Mai l'Italia aveva
goduto di tanta buona stampa. Improvvisamente, "Newsweek" dedica
una copertina all'avvocato Agnelli, e "Business Week" ne dedica
un'altra a Romano Prodi. Sulle pagine dei giornali internazionali più
prestigiosi comincia a circolare la voce del "miracolo Italia".
Quasi contemporaneamente, giunge la notizia dell'Istat che rivede i conti
nazionali: l'economia del nostro paese, ritenuta per lungo tempo di circa
770 mila miliardi, deve essere rivalutata di un 15-20 per cento, per recuperare
tutto il "sommerso" cresciuto intorno a noi. E non è
finita: molti dicono che fra due o tre anni ci dovrà essere un'altra
rivalutazione, dell'ordine del 5-6 per cento. L'"economia rasoterra",
della quale aveva parlato il Censis, affiora e monta. Se poi, per amor
del vero, mettiamo in colonna i 100.000 miliardi prodotti dalle attività
illecite (black money, ma pur sempre money), scopriamo che la nostra economia
sta oltre il milione di miliardi. Che è come dire: abbiamo surclassato
la Gran Bretagna, e la stessa Francia sente il nostro fiato. Per di più,
nei prossimi anni la nostra crescita dovrebbe essere fra le più
consistenti dell'area dei grandi paesi industrializzati, o, nella peggiore
delle ipotesi, dovrebbe restare nella loro media. Allora? Allora, ci sono
due "partiti": quello di chi non vuoi credere al miracolo che
ci viene attribuito; e quello di chi sostiene che il miracolo non va negato,
anche se la nuova aggressività delle imprese e degli imprenditori
italiani convive con una finanza pubblica e con strutture fondamentali
dello Stato che fanno acqua da tutte le parti. Scrive Turani: "Lo
Stato continua a spendere come un forsennato e quindi l'anno prossimo
saremo di nuovo qui a constatare che il Debito pubblico avrà definitivamente
superato il Prodotto interno lordo". C'è da stare tranquilli?
Un "sommerso"
da 130 mila miliardi
La storia dell'Italia
che ogni giorno si scopre un poco più ricca, secondo Turani,
"è un piccolo giallo che va avanti da anni e che durerà
ancora per un po'". Di che cosa si tratti, in sintesi, dovrebbero
averlo capito tutti. L'intera faccenda gira intorno al Prodotto interno
lordo, sigla che rappresenta il reddito prodotto in un anno dall'intero
paese. Di solito, la crescita o la diminuzione del Pil è anche
la misura adottata per stabilire se un'economia stia andando bene o
male. Secondo l'Istat, siamo più ricchi di quanto avevamo creduto
finora. Dunque, questo Pil italiano sembra qualcosa di molto elastico,
che si può tirare di qua e di la, un po' come viene. Molti ricordano,
ad esempio, che già nel 1979 c'era stata una revisione importante.
Di colpo, si stabilì che gli italiani erano più ricchi
del 9 per cento, cioè di qualche decina di migliaia di miliardi.
C'è anche chi ricorda che allora il vecchio Ugo La Malfa cercò
di opporsi fino all'ultimo alla revisione. Poiché da anni andava
predicando austerità e sacrifici, l'idea che d'improvviso si
annunciasse che eravamo diventati più ricchi non gli andava giù.
Ma perdette la partita. Si trattava, comunque, di un recupero parziale.
Tutti coloro che avevano osservato l'economia italiana non attraverso
i filtri dell'Istat, costretti per loro natura ad essere un poco burocratici,
erano convinti che il Pil italiano fosse molto più alto di quello
ufficiale, cioè che la nostra economia fosse più grande
di quanto trapelava dai bollettini pubblici, e che in giro ci fossero
molti più soldi.
Alain Mino, uno studioso francese che qualche anno fa ha dedicato un
libro straordinario alle economie europee, ha scritto che il "sommerso"
italiano doveva essere almeno del 25 per cento. Giancarlo Lizzeri, un
economista che è stato a lungo consigliere dell'Enel, una volta
abbandonò una riunione in cui si stava discutendo di congiuntura,
esclamando: "Ma di che cosa stiamo parlando? Almeno metà
dell'economia italiana ci sfugge, di essa non sappiamo niente".
