Quelle
che sono state definite febbre delle privatizzazioni e sete di mercato
hanno avuto in quest'ultimo periodo e stanno tuttora manifestando un'intensità
ed uno spessore che sembrano destinati a continuare. Una nuova cultura
ed una nuova filosofia si vengono imponendo, sulla base di motivazioni
che mentre promanano da strategie che superano i precedenti miti si
irradiano in ambiti sempre più ampi, coinvolgendo operatori e
pure risparmiatori dell'intero Occidente.
In Italia, dopo la privatizzazione dell'Alfa Romeo, dopo le alterne
vicende del caso SME, altre sopravvenienze dello stesso tipo vengono
a riguardare la vendita della Lanerossi da parte dell'ENI e sono allo
studio per quanto concerne la creazione della TELIT, che dovrebbe derivare
dall'incontro dell'Italtel (IRI-Stet) con la Telettra (Fiat).
In tutto l'Occidente industrializzato il fenomeno delle privatizzazioni
sta procedendo con un'intensità rispetto alla nostra non solo
di più vecchia data, ma anche più spedita e regolare.
Quanto mai ricco è l'elenco non solo delle aziende pubbliche
già vendute, ma anche delle aziende che stanno per esserlo. La
Gran Bretagna mantiene al riguardo un certo primato, con le privatizzazioni
inquadrate in un programma che risale al 1979 e che comprende British
Aerospace, British Gas, British Petroleum, Cable and Wireless, Jaguar,
Sealink. Fin qui il settore pubblico britannico ha ceduto partecipazioni
per un valore di 19 miliardi di sterline.
A sua volta la Francia, che si presenta con programmi quanto mai ambiziosi
in questo campo, offrendo la testimonianza di un'intenzione di decisa
sterzata, ha proceduto alla vendita dell'Elf Acquitaine e della Saint
Gobain.
La Germania Federale dal canto suo ha svolto analoghe operazioni di
alleggerimento del suo apparato produttivo pubblico, che hanno riguardato
Veba e Viag.
Anche oltre Oceano non mancano orizzonti e realtà dello stesso
segno. Nei Canada, Canadair, Havilland, Kidd Creek (e si tratta di compagnie
aeree e di miniere) sono state trasferite ai privati, mentre analogo
destino hanno trovato in Giappone la Nippon e la Telegraph and Telephone.
Queste operazioni, dovunque siano state effettuate, hanno incontrato
la favorevole accoglienza della Borsa. Così per quanto riguarda
la Gran Bretagna, con riferimento al grande successo del collocamento
della British AirWays, che ha superato di ben 13 volte la disponibilità.
Così per quanto concerne la Francia, con una domanda per la Patibas
che ha superato 40 volte l'offerta. Così infine per il Giappone,
dove le richieste per la Nippon (Telegraph e Telephone) hanno registrato
un vero e proprio boom di richieste, con titoli che sono saliti da 200.000
yen a 1,4 milioni di yen per azione e provocando la sospensione in qualche
seduta del titolo in Borsa.
Tutto ciò riflette non solo una reattività del mondo finanziario
nettamente positiva rispetto a questo tipo di "cambiamento di pagina",
ma propone anche più impegnative indicazioni di ordine produttivo
e finanziario per una politica di sviluppo e di crescente produttività.
E difatti questo processo di privatizzazione si presenta in questa fase
con una intonazione decisamente progressiva.
Pertanto, in Gran Bretagna sono in programma le vendite delle aziende
pubbliche British Airport, dell'Autority, della Rolles Royce; in Francia
analogo destino attende l'Havas, la Tei, la Cge, la Cgct, l'Agf, ecc.,
con un complesso di aziende candidate alla privatizzazione che valgono
almeno 250 milioni di franchi e che entro il 1991 dovrebbero esaurire
questa prima tranche; in Germania, dove è in programma l'alienazione
pubblica della partecipazione alla VoIskswagen; in Giappone, dove il
Governo si appresta a vendere la Japan Airline, la Japan National Raimways,
la Japan Tobacco Corporation. Ed al quadro sono da aggiungere anche
gli Stati Uniti, dove il Governo Federale progetta di cedere aziende
pubbliche per un valore complessivo di 7,8 miliardi di dollari (e si
tratta di un ammontare pari allo 0,2% del prodotto lordo), cominciando
dalle ferrovie Conraril e dalla Continental Illinois.
