§ L'INEDITO

LA BETISSA




Antonio Verri



Storia composita dell'uomo dei curli e di una grassa signora

Capitolo Primo

UN UOMO PRONTO A SERVIRE, CON UN BASTONE NELLA DESTRA E CON IL VOLTO ILARE E FELICE

UNO Uno, punto sull'uno!
DUE Nulla lasciano di verde, nulla d'intatto
UNO Due, punto sul due!
DUE Nella bocca maligna innestano una baionetta, e alla luna che si vela offrono il dorso
UNO Tre, forse sul tre!
DUE Sono come in un sonno, non usano mescale o altre droghe, e la loro asma è la loro rabbia
UNO Quattro, forse sul quattro!
DUE Presi uno per uno, pieni come sono di rimorsi e di ansie, si potrebbero abbattere facilmente
UNO Cinque, sei...
DUE Azzannano ogni cosa in ogni terreno, con quella furia che piace alla luna, poi di giorno riposano nei campi a pìgola
UNO Sette, punto sul sette!
DUE Divorano erba nana, erba miseria, erba pigliamosche, persino l'erba pulciaia
UNO Otto, è armonioso l'otto
DUE Divorano cetriuoli, ruta, erba volpina, erba spagna, persino erba cicutaria
UNO Nove, col nove si muore
DUE Divorano tabacco avana, tabacco brasiliano, tabacco virginia, persino l'albero del tasso e dei germani
UNO Dieci, la luna fa le smorfie
DUE lasciano la terra come desolato piantàrio, come enorme desolato piantàrio
UNO Undici, piuttosto spigoloso
DUE Guadagnano i campi a pìgola mentre il buio è il loro tetto
UNO Dodici, è comodo il dodici
DUE Non c'è un pignone in tutta la terra, e nella terra premono squali
UNO Tredici, niente, solo prima dei quattordici
DUE Una grègnia qualsiasi, un covone turgido sotto la luna
UNO Quattordici, punto sul quattordici!
DUE Un vuoto desolante, una barbàrie, le pìnnule delle felci o il viola del lamponeniente di niente
UNO Quindici, niente è compromesso
DUE La luna ancora racchiude le nubi, e la terra è in mormorazione
UNO Sedici, squallido
DUE E' una farsa poco fine, un abbozzo per soli squali
UNO Diciassette, brucia le occasioni
DUE Correte nei campi in queste notti, non temete la luce della luna mentre vi martòria la pelle
UNO Diciotto, una seccatura sublime
DUE Stringete nei pugni la terra sgrossata. Pensate, ogni notte perde la sua tenacia!
UNO Diciannove, scoppiano le rose
DUE Farinosa, un prana non si leva da tutta la terra
UNO Venti, un pasticcio focoso
DUE Dal calco dei loro corpi sulla terra si può dire che non sono più grossi di un bòzzolo di farina
UNO Ventuno, il principe va con la sua bella
DUE All'alba nel campo stupefatto qualcuno dice: e pensare che solo cinque ore fa...
UNO Ventidue, è il giorno dei pirati
DUE Implumi già feriscono la terra dopo il primo equinozio
UNO Ventitrè è il giorno del re
DUE E al primo plenilunio, già saldi sulle zampe, gridano e offrono gioventù
UNO Ventiquattro, la regina ci informa del suo stato
DUE La terra è tutta rasa, devastata come un osso, nel fondo della terra squali azzannano serpenti
UNO Venticinque, è giorno senza storia
DUE Non è mortale per loro alzare le carnose palpebre alla luna
UNO Ventisei. Bene, punto sul ventisei!
DUE Ogni notte la terra subisce la baionetta: non va meglio per chi, curvo, scrive in fondo alla bivett del teatro

Capitolo Secondo

UN UOMO DALL'ASPETTO DI COLOR ROSSICCIO, VESTITO DI VESTI GIALLE, INGHIRLANDATE D'ORO, CON UN GALLO NELLA MANO DESTRA E CHE CAVALCA UN LEONE

Nell'afa che oggi costringe Castro Di Sopra
è l'uomo dei curli dalla flebile voce dietro un carro
che sa e grida della meta cigolante
della terra evo rosso
deserto che tra non molto un improbabile cicaleccio di nubi spazzerà
tenendo in conto il nomade dei troppo brevi cicli
la delirante ironia del mezzomostro che al carro dà voce…

Nasce ogni cosa dal vecchio uomo dei solidi curli
dal suono fioco dell'uomo dei curli
dal guscio sonoro dell'uomo dei curli
che gira col flebile carro e grida
che al carro para la sua flebile figura e grida
grida adesso che invece vorrebbe perder voce
perché un solo curlo ha provato stamattina
un solo curlo ha fatto roteare
più di altre mattine col solito vigore
col solito guizzo della mano che proprio al culmine rincula
che ha fatto roteare per una donna grassa
nel paese deserto per una sola donna
che ha fatto roteare scegliendosi un buco di cemento
nei pressi della torre
a Castro Di Sopra col solito vigore
col solito guizzo della mano che proprio al culmine rincula

Stamattina dice e grida l'uomo dei curli
e non vorrebbe aprir bocca
e non vorrebbe sprecare una sola parola
e vorrebbe invece esser curlo che fita
e vorrebbe guizzo e culmine che non rincula
e vorrebbe e vorrebbe... e invece c'è un paese deserto
c'è un paese avvolto da una grande nube rossa
quattro spuntoni di torre e una donna grassa
come non dire, come non gridare
come non provarsi coi curli
e proprio al culmine allentare?
stamattina nei pressi dello spuntone rotondo
c'è una sola donna grassa
muta davanti alla torre tonda
nell'aria rappresa che costringe la torre
c'è una sola donna grassa e sola
con ventre che gorgoglia
con ventre una grossa turgida mora
c'è una donna grassa e sola
che cammina mentre si accarezza la grossa gola
e il seno sfiora con mano che al culmine rincula
con incauta vaghezza guardando lo spuntone

E l'uomo dei curli
che proprio oggi vorrebbe non parlare
che proprio oggi non vorrebbe sprecare parola né gridare
si prova ancora coi curli
nell'aria cupa e rossa che rapprende
si prova e quasi vorrebbe al culmine allentare
si prova oggi per la donna dalla grossa gola
per la donna col ventre che gorgoglia come turgida mora
lui così misero con le gambe stelo malfermo
oggi che proprio vorrebbe affondare...
e lancia e frena il suo bel curlo
mentre la torre ànsima nell'aria rossa
col solito guizzo che al culmine rincula
e lancia e frena oggi l'unico curlo
che gira gira gorgoglia come mora

Anche oggi che ha occhi che non guardano più niente
anche oggi l'uomo dei curli lancia il suo bel curlo
avvolge un grosso spago sulle rigature del curlo
un grosso spago agli intagli che prendono luce rossa
sul curlo a forma di imbuto a forma di corolla
un grosso spago che copre l'intaglio che degrada
e così lancia e frena il suo bel curlo
col solito guizzo che proprio al culmine rincula
e il curlo è una corolla che fita nel vuoto
e il curlo è una piccola ruota che gira nel vuoto rosso
e conosce il culmine e la fine dei suoi giri
e gira e gira e chiede voce alla torre vicina
e gira e gira e grida e grida nell'aria rossa a Castro

E dice e grida l'uomo dei curli
e grida mentre il curlo nel rosso gira
e sente il facilisco salirgli la schiena
e grida e grida sulle rosse deserte mura
e grida e ringhia verso il cielo
e grida e dice ruota e corolla
e sente dabbasso il facilisco che furioso all'ano si attorciglia
ruota e corolla allo spuntone della torre tonda
e l'uomo ha dato corda al curlo per la gola della grassa signora
e il facilisco sale lungo la schiena verso il cielo rosso
e l'uomo ha dato vita al curlo per il ventre come mora
per il seno che sfiora con mano che al culmine rincula
per questa donna grassa che fita nell'aria rossa
per questa donna che grida ruota e corolla di Castro rossa
e dice col carro mi muovo nel grembo della madre
e dice la torre e il curlo e l'aria rappresa
e dice la mia mano e la ruota e la corolla
e grida tutto è nel grembo della madre
e grida non sapete voi cos'è un uomo
e dice uno sfacelo che negli occhi traspare
e grida un verme in diversi luoghi perso
e grida e dice e grida e dice
e a volte perde di forza il lungo grido

Grida la donna grassa all'uomo dei curli
grida e dice di una flebile corolla
grida e dice di un cantarello che concentra una gran forza
di una bottiglia nel gran cielo di nubi rosse
che tutto è nato proprio da uno scoppio
da una luce intensissima nel cielo rosso
che lei era un tempo bottiglia e cantarello
grido rappreso e culmine che non rincula
che non era una gran vita nel cantarello
che nella bottiglia non viveva certo da regina
che non aveva gola e ventre e seno e turgide corolle
che era costretta in un cielo di nubi rosse...
non dice però del facilisco
non dice lo sento salire la schiena
non dice lo sento dabbasso che all'ano si attorciglia
come non dice grembo e carro e torre
come non dice verme e corolla e ruota e sfacelo e luoghi persi
e non dice a volte gridando perde forza il grido

E poi fu lo scoppio
come gonfia corolla al culmine del cielo rosso
un grosso boato che incise la luce rossa
una luce intensissima che venne fuori da una gran forza
mille e mille esseri che vivevano di sola luce
mille e mille esseri che cavalcavano scie luminose
mille e mille scie che portavano esseri tinti di rosso
mille e mille scie che dappertutto portavano esseri che non rinculavano
esseri di ridotta dimensione e senza forma
esseri in sostanza guizzi senza coscienza
esseri senza coscienza del culmine e del rinculo
esseri senza dimensione né forma nell'aria rossa
esseri che toccandosi nubi rosse ridiventavano
esseri che cavalcavano scie e i più si distruggevano toccandosi
esseri che più certa vita cercavano
che una dimensione cercavano e una forma e nuova vita
una vita più certa
anche se sempre precaria
una vita di ruote e di corolle che girassero nell'aria rossa
di curli che roteassero e gridassero senza culmine
di turgide e maliose more e di flebili torri nel sonno di Castro

E grida l'uomo e geme sotto il carro
e grida l'uomo e il curlo, fita senza sosta
e grida e dice lava scende a cristalli
e grida e dice cenere rossa con improvvisi bagliori
e grida terra melograna a denti di cavallo
e grida e ringhia e geme sotto il carro
e grida e morde la corda che al curlo ha dato vita
e grida e ringhia alla torre che geme
e alla ruota e al ventre e alle flebili corolle
e vibra l'uomo e rotea la mutante luce
e vibra e ringhia alla cazzuola forata
che dice rosola cristalli color croco
e grida l'uomo e parla di rigido rubino
e grida l'uomo e dice il fiume a caso scorre
e grida l'uomo c'è caos a bollicine
e grida l'uomo e parla e ringhia e parla
e dice del percorso di fulmine che dietro lascia vita
e dice di un accordatore che corre tutta Castro
e dice del facilisco tenero serpente e dice
e dice e dice e del suo stesso buffo dire perde stima

E grida l'uomo mentre Castro curiosa si raffredda
e grida mentre proprio tutto ingigantisce
e grida mentre proprio tutto nel bagliore prende forma
e dice la torre è un rosso gigante
e dice le sponde del carro sono mura
e grida e morde la corda che da vita
e grida e ringhia e grida stupida betissa
e grida e grida e ringhia e morde e non s'approva

Son qua grida la grassa donna carezzandosi la gola
son qua mentre la mano corre al seno e al ventre turgido
son qua ma forse con tanta voglia di tornare ad essere nube rossa
di essere nel cantarello e nella bottiglia che navigano nel cielo rosso
di essere nel cielo rosso anche se non regina
son qua come piccola crosta agli urti sfuggita
per puro caso non distrutta da una crosta sorella
per puro caso con una mia dimensione
per puro caso forma di cui sono preda e languore
son qua per puro caso che seguo rossa il curlo
son qua per puro caso che grido all'uomo dei curli
son qua per puro caso mentre mi accarezzo la gola
presso la torre sorda di Castro tutta rossa
son qua per puro caso a sentire le grida dell'uomo dei curli
che flebile si nasconde dietro un carro cigolante
un carro di curli e di ruote e di imbuti e di corolle
nell'aria rappresa che mangia le case a Castro Di Sopra

