema policentrico e dinamico si applica (in forme diverse) anche ai periodi che precedettero e seguirono quello ittita. Basti pensare alle culture neolitiche dell'Anatolia, quando un centro come Catal Hùyùk non ha l'eguale in tutto il Vicino Oriente. Basti pensare al periodo protourbano, quando il palazzo di Arslantepe-Malàtya si pone agli stessi livelli organizzativi e tecnologici dei centri mesopotamici della fase di Uruk. Basti pensare all'artigianato artistico dell'età del ferro (Urartei e Neo-Ittiti, Frigi e Lidi), che trasmise al Mediterraneo e all'Europa elementi essenziali del patrimonio tecnico e culturale, avendo alle spalle la millenaria tradizione dell'Oriente.


Genti elleniche in terra d'Asia

Clelia Laviosa

Intorno al 1000 a.C., gruppi di genti elleniche di varie provenienze si stabilirono lungo le coste egee dell'Asia Minore. Nell'arco di circa tre secoli gli insediamenti si erano estesi su una vasta area, prevalentemente costiera, raggruppandosi in tre fasce: una fascia detta "eolica" a Nord (dai Dardanelli al fiume Hermos), una "ionica" al Centro, fin oltre la vallata del Meandro, ai confini della Caria, e una "dorica" a Sud. La divisione linguistica, poi spiegata ricorrendo a una genealogia mitica, si andò attenuando in seguito verso una comunità di cultura nella quale emergevano tuttavia forti tradizioni locali.
Dal punto di vista politico, le singole città-stato erano indipendenti, con la capitale sulla costa e un retroterra più o meno esteso che assicurava il necessario sostentamento; qualcosa di comparabile, in un certo senso, con l'odierno Principato di Monaco.
La ricchezza e fertilità della zona erano già conosciute, grazie ai traffici con l'Oriente, almeno dall'età minoica in poi, cioè dall'inizio del il millennio a.C. La presenza di ceramica di produzione e di imitazione cretese in alcune località della Jonia, come Mileto e Jasos, ha confermato l'esistenza di rotte navali e di empori commerciali. A Jasos, nel golfo di Bargylia, a sud di Mileto, gli scavi recenti condotti da una missione archeologica italiana hanno rivelato la presenza di un centro abitato con un grande edificio quadrato risalente al periodo Medio Minoico.
I rapporti si intensificarono in età micenea (seconda metà del secondo millennio a.C.) col moltiplicarsi lungo tutta la costa di "fondaci" destinati allo scambio commerciale con le popolazioni dell'entroterra ricco di materie prime pregiate (oro, argento, rame), ma anche di allume per le tinture, di legname, ecc. Era naturale quindi che il flusso riprendesse dopo il periodo oscuro che seguì alla caduta dei regni micenei. Le prime città ioniche, che stabilirono come centro di riunione religioso, ma anche socio-politico, il santuario di Poseidon al Panionion presso Micale, furono - secondo la tradizione - Mileto, Samo, Efeso e Teos, cui si unirono altre minori. Anche Smirne, inizialmente eolica, fu poi attratta nell'orbita ionica. A questa fase risale un primo nucleo di leggende epiche, tramandate oralmente da poeti girovaghi, sulla distruzione della città di Troia dopo dieci anni d'assedio. Una tradizione voleva che Omero fosse un poeta d'Asia Minore, forse di Smirne.
Tra il VII e il VI secolo a.C., le città ioniche ed eoliche divennero centri economici e culturali di grande livello; città come Mileto, Smirne ed Efeso erano celebri per il loro fasto, i santuari erano pieni di offerte votive provenienti da tutte le parti, anche dall'Oriente e dai regni anatolici confinanti, e l'aristocrazia ostentava il lusso più raffinato. In quei tempi nasceva però anche la filosofia greca: Talete, Anassimandro, Anassimene gettarono le basi per una scienza sperimentale. Di Mileto sarà Ippodamo, uno del più geniali urbanisti dell'antichità. La cultura artistica, da Mileto e da Samo, si diffuse in Grecia e in Italia, particolarmente in Etruria. Centri di incontro culturale erano i grandi santuari, l'Artemision di Efeso, l'Apollonion di Didyma, come l'Heraion di Samo. A Bayarakli, primitivo sito di Smirne, il grande tempio di Atena è una delle maggiori testimonianze dell'architettura eolica arcaica.
Delle città eoliche, patria di musicisti e di poeti come Alceo e Saffo, ricordiamo Pitane, Myrina, Lesbo, Kyme e soprattutto Focea, città marinara i cui mercanti attraversarono il Mediterraneo fondando empori e colonie, come Marsiglia, Ampurias in Spagna, Alalia in Corsica, ed Elea sulla costa lucano, celebre per la sua scuola filosofica. L'origine della storiografia antica ci porta invece nella dorica Alicarnasso, quasi ai confini della Licia, dove nacque Erodoto.
I rapporti di tutte queste città con i regni dell'interno, i Frigi prima, i Lidi poi, (il cui re, il ricchissimo Creso, offrì munifici doni ai santuari ellenici), furono alterni, e in ultimo i Persiani sottomisero l'intera Ionia e costrinsero i Focei ad emigrare. Vendicatore della violenza persiana fu considerato Alessandro Magno, che liberò le città e assunse nel suo esercito e fra i suoi funzionari più importanti molti cittadini d'Asia Minore. Alla sua morte, i territori furono divisi fra i suoi successori: i Seleucidi, i Tolomei di Alessandria d'Egitto e gli Attalidi di Pergamo, i quali ultimi si dimostrarono i più fedeli alla tradizione "ellenizzante", dando vita a un centro artistico che dominò il periodo ellenistico con l'irruenza del suo gusto barocco. L'architettura e l'urbanistica ebbero nuovo impulso nelle vecchie gloriose città, come Mileto, Priene e la stessa Pergamo, ma i canoni lì stabiliti si diffusero presto ovunque nell'Occidente ellenizzato.


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