§ CULTURA E IMPRESA

Sapiente illuminato Sud




Giuseppe De Rita



Oggi intendiamo spostare verso il Sud la riflessione sul rapporto fra cultura impresa e sviluppo economico-sociale. Il Mezzogiorno, infatti, (è un mio vecchio "pallino"), è allo stato attuale un grande laboratorio di trasformazione; e ragionare sui processi culturali che accompagnano tale trasformazione è cosa non solo utile, ma fruttuosa per tutti, anche per chi non conosca (o addirittura rifiuti) la realtà meridionale. le mie tre tesi sull'argomento sono presto dette: nel Sud non sono definitivamente saltate le due culture tradizionali, quella sapienziale del popolo e quella illuministica delle poche élites; nel Sud non hanno avuto effetto dirompente la scolarizzazione di massa e lo sviluppo del media di massa (dalla stampa alla televisione); nel Sud il processo di modernizzazione privilegia non l'assorbimento di culture compatte (quella industriale, quella urbana ... ) ma l'elaborazione di una cultura "combinatoria" che ha nel fare impresa il suo punto di leva.
In primo luogo, ritengo che il Sud abbia la grande fortuna di non aver subìto il tracollo delle sue più antiche culture di riferimento. La cultura sapienziale, infatti, (quella del buonsenso, delle piccole certezze, del l'attaccamento al reale: la cultura trasmessa oralmente, che veniva dal mondo contadino), è la cultura che tuttora innerva gli atteggiamenti e i comportamenti quotidiani, specie nelle medie città e nei centri minori. Nei centri maggiori resiste - come riferimento non solo culturale - il gusto di fare élite, e conseguentemente di giocare su un pò di antico illuminismo: a Bari, a Napoli, a Palermo, i più moderni e attivi sentono la responsabilità di leadership delle élites, anche quando non si spingono a citare abati o seguiti settecenteschi.
Queste due culture, per tanto tempo giudicate superate o da superare, cominciano ad apparire importanti anche per il futuro; e non solo in termini di radici storiche. l'attaccamento alla cultura sapienziale sta producendo effetti di attenzione crescente all'economia reale, alla produzione, alla realtà industriale insomma. L'operare della cultura illuministica delle élites sta producendo effetti di rinnovamento qualitativo in alcune fasce della classe dirigente, anche come ricerca di una eccellenza che sembrava scomparsa dalla cultura meridionale (dalla scuola come dall'attività economica, come dalla ricerca scientifica). l'antico fruttifica - e questo è il mio secondo punto - forse più che nel passato; certamente più dei processi di massa che hanno occupato gli ultimi decenni, sui quali molti di noi avevano scommesso qualcosa. la scolarizzazione di massa, per esempio, su cui si è concentrata la politica formativa del dopoguerra, ha portato effetti positivi (innalzamento dei livelli culturali) e negativi (creazione delle frustrazioni di chi con il titolo di studio credeva di avere accesso a impieghi di prestigio, e si trova magari disoccupato); ma non ha portato a quell'appiattimento sul formalismo culturale che la scuola, di solito, porta con sé, e che nel Sud avrebbe potuto essere alimentato dall'antico "torpore" dello scetticismo.
La dimensione individuale e di piccolo gruppo, fino agli aspetti più negativi del l'individualismo spinto e del piccolo circuito delinquenziale, ha ancora la prevalenza; recando un contributo ambiguo ma intenso allo spirito di iniziativa e alla concretezza dell'azione. Per molti versi la cultura di massa (compresa quella dei grandi media) è stata decodificata e destrutturata, per essere meglio metabolizzata dalle culture precedenti. Ne abbiamo forse perso in termini di modernizzazione esteriore; ma ne abbiamo guadagnato in termini di spinta dei soggetti meridionali.
Per questo la mia terza tesi è che il Sud ha imboccato un processo di modernizzazione che non si attua attraverso l'assorbimento di culture esterne compatte e preconfezionate (quella di massa, appunto, o quella industriale, o quella urbana), ma tende a esaltare i soggetti locali come centro di combinazione di valori e di logiche culturali diverse. Il meridionale ha sempre avuto una "cultura combinatoria", anche se povera, dettata dall'arte di arrangiarsi e adattarsi in continuazione. Oggi quella cultura tende a svilupparsi a un livello più alto, anche se non eccelso. Il Sud combina assistenzialismo e lento sviluppo autoctono; la famiglia meridionale combina diversi tipi di reddito; il singolo operatore meridionale combina opportunità diverse di lavoro e di business; le stesse grandi città cominciano a combinare diverse funzioni (penso alla Bari industriale, commerciale, informatica, e così via). Forse troppo è ancora allo stato embrionale, in questo passaggio dall'arrangiarsi alla cultura combinatoria; ma occorre vedere le increspature del nuovo, per poterlo rinforzare.
In questa prospettiva, due mi sembrano le novità su cui riflettere e giocare per il prossimo futuro. la prima è che l'impresa è importante al Sud non perché essa sia il luogo della cultura manageriale, o industriale, ma perché esso è il luogo principe della capacità combinatoria: l'imprenditore moderno non è un tecnologo, un organizzatore o un finanziere, è un combinatore di fattori. La seconda è che l'impresa e la cultura combinatoria non riguardano solo gli strati alti, ma tutti gli strati deila società meridionale: che ha in comune con la società giapponese la convinzione che "l'intelligenza abita a tutti i piani", non solo ai piani alti. Per questo si può sperare in un'imprenditorialità di massa anche al Sud, sia pure con contenuti diversi dall'imprenditorialità di massa che ha caratterizzato il Centro-Nord, tutta fatta da operai e artigiani, a monocultura tecnologica e di prodotto.
Per questo ritengo che la riflessione sulla cultura, e su quale cultura nel Mezzogiorno, sia uno dei temi di maggiore interesse su cui impegnarsi oggi. Posso solo esprimere il dubbio che ci siano allo stato attuale sedi aperte, pronte a sviluppare questa riflessione, visto che siamo in molti ad essere d'accordo nel ritenere le sedi istituzionali della cultura incapaci di rispondere alle esigenze poste dalla società. Ma questo non è un problema meridionale: è problema di tutta l'organizzazione della cultura italiana.

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