Le motivazioni di questo processo si incrociano. Vanno dall'apporto
che ne può derivare al l'alleggerimento del gravame pubblico
a quello dell'acquisizione di un'entrata straordinaria aggiuntiva per
il bilancio pubblico; da quella di uno spostamento di risorse nell'ambito
pubblico da un settore all'altro, e ciò in funzione anche delle
spinte tecnologiche che questo spostamento richiedono e consentono,
a quella della ricerca di una strada di maggiore produttività
ed efficienza per i singoli sistemi, e così via.
Ma c'è soprattutto lo scadimento di una precedente mitizzazione
della prevalenza della gestione pubblica su quella privata che sta sempre
più cedendo il passo alla rivalutazione del privato, quale strumento
di avanzamento e di progresso sociale.
C'è poi da aggiungere il fatto che la salvaguardia dell'interesse
pubblico dispone oggi di strumenti quanto mai ampi ed incisivi, essendo
essi ancora più determinanti e più facilmente e proficuamente
agibili di quelli esperibili con le gestioni pubbliche dirette. Basti
pensare agli interventi della politica economica in materia fiscale
e creditizia per trovare conferma di questo asserto, che difatti non
ha mancato di fare presa (a posteriori però) su quanti avevano
voluto la nazionalizzazione dell'industria elettrica in Italia e poi
sulla base delle esperienze si avvidero - come vedremo meglio in seguito
- delle contraddizioni intercorrenti fra un finalismo auspicato e risultanze
non certo e non sempre di segno conforme.
Le tendenze
di ieri e quelle di oggi
Cerchiamo ora di confrontare le tendenze di oggi con quelle di ieri,
nella contrapposizione fra i due modi di intendere i rapporti fra
il pubblico ed il privato. la panoramica di oggi, sulla base di quanto
fin qui abbiamo detto, è così complessivamente sintetizzabile.
Per l'Italia, la strategia perseguita dall'IRI - con la previsione
per il 1987 di un equilibrio senza il contributo bancario - si puntualizza
con il cambio del settori di attività sui quali puntare sul
prossimo futuro, con il trasferimento ad altri gruppi del compito
di gestire quelle aziende non ritenute necessarie, con l'adozione
di una filosofia gestionale più vicina a quella privata che
non a quella pubblica, con una più spiccata e quindi competitiva
presenza internazionale. Dice il Presidente Prodi che si sta "impostando
una politica di lungo periodo, selezionando le attività, i
prodotti, i mercati, in modo da offrire nei prossimi anni un alto
livello di profitti ed un elevato grado di trasparenza. Ne è
derivato un discorso di dimensioni, di grandezza naturale necessaria
per sopravvivere. L'Italia e l'Europa nel loro insieme non sono più
sufficienti, bisogno spingersi più avanti, accettare pienamente
il concetto di competizione internazionale".
Si sposta fra l'altro il limite geografico, e si sposta anche nell'ambito
nazionale, con le puntualizzazioni interessanti nell'azione dell'IRI
il nostro Mezzogiorno, e questo riguardato con un'ottica che vuole
essere all'altezza del tempi in quanto visualizzata anche e soprattutto
sugli investimenti tecnologici, interessanti, oltre che l'industria,
l'agricoltura ed il turismo e soprattutto la ricerca.
Siamo così molto distanti dalle ragioni di ieri, molte delle
quali erano (ed in parte lo sono oggi, per le note e non sempre ingiustificate
resistenze) riconducibili al fattore lavoro. Questo va riconsiderato
alla luce soprattutto di due fatti, e cioè dell'affievolimento
della capacità della grande industria ad attivare nuovi posti
di lavoro, che difatti sono in diminuzione e sono da ricercare oggi
più che altro nel terziario e nelle piccole e medie imprese
e delle irrinunciabili istanze nel campo del rinnovamento e quindi
del passaggio dal pubblico al privato, istanze che fanno dire a quanti,
alla FIAT, sono succeduti all'eredità Alfa che bisogna accostarsi
al problema lavoro partendo da zero, facendo tabula rosa di tutti
i vincoli, se non quelli contrattuali e di legge, e di tutte le pregiudiziali.
I risanamenti necessari comportano ovunque sacrifici, accelerazioni
di tempi, mutazioni di indirizzi in senso produttivistico ed efficientistico,
perché molto spesso nel nuovo bisogna battere anzitutto la
strada di un metodo diverso e distante sostanzialmente da quello passato.
