§ A QUARANT'ANNI DALLA SCOMPARSA

Guido Dorso e il meridionalismo della ragione




Franco Compasso



Mentre il dibattito meridionalista è lacerato dalle aberranti "provocazioni" di chi invita gli imprenditori "a non investire nel Sud" (Carniti) oppure dì chi ripropone il ritorno alle "gabbie salariali" (De Michelis), e mentre stenta a decollare la nuova strumentazione operativa sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno; e mentre tuttora intorno a noi vibra la dolorante realtà delle terre meridionali devastate dal terremoto di sei anni fa, prende vigore e coscienza la necessità di una convenzione meridionalista che rilanci la questione meridionale sul piano culturale e su quello etico-politico come opzione prioritaria della democrazia italiana. Le analisi impietose e le radiografie non manomesse della difficile realtà meridionale sono la premessa sulla quale si fonda la proposizione di una valida alternativa meridionale al disimpegno e all'immobilismo di questi anni.
Il Parlamento ha impiegato ben cinque anni per licenziare il testo della nuova legge sull'intervento straordinario, mentre il governo è rimasto per cinque anni paralizzato dalle sue interne contraddizioni e, di fatto, bloccato nelle sue decisioni mentre più drammatica andava configurandosi la situazione occupazionale nelle regioni meridionali. E mentre la disoccupazione nel Sud raggiungeva livelli mai eguagliati nel dopoguerra, emergeva gradualmente una strategia di disimpegno meridionalista ed una politica economica generale che penalizzava il Sud. Ancora una volta è venuto consolidandosi una linea dì rifiuto, di rimozione della questione meridionale dalla coscienza pubblica, dimenticando che il problema del dualismo resta ed i divari non sono scomparsi, anzi tendono ad accentuarsi come ci ha ricordato spesso in questi ultimi anni Pasquale Saraceno nelle documentate indagini della SVIMEZ. Al contrario, c'è nel cuore dei problemi che travagliano il Paese un nodo drammatico e preoccupante costituito dal permanere e dall'aggravarsi del divario Nord-Sud. Questo dato oggettivo merita una riflessione se.vera e rigorosa non tanto in termini di analisi quanto sul terreno della proposizione di una più attenta ed incisiva strategia in grado di aggredire e vincere il "malessere" meridionale.
La condizione civile e socio-economica delle regioni meridionali ha radici antiche e profonde ramificate nell'estrema debolezza del tessuto democratico del Sud, nell'ascarismo della sua classe dirigente, nell'impotenza dello Stato, che si è sempre mostrato forte con i deboli e debole con i forti, con la degradazione delle istituzioni ad accampamenti per uomini e partiti. In queste condizioni, già nel 1944 Guido Dorso si chiedeva come "sbloccare la situazione del Mezzogiorno se essa tende a riprodursi automaticamente per il gioco di fattori naturali, che se hanno perduto di vigoria, continuano tuttavia a sussistere?". La risposta risiede oggi, come allora, nel forte, vigoroso richiamo ai valori etico-politici del l'intransigenza morale. Ed al l'intransigenza di Guido Dorso, noi dobbiamo la prima, vera, grande, severa lezione civile contro il trasformismo che era, ed è, una "malattia dell'intera classe dirigente meridionale".
