§ IL TEMPO E LE IDEE - 2

Se finisce il "senso dello Stato"




Giuseppe Galasso



Nella discussione tradizionale sugli apporti delle varie parti d'Italia al patrimonio morale e culturale del Paese, le regioni del Sud si riservano sempre il merito e la gloria di un contributo particolare: il "senso dello Stato". Se lo riservarono per l'epoca prefascista, sul piano storico e su quello politico. L'Italia del Nord aveva avuto i Comuni e il loro movimento di liberazione civile; l'Italia del Sud aveva avuto Federico II di Svevia, con l'idea dello Stato laico e burocratico, anticipazione dello Stato moderno. Sul piano politico, il Nord aveva avuto Cavour e l'esercito del Regno di Sardegna, il Piemonte sabaudo e il liberalismo lombardo e toscano. Il Sud aveva avuto la sapienza giuridica dei Mancini e degli Spaventa; aveva avuto un Crispi che, con l'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, aveva fornito il Paese di un complemento fondamentale della giustizia amministrativa; aveva avuto costituzionalisti insigni, fra i quali Vittorio Emanuele Orlando aveva rappresentato un'illustrazione esemplare della capacità, anzi della vocazione meridionale a sentire e a ragionare di problemi politici e sociali all'insegna del suo particolarmente vivo "senso dello Stato".
Che cosa questo volesse dire, è presto chiarito: avere il senso dello Stato significava avere il senso di valori, interessi, idee che non erano quelli di una parte (classe, regione, confessione, fazione), bensì quelli dell'insieme della collettività riunita e vivente nell'ambito dello Stato. Nel caso dell'Italia prefascista i valori, gli interessi, le idee erano quelli del liberalismo e della nazionalità. Lo Stato di diritto, le tecniche e le garanzie del regime di libertà, la certezza del diritto nazionale, il rapporto giuridico-amministrativo tra interessi pubblici e interessi privati, il difficile confine tra il potere di giurisdizione o potere sovrano dello Stato e la dimensione dello Stato moderno e libero come funzione e servizio pubblico: ecco una serie di punti sui quali le opinioni e le convinzioni prevalenti nel Mezzogiorno ritenevano che solo una tradizione antica del "senso dello Stato" (quale quella che lo stesso Mezzogiorno vantava fin dall'epoca dei grandi giuristi di Federico Il e degli Angioini: da Andrea di Isernia a Pier delle Vigne, da Biagio da Morcone a Barisano da Troni) potesse aiutare ad orientarsi in modo positivo e felice.
Poi, col nazionalismo e col fascismo, questa rivendicazione meridionale cambiò di segno e di significato. il "senso dello Stato" significava che il Mezzogiorno si manteneva immune dai germi distruttivi, sovversivi della democrazia, dei socialismo, dell'anarchismo. Altrove, folli richieste egualitarie; scioperi; sindacalismo faziosamente e rovinosamente classista; rifiuto della disciplina sociale; crollo dei valori familiari e del senso dell'onore; dissoluzione delle gerarchie e dello spirito gerarchico. Tra le popolazioni meridionali: disciplina, onore, famiglia, tradizione, modestia, ragionevolezza, frugalità, laboriosità, poche pretese, molto spirito di sacrificio, moltissimo rispetto. Questi erano i fondamenti psicologici e morali del "senso dello Stato"; e solo su queste basi si poteva costruire lo Stato forte, lo Stato potente, lo Stato imperiale, lo Stato egemonico e totalitario richiesto da un'epoca nuova. Così, il Sud non aveva dato al fascismo lo squadrismo, la dottrina e la spinto del 1919-21; era rimasto ancora largamente liberale e nazionalista in molte zone ancora nel 1924; faceva la fronda con Amendola e con Croce. Ma aveva poi dato con Gentile una grande dottrina filosofica dello "Stato etico"; e, soprattutto con gli Alfredo Rocca e con i Santi Romano, aveva dato figure primeggianti di giuristi e contributi essenziali alla costituzione dell'"ordine nuovo", alla restaurazione della disciplina e delle gerarchie sociali. Era, in fondo, estremamente simbolico il fatto che, sotto il Fascio, il capo di polizia, ossia uno dei centri massimi e più fondamentali del regime, fosse un meridionale, il sannita Arturo Bocchini.