Son qua per una più certa vita
son qua per una dimensione e una forma meno precarie
son qua e sono arrivata su di una scia luminosa
vengo da un boato intensissimo nel cielo rosso
vengo dal culmine rotto di una bottiglia
dal disperato ribattere di un cantarello luminoso
da uno sconquasso di luce che ha sgretolato una forza rappresa
da uno sconfinato rosso che mi teneva nel suo mistero
per puro caso sfuggita alle croste sorelle
per puro caso partita dal culmine con altre croste sorelle
felice della mia più certa vita mentre man mano la temperatura si abbassava
felice mentre prendevo forma più certa
e la rossa gola e il ventre turgido e il seno al culmine accarezzavo
felice di essere qua senza più voglia di risalire
felice di essere curlo rosso dell'uomo dei curli
che grida da dietro il carro le sue liquide sconfitte
che nasconde dietro il carro il suo pallore nell'aria rossa
che lancia e frena il suo bel curlo presso la torre nel cemento
felice se lo sento dire arco dal cuore esitante
mentre mi accarezzo la gola e mi stimolo il ventre
felice se lo sento gridare orca che dal nulla indicibile vieni
orca che vieni da un punto nel cielo di nubi rosse
orca che vivi sulla morte di croste sorelle
felice se lo sento gridare betissa sbruffona e brontolona
arco orca orca con la sua flebile voce
con la sua cigolante voce dietro un carro nell'aria rossa di Castro
mentre ostinato si cerca un buco di cemento
col solito vigore
col solito guizzo della mano che proprio al culmine rincula
proprio stamattina che non vorrebbe aprir bocca
proprio stamattina che vorrebbe perder voce
proprio oggi che non vorrebbe sprecare una sola parola
ed io col cuore esitante come orcessa
dal nulla indicibile venuta
sulla scia di una luce intensissima e uccidendo croste sorelle
io qua nella flebile luce che Castro rossa rapprende
io qua che mi accarezzo la gola e il seno e il ventre
presso lo spuntone della torre mozza
a due passi dal carro dell'uomo dei curli
dall'uomo delle corolle e delle rosse ruote
dell'uomo che nelle rigature degrada il suo pallore
nei rosi liquidi intagli presso la torre sempre più rossa
io qua che giro sull'unico curlo di questa flebile giornata

...Splendida oggi sono più che una parvenza
le viscere piene di uccise croste sorelle
piene delle grida dell'uomo dei curli
piene dallo sbuffo continuo della flebile voce dietro un carro
dalla sorda solitudine che oggi costringe la rossa Castro
pasta cresciuta e gigantesco ammasso di materia
bollita ribollita stupida sbruffona
mentre mi accarezzo la gola e il ventre turgido
il seno con mano che adesso non rincula
orca dilatata porosa purulenta
betissa distratta giocosa farfallona
son qua mentre ascolto le flebili grida di tutta Castro
son qua corolla ruota torre e carro
guscio colmo tonda bottiglia pieno cantarello
son qua che giro come gira il curlo
son qua scaglia che segue ad altra scaglia
son qua come flebile mora
son qua come turgido fiore cardinale
ma quanta voglia di tornare ad essere luce
nube rossa

Capitolo Terzo

UN UOMO CHE PORTA UNA BISACCIA E UNO STAFFILE, COL VOLTO TRISTE, DIMESSO E PRIVO DI
GRAZIA, SEGUITO DA UN FANCIULLO VESTITO DI BIANCO

UNO ... ventisette, ventotto, ventinove, trenta...
DUE Hai catturato qualcosa oggi?
UNO Uhm...
DUE Sotto l'arlo, dico
UNO Trent...
DUE Hai catturato certo...
UNO Trentuno!
DUE Non passa giorno che tu non catturi qualcosa
UNO Oh!
DUE lo dicono tutti. Qualcosa di vero ci deve essere
UNO Non ho niente per l'editore
DUE Sotto l'arlo tu stai come in cantina
UNO Non ho una lira, ma per l'editore non ho niente
DUE Avrai ricavato qualcosa pure oggi
UNO Quell'editore si ostina troppo
DUE Ieri hai catturato sterco di oca
UNO E' incredibile, faccia tosta...
DUE l'altro ieri un pesce siluro
UNO lo ho denaro, dice, tutto mi è permesso
DUE Tre giorni fa ti hanno visto arrivare con gigli bianchi
UNO Se tutto possiede Minosse, non possiede il cielo
DUE Quattro giorni fa non riuscivi a contenere l'ombra di un sigillario
UNO Mi precluda pure la terra
DUE Cinque giorni fa mi hanno detto che sotto l'arlo hai dormito. E' che hai sognato
UNO Mi precluda pure il mare
DUE Mi hanno detto: ha sognato farsi donna la spuma dell'onda
UNO Il cielo almeno mi è aperto
DUE Dicono pure: quando va sotto l'orlo indossa sempre pantaloni spigati
UNO Me ne andrò per quella via
DUE Il rumore della roccia non ti ferma, masca e zampilli non ti fermano
UNO Non ho una lira ma di sicuro prenderò quella via
DUE Perle, marzele, marzeline, non ti interessano
UNO Se tutto possiede Minosse, non possiede il cielo
DUE Uno come te non si attacca ai mocci delle perle
UNO Testardo, pieno di denaro, testa di vetro
DUE Hai qualcosa per l'editore?
UNO Sì, insistere su questa storia
DUE Ma l'editore...
UNO Quel galagòne, vorrai dire
DUE Lasciamo perdere
UNO Lasciamo (oh buon Samuele!)
DUE Hai un colore?
UNO Il rosso... ma è per l'editore?
DUE Niente editore. Ti chiedo del colore
UNO Per lui non farò bollire la pentola. Il colore? l'argilla che batte nel rosso
DUE Che altro?
UNO Dei corpi giovani un pomeriggio in stazione
DUE Casi e basta?
UNO Sei un canguro
DUE Così e basta?
UNO In evidenza solo il morso d'Adamo
DUE Bum bum bum
UNO Nient'altro, ti dico
DUE E' il polvìglio sui loro volti?
UNO Pasticcini allungati di Vercelli
DUE E la lanugine sui loro volti?
UNO Ancora merda

PRIMO/A


Per non essere invasi occorre ostinarsi fino al limite
seguire le peste di qualsiasi pìcaro
sentire flebilissimi battiti di martelli infuocati
oppure i passi delle formichette infinite
sapere che i memento sono oggetti che i pellegrini usano
quando il giorno non offre di che lacerarsi
E Do Rico un tempo aveva talismani tra le vesti
e si flagellò e indossò vesti bianche finissime
gioielli reliquari
e aveva in mano una pèvera che è un grosso imbuto di legno per cantina
e si aggiustò a mo' di cravatta un saricone sul pettino della camicia...

SECONDO/A


.... e scompisciò e tra le mani aveva un pètaso
che è un cappello da viaggio a larghe tese
Per non essere invasi occorre sapere...

TERZO/A

...che la parola sorda usata scambiata non va meglio
né con salassi né con clisteri
e che straficula è sempre lucertola tra porta e soglia
e che cucumaio a sternatia è quel gambone il cui latte
gonfia le mani
e che vi giuro è così dolce sentire:
o maggesina dal bel bantello mianco...

TRE Ci siamo, ci siamo, è la ballata del vecchio sapere!
UNO Testa di vetro
DUE Il polvìglio, la lanugine, e tanta vita ancora
TRE Pubblicherò questa ballata. Perché non ci ho pensato prima?
UNO Gli irlandesi non bevono vino, però bevono
DUE Il corpo guizza sera dopo sera
TRE Ecco l'opera di quest'anno. Redattore fatti avanti!
UNO Un buon rosso per non pensarci
DUE Sera dopo sera...

QUARTO/A

Colpirsi ciascuno graffiando il viso del vicino
con collera, negli occhi un ghigno folle...

QUINTO/A

Mi accorgo solo adesso che dodaro ha ragione, che poesia è ripetizione, che ha molta dignità la citazione, riportare così come sono scritte le parole con cui Stefan doveva giocare e poi lavorare e poi giocare e poi lavorare e poi giocare... e che avrei fatto meglio io Stefan a non strappare quell'altra messe di fogli che chissà perché ho ritenuto inutili

SESTO/A

Comunque le parole sui fogli restanti sono queste: vino, pane, uccello-volo, stazioni-bettole, materia, evoluzione, nascita- rinascita, creazione, parto, idea di cerchio circulus orbis, circellioni, monaci vaganti, circumcidaneo, vino di seconda spremitura, albero, pianta, radice nella terra, nome, nessuno, neve, nive, chìon, nevata, nevare, niare, nicare, nèvere, nevar, nevaio, nevazzo, neviera, e che su di un altro foglio che sempre a questo doveva servire, cioè al mio romanzo diciamo, le cose appuntate, a volte scioccamente, sono praticamente queste:

SETTIMO/A

gelo contrario di calura, galla, ragazza leggera, marschand de boisbene, callega frode del mercante, opè spelonca caverna, opìas formaggio di latte coagulato col succo di fico, opìzo che vuoi dire incido per estrarre qualcosa, che cosa, dico io, se non i miei inverni così bruciacchiati, se non questa voglia di rotolare, se non questa voglia di scendere l'alboro; poi c'è opes che è forza, potenza, come opus è lavoro dei campi, poi c'è neula che è nebbia, sarica che è giacca, chiormo che è culmine, mentre disperatamente cerco di vicariare il corpo venuto su col latte di una capra, mentre disperatamente cerco di dirvi che i diplomatici e le monachine sono dolci che fanno solo a martano

OTTAVO/A

Occorre poi seguire quel prete venuto in biblioteca sull'armonia del maschio, ed eduardo al mare, un io allo specchio contro il pilladore, poi, alla fine, io ho avuto idea di piantarla, tu sai coltivarla?

TRE Che lievità di narrare, è proprio il vecchio sapere. Una vera fortuna oggi!
UNO Il buon Samuele, con tre buoni bicchieri non avrebbe scritto del vuoto
DUE Comincia così, con polvìglio e lanugine, poi man mano si apposta tra le dita. Alla prima disattenzione...
TRE Redattore, Redattore, non morire nei tuoi sogni...
UNO Oh, io posso parlare parlare parlare
DUE La durata di un biscus
TRE Diavolo di un redattore disattento!
UNO Parlare parlare parlare
DUE La fragilità di una spertalisa
TRE è sempre meglio fare da soli, non fidarsi
UNO Parlare parlare parlare
DUE Il colore di una rosa tea
TRE Si ricominci la ballata. Redattore!!!

NONO/A

Occorre tener presente che anch'io mi difendo profetando sulla nascita di una grande repubblica del linguaggio che credo stia per giungere a cavallo di mutazioni e sovvertimenti.
Occorre poi riandare, per non essere invasi, al roditore purgatorio, l'antenato da cui scende gitonìa che è posto caro.
Riandare all'oggetto che non esiste, la sua nobiltà è un bluff, la luna schiaccia ogni cosa, fughe, una prima una seconda tante, lapus, e poi io ... ; disse, tu adunque pensi a cose nove?, no no e che sarìa coglione, so solo che timpa è macigno pietraia frano, so solo che ho usato narrandoci per narrandogli, mi admirai per mi meravigliai, che foragiti per me son fuoriusciti e che un tempo vestivo mantello di quella lana detta panno di morano arbaso, aspettando regali, nutrici, regine, aspettando segni dal sole, tuzzuie che tutto devastano, aspettando una grande cometa, una torre di cotti, una scala nell'aria...

DECIMO/A


Occorre che si sappia che ogni vaticinio di mutamento non garba ai fortunati!!

