§ SUD E TRADIZIONI

Un santo per dimenticare la storia




Alfonso M. Di Nola



Da paesi di Campania e d'Abruzzo, di Calabria e di Puglia, di Lucania e di Molise salgono, il 7 agosto, a povere chiese di campagna .e a pievi talvolta cadenti sparute schiere di pellegrini ad invocare il gran santo dei matti e degli epilettici, il vescovo aretino Donato che, secondo la leggenda, il più raffinato e tormentato degli imperatori antichi, Giuliano l'Apostata, trasformato dalla fantasia cristiana in feroce persecutore, avrebbe fatto decapitare nel IV secolo. Erano, una volta, folle imponenti di sofferenti e di malati, soprattutto bambini, oggi ridotte a gruppi familiari che si trascinano i parenti dai volti stralunati, carichi degli infiniti morbi che la tradizione popolare cumula nel comune denominatore di "male di san Donato": le convulsioni infantili, le eclampsie, la stupidità, il delirio, i tic, le assenze mentali, lo stupore e, qualche volta, quella epilessia che già l'ignoranza dei medici antichi circondò di mistero e di significati soprannaturali. Morbo sacro, "male" per eccellenza, "male comiziale" lo chiamarono, proprio perché l'inattesa presenza di un epilettico con la sua grande crisi invalidava, presso gli antichi romani, la legalità dei comizi e ne provocava lo scioglimento. Li ho visti, questi fedeli, un paio di anni addietro, in una delle circa cinquanta sedi culturali del Sud, a Celenza sul Trigno, praticare il rito della pesatura: i parenti sollevano il malato e lo pongono sul piatto di una grande bilancia all'entrata della chiesa, e sull'altro piatto ammassano sacchi di grano per l'equivalente del peso, a riscattare il male forsennato che, nella concezione contadina, viene da Dio come conseguenza di colpa ereditaria. E' un rito remoto, già attestato, per questa e per altre malattie, nella chiesa altomedioevale e in quella ortodossa, segno della sconfinata desolazione delle culture rurali che assumono a responsabilità personale i disastri storici e le sofferenze. E, nella cerimonia, l'infante lunatico, strambo, agitato da movimenti scomposti, con la bava pendente dalla bocca, viene spogliato e poi rivestito con abiti nuovi presso la statua di san Donato, in un'invenzione di remote radici che identifica la cancellazione del male con l'abbandono degli abiti. è lo stesso santo che in Arezzo rendeva efficaci contro l'emicrania le "cappie rosse", bende di colore rosso che, benedette, si apponevano alla testa dei sofferenti; e fino ad epoca recente essi toccavano con la testa il pilastro sul quale il santo sarebbe stato decapitato.
Siamo, con il 7 agosto, al centro di un ciclo di terapie sacrali che commemorano, con il ricorso al piano del l'immaginario, l'universo pullulante delle malattie contadine e pastorali, e veramente, chi sia disposto a guardare all'interno delle storie della subalternità, scopre la violenta falsificazione operata dall'egemonia dotta, che ascrive la vita rurale e pastorale a mistificate arcadie, a fantasmi idilliaci, a immoti giochi di felici rustici danzanti sotto le querce. Un inganno che sembra essersi rinnovato in un nostalgico esercizio letterario di Pier Paolo Pasolini, quando rimpiangeva la società dei bisogni minimi e delle strutture preindustriali.
Qui circola, in queste date, tutta la violenza della storia, che proietta le sue angosce, i deterioramenti della carne, le infezioni sottili e indominabili, le epidemie travolgenti di un tempo, spesso così intense e invadenti nell'estate, nell'olimpo di santità plebee.
ldropisia e scabbia, sterilità ed epilessia, malaria e lebbra, peste ed ergotismo, gotta ed erisipela dominano le devozioni estive. E una volta altre segrete afflizioni trasformavano la speranza di guarigione in singolari figure di santità oggi dimenticate: le emorroidi, conseguenza frequente di un'alimentazione disordinata e povera, divenivano quel san Fiacre che reggeva, in un piatto, fistole ed emorroidi recise; la sifilide si trasformava in san Baude; l'impotenza e i mali venerei divenivano ,quel san Foutin, o Fotino, dal nome parlante, connesso con il francese antico "fotier".