Più tardi, all'Enel, si mise a contare i contatori della luce,
e ne scoprii di tutti i colori: case, interi quartieri che non avrebbero
dovuto esserci, fabbriche, laboratori artigiani. Oggi, è serenamente
convinto che l'economia italiana sia più grande di almeno un
25-30 per cento rispetto alle sue dimensioni ufficiali. E Cesare Sacchi,
che per tanti anni ha diretto l'Ufficio-studi della Fiat e che ha analizzato
il problema attraverso indicatori "reali" e stime di vario
genere, è convinto che l'economia italiana non dichiarata deve
essere pari ad almeno il 35 per cento.
Si tratta del celebre "sommerso" del Censis e di De Rita degli
anni Settanta. Andando in giro per l'Italia, De Rita aveva scoperto
che il paese era molto migliore di quel che si diceva, e soprattutto
che c'erano fabbriche nuove e attive ovunque. Allora inventò
l'espressione "economia sommersa", e fu immediatamente sommerso,
lui, dalle polemiche. Fu accusato di essere un visionario, mezzo matto,
e ottimista a oltranza. Poiché si ostinava a censire, a registrare
e a raccontare con aria molto pacata tutta questa vitalità sommersa
del paese, Francesco Alberoni una volta gli urlò persino in faccia:
"Ma tu sei un filosofo del disordine!". Comunque, le cifre
percentuali che abbiamo riferito giravano e venivano accolte anche all'estero.
Quando si parlava seriamente dell'Italia, bisognava sempre dire: il
Pil è questo, ma attenzione: ci sarebbe anche un altro 25-30
per cento in più.
A livello ufficiale, niente. Dopo la revisione del 9 per cento nel '79,
le acque si erano calmate e nulla lasciava trapelare che l'Istat si
sarebbe spinto in avanti. Ancora nel maggio '85, ad esempio, il presidente
dell'istituto, parlando a un convegno, aveva detto che un'eventuale
revisione dei Pil italiano, che in ogni caso non era urgente, avrebbe
potuto essere contenuta sotto il 4 per cento, forse addirittura sotto
il 3 per cento. Insomma, un aggiustamento contabile quasi per specialisti,
che non avrebbe fatto tanto rumore.
E invece, in seguito, sono arrivati i dati del censimento '81, e l'Istat
ha dovuto rifare conti su conti. Con risultati clamorosi. Per quanto
riguarda l'82, anno primo della revisione, si era già scoperto
che il Pil andava aumentato di ben il 15,8 per cento. E bisognava andare
ancora avanti. Per l'86, la revisione si doveva aggirare intorno al
18-20 per cento. In pratica, il reddito nazionale doveva essere aumentato
di un quinto. L'Italia ha scoperto così di essere più
ricca di 130-140 mila miliardi di lire: due milioni e mezzo in più,
a testa, all'anno.
Occorre fare subito una precisazione.. Purtroppo per gli italiani, non
cambierò assolutamente nulla. Una revisione del Pil, anche nella
misura del 20 per cento, non fa sorgere neppure una nuova fabbrica,
non genera neppure un nuovo occupato. Nessuno si vedrà compensato
di una sola lira. Tutte queste cose nell'economia reale c'erano già.
Solo che la macchina burocratica dello Stato non riusciva a contarle.
Resta la "gloria": abbiamo superato il Regno Unito e stiamo
insidiando la Francia. Niente di più; e niente di meno.
Ma da dove arriva tutta questa ricchezza, che fino ad oggi non è
stata conteggiata né censita? La risposta c'è già.
Sempre riferendoci all'82 (anno per il quale i calcoli sono in regola),
risulta che l'agricoltura produce il 4,2 per cento in più di
reddito, rispetto a quel che si sapeva. L'industria manifatturiera èsottostimata
del 10,2 per cento; le costruzioni del 14,0 per cento. Ma la sorpresa
più clamorosa viene dai servizi, sottostimati di oltre il 31
per cento! Tanto per essere espliciti: dall'82 in avanti, almeno un
terzo del mondo dei servizi ha vissuto in Italia come un clandestino,
sfuggendo alla contabilità nazionale.