Sono queste le nuove strade che Governo, Parlamento, partiti, fasce
sociali devono perseguire, in funzione di un disegno che purtroppo
è ancora flebile, perché non ancora fondato su di una
precisa volontà politica, sull'univoca convergenza fra imprenditoria
e sindacati, sull'operativa e non condizionata valenza degli organi
preposti, a cominciare da quel Comitato interministeriale per la politica
industriale, impegnato oggi più che sul dettaglio e sul contingente
che su di un'organica progettualità. Il che ovviamente viene
ad investire tutta la tematica delle normative e dei vincoli che,
purtroppo nel momento in cui si intende la ragione dell'alleggerimento
dell'intervento pubblico nella gestione diretta, si estendono con
i lacci ed i lacciuoli che irretiscono l'attività produttiva
e la stessa dinamica di mercati produttivi e finanziari.
E' il lamentato caso, fra gli altri, di quanto si verifica in materia
di controlli valutari, che si prevedono purtroppo complessi, fra l'altro
con appesantimenti ulteriori del personale che vi sarà preposto,
contro indirizzi più razionali che sono stati seguiti ad esempio
in Gran Bretagna, dove per la nuova normativa valutaria i dipendenti
della Banca d'Inghilterra in un solo anno sono stati ridotti di ben
il 22%: esempio non certo imitabile nel nostro Paese, ma che comunque
è alla base di altrui logiche, a cominciare appunto dalla Gran
Bretagna.
Una nuova filosofia
economico-sociale
Taluni, nel definire la filosofia economico-sociale che è alla
base del partito conservatore britannico, che ha avuto due successivi
mandati governativi (e qualcuno dice alla vigilia di conseguirne anche
il terzo), si rifanno a quanto scritto dalla signora Thatcher in preparazione
delle elezioni del '79 e cioè: "La Gran Bretagna che vogliamo
è un paese che si prende cura dei vecchi e dei malati, ma in
cui chi è sano di corpo ha il dovere ed il diritto di decidere
del proprio avvenire senza costrizioni e senza interferenze; un paese
dove lo spirito di iniziativa del cittadino non è soffocato
da un falso egualitarismo, che favorisce solo gli inetti ed i pigri
a scapito degli zelanti e del capaci; un paese in cui la gente paga
le tasse in misura accettabile e non vessatoria, sapendo che il danaro
pubblico sarà speso per fini costruttivi e non per costruire
imperi ministeriali; un paese in cui i sindacati proteggono i diritti
di chi ne ha bisogno ma non cercano di imporre la loro volontà
a tutta la comunità con agitazioni selvagge ed irresponsabili;
un paese in cui il mercato del lavoro torni ad avere quella mobilità
che nello stesso tempo aiuta la produttività e soddisfa le
ambizioni personali; un paese le cui leggi favoriscono e non ostacolano
la creazione di nuova ricchezza e si pensa a produrre prima che a
distribuire; un paese che tutela con ogni mezzo i suoi cittadini contro
la criminalità ed il terrorismo, insomma un paese in cui i
cittadini possano tornare ad essere fieri di se stessi".
Da qualche parte, e naturalmente da quella d'opposizione, si è
detto che si trattava di un campionario di retorica. Senonché,
a parte il fatto che ogni enunciazione finalistica rischia questo
pericolo fino a quando non si traduce in proposizioni più concrete
e che trovino sbocchi in una metodologia e strumentazione idonee e
conformi, le applicazioni che di questi principii si sono avute ed
i risultati che ne sono derivati, oltre a riguardare le privatizzazioni,
delle quali prima si è detto, si sono riflessi nella ripresa
produttiva, nell'andamento stesso dell'occupazione - punto di forza
dell'opposizione laburista - nelle tendenze dei mercati finanziari,
ecc. E' da notare che in quest'ultimo campo i conservatori non hanno
mancato e non mancano di attuare una politica di interventi normativi,
nella convinzione che essi siano più decisivi di quelli perseguibili
direttamente con la gestione. Rientrano in questo campo la proposta
riforma della legge bancaria, quella sulla regolamentazione del Lloyd's,
ecc.