Per combattere il trasformismo, occorre sradicare le cause della sua insorgenza: in primo luogo, l'occupazione delle istituzioni pubbliche e la gestione del potere locale come fatto privato, feudale, tribale e la distruzione di ogni perverso legame tra sistema politico ed interessi economici. Il potente richiamo dorsiano alle masse popolari non è solo la consapevolezza di completare i "risultati del Risorgimento", ma la necessità di assicurare, mediante una più larga e cosciente partecipazione popolare alla vita democratica, il consolidamento di un tessuto civile e sociale nel quale risiede la forza morale di un sistema democratico di massa, aperto e pluralista. Guido Dorso si rendeva conto che solo facendo aderire le masse meridionali al nuovo Stato si poteva realizzare quella saldatura morale e civile tra il primo ed il secondo Risorgimento, tra la rivoluzione liberale di Gobetti e la rivoluzione meridionale delle grandi coscienze solitarie del Sud. i termini della battaglia dorsiana sono ancora oggi attuali e gli ideali e gli obiettivi della rivoluzione meridionale rappresentano l'impegno di quanti ritengono con Guido Dorso che "se il Mezzogiorno non distruggerà le cause delle sua inferiorità da sé stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempio dei suoi figli migliori" tutto sarà perduto, perché trionferanno il paternalismo ed il trasformismo "facce dello stesso fenomeno". In forme diverse questo "Giano bifronte" continua ad imperversare nel Sud rendendo tuttora difficile quel "lavoro di sbloccamento" di cui parlava Dorso nel '44 e che noi possiamo oggi definire di superamento degli squilibri e di buon governo nel Sud.
Continuano a riflettersi sulla condizione generale del Sud le aberranti conseguenze e la ragnatela devastante del malgoverno locale, di un sistema chiuso in sé stesso, centro moltiplicatore di intrallazzi e di corruttela. L'intervento straordinario, spesso inquinato dai rivoli limacciosi dell'assistenzialismo caritatevole, ha dispiegato in troppe occasioni la forza di potenti diramazioni clientelari, condizionando al tempo stesso scelte di insediamenti che dovevano favorire il decollo delle aree più deboli.
Il severo ammonimento di Guido Dorso: "il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia, non chiediamo aiuto, ma libertà" s'invera e si attualizza nel richiamo rigoroso del meridionalismo della ragione quando reclama per il Sud non assistenzialismo ma sviluppo, non carità clientelare ma occupazione permanente. E, come a Guido Dorso appariva un dovere nazionale lo "sbloccamento della situazione politica del Mezzogiorno", allo stesso modo e con la stessa intensità di sentimenti e di passione civile appare oggi ai meridionalisti democratici la centralità della "questione meridionale". Una centralità che presuppone il dovere nazionale di intervenire con una adeguata politica di sviluppo che ponga fine ai secolari divari tra le "due Italie". Per Guido Dorso il dovere nazionale dello Stato verso il Mezzogiorno non significava la riparazione materiale dei danni che lo Stato storico aveva arrecato al Sud: significava, in primo luogo, "capovolgere interamente la tradizionale politica interna dello Stato italiano nei confronti del Mezzogiorno, modificare le vecchie strutture economico-politiche e politicoistituzionali entro le quali il Mezzogiorno potrà liberamente articolare le sue forze e tentare di accrescerle". Per Dorso -come già prima per Fortunato e Salvemini - la questione meridionale èsoprattutto problema di classe dirigente. Al riguardo, Guido Dorso anticipa i temi della organizzazione politica del consenso in un sistema democratico di massa: "E' finito il tempo dell'apostolato individuale, ed i Fortunato, i Salvemini, i De Viti De Marco possono ritenersi paghi del primo lavoro di aratura, compiuto tra la indifferenza universale".
Le grandi coscienze solitarie di quel meridionalismo della ragione - che non è un partito né appartiene ad alcuna forza politica - tra cui a pieno titolo dobbiamo iscrivere Guido Dorso, avevano gettato il seme destinato poi a germogliare. E Guido Dorso intuì con anticipo, rispetto ai meridionalisti del suo tempo, che il problema del Mezzogiorno si poneva su un terreno di scontro nuovo, alimentato dalla passione civile, da quella "grande passione che può nascere soltanto quando ci si trova in presenza di una grande ingiustizia". Le grandi ingiustizie di oggi sono il riflesso di un potere cinico e arrogante, sprezzante del buon diritto del cittadino a vivere pacificamente in una comunità di uomini liberi, non violentata da criminali organizzati o disorganizzati; dal degrado del tessuto urbano, saccheggiato dalla violenza dei nuovi barbari del cemento armato; dalla rapina del territorio, violentato da abusivismi incoraggiati o protetti dall'omertà del potere.