All'indomani della caduta del fascismo non furono soltanto monarchici, nazionalisti, qualunquisti e neo-fascisti a rivendicare al Mezzogiorno questa gloria di essere custode autentico del "senso dello Stato", e, per ciò stesso, "riserva di saggezza" della nazione. Pensarono e propagandarono cose di questo genere superstiti significativi della cultura e del regime fascista, come Gioacchino Volpe e Alfredo De Marsico. Grazie a tali virtù, il Sud veniva accreditato di nuovi meriti, come nel "biennio rosso" dopo la prima guerra mondiale, così dopo il 1943 esso era rimasto immune dagli "eccessi" del Nord: niente stragi di nazisti, niente partigiani imperversanti, niente epurazioni faziose, e così via. Inoltre, il Nord era subito sbandato a sinistra, e metteva seriamente in pericolo la possibilità di resistere al comunismo interno e internazionale, ad un sindacalismo più fazioso e prevaricatore che mai e ad una nuova dissoluzione dello spirito nazionale e della disciplina sociale. Invece, il Sud votava per i "partiti dell'ordine" ed era incomparabilmente più tranquillo dal punto di vista sociale e sindacale e più sanamente legato allo spirito della tradizione. E queste cose non le diceva solo la destra estrema. lo dicevano anche molti democristiani, moltissimi liberali degli Anni '50. Giornali come "II Tempo" e il "Giornale d'Italia" di allora, in certi momenti anche "II Mattino" diretto da Giovanni Ansaldo, sostennero le stesse opinioni.
Poi è venuta la grande trasformazione degli Anni '60 e '70. Il problema del sottosviluppo e del minore sviluppo del Mezzogiorno non è stato risolto. Ma nella mentalità, nella vita quotidiana e nei comportamenti collettivi più appariscenti (linguaggio, abbigliamento, divertimenti, pratiche sociali, rapporti tra i sensi, ecc.) il livellamento tra Nord e Sud del Paese è stato più che notevole. Ciò non significa che il Sud abbia realmente e profondamente interiorizzato i nuovi valori e le nuove mode, poiché altro è praticare mode e valori, altro è produrli. Ma a livello esteriore il livellamento è notevole.
Che in tal modo la tradizione e la rivendicazione meridionali del "senso dello Stato" si siano dissolte, è più che comprensibile; ed è, quindi, equalmente comprensibile che non se ne parli più. Gli avvenimenti meridionali relativi alle vicende del condono edilizio possono, tuttavia, servire utilmente da spunto per una riflessione al riguardo.
la gravità dei fatti è evidente e innegabile. Un'agitazione di piazza scardina decisioni e atteggiamenti non solo e non tanto del governo, quanto, ancor più, del Parlamento; ed è - salvo errore - la prima volta che ciò accade nell'Italia repubblicana. A guidare l'agitazione sono soprattutto i sindaci di alcuni Comuni. Essi si dicono interpreti degli interessi di "abusivi" che sarebbero stati indotti a comportarsi come tali dalla mancanza di adeguate norme urbanistiche e del necessari piani regolatori. Ma queste norme e questi piani erano e sono un obbligo, precisamente, degli amministratori comunali. Così la stessa classe politico-amministrativa, che prima ha determinato le condizioni dell'abusivismo e poi lo ha tollerato, alla fine capeggia la protesta contro la repressione dell'abusivismo. Non c'è male come esempio di sconsideratezza vergognosa nell'esercizio delle funzioni di una classe dirigente. Ma a livello superiore a quello comunale le cose di presentano, se possibile, anche peggio. Grandi partiti politici - anche di sinistra - appoggiano la protesta con particolare impegno; qualche giurista di nome non perde l'occasione per dimostrare altrettanto particolare acume nel trovare addirittura qualche ragione dì diritto a favore della protesta; consigli regionali, parlamentari si votano alla difesa della stessa causa.