Non sostanzialmente diverse sono le posizioni che oggi si registrano
nella condotta governativa della Francia, ispirata ad una strategia
economica di privatizzazione (Chirac-Balladur), che qualcuno dice
sia il dato saliente del nuovo corso francese, che può vantare
il sostegno dei mercati finanziari oltre che di larghi strati dell'opinione
pubblica. Queste scelte determinano naturalmente le resistenze del
l'opposizione, ma, come si verifica anche in Gran Bretagna, servono
a ridurre il massimalismo di esse con il ripiegamento delle istanze
nazionalizzatrici che prima l'avevano caratterizzata.
E veniamo alla Germania Federale, nella quale anche le ultime risultanze
elettorali hanno confermato indirizzi politici diretti ad una maggiore
attenzione ai principii dell'ordinamento dell'economia di mercato,
ad una limitazione della preponderanza sindacale, allo sgravio fiscale
per l'industria privata, all'allargamento dello spazio di libertà
dei singoli e così via. A spingere maggiormente in questa direzione
sono, come è ovvio, i liberali, ma è chiaro che costituendo
essi il partito chiave per l'alleanza di Governo la loro capacità
trainante e contrattuale è decisiva per il consolidamento di
questi indirizzi. La situazione economica germanica, nella quale queste
premesse strategiche e queste propensioni confluiscono, continua intanto
a segnare bel tempo, come conferma anche l'ultimo rapporto congiunto
degli istituti di ricerca economica tedeschi, che è ottimista
sia in sede di consuntivo 1986 sia con riguardo alla prospettiva 1987.
Spostando lo sguardo oltre l'Atlantico, i principii di fondo fin qui
richiamati non denotano sostanziali variazioni, e difatti quella realtà
ci mostra un ridotto numero di aziende pubbliche, gli indirizzi di
smobilizzo di cui prima abbiamo detto, la puntualizzazione degli interventi,
spesso anche rigorosi, nel contesto nel quale attività produttive,
di scambio, finanziarie si svolgono. Con queste ispirazioni vi è
il noto finalismo reaganiano, con il credito maggiore che esso ha
avuto in determinate fasi ed in opposto con le riserve che esso ha
suscitato nei momenti meno felici dell'attuale Casa Bianca. I grossi
problemi che sono oggi dinanzi agli USA concernono, in materia economica,
la riduzione del disavanzo, la politica fiscale nelle sue possibili
attenuazioni, ma anche nei suoi eventuali inasprimenti per evitare
di porre limiti sulla crescita della spesa federale, i rigurgiti protezionistici,
ecc. Ma il modo di risolvere questo complesso di gravosi problemi
non vuoi incidere sulle attività produttive e sulla libertà
di intrapresa, il cui concorso è invece stimolato e ritenuto
condizione del buon fine di questa programmazione. In questa luce
va interpretata anche la messa in bilancio di 14,1 miliardi di dollari
di vendita di liquidazione di beni federali.
Anche al libero mercato punta il partito democratico, come già
cominciano a sottolineare i suoi possibili candidati alla Casa Bianca
'88. Naturalmente questo obiettivo è abbastanza vago, per cui
è probabile che largo posto avranno nella prossima competizione
elettorale statunitense le analisi dei significati e dei contenuti
di queste terminologie che sono idee forza per tutti. Prima ciò
avveniva principalmente nel campo delle politiche estere, ora comincia
ad essere comune denominatore di molti linguaggi economici. (E qui
non entriamo nell'esame del "nuovo" che viene dalla linea
sovietica Gorbaciov, che rinviamo ad altra occasione).
Che si può concludere, dunque, a questo riguardo?
Commentano molti economisti italiani (e ne ricaviamo gli spunti fra
l'altro da un convegno che ad iniziativa della piccola industria ha
avuto luogo nelle scorse settimane a Bergamo con la partecipazione
dei professori Gianfranco Miglio, Giancarlo Mazzocchi, Domenico De
Masi, ecc.) che oggi:
- solo un sistema economico sociale ed istituzionale aperto, orientato
nella sua globalità allo sviluppo e pertanto competitivo, può
permettere il fiorire ed il crescere delle imprese. E queste devono
essere dotate di una maggiore capacità di resistenza alle influenze
del prepotere pubblico ed alla soggezione del potere politico;
- nell'era del tecno-mercato e della rivoluzione elettronica l'individuoimprenditore,
più che l'impresa, riacquista un suo ruolo centrale in un mondo
nel quale le strategie neo-liberiste di riduzione del ruolo dello
Stato appaiono come sintomi di una profonda trasformazione produttiva
e sociale;
- i privilegi dello Stato assistenziale ed i profitti dell'economia
di mercato non potranno più convivere;
- le scelte obbligate restano pertanto legate o ad una preponderanza
del potere politico (e si sa quanto questa abbia dato o non dato)
od allo sviluppo dell'economia di mercato;
- la rivoluzione tecnologica non si potrà né rallentare,
né bloccare, specie se provocherà profonde alterazioni
nella distribuzione del mercato del lavoro (il che è da mettere
senz'altro nel conto), con divieti legislativi o disincentivi economici,
né è possibile suddividere artificialmente fra più
persone il lavoro di una sola.
