§ BOTTEGA DELLE SPEZIERIE

Violini verdi & disarmonie




Antonio Verri



E' Cosimo Leonardo Colazzo il secondo degli autori salentini su cui puntare, e che "Sudpuglia" ospita. Il primo è stato Totò Toma, seguiranno Conversano, Vadacca, Tolledi, altri. Vi possiamo assicurare: in loro non c'è niente di eroico. Anzi! E' per questo che ci contiamo, è anche per questo, o soprattutto per questo. Va così bene in riga il mondo ed è tanto avaro di guizzi, di disperazioni, che proprio non ci sentivamo di propinarvi poeti d'acciaio, scatolette domenicali, santoni cotti che mai hanno offerto gioventù, mai squinternati violini verdi o neve paglierina o mucche sul tetto, mai tesissime o dolorosissime antenne. Mai. (Questo non vi piace? Tutto questo non vi aggrada? Beh, prendetevela col direttore di questa rivista. E' lui che ha voluto l'inchiesta, questa eccessiva inchiesta!). Noi continuiamo. Cosimo Colazzo è un musicista, compositore soprattutto, ma anche direttore d'orchestra e buon interprete (e tutto a meno di ventiquattr'anni). D'arroganza non se ne por a, Cosimo è di una mitezza a dir poco disarmante. Poche volte l'abbiamo visto infuriato: davanti aveva una tastiera che sbatteva dio solo sa come e alla quale chiedeva delle ragioni che noi, anche se perfettamente profani, abbiamo subito condiviso.
Sapete di quel fascino particolare che di solito avvolge giovani e spericolati musicisti o poeti il più delle volte saltimbanchi? E sapete di quella foga non comune, di una matita che abbozza furiosamente, di una lentezza insostenibile, incontenibile. E sapete di quella disattenzione creatrice, di quelle distrazioni a volte goffe, a volte irreparabili, o di quei momenti in cui una testa e una bocca mostruosa e gli occhi fissi, vitrei, ti fanno assomigliare a un pesce-frate o a una rana pescatrice? E sapete di quell'assoluto continuo, di quella voracità che appiana suoni e segni, di quelle vite che si sprecano in una sola direzione?
Beh, tutto questo, e anche altro, è Cosimo Leonardo Colazzo. Non sappiamo se anche autore di magiche tiritere, di dolcissime nenie, certamente di percorsi stranamente modulati, disarmonici, superbamente narrativi (provate, una volta eseguito, ad ascoltare il primo testo che qui pubblichiamo, quello per solo clarinetto. Vi proponiamo una nostra lettura: un viaggio, un viaggio tormentato e poetico; in cinque-sei minuti di esecuzione c'è tutto, c'è l'incertezza della strada, i tormenti, le variazioni di percorso, e poi ancora gli incontri più strani, la stanchezza, la monotonia, la noia, la volontà di andare, cercare ... ).
Il poeta va, chissà quali zattere, chissà che maestose triremi. Dentro c'è tutto: l'Ulisse scaltro e disperato, sirene, chimere, la mappa segreta, l'eldorado, l'albero d'oro, e perché no, anche un po' di misoginia, tristezza galoppante, voglia di sé, eccetera.
"Ogni parola è una parola fascista" diceva Roland Barthes, e allora non ci resta che urtare, rompere la gabbia, la griglia dei linguaggi, provocare esplosioni (forse col rischio di creare nuovi simboli): una parola nuova, un segno nuovo, un suono nuovo, quando arrivano, fanno tremare, qualcuno dice, la connessione delle ideologie, della barbarie, quell'impero di codici e dogmi che dominano e terrorizzano le nostre povere vite!
Parlavamo di fascino. Roberto Maragliano presentando "Guida alla musica" (Editori Riuniti, 1986) di Salvatore Colazzo, fratello del Nostro (ha pure un padre che insegna al Conservatorio di Lecce, e una madre dolcissima che sa scodellare pietanze povere e divine), così cita da Rodolfo Celletti: " ... Sentivo parlare di cadenze d'inganno, bassi cifrati, moti obliqui. Se qualcuno diceva 'tritono', subito un altro esclamava 'Diabolus in musica'. Di qui l'idea che i musicisti fossero negromanti ai cui esorcismi le triadi e le quadriadi assumevano l'aspetto di luminose costellazioni e le progressioni modulanti spiccavano il volo lento e ondulato di grandi uccelli bilanciati sulle ali spiegate". Sortilegi, allora. Sortilegi, fascino, amore per le avventure della mente, trasgressioni, disponibilità, è questa la carta di identità di questo nostro giovane conterraneo che intanto insegna in Conservatori di mezza Italia o gira per esecuzioni, corsi, seminari, nuove esperienze.
Ecco, è questo, grosso modo, il secondo ospite di "Sudpuglia", con la sua freschezza, i suoi guizzi, i suoi sortilegi. Ci viene voglia, però, di sentirlo un po', visto che ha anche sue precise e decise idee sulla situazione della musica d'avanguardia nel Salento, e visto il suo amore per questa terra; di sentirlo un po', di fare un po' con lui il punto di quel che ci riguarda, di quel che lo riguarda.