Ad un sistema di potere che spesso violenta leggi e comune senso del dovere pubblico, bisogna contrapporre nel Sud ed in Italia una nuova coscienza civile, forte delle grandi tensioni ideali del meridionalismo della ragione ed irrobustita dal rigore morale e dal l'intransigenza dorsiana che ci appare oggi, a quarant'anni dalla scomparsa del meridionalista irpino, in tutta la sua intatto nobiltà ed integrità civile. Questa è l'opera dei meridionalisti e dei democratici di oggi: "occorre però - ùcome scrisse Dorso - un'élite anche poco numerosa, ma che abbia idee chiare e sia spietata nella sua funzione critica". Ancora una volta il richiamo di Dorso è alla intransigenza e alla lotta delle idee che una minuscola élite "senza paura e senza pietà" saprà organizzare per assicurare al Mezzogiorno sviluppo e libertà, progresso e giustizia.
Nell'Appello ai meridionali, pubblicato da Govetti su "Rivoluzione liberale" del 2 dicembre 1924, Guido Dorso e Tommaso Fiore rivendicavano il ruolo di "una nuova generazione di politici il cui compito storico sarà quello di intraprendere, contro il feudalesimo trasformista della vecchia borghesia terriera, gli interessi liberali delle nuove classi in formazione". Con ciò sottolineando il ruolo dinamico e riformatore di una borghesia progressista e non conservatrice: classe generale (per dirla con Benedetto Croce) non condizionata dalla "pietà" per le vecchie strutture sociali e non bloccata dalla "paura" per il nuovo. A questa élite, ai "gruppi meridionalisti, esistenti nei partiti unitari", Guido Dorso rivolgeva nel 1944 l'invito a tenersi in contatto, per non restare sorpresi dagli avvenimenti. Gli avvenimenti di questi ultimi anni, le "provocazioni" di questi ultimi mesi, il tentativo di rimuovere la questione meridionale dalla coscienza collettiva sono fatti che inducono a riflettere e a riprendere seriamente l'ammonimento dorsiano a "tenersi in contatto".
Il meridionalismo della ragione non si è mai stancato di combattere contro il meridionalismo di potere ed i meridionalisti democratici che continuano a battersi per l'idea di un Mezzogiorno europeo sono chiamati oggi a dare vita ad una grande convenzione meridionale che ponga con forza all'attenzione del Paese il problema del Mezzogiorno come il punto centrale e prioritario della politica nazionale. Una convenzione che non è un partito, né un superpartito: non può essere né l'una né l'altra cosa. Può essere solo una grande, irripetibile occasione di confronto e di proposta, di riflessione e di lotta.
Solo così il meridionalismo della ragione, a quarant'anni dalla morte del grande irpino, potrà riannodare il filo mai spezzato della grande, severa lezione di Guido Dorso, rendendo valida ed attuale la sua intuizione di fondo, che cioè l'Italia non potrà avanzare compiutamente sulle strade del progresso civile e dello sviluppo sociale fin quando permarranno al suo interno, non colmati e superati, squilibri e dislivelli. la questione meridionale attraversa da tempo una fase di basso tensione ideale, dovuta alla caduta di quella passione civile alla quale si richiamava Dorso per sottolineare il dovere nazionale del Paese nei confronti del Sud. Il dovere nazionale oggi ci impone di considerare il Mezzogiorno non come un'area da assistere ma come un grande patrimonio di risorse umane e di energie da valorizzare, attraverso nuove capacità di iniziative. Queste capacità locali vanno stimolate per evitare il rischio, che già si avverte, di un nuovo dualismo. Chi punta ad una politica dello sviluppo capace di concentrare nel Nord tutto ciò che è nuovo ed innovativo condanna il Sud a luogo di insediamento di una nuova dualità negativa. Noi dobbiamo impedire che questo avvenga e dobbiamo fare oggi - come ci ha insegnato Guido Dorso - tutto quello che si deve fare.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000