Il tutto, nel Mezzogiorno del "senso dello Stato"; nel Mezzogiorno "riserva di saggezza" della nazione; nel Mezzogiorno presidio delle istituzioni e dell'ordine. Diventa allora difficile non ricordare che, quando in passato si parlava di questi titoli storici e politici di gloria e di merito del Mezzogiorno, i filoni e gli uomini più rappresentativi della maggiore e migliore cultura meridionale non mancarono di esprimere perplessità e riserve. Essi sapevano bene che, dietro la faccia dell'ordine, del senso dello Stato, della saggezza, della disciplina sociale e così via, si nascondevano vizi e mancanze gravi della vita civile del Mezzogiorno. Quelle erano le parole d'ordine ideologico di classi dirigenti che avevano di fronte a sé problemi enormi di sviluppo. materiale e civile, ma davano dimostrazioni secolari di non essere all'altezza del loro compito storico. Ben più: davano dimostrazioni secolari di avere un preciso interesse di classe piuttosto al mantenimento della situazione di gente che al suo superamento.
Mai come in questo caso, "ideologico" era da intendere nel suo senso particolare di "cattiva coscienza", "falsa coscienza". Credo che si sarebbe potuta aggiungere anche una sfumatura di significato nel senso di "coscienza infelice". In quelle classi dirigenti era, infatti, viva la frustrazione per la condizione di un Paese tutt'altro che all'avanguardia della società italiana ed europea; la frustrazione per uno condizione generale di inferiorità fin troppo evidente. l'esaltazione di determinati e presunti meriti fungeva quasi da contrapposizione e da compensazione a quel senso di frustrazione.
La lotta di piazza sul condono edilizio è, insomma, come una cartina di tornasole rispetto alla persistenza di alcune dimensioni tradizionali della società meridionale e rispetto alla sua attuale consistenza politica e morale. Sì: il Mezzogiorno di oggi è più ricco, si è molto modernizzato, in alcune zone e per alcuni aspetti dà l'impressione di avere addirittura superato la linea di decollo di un grande sviluppo. Ma, per quanto riguarda il costume civile e la vita etico-politica, i passi avanti - che pure si sono fatti - appaiono ancora troppo scarsi rispetto allo spessore opprimente di un'antica condizione negativa. Dei resto, se non fosse stato così, non avremmo avuto una realizzazione piuttosto di basso profilo della politica speciale per il Sud. Non avremmo avuto una sua traduzione, spesso addirittura squallida, nei termini di una dominante prassi clientelare e assistenziale onnidiffusa. Non avremmo avuto una monopolizzazione delle cure della classe dirigente nel senso di farsi amministratrice e dispensatrice dei flussi finanziari disponibili per la politica meridionalistica invece che ideatrice e promotrice di una grande azione di governo locale. Non avremmo avuto un Mezzogiorno in cui è concentrato l'80% dell'abusivismo edilizio italiano; né avremmo avuto una esperienza dell'autonomia regionale complessivamente meno facile che nel Centro-Nord.
Insomma, al di là del suo negativo segno specifico, la vicenda del condono edilizio, per chi vuole e non ha timore di leggerne sino in fondo i veri termini e le ragioni remote o le reali matrici, dovrebbe segnare un forte campanello d'allarme per le condizioni effettive dell'opinione e dello spirito pubblico del Sud. lo non condividerei il pessimismo di chi ne traesse la conseguenza che, allora, e come al solito, nel Sud occorre sempre ricominciare tutto da capo. Ma certo il cammino per realizzare una più alta e veramente avanzata dirigenza del Mezzogiorno è ancora molto lungo, assai più lungo di quanto per lo più non si supponga o non si mostri di credere.

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