Qual è, secondo te, la realtà della musica e della musica d'avanguardia nel Salento?

Ti dirò, di occasioni per fare musica d'avanguardia esistono in diversi posti, anche in posti eccentrici geograficamente e carenti di strutture in cui si posso praticare la cultura. Lecce ha da qualche decennio il suo Ateneo, possiede un Conservatorio, ha un'editoria in grosso espansione, un'Orchestra Sinfonica iperfinanziata dalla Provincia e dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo, diverse associazioni che organizzano stagioni concertistiche di buon livello, (come quella della Camerata Musicale Salentina), eppure, per chi abbia deciso di fare ricerca e sperimentazione nel campo della composizione musicale, Lecce è una città che non riserva occasioni fertili.

Certamente saprai che da dicembre '86 esiste un'Associazione che vuole soprattutto diffondere la musica d'avanguardia del Salento.

Il fatto che si sia riusciti a coagulare molte forze attorno ad un progetto, qualsiasi esso sia, che riguarda la musica d'avanguardia va valutato con interesse. C'è da chiedersi, però, se esiste già nel Salento una cultura della musica contemporanea, sia a livello produttivo che a livello di fruizione. Creare un interesse intorno alla musica contemporanea salentina può ingenerare grossi equivoci, perché esso non è la musica d'avanguardia tout-court, ma della musica d'avanguardia è esperienza periferica, talmente lontano dal nucleo da non influenzarlo in alcun modo. Divulgare la musica contemporanea nel Salento, le motivazioni e le realizzazioni più interessanti, questo dovrebbe essere il compito dell'operatore musicale, compito a cui ci siamo sottratti, vuoi per poca competenza vuoi perché si è egoisticamente pensato di impegnare le proprie risorse in altre imprese. Sarebbe bello divulgare non la musica d'avanguardia del Salento, né solo la musica d'avanguardia nel Salento, ma un modo nuovo di vivere la musica nuova, dal Salento verso la "periferia".

Ma è questione di Salento o di carenze istituzionali che non sono solo del Salento?

Fai bene ad introdurre il problema delle carenze istituzionali. Una realtà ovunque deprimente è quella del Conservatorio. L'insegnamento della Composizione è in genere fondato su metodi e orientato verso contenuti talmente antiquati che esso non può essere funzionale a qualsivoglia esperienza compositiva odierno, quella inquadrabile nell'ambito della musica colto contemporanea come quella riferibile alla musica di consumo. Cioè, sia chi desidera fare sperimentazione sia chi si dedica alla musica funzionale, non può pensare, oggi, che la scuola gli fornisca i mezzi per esprimersi ... Saranno problemi tecnici, però è il caso di parlarne. I corsi tradizionali di Composizione trasmettono una prassi compositiva arbitraria che non ha corrispettivi nella letteratura musicale di nessun periodo e che ha invece il proprio correlativa in una precettistica sorto parassitariamente a partire dal XVIII secolo. Così quest'accademia, fondato sull'equivoco che la grammatica tonale (una grammatica che oggi non si richiede vengo messo in opera, neanche al livello della musica applicato) non costituisca semplicemente una utile astrazione dei linguaggio tonale ma sia capace di dare ragiorie di tutte le esperienze inscrivibili in qualche modo in questo campo, forma i propri quadri, perpetua inesorabilmente se stessa, e, ciò che è peggio, diffonde al livello del senso comune un'idea dell'arte d'avanguardia come esperienza anarcoide, volontariamente chiusa in se stessa, che nasconde un vuoto sostanziale. I pochi corsi di Nuova didattica della composizione sorti da quindici anni a questa parte avevano avviato un'interessantissima esperienza che avrebbe potuto portare ad una ridefinizione dei programmi e dei metodi delle scuole di Composizione, se non fosse stata ostacolato dalle istituzioni ufficiali. Difatti, il decreto ministeriale del 1971 con cui si dava il via alla sperimentazione di questi corsi prevedeva che ogni anno si riunisse un comitato di tecnici per verificare i risultati. Il Ministero ha preferito sottrarsi a quest'obbligo, con il risultato che oggi si è creato una netto frattura tra corsi tradizionali e corsi di Nuova didattica della composizione, senza nessuna osmosi. I nuovi corsi vanno diminuendo di numero perché sono boicottati ad ogni buono occasione, nonostante il fatto che la richiesta di essere ammessi a seguirli sia da parte degli studenti sovrabbondante rispetto alle attuali dotazioni di cattedre.