TRE Altro che sterco di oca e pesce siluro!
DUE Un terribile brùgio rode le radici
TRE Seme di giglio, ombra di un sigillario!
DUE Ha bocca tremenda, giorno dopo giorno
TRE Gallìrio, latte, una spuma farsi onda!
DUE Ha denti aguzzi, una gola maligna
TRE Redattore vieni coi fogli!
DUE Deturpa pietraie, divora gramigna
TRE Cerca l'autore, cerca l'autore!
DUE Scavalca frontoni, devasta inatteso
TRE Redattore, non morire nelle tue lenti!
DUE Rende orba la terra, giorno dopo giorno
TRE Cercami l'autore della ballata, cretino!
DUE Bum bum bum
TRE E' il tuo ultimo lavoro, cretino!
UNO Uhm...
DUE Amici, rubiamo il tempo!
TRE Non una sola cosa fatta bene in due anni di lavoro!
UNO Ho gran fame, ma non vendo la mia sagrìa
DUE Prima che i brugi mettano le ali. Presto!
TRE Farò da solo. Farò da solo i

UNDICESIMO/A


...che cosa può aver fatto una mosca da stilo, che male grande quel moscello nell'occhio, oh tremore del volto, del rivolto, oh sgomento busillo fortuna, che allo sternen...mentre harlette è l'arlo spoglio, un tempo arlo chiassoso... Fortuna volle che non finisse allo sternen...

DODICESIMO/A


Per non essere invasi occorre sapere che la vita è un berlingaccio, che è bene che regni malecore, che abbia ravvedimenti, che marone diventi la mia guida, che allei s'allunghi sull'ombra di una pera, che un arboro per ogni piazza metta radici di stupore... E pistor è chi pesta grano e miglio, follicolo è la scorza, nidore è l'arrosto, nisso son gli sforzi del parto, ningido è pieno di neve, nitore è splendore, e glimpa è velo e fregio... Occorre... che cosa occorre, o mio buon dio, arturo, profeta, gomagò, predicatore biancotto che alla bettola arrivi per primo, l'affanno, lo strazio, la mia repubblica felice, sapere che tutto muore ogni set-te e nove anni, che tutto è inutile e vago, non tre dico io castelli ma trecento per il supplicio mio, l'eter-no strazio, il pallore degli anni, gli occhi persi negli inverni...

UNO Uhm...
DUE Cosa hai catturato oggi sotto l'arlo?
UNO Rido, o pindinello, oh come rido della tua sacertà
DUE Qualcosa l'avrai portata a casa...
UNO Non vendo lo mia sagrìa e rido della tua sacertà
DUE Un uccello magari, dal collo lungo e che strilla. Una gàina!
UNO Rido, o pindinello, quando pani e pesci prometti nelle tue grasse lucàrie vocianti
DUE lo dicono tutti. Non torni mai senza niente
UNO E' vero, valgo meno del rotaro di càsole, meno del divano sgualcito del suo locutòrio...
DUE Lo dice Stefan, lo dice Do Rico
UNO Meno del bàglio che puntella gli archi della sua biblioteca...
DUE Lo dicono tutti, giorno dopo giorno
UNO Ma quanti luoghi giro, quanti ne miro, come pìcaro e ruota dentata...
DUE Lo dicono tutti, sera dopo sera
UNO E forse non finirò acqua tranquilla in qualche posto
DUE Cosa? Un facilisco, uno squalo dentato...
UNO Son quello brùgio che fa capriole sul tuo lucco lungo
DUE Un pezzo di luna, un congegno di volo...
UNO Infima lisca, invasa da piacere
DUE Dicono: la vita non corre sotto l'arlo
UNO Sono finito non so come in questa sorda machìa...
DUE Dicono pure: non c'è vita migliore che sotto l'arlo
UNO Re di un solo attimo, di pochi attimi...
DUE Oppure dicono: l'arlo è stella lucciante, lucedoro
UNO Un tempo avevo creduto, in un sol colpo, di essere facile re delle fertili contrade... Ora sono qui...lògoro, brùciolo
attaccato alle radici, vrùculu che tenta di saltare, tenue lucìcola, lampùria...

TREDICESIMO/A

Stoiato, poi, netto, non faccio, gionz le man, che tendere agguati, compostare questa lingua che non regge, che è flebile frollo tripizzo, che non sa dire le mie imposture, la tormentata massa di morene, morene che intorno a me s'accumulano, che sul mio letto crescono, seppellendo l'audacia, scontando in lalie giossolane i silenzi, i percotimenti d'un tempo, dio, dio, la rosà, la rosà... e chi l'ha spantià sël mondo la lus eterna, chi?

QUATTORDICESIMO/A

La lus eterna, me me dì, è questo scuro dispettoso novo conto, le piperate sottese a questa glossa lusione, che credo preservi, credo conservi fino al non lontano disarmo... La cantilena del parabbisse, 'sto miraggiocoso arturo che ha passi d'uccello, che vive purissimo sulle sue sconfitte, in questa europpa ostinata, in questo nolla, in quest'aria di stilo frapposta, in questo soffio di gersa, gelido, blancotto, di color cangiante... oh se 'gnora!

Capitolo Quarto

UNA DONNA VESTITA Di BIANCO, CHE CALPESTA CON I PIEDI UNA PICCOLA VOLPE E LEGGE UN LIBRO

ritma sorpresa curva su mezz'acqua
la credulità della grassa betissa
che non s'arresta, biondiccia, ma nemmeno s'approva
sulle novizie biancheggianti arcate che finiscono in pieghe
rughe della terra, lente baraonde, insolvenze
sulfiggi del gran libro mosso da brulichii
stenti moscelli
i disagi della rotondità vuota irridente inutile
che il vento muove e modula a papocchia

s'alza s'abbassa s'alza la sacralità della betissa
e nel basso trova il tepore, quel l'impalpabile sbuffo
in accordo col roso intestino, col vicariante rene...
oh lo stupore appena appena giallo che pone questioni non quiete
crucci delle acque vaporose svagate figlie di perette bricconi
saltimbanche...

così la curiosità, la mia fortuna, pensò Stiffan
pari patta al giocoso folletto che la mattina sfagotta parole
mezzi suoni irriverenti, caccole infagottate la notte prima
con foga borratina, col corpo fuori dalla buffa parsimonia
dalla cretina ostinazione...
lenta betissa, pensò Stiffan
nell'ora in cui il buon dio salda pitàli di caserma
ai cotti di una goffa scocuzzata lubrica torre
che da Castro guarda e mescola e insapora la mezz'acqua

rotolare fino a quando? fino a quando sobbalzare?
dio dio mi andavo ripetendo
eccome
dedizione assoluta in questi mesi
eccome
la perfezione come spagna novella
lo scarto, mi dicevo, il guizzo
l'inconoscibile piegato
quel che dà poi il mio corpo in ritmo in ripetizione
la solitaria ironia, l'ironia dei linguaggi
di questi anni così poco attenti ad evitar pallori
così bene punzecchiati dalla blanda vastità dei dizionari...
ecco... io, ancora un monte tinnante, vivo
in perfetta quiete
baluardo alle capriole del ventre
all'indicibile orrido piacere di questa lilith orrenda
segretamente invasa
segretamente...
ma rotola e sobbalza la grassa betissa
la biancheggiante spagna
stonata tonda precaria assorta
proprio mentre una canna sommersa spruzza la vita
in soffi di credulità curiosa

non capiva curva su mezz'acqua, la betissa
mentre effluvi su tutta Castro invaghita
generavano bruchi mostri ecolalie
rotti cammei così confusi
cauri voraci, stillanti ortiche
non capiva
grassa, vaga com'era
velata stupida smodata
il respiro nei fianchi colossi
questa tenera purissima perdita del gioco
questa molle massa di rughe e croste
questa...
oh arturo dio dio arturo che veli cavalchi abissi
ti dico è proprio questa la terra
la betissa grossolana che s'alza s'abbassa s'alza
in gaia e giocosa serie di scombussoli
adesso poco convulsa, memma, meneghina
che tenue, sfugge alla meda del règolo marino
alle pliche di monti porosi, pennulenti
preda dell'incanto fugatino
del precario di lassi sonarini
mentre sfrulla e gutticchia, invaghita, grassa sborrata belissa

terra non altro che un cuvìcchio che ondula
lùzzica, s'assorbe, in bavi immensi
in cisternali, in vore vanescenti
in crèdule concentriche rose di creta
in bolle dalla cui stretta spunta
il ranocchio ansimante
che scazzotta cazzone non conta
le mille eresie della rozza ormai soffiata guastella
ruvida nella ruvida argilla, orca betissa...

eccola eccola l'invaghita castrata belissa
che glutei borra e luvarde grasse
che memme pallide nel pallor riasciutta
eccola che a mezz'acqua s'alza s'abbassa s'alza
come grossiera rapita
in caute pliche, in disincanti
stupita poi gioiosa
gaia, idiota, che ancheggia furiosamente
zompetta nella figura a caso
nel mezzomostro rosa
confisso radicchio di mandragora lessa
eccola eccola sdentata, purulenta
come gnomo di casa, come riflesso del lilla...
lilla in filamenti
lilla che schizza e pigro rinuncia
alla pienezza, al sapore che una eretica spagna
rufone smargiassa truculenta
consuma ottusamente in fianchi colossi
irridendo pura, a capocchietta

eccola eccola la stronza la grossolana balissa, l'unica
la serva-capretta che ride della severità del monte
gostella che monta, spiffericchio
eccola, eccola, sdentata, gnomo impronunciabile
che schizza sulla mezz'acqua l'incredula vaghezza
la vaporiera, la coppa, la breve scostante falaetta...
dio dio, quasi fessura porcellanata, ridente, dilagante...
oh adesso terge fonde gengive immense
gorgoglianti sulla mezz'acqua
spruzza, gutticchia, da fori avidi avide coppelle
biffe alla betissa
e non si placa, oggi non si placa
proprio oggi non regge
a questo perder corpo
il ranocchietto


Capitolo Quinto

UN UOMO NUDO CHE ARA PORTANDO UN BERRETTO RIVESTITO DI PAGLIA, DI COLORE SCURO E CHE UN ALTRO CONTADINO CHE GETTA I SEMI SEGUE

rotolava come vascello bianco, scucco chiaro scorrilingua, lento swift che lievemente ronfa, che dolcemente piana, come martin regale, rapitore, come tao, come tao a mezz'aria che per busillo, per scoppio ridiscende... come timpa leggera, lieve oh quanto lieve parabbisse: però con molto scalpore e poco oh quanto poco scalpiccio, good blues! a volte tenero rappezzo incerato, rondine, ravìscio, a volte rondinone scialbo, a volte scandalo di mimo, falaetta, ma il più delle volte intricato scombuglio, cortese corritore dei passi d'uccello, miraggiocoso, trustellalerante, arevole per suono, per violezza, incontenibile come chi scende sperso da san pietro, lucula gentile, orassion, lenta naccarata, glimpa, glimpa del nulla, infine travaglio della notte, nèbula di cose nove, gonfia di fole e di angiolesse, patch! rotolava godellerie serene, filati di sordo nitore, scucchi di corpo filibusto, selvaggio selvaggio né folle né saggio, nibato, giollare, come un morso di lardo, chezzale, berbante, purgatorio roditore... rotolava ningide pienezze senza il calore di un friso, un appiglio, una numella, raso, vasto e raso come puglia, oh signor crau oh signor crau...là, era la che rotolava alla buarra tra pacche bombuli e brebbanti, nel silenzio dei sibili lunghi, nelle facce rossicce dei golardi, in pistico ardore, col cando de scocolo buffone (qual follicolo regale!), rotolava e ricopriva bufferie galanti, rotolava sulla voglia di unnembrod - o bel chiacone! - che se canta del nulla turgido è e alla papagna...oh si, rotolava in odor di spermanenza, sulle sorde movenze del ritorno - ma c'è chi bratta perrino, l'argentieri, l'argenterine, gli aurazzi figurati, le follie di polvere di sti-lo... oh lasciate, vi prego, quei dossieri, le gorghe, l'emilio di bon gagne, le coltri del fi-glio che rompe le promesse, che ama da sempre il rosso, la testiera, le lunghe orecchie che frugano il tamburo... rotolava l'eterno ritorno, l'ambita sua forma, oh si rotolava ma in fondo scollazzava per arrivare al colpo di lingua senza suono, al trastullo... roto-lava come troviere, falaetta zoppa, rapsodo dei lunghi mesti giorni, specchia d'artieri, gingillo e maschera del nulla; rotolava, ecco, in fede, come spècola, come buffo balla-dore, gomagò che, gionz le man, vi chiede permanenza gollarda, gargallona... dio dio, la certezza che arturo verrà: aspetto arturo vi dico anno per anno, come adone di cera maceracenci, mucchio, relitto culmo de fabe, samsa questo corpo narrato, riannellato nelle vicesime d'orgio che come linarde frodo in giorni gustosamente franchi (non una mela bianca mi fa danzare né un pezzo di lardo mi raschia la gola), continuamente allusivi, in panieri di glosse in cui smemorano, impigriscono suonni, nùgole, trusse, trofi di ìolica, gildali, molli victuaglie, graffiate d'olca per questa donna nota la vita... rotola o longo abeluardo, spirito del giocolare, col bell'anton nell'orbita verso lo sciolto poema, berginlaccio (tutto cominciò dal gioco degli aliossi ... ), rotola tra preghiere e grègnie tumide opipate l'òpico del giorno, arturo, macco stefan che si aspetta oh come si aspetta chisciottate col passone della vite...

