§ PROFILO DI UN ARTISTA MATINESE

Luigi Gabrieli




A. B.



Appartato e schivo, Gabrieli ha un amore particolare per la solitudine, che però non è mai presunzione, ma desiderio di riflettere e di approfondire -per conoscerla nei più segreti risvolti - la realtà. Voglio dire l'amara, complessa realtà della nostra terra. La sua, dunque, è una dolorosa ritrosia, che registra il pensiero debole della cultura contemporanea e, per contrappasso, sceglie di risolvere la vita quasi esclusivamente nell'esercizio dell'arte. Quasi: perché a volte apre a pochi - e sicuri - amici i misteri e i segreti delle sue tele. Si chiarisce così perché egli, nella contemplazione della realtà naturale, operi un deciso distacco estetico e morale da tutto ciò che vi può apparire occasionale, episodico, pleonasticamente descrittivo, e riduca la rappresentazione ad uno schema finale pacato, quintessenziale di forme e di spazi, che esclude ogni traboccare soggettivo e irruente e confuso di sentimenti e di sensazioni. Sintesi di una reazione artistica, la suo, che sa farsi verità lirica nel pennello scabro, nelle immagini di una fedeltà densa, senza cedimenti all'estrinseco.
La sua pittura, allora, è una meditata, paziente affermazione di una qualità umana (ed etica, ripeto) che non aliena da sé il "prodotto" del lavoro stesso, ma crea un rapporto fra dato contingente e struttura di forme essenziali e nette, e una limpida dialettica fra soggetti e valori cromatici. Nella ricerca di una primaria architettura di volumi e di superfici luminose, oppure nella scansione di zone e di fasce accese d'una violenza aurorale, Gabrieli traduce la sua passione di spirito solitario, la sua esigenza di un assoluto che si rispecchia nell'ordine armonico delle cose e del tempo. Nel percorso di un colore-luce radicato nel segno, nelle distese cromatiche sobrie e profonde, nelle falde cristalline, decise nel loro timbro espressivo, è il percorso della sua storia di artista fedele al suo mondo e alla sua concezione del mondo.
La luce: ecco ciò che affascina Gabrieli; ecco l'elemento magico, vibrante, struggente, sempre emblematico, che anima (diffusa, lacerante, in nuce, emergente da coni d'ombra, oppure poeticamente accennata, o lasciato presagire) tante sue opere, da quelle legate ai temi e alle figurazioni della terra messapica (luce che intride volti di terracotta, o paesaggi di stupefacente "solitarietà") a quelle più complesse, allusive, simboliche di questi ultimi anni, punto d'arrivo di una ricerca espressiva macerante, e proprio per questo ricca di significati, di messaggi, di "provocazioni" persino: la luce colta nel suo svolgersi eterno e nella sua eterna fissità: quella che muove la mano del pittore e che commuove l'occhio del fruitore; che crea i volumi e le prospettive; che suggerisce gli spazi e le sconfinate superfici; che coinvolge senza scampo; di cui traboccano anche i colori più dominati; che fa densa la distillazione tonale, quasi frutto biologico dell'umoroso pensiero dell'artista.
Voce autonoma e solitaria, dicevo. Ma vitale. In virtù di stile, di depurazione strutturale, le tele di Gabrieli sono sempre state, intrinsecamente, "nuove". Non per moda culturale, e meno che mai per opportunismo mercantile; ma per l'umana capacità di inserire senza ridondanze, senza aure metaforiche, con assoluta pregnanza oggettuale, la comunicazione diretta del rapporto storico fra artista, ambiente, tempo, in un sistema asciutto e rigoroso dei segni cromatici, luministici, spaziali. E non è, questo, un segreto da poco.

 


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