Ma questa novità ha riguardato anche noi?

La novità ha riguardato e continuo a riguardare soltanto pochissimi Conservatori del Centro-Nord. La Puglia non è stato affatto toccato dal dibattito di quest'ultimi anni intorno a queste problematiche, ed ha continuato indisturbata a produrre niente. I tre Conservatori di Lecce, Bari (con la sezione staccato di Monopoli), Foggia (con la sezione di Rodi Garganico), il Liceo Musicale di Taranto, tutti assieme non posseggono le cattedre di Composizione di cui si è dotato, per esempio, il Conservatorio di Parma. Ciò vuoi dire che la Puglia non solo non ha realizzato quelle poche possibilità di rinnovamento dell'insegnamento nel Conservatorio messe a disposizione dalle istituzioni ufficiali, ma, paradossalmente, non ha saputo neanche incarnare seriamente il ruolo che tradizionalmente è stato assegnato a questa scuola. Un'inerzia davvero irritante. Comunque io vedo già molti pronti a sbandierare il nome di Domenica Guaccero, a dire che Guaccero si è nutrito di cultura pugliese.

E Lecce?

Dal 1980, mi pare, da quando cioè Sergio Prodigo che la reggeva è passato a svolgere le funzioni di direttore del Conservatorio di Potenza, la Scuola di Composizione è affidato a supplenti temporanei che esercitano la propria attività per pochi mesi. Si è avuto un grande aumento delle Scuole di Pianoforte (come ovunque, d'altronde), ma a fronte di una realtà territoriale che richiede l'incremento di altre discipline, per la presenza di un'orchestra sinfonica (quella dell'Amministrazione Provinciale) che ha un'attività stabile e che necessito di un minimo di 25-30 esecutori di strumenti ad arco giunti ad un ragionevole grado di specializzazione, e di un'orchestra da camera (quella dell'Istituzione Concertistica Salentina), con un'attività saltuaria eppure non trascurabile perché coinvolge giovani studenti, che abbisogna di almeno 15 strumentisti ad arco. Dall'anno scorso è inattiva la cattedra di Esercitazioni Orchestrali.

A quanto pare la realtà delle orchestre è, a Lecce, in espansione.

Si tratto di un problema delicato. Mettiamo da parte l'Orchestra dell'Istituzione Concertistica Salentina e analizziamo la recita dell'Orchestra dell'Amministrazione Provinciale. Essa è stato riconosciuta Istituzione Concertistico-Orchestrale dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo nel 1983. Nel 1984 riceveva già un contributo statale di un miliardo e 200 milioni, superando il budget dell'Orchestra dell'Angelicum di Milano, attiva da decenni, dell'Orchestra Sinfonica di Bari, riconosciuta sin dal 1972, dell'Orchestra Regionale Toscano, che, riconosciuto nel 1983, si segnalava all'attenzione di tutti per Iniziative molto originali, della prestigiosa Orchestra da Camera di Padova. il contributo sfiorava poi quelli ricevuti da istituzioni come la "Haydn" di Trenta e Bolzano, la Sinfonica di San Remo, la Sinfonica Siciliana', la Sinfonica Abruzzese, la Sinfonica dell'Emilia Romagna, l'Orchestra del Pomeriggi Musicali di Milano, tutte consolidate per anni di intensa e dignitosa attività. Non so quale finanziamento abbia ricevuto negli anni successivi l'Orchestra dell'AmmInistrazione Provinciale, né interessa molto. Più che le cifre, pure significative, importa sapere chiaramente come si sia pervenuti alla definizione di questa realtà e come è stato gestita. A elargire I finanziamenti è la Commissione Centrale per la Musica del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Ebbene, in esso, come rappresentanti dei Direttori d'orchestra, vi sono stati, negli anni 1984/'85 (dopo non so), Franco Mannino e Carlo Vitale. Entrambi, cioè, erano, in quel contesto, gli esperti, i tecnici qualificati per "quantificare" il valore delle orchestre. Carlo Vitale era anche il gestore dell'Orchestra dell'Amministrazione Provinciale...

Ma torniamo per un attimo a Cosimo Leonardo Colazzo...