Capitolo Sesto

UNA DONNA CHE CAMMINA CON LE MANI TESE VERSO IL CIELO, E VICINO A QUELLA UN UOMO PRONTO ALLA DIFESA, CON UNA SPADA SGUAINATA E UNO SCUDO

Credete proprio che mi importi' quando qualcuno mi dice
anatra appesa per il collo
o qualcuno che azzarda zampa di vacca
mi faccia proprio soffrire?
0 tenga al delatore di breve vita
quando mi dice prosciutto venuto su a caforchette
molliccio corpo che ha zinzuli per peli
o pelle a croce o pelle a ventose o pelle di sterco?
0 chieda alcuna grazia a chi la mia bassezza vede
nell'ampollosa spugna del fiore cardinale?
No, proprio no. Sull'odeon stasera cadono fuochi
ghirlande, ritagli di povero giallo...
li precede un'esplosione
sono seguiti da scoppiettii a raggio, a capocchietta
da codazzi di dame e torri silenziose
un tempo croste del beverone della terra

Ecco. Il prurito delle rocce colosse
(che il bìccio creator non spegne
nè l'òbada non certo molle calma)
brucia nel ricoricchio felide
vive del convulso sfreno vocalico
che certo a guastarsi non pensa...

Moltissimo tempo è passato da quando marinai
dal dolce spessore
capelli colar oro
mi fissavano nel grosso bagliòlo sul ponte
e li sentivo dire
oh crèdula betissa pure scosciata abbambinata belissa
oh abborrata ranocchia sbruffona balissa...
non importava
mi sentivo come tenero e smorto bibelò
come arco dal ventre troppo minchione
balorda e veramente betissa
non importava
non importava... non importa oggi quando
marinai dal ridotto spessore
dagli occhi eternamente scialbi
mi ripetono
oh betissa formosetta crèdula
oh balia scosciata porosa oh patissa cretina
tanto smorfiosa da finir in nichetta...
Credo, è sempre stato così, niente è cambiato
marinai poi son tutti gli uomini dico
di pelo roseo
fresco
vasti increduli dai giochi immensi
con le orecchie bucate
proprio come le mie caforchette
le mute ombre dei miei cunicoli
rannicchiate frolle concupiscenti
stizzite spie dello sfreno vocalico
della mezz'acqua
dell'indicibile baraonda...
In questo tenero baruccabà
dolce mi muovo
e permissiva

Capitolo Settimo

UNA FANCIULLA INGHIRLANDATA DI FIORI, E UN UOMO CHE SPARGE VERSO DI LEI FIORI E FRONDE, VESTITO CON UNA VESTE VERDE E DISCINTO

Farro Farro, racconta, dai, dicci di quando stampino di pietra ti fa tenue come curlo, di quando canfore svolano e rimani come solfo insolubile, di lebbra, da lebbre appesantito, da lebbre farcito, da lebbre interamente farcito, corrotto, sfigurato, suarsore di piallori, di luce, sciocco scioglitore di sale, stampino disvelatore di cose conoscibili, bevitore, macco, suontuoso suono, tinnante diana di flauto e di tamburo.
Zòsima, orsù, in odor di zolfo, di pernacocchie mature, di lucigni appena appena ammaciati, appena appena... Nei risucchi del tempo di Jacca sorse la rosseggiante, la quanto mai viziata bevente alba, come tutte l'albe che annunciano silenzi, che hanno trismegisti e bollori e maliosi sostenti... oh creazione sbellicata, purificazione metallica, suogno, suogno, ricerca dell'immensurabile metallo hidargirico, fino alla rosso esplosione, fino a tanta conica germinazione... fino alla serica mutazione in tanti lodoveo i ludvig, in pitti rossigni, in muntagna, figli di bianche mammelle della terra esplosa. Farro Farro, stella di cinque lobi, sminunziato annunziator di alleria, cospirattore di capriolanti suffannose cortesità, oh si, frantumato figlio del fermamento, della contemplicità che non divaga (come potrebbe?) nemmeno col cario carion dell'ostaria.
Farro san pittu e vi mostro questa lùmina a dieci fermi. Occupatene nove, poi per i sensi di lupecco, correggione, conducete una serta infinita, rossueggiante, di papaveri e spighe: conducetela sorceggiando! Oh il risultato è di un candiore remito, vaccua maronne, quel che ondeggia in fondo è nive, quel che copre marisabelle adelfia san trippon è nive. E' nive, è nive, non è pelle di becco, o buon lupecco!
Farro Farro, muso di soccio, visuonnario saggiator di vini arditi, profusore di mantiche, grambascià, quanti denti sulla tua carne che oggi appare di velluto, signori miei, di un caglio rosa, e quanti grifi arditi a difendere la disperazione di questo ordazzo, di questo ribeglione che mille e mille tuffi al cuore e mille creste di gallo appena appena riescono a rosseggiare, a farne pittu dioscuro viaggiatore, nigro divoratore e trepido zoccatore, insoluto irresoluto sempre, sfatto, con negli occhi il vigore perso in un ottobre scialbo, cosittanto cattivante, cosittanto insolvente ... : oh buon tritrano di corroborante liquido umore, isottra da lontano sta a guardare, oh buon tristrano con indosso una manguccia di fustagno, il papiol nell'occhio che apre allo sgomento, al tondo voto, cherico e sfanciato, umettante... mentre utrànto si perde, per buona fede, al crusciolone che batte di becco corregge con la pelle.
La lùmina ha dieci fermi, san nove i pisciolini; con armonia dal voto arrivo al voto, busa è una stella, nigerina, e se proprio è la mia, oh è una disfatta!
Farro Farro, mai avuto niente dai titani? Niente, niente... solo arriva cauta nive mentre scoppiano rose di candore, mentre sublima muntagna terre intere, e la mar nel vuoto (buon dodaro in ricircolo) nel grande fiume soffia, freme, divora nei gesti l'infaticabile cuore. E l'alboro al principio del piacere: è proprio l'ombelico il luogo degli affetti? E il mio rigo che narra dell'equivoco ha davvero il cuore della madre?
Pari o caffo san qua filiofì, spasimo, mi perdo nell'infinito voto delle tue sere sfatte, nel fresco argento che cola sul tuo mattino: tendono a questo, filiofì, i miei racconti, per essere te nei mosti e nei rimasti, nel cuore che non riesce a sbrecciare, nel tuo randare che vicària la sposa rossa, mentre, come sempre, muti in feltro mille rozzi coppieri e cappellacci...
Oh il mio rospetto che vaga, che per intensità barcolla, che per fullo rifullo mi ricacciò guarnito, che mi dipense spermosetto, vocaticcio, nei rosi momenti quando è flebile il vicariare, è solitario lo sfacelo, ed è pavido il re che riordina silenzi...

Capitolo Ottavo

UN FEROCE SAGITTARIO CHE UN UOMO SEGUE PORTANDO IL PANE E UN RECIPIENTE Di VINO: E PRECEDE UN UOMO TUTTO NUDO

Questo lo strazio, la betissa...
ha un giro lentissimo la vita
a volte corre magra sui muri, su volte a stella
dove un finto cameriere, un ranocchietto
fiero di sé
con movimenti leggeri perpetua
il sogno di un padre miserabile...
dove una ragazza alta, poco sbruffona,
la gonna a quadri
un volto lungo, nordico,
un cosettino da far crescere
(in piena luce e con formaggio verde)
è oggi il mio mondo sperso
l'inaudito che respiro
la solita propensione carnosa...

Fissa il mio languore la lurida betissa,
forse è meglio inorridire in un solo giorno
come un biscus
oppure smarrirsi nella rara nebbia
che anche oggi infuoca Castro Alta...
Crèdulo, tenero, come ranocchietto

Capitolo Nono

DUE UOMINI CHE LITIGANO E SONO TURBATI DAVANTI A UN ALTRO CHE SIEDE A MO' Di TRIBUNALE, CHE HA NELLA MANO DESTRA UN BASTONE TESO VERSO Di LORO E LA SINISTRA SOLLEVATA

UNO Ti dico lucentezze e bagliori mai visti
DUE Ma il brùgio è il cancro della terra, la sua asma è proprio la sua rabbia
UNO Uomini e donne, quando Castro avrà vita, guarderanno in alto e mireranno bagliori
DUE Forza, viltà, avidità, sono le sue armi, e nel mondo esiste come tumore
UNO E fanciulle con vesti d'oro danzeranno nel cielo, e fuochi, mille fuochi esploderanno nei loro -occhi
DUE Ha per madre la luna, grandi parti boccali e grosse palpebre
UNO E angeli correranno su sfere lucenti come biglie
DUE Divora tutto, rade, perfora, ma non si può dire felice la sua vita
UNO E si vedrò, quando Castro avrà vita, nel crepuscolo il fratello inseguire la sorella
DUE Il suo male è una ferita della terra, e sotto grosse palpebre ha grandi occhi
UNO La sorella riparerà tra le nubi, ma non basterà questo, e formaggio verde si fonderà con piena luce
DUE E anche l'uomo dei curli adesso non pesta più il suo tamburo; dice: il brùgio non ha corpo ma ha pancia punzecchiata
UNO E il fratello lascerà governare la sorella, anche se all'alba ricomincerà ad inseguirla
DUE E dice l'uomo dei curli: adesso mi fermo un solo attimo in ascolto, non è possibile tanta furia dopo tanto tremore
UNO E letti asciutti di fiumi e la temperatura sarà a balzi, e piante scioglieranno ghiacci, e al di là di Castro sarà una grossa landa, un rosso desolato, e comete appariranno e poi moriranno come farfalle
DUE E l'uomo dei curli apprezza il dolore dei brugi dalle grosse palpebre, dai grandi occhi, e solitario lancia il suo curlo, e solitario pesta il suo tamburo

