§ DAI DIGIUNI AGLI USI POPOLARI

La Quaresima




Luigi M. Lombardi Satriani



In numerose farse popolari è presente il contrasto tra Carnevale e Quaresima, personaggi antitetici, che si scambiano ingiurie mentre ognuno afferma la sua supremazia. Tale contrasto è una nota forma drammatica popolare; se ne conosce una rappresentazione in ottave del secolo XV. Eppure tali personaggi, pur essendo antitetici, sono anche, stranamente, complementari. In qualche paese calabrese, ad esempio, segue il funerale di Carnevale suo moglie, Quaresima appunto; mentre in altri vengono bruciati assieme i fantocci rappresentanti Carnevale e Quaresima.
La contrapposizione tra le due figure, nelle quali vengono personificati due periodi nettamente diversi, si comprende riflettendo sulla loro diversa caratterizzazione. La prima - Carnevale - rappresenta il tempo del divertimento, dell'abbondanza del cibo, degli scherzi ("a carnevale ogni scherzo vale"), delle maschere; è il tempo in cui al singolo appartenente alle classi subalterne o ad altre categorie di dominati è consentito - anche se temporaneamente e con la "copertura" della forma scherzosa - di essere altro, di agire come se non fosse lui, di porsi come uguale al ricco, al potente; di dire impunemente ciò che vuole; di infrangere, se lo ritiene, le norme che regolano la vita quotidiano; in sintesi, è il tempo dell'eccezionale: seme] in anno licet insanire (una volta all'anno è lecito impazzire).
La seconda - Quaresima - rappresenta il tempo della sofferenza, dell'astinenza e del digiuno, del raccoglimento, della privazione, del dolore, della riflessione: memento, homo, pulvis eris et in pulvere reverteris (ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai), come viene ammonito nel mercoledì delle Ceneri; la vita quotidiana riprende e in essa le differenze sono riaffermate, si è soltanto ciò che si è.
Nei paesi contadini, Quaresima è personificato in un pupazzo nel quale sono conficcate sei penne di gallina; ogni settimana se ne toglie una, sino a giungere, così, alla Pasqua. L'uso di osservare il digiuno nel periodo quaresimale è documentato con il concilio di Nicea (anno 325, con. V) e varia da Chiesa a Chiesa. In Roma e ad Alessandria in origine si digiunava soltanto nella Settimana Santa. Poi in Roma vennero aggiunte altre due settimane, e infine altre tre. In Antiochia e a Costantinopoli, come ricorda Nicola Turchi, si ebbero invece sette settimane di digiuno, che però si riducevano a sei essendo eccettuati dal digiuno i sabati e le domeniche, per cui si avevano, quasi come a Roma, trentacinque giorni effettivi di digiuno. Per raggiungere il simbolico numero di quaranta, vennero aggiunti in seguito quattro giorni, a cominciare dal mercoledì delle Ceneri, che venne perciò detto in capite ieiunii.
Il calendario contadino costituito dal pupazzo di Quaresima sottolinea l'esigenza di padroneggiamento del tempo che attraversa tutte le società e che ha portato all'elaborazione dei diversi tipi di calendario. Come ha sottolineato Le Goff, "tutta la vita quotidiana, affettiva, fantastica di una società dipende dal suo calendario". il calendario scandisce il tempo, sia quello profano che quello festivo o, con altri termini, sia il tempo del quotidiano, della fatica, che quello dell'eccezionale, del riposo, della festa.
La società contadino resta segnata essenzialmente dalla fatica e, ritornando alla contrapposizione Carnevale-Quaresima da cui si è partiti, si potrebbe parlare di due ordini di sacralità: l'uno, che si articola nel carnevale, teso all'affermazione della vita in sé; l'altro, che si articola nella quaresima, di ripiegamento sulla dolorosità esistenziale tesa ad una diversa liberazione.
Si potrebbe parlare, ancora, di una sospensione dell'ordine sociale e morale, che si attua nel periodo di carnevale, nel quale si situa la possibilità di un ribaltamento della condizione esistenziale e sociale. Si diventa protagonisti e padroni della propria esistenza, anche se sul piano illusorio della maschera. In una diversa società l'auto-realizzazione potrebbe verificarsi realmente; in questa società, nella quale essere poveri, donne, deformi, comporta il subire una condizione di emarginazione radicale, all'esigenza residua dell'auto-realizzazione viene assegnato lo spazio fittizio della liberazione carnevalesca. A tale liberazione, proprio perché fittizia, segue la riaffermazione dell'ordine sociale e morale, eccezionalmente sospeso nel periodo di carnevale; segue la ricaduto nel quotidiano, intessuto dalla fatica, dalle sofferenze. Dopo il tempo della gioia (fittizia), della liberazione (illusoria), il tempo della sofferenza, della penitenza (reali): il tempo della quaresima.

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