Io ho a che fare col Salento. Vi ho vissuto gran parte della mia vita. La mia formazione musicale ed extra-musicale è avvenuto qui. Solo molto tempo dopo aver deciso di fare della musica il centro della mio vita ho potuto avere contatti diretti con esperienze che si andavano conducendo altrove. Una borsa di studio mi ha permesso di proseguire e concludere gli studi a Roma. Qui ho potuto ascoltare molti concerti di musica contemporaneo, studiare concretamente partiture contemporanee che trovavo nelle librerie o nella Biblioteca del Conservatorio, trovare persone che condividessero le mie passioni. Dopo un po', quando avevo già lasciato Roma, ho incontrato Salvatore Sciarrino. Per me è stato molto importante poter lavorare con lui. Mi ha fornito la convinzione che bisogno conservare un'intenzionalità progettuale nello scrivere musica, che bisogno, nel progettare, curare i dettagli come le articolazioni più grandi, che un pezzo di musica è una rete di rapporti tra cosmi di diverso grandezza. Questo ha comportato una rifondazione del mio modo di scrivere e di studiare. Avevo assunto, da un certo momento in poi, dopo aver conosciuto la musica di certo avanguardia trasgressiva, un'idea particolare di materiale, come qualcosa che ha una suo personalità, una suo volontà, per cui interviene in modo sostanziale nell'atto compositivo. Secondo quest'idea un pezzo è il risultato di un processo, un brano nel senso letterale del termine di un procedimento ininterrotto di proliferazione che il compositore può solo avviare e delimitare. Il comporre musicale è, invece, un'operazione decisamente più complessa. Se si vuole definire il materiale come altro da una materia sonora data, fisica, se lo si vuole delimitare ad un livello diverso, superiore rispetto alla mero materialità della notazione musicale, allora il materiale contiene in sé un germe che lo fa assurgere verso dimensioni lontane dalla "materialità". Verso le dimensioni del pensiero.

Anche se sono scelte di carattere tecnico, puoi chiarire per i lettori di "Sudpuglia" i tuoi modi di operare?

Da un certo momento in poi ho deciso di abbandonare gli automatismi compositivi. Questo fatto ha avuto un riflesso non tanto nella "sonorità" del miei pezzi, perché non ho mai avuto la vocazione (tanto per citare qualche tipo del "modernismo" radicale) per la frantumazione del discorso musicale in punti né il feticismo della dissonanza né ho mai sofferto di sensi di colpa per avere immesso materiale storicamente connotato nei miei lavori (semmai oggi sono più attento all'uso di passato e presente, ai valori e alle funzioni che questi materiali possono incarnare per me che scrivo e per chi ascolta) quanto per l'atteggiamento che ho assunto di fronte all'opera. Ora riesco a figurarmi come soggetto che può operare delle scelte e a pensare l'opera come frutto di un atto volontario. La forma di un pezzo non è allora il risultato quasi indifferente di un processo. Il materiale definito da processi anche automatici può essere la base per precise scelte di articolazione formale, le quali esigono, per poter funzionare, che il materiale individuato vengo modellato senza imbarazzi ideologici, secondo la mia volontà, limitata soltanto dalle potenzialità fisiche e culturali del materiale e dalle "regole" per la comunicazione. Si è detto che la forma di un pezzo deve essere dato dagli sviluppi autonomi del materiale perché questo assicura che i prodotti realizzati siano oggettivi. Dire che un pezzo è oggettivo, significa dire che esso reca un messaggio comunicabile. Ma la comunicazione si può instaurare solo se il mittente opera in ogni momento delle scelte logiche, coerenti, conseguenti che assicurano la possibilità d'intesa del messaggio. Si ha musica, quindi, laddove c'è l'articolazione di un pensiero intenzionalmente proteso verso la comunicazione: un pensiero per gli altri; ma anche un pensiero per i suoni. Dico "pensiero per i suoni" perché esiste un pensiero musicale che ha proprie peculiarità, che si incontra con esperienze culturali diverse, per cui il calcolo combinatorio, la ritmica delle strutture architettoniche, le indagini sulla percezione uditiva possono convergervi, ma che fondamentalmente si serve di coordinate proprie. Bisogna ricercare, allora, praticamente, nella dimensione esistenziale della musica questo pensiero specifico, particolare, cioè nelle sue realizzazioni odierne ed in quelle trascorse. A questo punto si incrociano le strade dell'analisi, dell'interpretazione, della composizione.
Forse per la mescolanza creativa di queste tre esperienze può avviarsi la soluzione del problema della definizione di modi operativi che nel campo della composizione musicale, e anche in quello dell'analisi e dell'interpretazione, riescano a rispettare il pensiero musicale.