Capitolo Decimo

UN CACCIATORE PRECEDUTO E SEGUITO DAI CANI, CON IL CORNO E LA BALESTRA E UN'ANDATURA LEGGERA E GIROVAGA

Dico mille volte ecco mi alzo da questa fonda betissa, da questa selva in cui gustosamente dell'abete son porro son bargiglio, tina di serva scura mi è facile toccare come tocco il fondo. Ecco, penso che serva al volo la chiacchierata spugnosa betissa, penso così. E' così pieno il mondo di cocchetti, che della pruderia son corde, che gli scoppi sono pochi... booooommmmmh boooooooooommmmmmmmh, boommh! Oh oh in bottiglia masca gorgoglia, e zampilli svitati, che il vetro para ma non ferma, sfrullano al collo quel che d'oro in filamenti il doppio culo spinge. Dentro è glassa riscaldata che mocci lancia a milioni di gradi e prende marzele e barbiglioni, e prende orpelli, frolli nasuti bisbiglioni, e prende e prende e prende, e prende marzo gioviale, e prende rosso che alla matteola sfugge, e folle bianco e verde vivo. Ed ecco l'impasto, ecco la malta, ecco l'ometto che già ringhia si guasta sfavella, o che, stupido e sciocco, guarda l'incorrotta roccia e attende, come madre invaghita che alla figlia concede speranza.
Sarà l'aspo che gira che in trama condurrà vicino al carro dell'uomo dei curli la grassa signora dal ventre di mora, l'ogressa dal cuore esitante?
Dùnnia, drippata dea del tsiritrò, orcessa col ventre di mora, betissa sbruffona, bàcchica bava, drummàmina, ninfiotica, cento volte sfiaccolata, cento, cento volte sfriccolata, cento ancora preda di un ruffo rorido dissesto...
Oh è proprio lei, è proprio Dùnnia che quest'oggi scorre e sdilinque, fansettando a iunda iunduli festosi, in piena sgolata, iosate, trilli di distanze, cannabàmbere, suoni nivali, nacche, scorate e fulve tarantelle, nibate mulinelle...: per noi, per noi che ogni volta ci esibiamo e ogni volta siamo un po' più di polvere, per noi, oh per noi che ogni volta che ci esibiamo cadiamo di un soffio, per noi che paghiamo in nàbuli merce di disdoro, controsi, guaffi, smodati, per noi ninivicati ma officiperdi, per noi che occorriamo di màngane serali per non cadere, crèduli, sul nulla.
Oh nulla indicibile, caos che corre l'alboro del sogno berlingaccio, che spira incomparabile sul suo spurio molitore, sàtoro soccorritore di se stesso, che, covando un mondo d'opippi e vino pastinato, ronfa e ammicca - pitto con l'occhio nitto - nibato, nivale, come sempre sperso...
Hell! Che sia battizzo allora - davvero questo è l'importante - che sia battizzo di sperlancia, di condodati forniti piano piano, che io torni d'imprescia all'hostaria, a trovar fata mangana con diflomma, il mio pirichilli che mangia li cardilli, buffonerie di sbarro tutto il giorno: che io miri non visto i fuochi intorno, l'olca del fàntropo di casa, l'erba che sana d'ogni morbo...
Oh nive, oh nive bianca, oh bell'anton de barba bianca!
(la prima volta che vidi un treno gridai "passa la tuzzuia, passa la tuzzuia" e la campana bianca rispose "passa la tuzzuia, passa la tuzzuia", e la campagna bianca ancora rispose "passa la tuzzuia, passa la tuzzuia", e la contrada col nero dei camini mi disse "passa la tuzzuia, passa la tuzzuia", e i miei morti e la mia casa, i miei viaggi e il mio biroccio, e il mio vestito e il mio terrazzo, tutti insieme gridarono "passa la tuzzuia passa la tuzzuia, passa la tuzzuia passa la tuzzuia" ... )
Ma ci sarà qualcuno a spiegarmi quel qualcosa che improvvisamente interrompe, stravolge le regolari migrazioni, che sterra il rosso di un formicaio, che stira le grinze di una betissa balorda e capocchiona?
Sono nell'aria i tepori, le ruvidezze dell'uomo dei curli, e l'aria è vasta, porosa, deficiente, lenta e lieve come un'eco che ingoia linguaggi ingoia suoni...
E tutto cade nel nulla, mi dico, tutto nel nulla, tranne questo brùgio senza corpo, questo buffo, purissimo cavaliere che, con prosa bassa, narra degli sgangheri suoi, delle liquide alterate sue sconfitte, dei desideri di volo...

Capitolo Undicesimo

UN BUFFONE CON UN FLAUTO NELLA DESTRA, NELLA SINISTRA UN PASSERO E VICINO A QUELLO UN UOMO ADIRATO CHE AFFERRA UN BASTONE

Ed ecco la vita grida forte l'uomo dei curli
ecco la vita e al collo ha un pesto tamburo
ecco ecco la vita infilando un colpo dopo l'altro
e il tamburo squassa l'aria in tutta Castro
e manca la voce e tutta Castro è come un vuoto
e flebile è l'uomo anche se forte la sua mano

E' per evitare il vortice dei curli grida l'uomo
per non dimenticare il boato iniziale dice l'uomo
e grida alla bottiglia e grida al cantarello
e grida alla torre che non trattiene la nube rossa
e grida alla mora che dilata mentre salgono le stelle
e poi grida alle stelle infilando un colpo dopo l'altro
e un colpo dopo l'altro all'aria che rapprende
e un colpo dopo l'altro al ventre turgido e alla gola
e un colpo dopo l'altro all'ombra flebile del carro
E grida e dice donna grassa che ribolle
e grida e dice donna di rossi incredibili
e dice donna che libera le viscere grasse
e grida tamburo che dài flebile vita
e grida rosso tamburo che rosso rincula e perde voce

E l'uomo scruta le vesti rosse della donna
gl'importa così poco del nulla che lambisce il suo carro
e l'uomo per un attimo ferma la voce pesta del tamburo
quieto vicino alla torre mentre il rosso sale
muto rivolta la giacca come lento carbonaio
fissa con occhi diversi la scalmanata donna
(che pur bollendo più nette forme insegue)
il grosso seno luminoso nella leggera blusa
e pensa quieto nel nulla che lambisce la torre
marinai dal dolce spessore sono la sua fortuna pensa
ma sicuro spera d'accoppiarsi col grosso facilisco
di raffreddarsi
di morire sbranata sborrata betissa
che nel volo un giorno e per solo gioco introdusse in se storni e beccacce
in giro lento e vorticoso pensa
e pensa quieto mentre la terra cresce come pane
e pensa quieto ne cemento dove correvano i curli
e pensa quieto sopra di me nient'altro che nulla
e pensa quieto entro di me nient'altro che nulla
fumo fumo aria rossa aria che impolvera la torre
aria muta che rimbalza tra le sponde del carro
aria che intanto sale mentre Castro curiosa raffredda

Grida adesso l'uomo attenti che vien fuori il raffinato coccio
grida adesso che gridare apre alla vita
grida e di nuovo col tamburo squassa l'aria
un colpo dopo l'altro s'alza s'abbassa il braccio
dice colpi che pure spandono un'ombra
dice colpi che divorano le grasse viscere
dice colpi su colpi così fatto la vita...

Grida l'uomo che ha battiti regolari l'argilla carnosa
grida l'uomo che ad ogni battito si teme la rottura
e dice ad ogni battito l'argilla perde grinze
e dice grumi perde e si aprono pori purulenti
e dice colore e forma leggermente arditi
e dice ad ogni battito un raro muscolo
e dice bolle ribolle come turgida mora
e dice come curiosa capiente coppella
e dice come turgida spugna del fiore cardinale
e grida mentre proprio il resto della terra geme...
e grida ad ogni battito peli e venuzze
e grida mentre proprio si teme la rottura
e grida senza più grinze lievita l'argilla

E grida l'uomo al caso semai nuoce la vita
e grida al caso semai il correre del curlo
e grida c'è uno schermo di tela colar carne
e grida acquoso desolato come gli abissi che separa
e grida sublime a volte
e grida deturpante a volte disperato
e grida tutto succede in un batter di ciglia
e grida tutto succede quasi per caso
e grida tutto succede quasi senza senso...

L'uomo dei curli grida e nel grido ha mille facce
l'argilla geme e gonfia e boati lievitando teme
e l'uomo grida ha una doppia elica che procura vita
uno sfacelo una faccia diversa per ognuno
e pesta e spalma il suo tamburo
e pesta e ad ogni bomba cresce l'argilla
e dai tumori d'argilla vita agguanta
e al curlo ricorre con guizzo che proprio al culmine rincula
e nel giro vita distribuisce e rischio e favola e turgore
e trabocchetti e numeri e parole
e la meta persa nel correre dei giorni...

Ecco la testa a capocchietta grida l'uomo dei curli
eccola che per prima emerge dal nulla...
non mancano vuoti però grida l'uomo dei curli
non mancano sussulti e suoni grida l'uomo
e grida mentre gli intagli sono gemme
e grida mentre il tempo si palpa la gola...
Non mancano vuoti dice l'uomo dei curli
e come ormai brucia la vita!

E grida l'uomo tutto nego in piena libertà
e poi grida tutto succede in me vi dico
e grida niente devo all'albero frondoso o rinsecchito
e grida niente al cigolante carro e niente alla flebile sponda
e grida né allo spruzzo né alla nave niente allo spuntone di torre
e grida ogni cosa vi dico devo al caso
e grida da un bagliore improvviso sono nato
e grida da un'esplosione diverso per accidente
e grida e grida
e ogni giorno si gioca come niente il grido

E l'uomo dice Castro fu industria di rudimenti
e l'uomo dice col cielo ancora rosso si ebbe sete
e luce e buio e fame e dolore col cielo ancora rosso
e l'uomo dice pietra informe grossolana
e ancora dice man mano levigata e tagliata e lavorata
e l'uomo dice finché non ebbe un senso lo spuntone
e dice i venditori e i servi e gli accattoni
e dice le stabili botteghe e i balordi e i pellegrini
e dice il musica e il salasso e l'orologio
e dice gli occhiali per ogni mutazione
e dice la piazza e il telescopio e l'archibugio
e dice libri a stampa e carrozza e cicisbeo
e dice l'uomo che vende le sue braccia
e dice colonne avide di chiacchierato gusto
e dice a Castro giunge l'eco roboante
e dice l'uomo e la grande fame e lo stompino del miglio
e dice la scioccheria del ninnolo e la rivolta coccodrillo
e dice l'occhio elettronico nipote accorto del fremente fuoco
e dice il pasto in treno e dice l'arroganza
e dice il volo lungo e dice il vuoto e dice il nulla e dice e dice
e mentre dice e grida e mente e dice
bòzzolo sfuggito alle bollenti viscere
uno squalo gigante tenta la torre...

Capitolo Dodicesimo

UNA DONNA DALL'ASPETTO FORMOSO ED ELEGANTEMENTE VESTITA, PER LA QUALE DUE GIOVANI TRA LORO ADIRATI SI AFFATICANO MASSACRANDOSI DI BOTTE

UNO Ed ecco la vita, ecco la vita
DUE Son venuti fuori dall'argilla che batte
UNO Non ha più vigore l'uomo dei curli
DUE Perforano, la bocca astata, nella furia attaccano il passone, attaccano la pèrtica
UNO l'uomo dei curli si appoggia alla vecchia torre, il curlo sul cemento, più in là la cordicina
DUE Non c'è tempo per succhiare, si mastica a malapena, hanno gole gonfie i brugi
UNO Arrivare fino al carro, dice l'uomo dei curli, almeno fino al carro, dice con flebile voce
DUE E' ferma la notte, la luna amica racchiude le nubi, si sente solo un brusìo divoratore
UNO l'uomo guarda il carro con occhi rossi, almeno riposerei tra le sponde
DUE Non hanno corpo, hanno solo parti boccali
UNO Tutto è finito, di tanto mi resta solo un carro, ed ha suono ancora più fioco l'uomo dei curli
DUE Non c'è tempo per dividere steli e radici, e hanno grosse palpebre come un affilatore di coltelli
UNO Niente vigore, niente guizzo della mano che proprio al culmine rincula, niente grida, niente di niente
DUE Non hanno corpo, non hanno forse fame, ma tutto devastano, tutto divorano
UNO E non gli riesce di aprir bocca, e non vorrebbe perder voce, e non vorrebbe sprecare una sola parola
DUE Mangerebbero anche l'affilatore di coltelli, ed è l'ansia la loro asma
UNO E vorrebbe guizzo e fulmine, e vorrebbe curlo, ma intanto non ha gambe per arrivare fino al carro
DUE Divorano tutto, piante tossiche non importa, rami, pèrtiche, non importa, plastiche, bottiglie, non importa
UNO E Castro adesso brulica di gente, una folla mai vista, non c'è posto per un bocciòlo di candela
DUE Hanno un loro sistema per smaltire ogni cosa, con la gola che hanno azzannerebbero persino il facilisco
UNO E gente preme sulla torre, e gente intorno al carro, e l'uomo dei curli sorride, spinto, pressato, ferito, ma sorride
DUE Non, ci sono armi per i loro attacchi, né carte rosse e gialle messe in fila, né carte argentate
UNO L'uomo dei curli vede solo i piedi della gente, e ferito sorride
DUE Né bastano due pupazzi di paglia, ai brugi non possono far scudo con le loro giubbe corte
UNO L'uomo dei curli è sempre appoggiato alla torre, la gente lo ferisce, e convulsamente ride
DUE E le piante cedono e i frutti e i rami e le carte rosse e gialle, e le pèrtiche e i passoni e le giubbe sforacchiate
UNO l'uomo dice non c'è una sola donna grassa, e dice sono il solo a proteggere la torre
DUE Non hanno corpo i brugi, ma un dorso lo danno sempre alla luna, e alzano le palpebre
UNO Non c'è luce rossa, né corolla e ruota
DUE La luna li accompagna nei campi a pìgola, poi fa cadere luce lieve sulle loro palpebre, dà vita alle nubi
UNO Non grida l'uomo dei curli, né ringhia, né morde, e forse s'approva
DUE E vecchie nubi trascorrono sulla terra rasa

Capitolo Tredicesimo

UN UOMO NERO, VESTITO DI PELLE, CON IN MANO UNA BORSA E CON UN MANTELLO CALATO SUL CAPO

TRE Campina, si preferisce Campina, anche perché la sua giacitura non è sopra i venti predominanti in queste contrade. 0 forse è il contrario? Bah, comunque loro Campina, io la ballata. E' tutto inutile!
DUE Vedi, c'è la storia dell'uomo dei curli, che ha smesso di far girare il curlo, c'è la storia di una grassa signora...
TRE Non importa niente di niente, né autore, né curli, né grassa signora, qua c'è la mia ballata senza autore. Sarà questo che pubblicherò. Se l'autore non esce... tanto meglio!
UNO Stupido!
TRE Eccola eccola...