Il 16 agosto si celebra san Rocco, un signore francese di Montpellier, che, ammalato di peste, si dedica all'opera missionaria e guarisce gli appestati segnandoli con la croce: santo straordinario, presente in tutta l'iconografia europea fino al XVIII secolo, con culto che, all'origine, mi sembra privilegiato nelle grandi città, se i veneziani costruiscono, con dispendio, la Scuola Grande di san Rocca, e i romani creano la confraternita di san Rocco a Porto Ripetta e il Lazzaretto di san Rocco ai piedi di monte Mario. Ereditato dalle plebi rustiche, resta il patrono degli appestati, ma anche degli affetti da rabbia canina, poiché, nella leggenda, ha amicizia con i cani e con gli animali: a lui ogni giorno un cane porta un pane, a lui accorrono gli animali selvatici ammalati. In molte parti del nostro paese - e un esempio eminente è quello di Frattamaggiore, in provincia di Napoli - la notte fra il 15 e il 16 agosto diviene una "piccola Piedigrotta", con le sue orge e le sue licenze, ma è anche l'occasione della distribuzione dei pani benedetti.
Ma questo periodo di tensione ha' la sua apertura il* 15 giugno, quando la memoria plebea ricorda l'evanescente figura di san Vita, .assegnato alla cronaca dei protomartiri dei primi secoli e già venerato, in Sicilia, nel V secolo. Se, .nella toponomastica italiana ventotto comuni e trentasei frazioni .portano il nome di San Rocco e a lui sono dedicate almeno tremila chiese e oratori, i residui del culto di San Vito sembrano essere più numerosi. E', all'origine, il guaritore di una strana e imprecisa malattia che assume il nome di "ballo di san Vito", una forma particolare di corea di origine isterica che si diffonde nei paesi di lingua tedesca in due epidemie, nel 1344 e nel 1518: gli invasati danzavano, senza potersi frenare, sulle strade e nelle case, e un cronista dell'epoca ricorda i magistrati che danzavano sul seggio e i canonici che si agitavano e contorcevano nel recitare la messa. Si portavano questi ammalati alle cappelle di san Vito e li si guariva con una danza controllata che sembra avere analogie con il tarantismo studiato da De Martino. Oggi resta, san Vita, il patrono dei morsicati da cane rabido, un altro dei mali che colpivano la società contadina preindustriale. A Faraone, nella Val Vibrato, fino a pochi anni fa, le persone morsicate da cane erano portate nella chiesa di san Vita e alla ferita veniva apposta la cenere ricavata da un ciuffo di peli di cane bruciati. lo stesso ho raccolto a Leonessa, in provincia di Rieti, la credenza nell'immunità territoriale della rabbia canina, poiché esiste un culto particolare del santo nella frazione di san Vita. A San Vita Romano, a, San Vita di Leonessa e a San Vita Chietino ancora si distribuiscono i poni benedetti contro l'idrofobia. Sono devozioni di gusto arcaico, che tuttavia aprono lo spiraglio su strutture di miseria e di morte, quelle della canicola, che è tempo di uno sterminato soffrire con il quale si paga l'esplosione produttiva del suolo. E non a caso la chiesa antica, probabilmente fin dal XIII secolo, inventò la schiera dei quattordici santi Ausiliatori, che ancora trovo venerati in qualche campagna: sono i santi che difendono contro i rischi storicoambientali che inficiano la sicurezza sociale, contro l'emicrania, il fulmine, il mai di boia, il panico, il mai caduco, la pazzia, le infezioni dermiche, i pericoli del parto, la lebbra e il mai di denti, da aggiungere ai ventuno patroni contro le odontalgie ricordate dagli studiosi di agiografia antica.
Il sole pende inesorabile nel suo arco d'agosto, la gente dalle città si riversa sulle spiagge di Rimini e di Riccione, ma qui, sulle terre meridionali, ancora trascorre, con le sue ambigue promesse, il dio Pan, tanto simile ai due angeli delle Promesse e dello Sterminio: e di questi dimenticati santi, e delle loro sagre paesane, si ha bisogno per vincere le avversità della storia.

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