§ PREVISIONI

Recessione in vista




Guido Carli



Nel corso dell'ultimo quadriennio, il tasso di sviluppo dell'economia, dopo il ristagno del primi anni '80, è stato condotto in prossimità del 3% annuo. L'inflazione, che oscillava fra il 15% e il 20% annuo, è stata abbassata senza soluzione di continuità fino a conseguire l'obiettivo del 6% nell'86. La crescita del fabbisogno statale è stata contenuta nei limiti degli obiettivi; il rapporto fra debito statale e prodotto interno lordo è aumentato senza soste e si suppone che continuerà a crescere fino alla fine del decennio.
Questi risultati sono stati ottenuti mentre le imprese manifatturiere aumentavano l'investimento produttivo in termini reali, accrescevano di poco le quantità prodotte, aumentavano la produzione per addetto, diminuivano l'occupazione. L'espansione dell'attività nel settore dei servizi ha assorbito inizialmente l'offerta di lavoro. Il numero del disoccupati è aumentato, specialmente tra le donne e più a Sud che a Nord. Si estende l'area della "nuova povertà". La qualità del servizi nel settore pubblico, dall'istruzione alla sanità, non è migliorata; nella convinzione della maggioranza dei cittadini, è peggiorata.
Si pone oggi il problema delle cose da fare in condizioni influenzate da una congiuntura internazionale sulla quale si sono infittite le ombre. Circa un anno fa, affermai che la contrazione in termini di volume del disavanzo commerciale degli Stati Uniti, la perdita di potere di acquisto dei Paesi esportatori di petrolio, il peso del debito esterno incombente sui Paesi in corso di sviluppo e specialmente su quelli dell'America Latina, costretti ad acquisire avanzi di bilancia commerciale da destinare al servizio del debito, avrebbero innescato un processo recessivo e che le politiche più espansive del Giappone e della Germania avrebbero esercitato un effetto di correzione insufficiente.
Questa visione fu contraddetta da più parti e i previsori ufficiali nelle sedi internazionali e in quelle nazionali seguitarono ad annunciare progressi vistosi nella crescita economica nell'87. In periodo più recente hanno cominciato a rivedere le previsioni di settimana in settimana e sempre verso il basso. Un diffuso settimanale americano ha pubblicato un articolo nel quale si evoca lo spettro della grande depressione degli anni '30 e si conclude che gli Stati Uniti ne uscirono non per causa della politica di rilancio del presidente Roosevelt, ma per causa degli impulsi destati dalla seconda guerra mondiale.
Previsioni così fosche sono la conseguenza dello sconforto suscitato dall'eccesso di ottimismo al quale i più avevano ceduto. è certo però che nel decidere intorno al futuro della nostra economia non si potrà non valutare l'incidenza che su di essa avrà una congiuntura mondiale contraddistinta da contraddizioni che giustificano pessimismo e incertezze.
Fra i compiti dell'attuale legislatura si situa quello di adeguare gli ordinamenti in materia di industria, di commercio, di banche, al compimento di un mercato europeo liberato dalle barriere che ancora oggi proteggono alcuni settori; sia sufficiente ricordare quelli che più di altri dipendono dalle forniture al settore pubblico. Infine, si dovranno prendere determinazioni in materia di politica energetica, essendo certo che lo squilibrio energetico continuerà ad avere una parte di rilievo nei conti con l'estero e, in assenza di politiche che diminuiscano il livello di dipendenza dall'estero, restringerà i gradi di libertà nel perseguimento degli obiettivi di crescita del sistema economico.
Fra le questioni che più direttamente interessano la stabilità della società e lo stesso progresso sociale e che dovranno essere risolte, si colloca ai primi posti l'indipendenza dei giudici. Non posso non ricordare in proposito la sentenza seguente di David Hume che mi accadde di leggere anni addietro: "Tutto il nostro sistema politico e giuridico, e ciascuno degli organi suoi, l'esercito, la flotta, le due Camere, tutto ciò non è che il mezzo ad un solo ed unico fine, la conservazione e la libertà dei dodici grandi giudici d'Inghilterra".
Ammetto che il potere giudiziario si è ingerito nel potere esecutivo e in più di un caso ha rallentato l'esecuzione di opere pubbliche e più in generale il disbrigo degli affari con danno per l'economia. Ma credo - l'esperienza storica ne offre innumerevoli conferme - che quando il potere esecutivo si ingerisce nel potere giudiziario, la società si deprava e gli uomini diventano o servi o ribelli. Oggi più che mai i valori morali hanno peso maggiore. Lo si avverte non solo da noi, ma un po' dappertutto.
In sostegno di questa tesi, cito il caso dei giudice del Texas che ha condannato la terza compagnia petrolifera in ordine di grandezza degli Stati Uniti a un risarcimento di danni di importo così ingente da costringere questa compagnia a chiedere l'amministrazione controllata. La sanzione inflitta dal giudice deriva dall'azione commessa da quest'ultima al fine di estromettere un concorrente da un contratto perfezionato verbalmente nei dettagli, ma non consacrato formalmente nei documenti. La sentenza è stata confermata in appello e io credo che in essa si debba riscontrare la volontà di tutelare un principio sul quale si fonda una società degna di rispetto, e cioè che gli impegni si adempiono quand'anche la loro definizione si basi esclusivamente sulla parola.

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