QUINDICESIMO/A

Ora dunque per non essere invaso bisogna sul serio rompere le promesse, cercare il cappello di feltro oh povero Stefan - di andrea torre e figli cava dei tirreni, occorre un crocchio di rapeste per la prima predica, un decotto di lupini per la rogna di cavalieri purissimi, la farina dei pidocchi, questa summa che stendo, a cui non credo, per cui vivo, scangè, ficorazzo, raso tutto raso, tutto oh dio... blend! Nazzecando poi, lento come inutile piccaro, a chi serve l'unguento di nardo, spica nardo, spira nardo, arturo, eloisa è lucula della notte, zacchinetta, spira sui pallidi fuochi di san trifone, nelle variazioni diurne, in quest'adelfia cotta, stracotta, primitiva, nell'hostaria dell'aquila sette dicembre ottantacinque luciscendo il primo maggio, oh malcanton... parla linarde, parla farro, parla pitto, parla muntagna, parla e rotola ancora, luce su luce, le lamentatrici di senise, di pisticci, la naccarata a pisticci, a montalbano, te vedo e non te vedo oh travaglione di ruoti e di avigliano, oh arturo alla papagna, eloisa, bel chiacone, il frugoletto mi disse guarda io arrivo al cielo, al paradiso, ecco, tra le mani si starnazza, si sfricola, poi un buco di formiche, oh arturo un buco di formiche... a do' sta mettute la glorie, a do' sta mettute!

SEDICESIMO/A

In questa beffa non c'è sapere chiaro, e niente ci importa, arturo, niente di niente... Ecco, adesso attacca, non ha senso, sembra una pera, una stupida pera, ecco, continui getti di polvere, nasce la vita, follie di polvere di stilo oh!

DICIASSETTESIMO/A

Poni pongi il tuo arco tra le nubi, vessel, vascello, swift, cose nove, dio dio icaro quasi vola... vola vola!, dio dio sembrano passi d'uccello, sembra sbuffo, calore nelle cose, sembra cristallo lavagna obsio, sembra sul serio pietra nera posta sullo specchio per rendere l'ombra di alessandro, di questo re che vola mentre la testa scoppia, longo abeluardo, mentre l'arlo, chiassoso un tempo, adesso è muto, il noce per esempio nuoce a chi ci dorme sotto, la sua ombra nuoce a stiffan che senza modi mangia il suo frutto, a giorni, tutti i giorni ebrio, vacillante, oh arturo...

DICIOTTESIMO/A

In bocca alla donna la lingua è una spada e io ti giuro arturo vorrei adesso un pezzo di lardo per raschiarmi la gola, solo un morso per essere leggero, sempre più leggero, per non più rotolare, o sanda nive, carlette va' pigghie no damegiane de vine gloc gloc, iosce sava' pirte u' regne de dì, arturo ti assicuro che quel buco è gelido, arturo credimi, proprio fasce fridde iijnde a cudde buche... oh arturo a do' sta mettute la glorie, nive nive bianga bianga beeeeeh beeeeeeeeeh muuuuuuuuuuuuuuh ioh ioh etta dice pasture beveme beveme, pastori si può arrivare in cielo, si può con ali di panno di morano arbaso, una scala nell'aria, si può, una mela bianca per farmi danzare leggero si può

DICIANNOVESIMO/A

Per non essere invasi bisogna anche sapere che una donna rossa di mosca, che aiutò moltissima gente a vivere più o meno negli anni venti e trenta, che non ti somiglia affatto adùnia, però te e lei fate insieme eloisa, zobeida, dora markus, quel canto dell'internazionale, riposa più o meno disfatta (e che più o meno ho sempre la sensazione di non saper tracciare di lei un ritratto: o buon edoardo dei vecchi tempi!) fuori dalle tombe comuni, aggiungo che di lei so il nome e la professione e poi che è stato ma poteva benissimo essere.
Ancora. Per non essere invasi bisogna sapere che è bene organizzare bene le parole, è bene rileggere i propri libri per poi morire davanti ad edoardo che dice di averli scritti tutti lui, che si può scrivere ovunque (oh buon chiselac!), che la scrittura è la cera di icaro, bianca come certe mattine a lizzanello, inutili, che uno sale e sale al cielo senza tener conto della noia di quel posto, di caporalati, della moglie tenuta per collare, delle risate di pongi pitto, delle mutande sporche di pio dodici e insomma insomma arturo

VENTESIMO/A

Bota è la ragazza sempliciotta, boero è il contadino di bisboccia, e tutto tutto manda avvisi, ogni cosa si ripete, la crapula colar biavo, vincere alla beneficiata... Stefan bennato, proprio lui, s'allippa, s'accende, si scioglie, sale e scende l'alboro di fra' pallone che tra muti asini arpisti narra l'inutile narrare del pesce palla che la notte suona, rotola, avvolto nell'anchetta, battitore, ramaglia, pesce ago: ma orsù povere lettiere di sarmenti, fave con mammoni, zappettate murge di crema rossa... oh arturo, oh si, rotolavo anch'io ma in realtà salivo, oh anche Stefan rotolava, era tutta la mia vita salire, essere cucco tondo era tutto per me, essere cucco spigoloso era tutto lo stesso, essere artefice, corriere di mezze parole, creatore del gioco e poi vittima del gioco, era sempre tutto per me, esistevo nelle cose che solo la mia mente liberava, vivevo nelle cose della mia mente come un cucco tondo, un pò smorto e perso per salire, per essere in un punto invisibile, nibato, bianco, per essere, per essere lento uccello che di notte vola e vede, per essere quello che gli uccelli poi se li porta in petto, perché non sapete, ve lo assicuro, voi non sapete che cos'è un uomo, voi non sapete quanti posti io giro, le occasioni, voi non sapete quanta gente strana e inutile io vedo: a volte traverso ad ali aperte, occhi schiusi leggermente rostri batto le braccia, ballonzolo, arturo lo aspetto così, cortieri cortieri, si, arturo io lo aspetto così...

VENTUNESIMO/A

.... Màscia maestro, maùna uomo scaltro, formichetta, nivromaro, o santa santa cannabbàmbara, gola arrossata, signore del fiasco, lengua novamente ambiscata peoverri bambè, fàcciati alla finestra o rosa amata, le giovani per te fanno la ronda, io la vitti e la smirai, tu bella dormi e fai come farfalla un sonno quieto, come nu pensi allu damante amato, come no pensi all'eresie sottombra, a fra' pallone, non si può vivere tutto una vita come acacia alle foreste, rondine cimerondini lu mare, angiolina volìa no veste la volìa tutta celeste, o mar se tu sapessi le galere, lu piro ca me desti non fa piro, popò popò da un grappolo, iola iola

VENTIDUESIMO/A

oh in bocca alla donna la lingua è una spada... sembra una pera, passa e lascia vita... ciò che si proibiva a cherici gollardi, migratori: il mercato, balli, pane benedetto, la marchiatura che veniva a colar del croco sulla pasta cresciuta, in pieghe morbide, e il continuo lasciarsi andare, perdersi in un attimo, essere solo sporiglio, un lungo dolce momento, come non ricordare le voracità, le radicali promesse, le arroganze, io non so, Stefan non sa, mi sentivo come un nulla ballerino, senz'aria tutt'intorno, esistevo smorto, perso, finito, in una sorta di ghigno ammicco di una (dora, eloisa, zobeida?) che aprì gambe ventre alla terra, e il suo volto squagliò con tutto me, e tutto sciolse su di una panchina come animale lento, vorace... ma, o buon nolano lasciaci il firmamento, il nome che vogliamo pur dare alle stelline, e nola è una campana, e stribula è carne delle cosce delle vittime, e rorso e prorso è indietro e avanti, prorsa è la dea dei parti, donna rossa della nona ora, in incognito merentrice, irregolare, deforme, ni-nivicata, per dieci bicchieri di fiorentina oh... Stefan, dissipatore di reliquie, chissà in quali posti nùgo-le, oh si sciocchezzuole, buffonerie gollarde, così si scendeva, così, a braccio della dea numeria, con stiffan monaco novizio che per nutricia ebbe una capra, questo figlio, perrino fu la vita, ammiccando nella corte obambulò tutto il giorno con mani che ogni tanto indicavano il cielo, al cielo correvano, alle ternitte della casa rossa, a questo filiofì che non era da passare al libro vecchio, e intorno grida, segni, aizzi, la gente che offriva il lungo ardore in obe casarecce, in cupulette, e riandavano in aria alle an-giolesse obìte, galoppando sul vapore dei tetti rossi, e quel giorno volò uno strigile d'oro di coppella, e fu dell'aria, Stefan fu dell'aria, difforme come sempre, idiota.

VENTITREESIMO/A

holley ho ho, cometa di trista fama che hai dato vita a questa terra crèdula, ociosa rossa cana, ai miti aldilà di noi, a fedora, alla vita costretta e disastrata, bon chiselac, un po' come mio fratello che per rimedio profumato riempie fogli col suo nome, la nostra faenza, i fichi secchi, l'olio dorato dal ventre della terra, da una città rossa scavata dal padre mentre sopra si corre, si gioca, canzonetta pitto, farro, sbarro, la borraccia per il vino a tracolla, muti, bianchi, barba di cristoni inzaccherati, borri, cannulastri, l'estro, la prestanza, l'armonia unde arevole, l'eros portato con finezza da copista, in carrozza letto, nella trattoria delle zie, quando s'indovina la cadenza qualcosa già cede, sta cedendo, oh


Capitolo Quattordicesimo

UNA DONNA TRISTE, VESTITA CON ABITO LUGUBRE, CHE PORTA UN FANCIULLO TRA LE BRACCIA TENENDONE UN ALTRO PER MANO

UNO l'uomo spunta dalla bocca di un brùgio divertito, e nella sua bocca cresce, ridente un altro brùgio
DUE Sarò uccello e caccerò nel buio, volerò come vola un barbagianni, chiuderò gli occhi a mezzo metro dalla preda
UNO Ecco, ecco la vita, e si azzuffano affilatori di coltelli, e si azzuffano incauti venditori di corde
DUE Gàina sarò che vola e fende con eleganza, alleata di venere, ma quanti brugi implumi dalla terra caverò mai ... ?
UNO Nubi che galoppano o luna che argento cola nel buio profondo, non possono però impensierire il venditore di spazzole porta a porta
DUE Divorerò brugi con ali e senza ali, dopo il primo equinozio sarà come una lunga festa
UNO Attaccherò un crocchio di parole al mio pallone, e nel cielo non sarò più solo, così dice il venditore di palloni
DUE Gli asini di rado camminano, e se suonano l'arpa è perché prestano orecchio al folle raglio della luna
UNO Oh, venite a imbrogliare proprio il venditore di nodi?; e che dirvi del padre che parla al gatto o che armato di insetticida insegue le mosche più resistenti!
DUE Ho visto tanta folla senza ragione cacciare la testa tra un mattone e l'altro, molti diversi, quasi tutti con cresta di gallo