NOTA SULL'AUTORE

Cosimo Leonardo Colazzo, (Melpignano, 1964), docente di Conservatorio, è diplomato in pianoforte (Lecce), composizione (Roma), direzione d'orchestra (Milano). Ha vinto numerosi concorsi pianistici nazionali e un concorso nazionale di composizione indetto dalla SIAE. Quest'anno è stato finalista segnalato al Concorso Nazionale di Composizione di Belveglio ed è stato chiamato a partecipare al 37° Concorso Internazionale di Direzione d'Orchestra di Besançon. Ha scritto Serpi per pianoforte, D'intorno per flauto, Movenze per pianoforte, Ali pungenti per pianoforte ed altri lavori inediti. Come direttore d'orchestra ha inciso un disco dedicato alla civiltà musicale irpina (Leep Records), ne ha in cantiere un altro da dedicare a giovani compositori d'avanguardia.


Per uno lettura di "Nell'aria, muovendo"

Il pezzo nasce dall'articolazione strofica di tre archi formali. Il primo adopera pochissimi elementi, molto semplici, quasi provenisse dal nulla. Note ferme, percorse da lievi trasalimenti per alcuni "movimenti" ampi solo un quarto di tono, scattano inaspettatamente, a volte "glissando" ampiamente, verso trilli di quarti di tono. La tela sonora, per questi schizzi, si definisce allargandosi, a partire da una zona centrale, sino ad esaurire le possibilità dello strumento. Nella secondo strofa, una nota ribattuta, per delle trasformazioni lente e graduali precedentemente avviate ed inizialmente ancora attive, sostituisce la nota ferma. Inoltre, il "glissando" cambia aspetto perché viene precisato ed elaborato all'interno. La terza strofa articola tremoli, note ribattute, tremoli di armonici uguali con diverse fondamentali, metafora della nota ferma, della nota ribattuta del tremolo. Nella parte finale si ha un progressivo disfacimento degli elementi via via acquisiti per riaffermare il materiale d'avvio del pezzo. Anche l'ambito, che si era fatto sempre più ampio, si avvita su se stesso e pare (la sequenza è molto rallentata) che un gorgo lo richiami verso di sé: una nota sola rimane, alla fine, il "si", la stessa dell'inizio, ferma a lungo, il suono del silenzio.
Ripetizione e variazione minima sono le caratteristiche più evidenti del pezzo. Esse, insieme con la scelta di polarizzare progressivamente alcune altezze senza dissimulare la funzione di richiamo, anzi sottolineandola, servono a creare un senso di straniamento. Le altezze polarizzate sono in rapporto tra loro secondo una logica intervallare di tipo "tonale". La coscienza, che sta per smarrirsi, dovrebbe essere attraversata da fremiti e scosse, imputabili non si sa bene a cosa, giacché il pezzo non indulge a citazioni. L'attenzione è amabilmente pungolata e carezzata, senza essere indirizzata, dalla memoria.
Cosimo Leonardo Colazzo

 

Per uno lettura di "Botuffolo"

"Batuffolo" rinuncia alla gestualità pianistica tradizionale. Dello strumento si sono per molto tempo sfruttate le grandi possibilità di estensione, di variazioni dinamiche e timbriche. Lo si è perciò utilizzato quasi si trattasse di un distillato dell'orchestra. "Batuffolo" comprime lo spazio sonoro entro poco più che un'ottava nel registro centrale, usa prevalentemente certe dinamiche orientate verso la regione del piano. Anche in questo pezzo la ripetizione è il principio che lo costituisce. In questo caso più che la ripetizione di formule variate minimamente, più che l'articolazione di strofe quasi uguali, è la costanza dell'ambito adoperato a creare un senso di angoscioso smarrimento. Non esistono gli improvvisi bagliori tonali di "Nell'aria, muovendo", ma in tutto il pezzo sono diffuse figure tonali non relate tra loro secondo la logica tradizionale. Una patina di colore dulcamaro è ciò che immediatamente si percepisce. La forma non è facilmente schematizzabile, perché il percorso è fatto di salti, ritorni imprevisti, ed esistono vere schegge di materiale non elaborato. Le tensioni, i rilassamenti, gli addensamenti e le rarefazioni di "Nell'aria, muovendo" erano dati a cadenze prevedibili perché simmetriche. In "Batuffolo" si è voluto non negare ma mimetizzare questo modo d'articolazione della forma. Ciò ha richiesto un più accurato dosaggio di variazioni, di ripetizioni, di novità. Una forma che nasconde se stessa, oggi, mi interessa di più.
Cosimo Leonardo Colazzo

 

 


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