§ PREVISIONI

Ma l'economia italiana puņ crescere ancora




Antonio Pedone



Il rallentamento della crescita produttiva e del commercio internazionale comincia a far sentire i suoi effetti anche sulla nostra economia, e richiede risposte di politica economica adeguate e tempestive, i cui primi cenni sono stati inizialmente limitati alla gestione del cambio della lira. Quest'anno, la crescita della produzione mondiale sarà piuttosto modesta, continuando, per il quarto anno consecutivo, nella ininterrotta discesa iniziata dopo l'impennata del 1984. Il rafforzamento della crescita, atteso invano lo scorso anno fidando sugli effetti espansivi che avrebbe potuto avere il ribasso del prezzo del petrolio, è rinviato, senza troppo fondamento, al 1988. Che si tratti di una speranza lontana e molto incerta è provato dal fatto che le più recenti stime indicano anche per l'88 un ulteriore rallentamento della crescita produttiva nei sette maggiori Paesi industrializzati, che dovrebbe essere più che compensata da una più rapida e auspicata crescita nei Paesi in via di sviluppo.
Inoltre, stando alle previsioni e ai programmi formulati dai governi dei maggiori Paesi industriali, la domanda interna dovrebbe subire nel 1987 un rallentamento ancora maggiore, passando da una crescita del 3,6% nello scorso anno a una del 2,5% quest'anno. E' da notare, a questo proposito, un andamento in controtendenza dell'Inghilterra, e soprattutto dell'Italia, per la quale è previsto un tasso di aumento di oltre il 4%, che è il più alto tra quelli di tutti i Paesi industrializzati e che, se non gestito con molta accortezza e abilità, potrebbe dar luogo ad alcuni seri problemi, cui accenneremo più innanzi.
In corrispondenza di questo rallentamento della crescita, anche il volume del commercio mondiale nell'87 subirò una frenata, che potrò essere brusca se prevarranno le pressioni per adottare misure protezionistiche. Anche in assenza di queste ultime, il volume delle importazioni del Paesi industriali si espanderà ad un tasso (4%) pari a meno della metà di quello dello scorso anno e a un terzo di quello dell'84.
Se queste previsioni, condivise da molti e da alcuni ritenute magari ottimistiche, dovessero realizzarsi, si porrebbero alcuni problemi per il consolidamento del processo di sviluppo avviato negli ultimi anni in Italia.
La nostra è infatti un'economia aperta, e le sue prospettive di crescita economica sono strettamente legate all'evoluzione del commercio mondiale e alla capacità della politica economica interna di creare le condizioni per lo sfruttamento delle occasioni favorevoli offerte dalla situazione internazionale e per il superamento delle difficoltà che essa presenta, come è accaduto negli anni scorsi.
Già nell'86 si sono manifestati alcuni segni premonitori di un qualche peggioramento del nostri scambi con l'estero, nonostante il risultato largamente positivo del saldo in lire dei conti con l'estero. Ma il considerevole avanzo registrato nel 1986 è da attribuire soprattutto all'eccezionale, irripetibile miglioramento delle ragioni di scambio, cioè alla forte diminuzione dei prezzi delle merci importate rispetto a quelli delle merci esportate. In termini reali, il rapporto in quantità tra esportazioni e importazioni è peggiorato già nello scorso anno; e tale peggioramento tende a proseguire per effetto del rallentamento della domanda mondiale e della perdita di competitività.
Riaffiora così, sia pure in prospettiva, un vincolo estero alla nostra crescita economica. Questo vincolo diviene più preoccupante nel momento in cui l'Italia è più impegnata e determinata a proseguire nel processo d'integrazione finanziaria e liberalizzazione valutaria; non tanto perché la liberalizzazione graduale prevista possa comportare massicci e continui deflussi di capitali (anzi, nelle presenti circostanze, potrebbe anche indurre afflussi netti), quanto perché il riapparire del vincolo estero potrebbe essere speciosamente indicato come un sintomo di inferiorità strutturale della nostra economia, che non ci consentirebbe di porci al passo delle altre maggiori economie europee.
Piuttosto che usarlo contro il processo di internazionalizzazione della nostra economia, il vincolo estero va rimosso o allentato con appropriate misure di politica economica. Accanto a una gestione del cambio non lassista ma più attenta al mantenimento della competitività delle produzioni nazionali, che si è perseguito di recente, occorrerebbe adottare misure per tener sotto controllo il livello e la composizione della domanda interna.
Un sostegno agli investimenti, che sembrano in fase di rallentamento, potrebbe venire da una riduzione del costo del denaro. Ma a questa riduzione dovrebbe accompagnarsi un contenimento dell'espansione delle spese di consumo, oggi favorita invece dall'accelerazione delle erogazioni di molte spese pubbliche e dal venir meno delle aspettative di ulteriore discesa dell'inflazione. Solo con un controllo stretto dell'andamento del consumi, con una gestione accorta ma non penalizzante del tasso di cambio e con un sostegno coraggioso degli investimenti si potrà evitare che il boom italiano così faticosamente riavviato negli anni scorsi si sgonfi di nuovo.


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