Ne discende il grosso dilemma del rapporto fra Stato e mercato, che
è oggi più che mai determinante in tutti i sistemi ed
in tutte le comunità. Politici ed economisti sono oggi e saranno
ancora più chiamati nel prossimo futuro non solo ad alimentare
questa dialettica, a scrutare nel fondo il valore delle esperienze
compiute e dei limiti che esse hanno indicato, a definire non solo
tendenze, ma anche ad anticiparne altre, nel confronto e nel dibattito.
Purtroppo, però, la politica opera più che altro sul
contingente e sulla base dell'opportunità e la scienza è
più pronta nell'illustrare il contro che non a circostanziare
il pro. Pur con queste deficienze e questi attriti la ricerca è
ora puntata sull'equilibrio.
Alcuni progressisti ritengono ancora, per onore di bandiera, che il
pubblico è sempre bello ed il privato sempre brutto. In opposto,
molti conservatori della vecchia maniera pensano che il pubblico sia
sempre brutto ed il privato sempre bello. la realtà è
che bisogna intendere in una maniera nuova sia il pubblico che il
privato.
Il pubblico, anche perché pubblico, e per i gravami collettivi
che comporta, deve essere posto maggiormente sotto controllo, fra
l'altro tagliandogli le unghie quando è possibile, come molti
dicono. E' però da tenere presente che ci sono attività
pubbliche di regolamentazione ed anche di iniziativa che sono da tempo
necessarie (ed a rilevarlo era anche e perfino Adorno Smith) e che
non possono essere eluse, soprattutto da uno Stato che voglia qualificarsi
con l'aggettivo (più che moderno) avanzato. Il Duemila infatti
ci dovrà dare un nuovo tipo di Stato, in cui ricerca, efficienza,
ecologia, certi aspetti dell'attività bancaria e finanziaria
dovranno costituire la tematica centrale, con un bagaglio ideologico
e pratico che, avendo fatto il proprio tempo, dovrà essere
necessariamente posto in soffitta e comunque ridimensionato.
Ma che cosa di principii, di fatti, di excursus storico ci lasciamo,
o meglio ci stiamo lasciando alle spalle o stiamo profondamente ripensando?
Libertà.
iniziativa e controllo
l'aspetto storico è stato così definito a suo tempo
da P. Samuelson: "Nella maggior parte dei Paesi, man mano che
si sono indebolite le condizioni feudali e preindustriali e che si
è consolidato il regime, detto abbastanza vagamente libera
iniziativa privata o capitalismo concorrenziale, si è andata
progressivamente affermando negli ultimi secoli una tendenza all'abrogazione
dei controlli esercitati dai pubblici poteri. Tuttavia molto prima
che questa tendenza abbia portato ad una situazione di lasciar fare
(astenendosi il Governo da ogni ingerenza negli affari) la corrente
ha cominciato ad invertirsi... Ci limiteremo a constatare che il nostro
regime economico è un sistema di libera iniziativa mista, in
cui il controllo economico è esercitato simultaneamente da
istituti pubblici e privati". Ripeteremo ancora una volta che
questo è il quadro storico dei decenni che ci sono alle spalle,
mentre esso - come si è visto - oggi si è e si viene
differentemente caratterizzando.