I risultati di questo lavorio sono impressionanti. Il Pil italiano,
che nell'86 era stimato intorno ai 770 mila miliardi di lire, dopo la
revisione sfiora i 900 mila miliardi. E non è che l'inizio. Gli
esperti dicono già che nel giro di un paio d'anni bisognerà
portare avanti il processo di revisione, mettendo nella contabilità
altre attività rimaste fuori per 50-60 mila miliardi. A conti
fatti: dopo avere aggiunto il 9 per cento nel '79, il 17-20 per cento
nell'87, il 5-6 per cento nell'89, l'Italia dovrebbe aver recuperato
appunto quel 30-35 per cento di economia sommersa che era sempre sfuggita.
Ma all'appello mancano altri 100 mila miliardi. Non si tratta di proventi
dal sommerso, ma dall'illecito, cioè dalle attività illegali.
Si calcola che questo giro d'affari interessi circa un milione di persone.
Di recente, proprio il Censis ha redatto un'indagine accurata, scoprendo
che l'economia criminale "tira" come non mai e calcolando
che il suo reddito non è inferiore a 93 mila miliardi.
Sommando il tutto, dunque, siamo nell'ordine di un milione e 50 mila
miliardi di lire.
All'estero parlano
di "nuovo miracolo"
"Il Rinascimento
italiano", "I fabbricanti di miracoli", "Il miracolo
all'italiana": sono titoli di giornali che indicano la nuova strategia
dell'attenzione nei confronti del nostro paese e soprattutto nei confronti
dello sviluppo della nostra economia. Sembra riemersa all'improvviso
una sensibilità da parte degli operatori stranieri non solo alle
vicende del mercato finanziario italiano (la Borsa di Milano è
quella che ha avuto nell'ultimo periodo i tassi di sviluppo più
alti del mondo), ma anche a quelle del nostro sistema industriale. Fino
a due anni fa, l'Italia esportava solo tre cose: il terrorismo, gli
emigranti e il Papa. Oggi, la situazione è nettamente ribaltata.
E i successi raggiunti sembrano stupire più gli osservatori stranieri
che quelli di casa nostra.
Sembrano colpiti specialmente i francesi, che hanno visto imprenditori
italiani comprare numerose aziende transalpine. "Strana Italia
- ha scritto "Le Point" -che riesce a coniugare un tasso di
disoccupazione record e un debito pubblico gigantesco con il più
alto risparmio del mondo. Ma condottieri ridiventati conquistatori stanno
partendo all'assalto di una nuova prosperità in un paese che
ha sconfitto il terrorismo".
E ancora sulle stesse pagine, un banchiere francese, Pierre de Ribet,
osservatore attento dell'Italia, afferma: "Questo è un paese
che ha soldi. Gli italiani sono i più grandi risparmiatori del
mondo, insieme con i giapponesi. Hanno il gusto del denaro: è
per loro naturale, importante, necessario. lo ho avuto sempre l'impressione
che l'Italia sia il solo vero paese capitalistico d'Europa. Quelli che
riescono sono degli eroi nazionali. Si applaudono i colpi di De Benedetti
come i tiri di Platini o di Maradona. I condottieri esistevano da tempo,
ma funzionavano con i loro mezzi. Quello che è veramente cambiato
èche ormai dispongono di capitali a piene mani che arrivano dalla
Borsa".
Nei giudizi e nei commenti echeggiano anche cautela e prudenza, dovute
all'esame dei dati sul fabbisogno pubblico. L'Italia rimane prima nell'Occidente
industrializzato per il livello dei debiti accumulati dallo Stato, pari
ormai al prodotto nazionale lordo. "Si grida al miracolo, ma non
è necessariamente un miracolo dell'Italia, bensì quello
di un certo numero di italiani. In particolare, lo Stato italiano va
male come sempre". Nessuno però sembra essere molto preoccupato
per il livello dei deficit statali. L'"Economist", che poco
tempo fa assegnò all'Italia la palma di quinta in classifica
per livello di reddito nazionale, disse che molti conti andavano rivisti
alla luce di un'economia sommersa che sottrae alle statistiche ufficiali
un terzo del reddito nazionale lordo. "Le Point", che avanza
le stesse considerazioni, aggiunge che l'economia italiana è
un po' come il mistero del calabrone. Coi deficit pubblico che ha, non
dovrebbe volare, ma restare inchiodata al suolo. E invece cresce e si
sviluppa lo stesso. Persino la flessibilità e le regole di un
sistema politico, difficili da far capire all'estero, sono diventate
oggetto di commenti e di ricerche di spiegazioni, di risposte. "Gli
italiani, sempre ingegnosi, hanno messo a punto un sistema di crisi
di governo a scoppio ritardato. Coloro che non sanno scongiurarla, ne
diventano gli organizzatori. Queste (piccole) bombe a ripetizione, che
costituiscono delle crisi a catena, adesso si fanno esplodere a data
fissa. L'esercizio, così, in via di principio, diventa innocuo".