VENTIQUATTRESIMO/A

oh, al mio dio offita, al vuoto dorato, al nulla vestito del fetore di un'estate che si guasta, olacità, stordimento che rabbuia, addolcisce, il gestore ragazzo della cabina letto, ecco ecco addolcisce oh un tenue rapporto con le cose, campi olieni, olor purissimi, oliab il grande padre, olca la gemma, omos l'uno, gemme, lapis preziosi, mia sfocata immagine, per giove opìtolo, liquore di balsamo, abel l'en-noico custode di capre, quel che poi è lussuria, perso piacere di sé; arevole è franta parola, ricordo, discorso, appetito o rosso svolazzo, quanto a prebenda, quanto a gusto della vita, oh è ancora dolce il vicariare... oh arturo, ai chierici si proibivano le cocule pasquali, l'acqua, il bacio della pace, glimpe d'oro e d'argento, palandrane, fastigi, oh arturo, e i chierici facevano le dorenlot, ciocca di capelli sul-la fronte, si proibivano canti di gesta, selle pitturate, la giulleria cantava nelle piazze, facevan le dorenlot, ballavano, gridavano, oh si, giullari colti, poco amati, bla bla bla la terra idiota, la grassa betis-sa ribalda e stiffan mestatore di carta, in realtà copista che altera con gusto perfido

UNO Avrò dove chiudere la grande luce che a giorni invade la casa
DUE Il piacere ha parti boccali astate e palpebre che la luna arrotonda
UNO Finirà tutto oggi? Mancano quaranta giorni per fine d'anno
DUE la mia testa non sa in quale luogo inclinarsi, venditore di cavalli passo da un posto all'altro
UNO Meglio pensare al congegno, non basteranno quattro aste a reggere questo peso, né lo specchietto sistemato sull'ala sinistra mi darà indicazioni
DUE Meglio volare, ho lunghe gambe e la mia testa beve nei miei sogni
UNO Sotto l'arlo non c'è altro che una grassa signora che mi scortica il petto e come trenta cavalieri m'assale
DUE Quale il colpo mortale? le sere trascorrono tutte uguali. Come si fa ogni notte a tener conto del pizzicore delle rocce, del poponcino molle o delle grosse narici della chiacchierata betissa?
UNO l'uomo ha lasciato i curli, ha lasciato il tamburo, come può sorprendermi una grassa signora che gira vorticosamente e diventa pian piano rullo rosso, e poi bottiglia e cantarello?
DUE Non sono che una rossa ferita della terra, e una grassa signora, per quanto grassa, non potrà mai tener testa al pizzicore delle rocce

VENTICINQUESIMO/A

flora con labbra tumide e carni accese, abelardo con rossa gola forata, discorrono se più dolce sia l'amore di un milite o di un chierico, odor roseo spira dalle labbra mentre bacco tumultua nel bicchiere, figure di alabastro, labbra ancora di corallo, la mestizia del baccanale, oh scolari vaganti e poi poeti poeti che lasciano dietro i fastidi dell'esistenza, scaltri come detrattori, predoni, carnagione di simula, che cantate ringhiate come gioi luminoso, disperato, arriva l'ambasciatore oilì oilà a cercare la più bella, buffoni, patifon, tre vivi che guardano tre morti, danzano tutti col tsiritrò, danzano tutti e ognuno succhia la vita finché può, con lazzi rossi, con lingue immaginarie... oh non congiungeranno le mani in chiesa, non suoneranno la viola, non taglieranno il pane, non saranno mai bravi copisti, non porteranno mai dieci anelli, a meno di infilarne due per dito, marco a te giovane giollare, oh oh questa la vita in apicali, vestito di rosso, orecchie di asino che suona il tamburo, gonella, fra' mariano, scocola, mattello, tolti dalle panche i dossieri di velluto dai letti le coltri d'oro filato, allora scacchi, tarocchi, gurgello, palle ventizzate, ledardino, francatrippa, chi conta i mesi, chi vola in cielo senza corda, chi èballadore, chi come un serpe cambia pelle, si attorciglia a conchiglia sporigliante, emblema d'acqua, oh

UNO Con poche piume non vestirò il mio congegno. Chissà dove sarò quando la terra allargherà la ferita

DUE La direzione non importa, cera che si scioglie, stordimento, non importa. Un re che con poco decoro scivola dal tuo letto può benissimo volare in direzione del sole
UNO Comprate per passare il tempo, grida il venditore di pop corn, e davanti alla torre pesta i piedi all'uomo dei curli
DUE Tutti quegli sguardi! Ma che avrà in cambio la folla che, pavida, seguirà il tuo volo?
UNO Avrà il mio rosso corteggio, le risicate maschere, l'ondeggiare dei miei capelli, il mio languore che cadrò come cadono perle
DUE Gàina, avvoltoio, barbagianni, aquila domestica, pipistrello, sera dopo sera
UNO Ho venduto un occhio in un rosso calamaio, grida il venditore di portenti, è così fredda la sera
DUE Forse a cavallo di un drago, forse aspetterò che un serpente si avvinghi all'ano, che schizzi in alto la mia schiena
UNO Con l'innocenza di un rospo vi posso dire di questo inchiostro che cambia colore a seconda dei lutti
DUE Pere, scie luminose, bocciòli di candela, bottiglie e cantarelli, sera dopo sera, cavalcando la terra stupida
UNO Ho chiuso la testa in una maschera, dall'esterno il pizzicore delle rocce è musica per lo squalo che in me dimora
DUE L'universo si allarga, non ce la faccio

Capitolo Quindicesimo

UN ADOLESCENTE CHE ABBRACCIA UNA FANCIULLA DI CUI SI E' INVAGHITO, MENTRE DUE UCCELLI GIUNONICI LOTTANO DAVANTI A LORO

Lettera di Alessandro
Cara madre, sono da due mesi in questo posto, ho solo occhi per questo congegno, questo trabiccolo, come ormai lo chiamo (due grosse e belle ali, tenui e flessuose, ma nello stesso tempo compatte e senza cera) a cui lavoro anche di notte. Notti intere, notti che in altri tempi, se ci penso adesso, avrò sicuramente perduto dietro a cose stupide, ad abitudini e a rinuncie che hanno di certo minato il mio corpo, o parti di esso, inciso obiettivamente sul mio, diciamo, spirito, o, e questo mi sembra più appropriato, sul flusso di parole che da molto tempo servo e dal quale, con molta probabilità, non sono servito.
Come già sai, anche se ti sei chiesta sempre il perché, io continuo a scrivere, continuo a cercare parole che dicano, che facciano fede ai diversi e a volte strani momenti della mia vita, che molti dicono povera.
Coi risultati non ci siamo, ma questo non vuoi dire. Il più delle volte le parole che affibbio alle cose non reggono (che mi stia di nuovo assalendo quel solito tremore, quel solito magone?), pare, ti dicevo, non abbiano, le parole, appigli di nessun genere, e come niente - come fosse la cosa più naturale del mondo - mi restano in mano. Me le ritrovo a mucchio - pensa con quale mia sorpresa -nelle palme congiunte: Oddio, un tempo, col vigore che avevo, le buttavo in aria, aspettandomi, a terra toccata, di assistere e di gustare una di quelle meraviglie che solo il caso sa così bene tornire. Se il magico risultato non veniva, le ributtavo, e così via.
Un tempo tutto questo era possibile - e posso dirti che a tutta birra mi gloriavo di una spigolosità di linguaggio, di una sonorità che in molte occasioni vendevo come mia -, oggi non più, oggi non più, oggi tutto questo non è più possibile dacché mi sono accorto che questa meraviglia sonora, guidata dal caso, non apporta un bel niente, nemmeno un effetto placebo, ai miei duri momenti, alle mie perdite e rinuncie, anzi una tendenziosità, uno sfinimento - questo lo conosci, come conosci il mio troppo stupore - l'ostinazione a leccare bruciature che non sono nate certo con me...
Comunque, alle parole condannato, parole uso. E devo confessare, registrare i vantaggi, nonostante il vuoto a volte di cui ti dicevo, che questo usar parole apporta al mio congegno. Dipende ormai da questi due quaderni (di parole, ma anche di segni e svolazzi) la costruzione del mio congegno, il portare a buon fine la mia impresa.
Cos'è questo congegno? Presto detto, non ho nessuna voglia di girarci intorno (sono già tanti i miei rovelli!), anche se quando te lo dirò, dapprima avrò quel tuo sorriso colmo di stupore, poi qualche frase preoccupata, mista a quell'accorata imprecazione che per il solito amore ti fai morire in gola...
Niente di grosso, madre, o qualcosa di grossissimo, nient'altro che un trabiccolo che in cielo dovrà portarmi, tutto qui, ecco, nient'altro...
Ecco, oggi non penso che a questo. A volte guardo con sgomento il trabiccolo: oddio, mi dico, ma gliela farò, è tempo adesso? poi quando qualcosa comincia ad andar bene, quando qualcosa di nuovo (qualche nota, qualche formuletta) c'è da appuntare sui miei quaderni, oh allora non so che cos'è lo sgomento, e tutto è furia, tutto brilla, e io sono vivo.
Ma a che serve poesia, dicevi un tempo: a che serve il cielo puoi dire adesso, a che questa immensa voglia di alzarsi, volare?... Colpa anche della vaghezza, madre, della vaghezza e della stupidità della terra, della sua porosità...
Spero solo di non restare coi miei quaderni, col mio stupore, con queste svuotate parole, con i miei propositi di volo: non altro che gioco, ripetizione, bisticcio...
Ecco, tutto qui, madre, nient'altro, nient'altro se non il solito vecchio cuore tagliato a spicchi, non ancora del tutto sbrecciato, inesploso, il solito vicariante corpo squassato dai vecchi soliti colpi di tosse, il solito inverno (col solito lardo, con le solite coteche, col solito vino), il solito mattino che cola dall'argento dei cavoli e l'urgenza in ogni cosa... E' il correre stolto, e il correre continuo, con ali bianche, quasi senza corpo, verso il solito albero d'oro, verso il solito vecchio profumato eldorado

Capitolo Sedicesimo

UN UOMO NERO, DI STATURA POSSENTE, DAGLI OCCHI ARDENTI, DAL VOLTO SERENO, AVVOLTO IN UN CANDIDO MANTELLO

L'uomo dei curli ha guadagnato il carro
e steso tra le sponde
non offre dorso al cielo ma ha palpebre ingrossate
e pensa non lancerò più un solo curlo
e pensa non pesterò più di filato il tamburo
e pensa ormai non ruberò l'oro agli dei
né i diamanti all'eldorado
e pensa Castro non è più rossa
e pensa niente più vigore
e pensa niente guizzo che al culmine rincula
e pensa niente signora dalla grossa gola
e pensa niente di niente
e come un cancro esce adesso la sua voce
e dice ma gli pare di gridare niente torre solitaria
e dice ma gli pare di gridare il rosso più non genera
e dice ma gli pare di gridare il tamburo l'argilla non monterò

E mentre dice pensa allo squalo che da dentro divora
e mentre dice pensa non avrò mai parti boccali astate
e mentre dice pensa né carte gialle e rosse mi terranno lontano
e mentre dice pensa non avrò da ridere per le giubbe sforacchiate
e sa che d'oggi in avanti aprirò bocca e perderò voce
e sa che d'oggi in avanti non avrà carro ma voce sempre più fioca
e sa che d'oggi in avanti sarà meno di un bocciòlo di candela
e sa che d'oggi in avanti sempre più gente premerà
e avrà solo da dire un tempo in Castro rossa facevo correre i miei curli
e avrà solo da dire un tempo avevo una donna dal ventre di mora
e avrà solo da dire un tempo la vita correva sulle rigature del curlo
e avrà solo da dire un tempo si stupiva la terra melograna

E mentre parla o pensa alza la testa tra le sponde
e mentre parla o pensa la testa muove come rigido rubino
e mentre parla o pensa muove la testa in continui dinieghi
e mentre parla o pensa la testa tocca il cielo di nubi rosse
e dice anche oggi Castro avrà una luna che racchiude nubi
e dice anche oggi Castro sarà piena di parti boccali astate
e dice anche oggi Castro sarà terra di venditori incrèduli
e dice anche oggi Castro sarà di quattro spuntoni la regina
e dice un ragazzo dai capelli rossi ha sfidato lo squalo
e dice un ragazzo dai capelli rossi verso l'orlo degli dei
e dice un ragazzo dai capelli rossi presso una cava provava un congegno
e dice un giovane coi capelli rossi con una grossa apertura alare
e dice ho pensato fosse un angelo caduto presso la cava
e dice così ho pensato visto che dentro di me si agitava lo squalo
e dice non so più quanti serpenti e squali e quante bocche astate
e dice è grande la furia dello squalo che preme sottoterra
e dice ancora per me il mare è un odeon bene illuminato
e dice c'è tanta eleganza nel ragazzo dai capelli rossi
e dice ancora il giovane è muto e vorace chissà la sua rabbia
e dice i capelli rossi toccano il tetto di Castro
e dice ancora l'aria è già un vasto rosso
e dice l'aria ha mandibole e bocche astate però non ha corpo
e dice e dice e dice
e mentre dice squali sottoterra mirano al suo intestino