Sempre nel passato questi interventi pubblici si sono qualificati
e, quando sopravvivono, tuttora si caratterizzano con modalità
e giustificazioni che sono definite di emancipazione nei confronti
del mercato, con tutti gli squilibri che ne derivano e che si riflettono
sulle stesse effettive capacità degli interventi stessi. Commenta
al riguardo Jean Marchal: "i poteri pubblici apportano dei mezzi
di azione che trascendono il diritto comune e grazie ai quali l'esercizio
pubblico potrà sottrarsi, totalmente o parzialmente, alle leggi
del mercato. Per procurarsi i fattori di produzione che gli sono necessari,
l'esercizio pubblico può infatti ricorrere a procedimenti del
tutto diversi da quelli che si sono incontrati finora". Ne è
conseguito pertanto che ad esempio il finanziamento può essere
garantito, più facilmente e spesso in forme privilegiate che
nelle imprese private, dagli strumenti del diritto pubblico, attraverso
sovvenzioni di bilancio, appoggio del Tesoro, ricorso all'Istituto
di emissione e così via. Per quanto in particolare attiene
alla situazione italiana, i punti maggiori di riferimento sono nel
complesso così riassumibili:
- motivazione del sorgere di alcune strutture produttive a carattere
pubblico, come di servizi con la stessa caratterizzazione, è
stata la necessitò di garantire un adeguato sostegno a specifiche
attività di interesse generale e strategico, da cui è
derivato con la creazione di imprese pubbliche il loro inserimento
nella sfera del diritto pubblico. Un esempio al riguardo, contrariamente
alla prima guerra mondiale, è costituito dall'Azienda autonoma
delle Ferrovie dello Stato (1905), di cui gli assetti intervenuti
in quest'ultimissimo periodo hanno accentuato il carattere imprenditoriale,
con lo sforzo di ristabilire al più alto livello possibile
l'equilibrio fra costi e ricavi, a parte il peso di attribuzioni sociali
che tende a diminuire nella nuova ottica di gestione.
Un altro esempio fondato su questa motivazione è quello che
concerne l'ente nazionale per l'energia elettrica (1962). Secondo
la lettera della legge istitutiva (6 dicembre 1962, n. 1643) a detto
ente è stato trasferito l'esercizio delle imprese produttrici
di energia elettrica nazionalizzate, con l'esclusione delle imprese
autoproduttrici e di quelle municipalizzate, al fine di mettere a
disposizione del Paese energia in quantità adeguata a costo
minimo. L'ENEL esercita in condizioni di monopolio le attività
di produzione, trasporto, trasformazione, distribuzione sul territorio
nazionale, esplicando anche attività di ricerca ed essendo
vincolato per le tariffe alle determinazioni del CIP. E' da rilevare
a questo specifico riguardo che il confronto fra il finalismo perseguito
inizialmente dai propugnatori dello sbocco della nazionalizzazione
e le risultanze conseguite ha condotto ad un sostanziale ridimensionamento
della validità delle motivazioni di partenza, varie delle quali
poi sono state e sono ritenute diversamente ed anche più proficuamente
conseguibili.
- Altre strutture pubbliche traggono invece la loro origine dai rapporti
fra attività industriale e sistema creditizio. Sempre nel nostro
Paese, dopo l'esperienza del Credito Mobiliare e della Banca Generale
culminata nella crisi bancaria del 1984, si è affermato il
modello tedesco operante nel contempo nel settore creditizio ordinario
e del finanziamento industriale a lungo e medio termine. Le obiezioni
opposte a tale impostazione dovevano trovare conferma negli effetti
determinati dalla sopravveniente situazione di guerra sull'andamento
produttivo e sulla stessa tenuta del relativi fattori, diretti ed
indiretti.
Pertanto le difficoltà del primo dopoguerra, di cui è
anche testimonianza nel 1921 la crisi della Banca Italiana di Sconto,
condussero all'istituzione nel 1921 del Consorzio per sovvenzioni
su valori industriali, dell'Istituto di liquidazioni (1926), dell'Istituto
Mobiliare Italiano (IMI, 1931), dell'Istituto per la Ricostruzione
Industriale (IRI, 1933), poi organizzato in forma permanente dal 1938,
come vedremo più oltre.
Come risulta da questa esemplificazione, gli interventi pubblici di
nostro interesse hanno avuto una duplice causale: una provocata da
esigenze effettive di attivazione di sistemi globali di servizi, come
è il caso del trasporti ferroviari, cui si sono affiancate,
come è il caso dell'energia elettrica, propensioni di natura
nettamente politica; l'altra determinata da necessità di riequilibrio
non diversamente conseguibili in un determinato momento storico, come
è il caso dell'IRI.