Mai, però, era capitato che nella stessa settimana due giornali
americani del calibro di "Newsweek" e "Business Week"
dedicassero le loro copertine a due industriali italiani. Chi avrebbe
mai potuto pensare che l'Iri sarebbe stato preso in considerazione,
come uno dei promotori del "miracolo all'italiana"?
Due anni fa, in una lunga inchiesta del "Wall Street Journal",
si diceva che l'Iri produceva tutto, dai panettoni alle auto, dall'acciaio
ai bicchieri: "L'unica cosa che l'Iri non produce sono i profitti",
affermava il giornale americano, ironizzando sulle ingenti perdite accumulate.
Oggi, invece, "Business Week" ne sottolinea i successi: "Per
la prima volta dal 1973, l'Iri, quest'anno, tornerà a produrre
quattrini. Mussolini fondò l'istituto, da allora 49 governi italiani
hanno speso miliardi per mantenerlo in vita e fino a poco tempo fa era
indicato come uno dei gruppi più malati d'Europa". Finalmente,
dunque, i conti sono tornati in nero. "La sua ripresa testimonia
quanto profonda sia la rinascita del capitalismo italiano", dice
il settimanale statunitense. "Imprenditori e lavoratori, dai giganti
come la Fiat alle piccole aziende a struttura familiare, sono oggi d'accordo
sull'importanza dei profitti, della produttività, della crescita.
Dopo le piaghe dell'inflazione crescente, delle agitazioni sindacali,
del terrorismo degli anni Settanta, l'economia italiana si sta rivelando
come la più vivace in Europa".
I giudizi degli osservatori stranieri convergono così su un punto.
La ricostruzione dell'economia italiana è certamente il frutto
delle azioni avviate dal governo sulla scala mobile, della minore conflittualità,
della stabilità politica, ma soprattutto è opera di un
certo numero di "condottieri" o di "fabbricanti di miracoli"
che hanno rimesso in piedi le aziende. La Fiat, l'Olivetti, la Benetton
("il caso più spettacolare di successo imprenditoriale degli
ultimi anni"), l'Italtel ("sono poche le società pubbliche
che possono vantare un tale rovesciamento di risultati"). E' la
capacità di rinnovamento dei prodotti e il tradizionale "appeal"
del design italiano, scrive "Newsweek", dai vestiti fino ai
computers e alle auto, ad avere vinto sui mercati esteri e alla fine
ad avere rafforzato anche la lira. "L'anno scorso l'Italia ha avuto
l'8,1 per cento dei mercati dei beni manufatti, un miglioramento stupefacente
rispetto alla modesta quota del 3,3 per cento degli anni Cinquanta".
Restano sul tappeto tutti i problemi che dovrebbero fare capo allo Stato
o alle azioni di politica economica. La disoccupazione, drammatica a
Sud, il deficit del bilancio, lo stato dei servizi pubblici non certo
a livello di potenza mondiale di prima grandezza. "L'Italia formica
e l'Italia cicala - scrivono i francesi -vive meglio di quanto non si
creda guardando alcune cifre inquietanti. In un modo molto più
precario di quanto non appaia. E' un paese che spinge, secondo l'umore,
all'ottimismo o al pessimismo. E' vietato qualsiasi giudizio "tranchant".
L'Italia gira come i suoi governi, di cui le interessa così poco,
abituata com'è a fare da se stessa".
|