Le strade dell'equilibrio
nuovo
Premessa di questa specifica struttura è la legge bancaria
del 1936, che ha segnato il superamento definitivo dell'esperienza
della banca mista. Ne sono derivate quindi la figura dell'ente di
gestione, la finanziaria di settore, l'impresa a partecipazione statale,
che come è noto è impresa di diritto privato, ma è
parte di un sistema soggetto a speciali garanzie di diritto pubblico.
E' questa certamente la manifestazione maggiore dello Stato imprenditore,
dotata di un'anagrafe di cui abbiamo ricordato tratti ed origini,
ed oggi di una strategia che, come prima si è sottolineato,
acquista diverse tonalità, riveste diversi interessi, annuncia
diversi destini da quelli che si potevano intravvedere alle origini.
Un altro importante nucleo di intervento è poi quello delle
fonti energetiche, in aggiunta al comparto elettrico, e si tratta
dell'Azienda generale italiana Petroli che risale al 1926, e quindi
dell'Azienda nazionale idrogenazione combustibili (ANIC, 1936).
Interviene poi nel 1953 l'ENI, con lo scopo di promuovere nuove iniziative
e di riorganizzare l'attività delle aziende statali nei settori
minerario e petrolchimico. Successivamente è intervenuta un'estensione
dell'Ente anche ai settori nucleare, meccanico, e delle fibre tessili
artificiali. IRI ed ENI sono poi divenuti nel corso del tempo due
fra le più potenti holdings del capitale europeo.
Una maggiore determinazione di compiti si è poi venuta succedendo
nel corso degli inizi degli anni '70, fra l'altro per il rafforzamento
dei settori tecnologicamente più avanzati, per la maggiore
e mirata dinamica della ricerca scientifica, per la lotta alla disoccupazione,
per lo sviluppo dei consumi sociali, per il risanamento della bilancia
dei pagamenti, per il rilancio della produttività dell'intero
sistema economico, con riguardo soprattutto in quest'ultima fase anche
al Mezzogiorno.
E' da rilevare tuttavia che le suggestioni dell'uso indiscriminato
delle partecipazioni statali, associato alle promesse non mantenute
della programmazione (di una programmazione che cioè non è
mai seriamente decollata e che per quanto concerne il Mezzogiorno
ha proceduto con i noti assaggi, spesso contraddittori) ha provocato
distorsioni nel funzionamento di queste gestioni. Fra queste distorsioni
rilevanti sono state quelle concernenti l'oscillazione fra indiscutibili
esigenze di economicità ed utilità generale, lunghezze
dei tempi di procedura per l'approvazione degli impegni di spesa,
i disavanzi di gestione che si sono avuti soprattutto in taluni comparti,
la preponderanza non sempre contenuta ma quasi funzionale in determinati
apparati soprattutto delle preoccupazioni ed ipoteche di carattere
politico e spesso pure partitico, ecc. Di qui i processi revisionistici
che sono in atto e che incontrano sfumature diverse e sbocchi pur
essi diversi, che vanno dalle soluzioni radicali a quelle della riforma
dei sistema, in forza di una sua maggiore vocazione al concreto esercizio
di razionalizzazione. Politica ed economia sono così ancora
una volta a confronto, per un'evoluzione che è certamente in
atto, ma ha innanzi a sé tempi graduali di maturazione e di
ripristino di leggi economiche, intese alla luce di oggi: con l'apporto
e le spinte forniti dalle esperienze, dagli errori compiuti, dalla
coscienza di quanto realmente ed utilmente si può chiedere
ad uno Stato moderno.
La terza via
Oggi come oggi, la sostituzione del pubblico al privato è totale
nell'Unione Sovietica e registra una posizione nettamente inversa
in Paesi come gli Usa, nei quali la libertà d'azione dell'iniziativa
privata è quasi completa. Anche in questa materia vi è
una terza via, praticata in forma sempre più convinta dai Paesi
maggiormente industrializzati, con scelte di fondo che intendono in
maniera nuova il perseguimento dell'interesse generale e si alleggeriscono
di quella parte produttiva che non è utile continuare a mantenere
nell'area pubblica. Ne deriva pertanto tutta una serie di aggiustamenti
che saremo sempre più abituati a rinvenire nelle cronache economiche
dei prossimi anni. E questa appare una tendenza sicuramente irreversibile.
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