Poi dice ad alta voce sottoterra è un sussulto
dice ad alta voce sottoterra ogni squalo ha un suo spazio
poi dice ad alta voce sono moltissimi gli squali rossi
dice ad alta voce sottoterra la loro ansia è la loro rabbia
grida l'uomo dei curli e si rizza tra le sponde
grida l'uomo dei curli ed è in piedi mentre Castro è tutta rossa

Poi dice ecco un uomo giovane punta verso il cielo
poi dice ecco un ragazzo ha in bocca l'oro degli dei
poi dice ecco è il ragazzo dell'albero d'oro
poi dice ecco con arroganza verso il profumato eldorado
poi dice è sulla torre coi capelli rossi e il suo congegno
poi dice ecco sulla torre è ben visibile la sua figura
poi dice ecco sul suo volto la muta rabbia e nel suo corpo l'armonia
poi dice ecco sulla torre in silenzio mentre un'ala inghiotte un suo braccio
poi dice ecco un solo guizzo e il corpo già sopporta il congegno
poi dice ecco ancora di più si azzuffano squali sottoterra
poi dice ecco squali senza nessun contegno si azzannano
poi dice ecco squali e serpenti sottoterra premono a tutta birra

Dice è pronto al volo mentre ha testa d'uccello e alle caviglie una frizione
dice ha grande apertura alare e il cielo ne gioirà
dice ha congegnato tutto anche per ben planare
dice sarà tutt'uno col vento e il vento è la sua ansia
dice salirà più in alto possibile e avrà cielo e potrà planare
dice dapprima s'inclinerà verso il mare come gàina
dice dapprima volerà come gàina e dopo sarà un gioco schizzar via
dice non hanno cera le sue ali e nell'ala sinistra ha uno specchietto
dice sfrutterà correnti ascensionali per poi sul mare planare
dice dovrà cento volte andare e tornare e finalmente nel cielo schizzerà
dice salirà e poi si lascerà scivolare ad ali ferme
dice ancora salirà se scarti d'aria potrà evitare
dice oramai squali e serpenti avranno sfondato la torre
dice però del giovane non vedrò i capelli e rosso e rosso si fonderà

Grida adesso l'uomo dei curli mentre si rizza tra le sponde del carro
grida mentre il giovane mostra un volto senza chiazze
grida mentre il giovane freme e forse non ha volto
grida mentre negli occhi ha l'albero d'oro e il profumato eldorado
grida adesso potrò scegliere nido e fuga e poi ritorno
grida adesso potrò in volo facilmente orientarsi
grida anche chissaccome ma in volo poi si perderà

E grida ancora correrà nel cielo col ghigno del predatore
e grida ancora allo squalo predone la torre lascerà
e grida ancora e ha scuotimento leggero alle ginocchia
e grida ancora ha corpo giovane e tenace
e grida a volte parti boccali astate
e grida ancora non ha vene né arterie questo corpo
e grida ancora tutto cesserò al solo tendere dell'ala

Grida e saltella tra le sponde l'uomo dei curli
grida avrà la tenacia e l'oro degli dei
grida e l'uomo non si accorge del suo
vigore grida e non è certo flebile la suo voce
grida e il carro trema e geme la terra

E ancora grida e grida e salta e grida e grida
e mentre grida s'accorge che il giovane ferma a corsa
e mentre grida s'accorge che lo sbatter d'ali non genera volo
e mentre grida s'accorge che lo squalo più vicino azzanna alla cieca
e mentre grida il primo squalo ha già guadagnato la rossa torre
e grida-al giovane dal pelo rosso e grida e grida e si dispera

E una seconda volta lo sbatter d'ali non genera volo
e una terza volta lo sbatter d'ali non genera volo
e una quarta volta lo sbatter d'ali non genera volo
e tante volte non hanno guizzo le ginocchia
e tante volte non hanno frizione le caviglie
e tante e tante e tante
e cinque squali sulla torre osservano il ragazzo dal pelo rosso

E l'uomo grida c'è vuoto desolante c'è barbarie
e l'uomo grida ha suono persino il pizzicore delle rocce
e l'uomo grida non sente il facilisco salirgli la schiena
e l'uomo grida non sente il serpente che ormai lascia l'ano
e l'uomo grida quanto poco ha goduto il suo congegno
e l'uomo grida per giorni e giorni ho spinto il mio carro
per giorni e giorni curlo e poi corolla

E grida fai che uno squalo ti morda l'ano
e grida vai in alto e la terra gemerà
e grida sali s'arricchiranno i venditori di lusioni
e grida vai in alto buon rapace dal collo bianco
e grida sali uccello bianco e senza corpo
e grida sali per l'albero d'oro e l'eldorado
e grida sali per l'oro degli dei ma per te stesso
e grida e nel gridare balza giù dal carro

Pensa è così duro andare avanti
pensa ogni notte l'assalto di parti boccali
pensa giorno per giorno la terra senza pudore mostra le sue rughe
pensa giorno per giorno mille mani di un'orca dal ventre minchione
pensa giorno dopo giorno quanto gode a vederci rotolare
pensa pesante è il carro e flebile èl'uomo che lo spinge

E grida è così duro andare avanti
e grida giorno dopo giorno nell'aria rossa che rapprende
e grida giorno dopo giorno la giubba sforacchiata
e grida voi non sapete cos'è un uomo
e grida divorano l'erba nana e l'erba miseria
e grida l'erba pigliamosche e persino l'erba pulciaia
e grida giorno dopo giorno è una farsa
e grida giorno dopo giorno è teatro per soli squali
e grida un prana non si leva da tutta la terra
e grida tra non molto lasceranno i campi a pìgola
e grida morirò sforacchiato chi non troverà tetto
e grida una giubba sulle spalle e palpebre ingrossate
e grida ogni sera sulla bocca spunta una baionetta
e grida non ci sarà guizzo né culmine né niente da roteare
e grida e non vorrebbe sprecare una sola parola

Pensa Castro splendeva in una nube rossa
pensa bastavano un uomo coi curli e un carro
pensa bastavano quattro spuntoni di torre e una donna grassa
pensa tutto era quieto e la donna si accarezzava la gola
pensa tutto era quieto sotto la vecchia torre
pensa ero così misero ma ero così felice
pensa lanciavo spesso curli nell'aria rossa
pensa il più delle volte a caso nel cemento
pensa a volte lanciavo un solo curlo e chiedevo voce
pensa un solo curlo mentre negli occhi avevo uno sfacelo

Ecco grida adesso lancio di nuovo il mio bel curlo
ecco grida se altro modo non trovi guarda il mio curlo
ecco grida adesso gira su te stesso come il mio curlo
ecco grida sapessi da quanto ho cominciato a far girare curli
ecco grida se vuoi saperlo speravo di volare
ecco grida con tenacia per loro tramite speravo di volare

E grida l'uomo eppure nel suo congegno non c'è cera
e grida eppure sull'ala sinistra ha fissato uno specchietto
e grida dapprincipio almeno come gàina
e grida un nuovo grosso boato inciderò la luce rossa
e grida l'uomo e freme tutto il carro
e grida terra melograna a denti di cavallo
e grida betissa beona e farfallona
e grida orca vogliosa dal cuore esitante
e grida e ringhia e geme sotto il carro
e grida tutto nel bagliore ha preso forma
e grida anche le sponde del carro sono mura
e dice questo ragazzo non sarà mai ruota e corolla
e dice questo ragazzo non sarà mai di sola luce
e dice questo ragazzo non sarà mai scia luminosa
e dice mai vedrà farsi donna la spuma dell'onda
e ancora dice non ha cera il suo congegno
e dice eppure lo specchietto è sempre fisso lì sull'ala
e dice di sicuro avrò polvìglio sul suo volto
e dice di sicuro sul suo volto anche lanugine
e dice di sicuro pallore sera dopo sera
e dice deturperà pietraia e divorerà gramigna
e dice scavalcherà frontoni e devasterà inatteso
e dice renderà orba la terra giorno dopo giorno

E vede il ragazzo col braccio sulla fronte
e vede il ragazzo per metà divorato da dieci squali
e non più ragazzo esploratore ragazzo nomade
e non più ragazzo guardiano dell'oro degli dei
e vede il ragazzo e la tenera perdita del gioco
e vede il ragazzo e la purissima perdita del gioco
e dice l'uomo anche la torre con rughe e croste

E dice l'uomo tutto devastano e hanno la bocca astata
e dice l'uomo attaccano il passone e attaccano la pèrtica
e dice l'uomo il brùgio è il cancro della terra
e dice l'uomo la sua asma è proprio la sua rabbia
e dice l'uomo nel mondo vive non altro che come tumore

E grida o betissa sbruffona e chiacchierona
e grida lenta betissa che insapori la mezz'acqua
e grida stonata tonda precaria e assorta
e grida orca grossolana e purulenta
e grida stremato oddio quanta vaghezza
e grida stremato oddio quanta stupidità
e allo stremo più non gemerà la rossa terra
e allo stremo né s'arricchiranno venditori di lusioni
e allo stremo giorno per giorno appostata tra le dita

E dice tornerò l'uomo dalla flebile voce dietro un carro
e dice tornerò l'uomo dal suono fioco e dal solito curlo
e dice tornerò l'uomo che gira e gira col flebile carro
e dice tornerò l'uomo pure di un solo curlo
e dice tornerò l'uomo che rotea ruote e corolle
e dice tornerò l'uomo del solito vigore
e dice tornerò l'uomo del solito guizzo che proprio al culmine rincula
e dice a volte non avrò voglia di aprire bocca
e dice a volte non avrò voglia di sprecar parole
e dice tornerò il nomade di sempre
e dice il guardiano e lo strano esploratore

E grida tutto è allo stremo e tutto è baionetta
e grida voi non sapete cos'è un uomo né l'albero d'oro
e grida voi non sapete lo sfacelo né il profumato eldorado
e grida e grida tutto è proprio come prima
e grida palpebre ingrossate e giubbe e dorso alla luna
e grida rossi incredibili e nubi e morsi all'ano
e grida ali senza cera e campi a pìgola e squali sottoterra
e grida e grida e non s'approva ma grida in Castro rossa
e grida e grida e grida
e quasi non s'accorge del curio che fita senza sosta

Capitolo Diciassettesimo

UN PADRE DI FAMIGLIA E UNA SIGNORA, NEL GESTO DI COLORO CHE PENSANO. LUI HA IN MANO DELLE PIETRUZZE E LEI LA CONOCCHIA

UNO Ricomincio a puntare, ricomincio a contare
DUE Ha il collo lievemente inclinato, il facilisco che rovista nella sua schiena
UNO Dico un numero, quaranta per esempio. Bene, niente è perduto, quasi tutto si streccia
DUE Il collo lievemente inclinato senza rendersi conto della sconfitta
UNO Contare sino alla fine, contare e puntare
DUE Muto, mentre gli occhi ignorano lo squalo che ormai devasta il suo corpo
UNO Sotto l'arlo mai sterco di oca, oppure ombra di un sigillario, oppure oppure
DUE la testa, non ancora devastata, lievemente inclinata verso sinistra
UNO Sotto l'arlo, mentre intorno è silenzio, numeri solo numeri
DUE Una sconfinata trasparenza nei suoi occhi, aspetta un cenno dal cielo
UNO Sotto l'arlo, ad ogni numero detto risponde a caso, piano, una parola
DUE Una trasparenza ormai un'ossessione, nessun tetto può bastare quando il facilisco risale la schiena
UNO Sotto l'arlo, ad ogni parola si aggrappa una storia
DUE Lo sguardo di sconfinato dolcezza, e un corpo che può reggere ali infuocate
UNO Sotto l'arlo, quasi ogni giorno le parole si spezzano, si svuotano le storie, si fa buffo il silenzio
DUE Cento squali corrompono il suo corpo, solo lo sguardo non tradisce sconfitta
UNO Ecco, sotto l'arlo sono solo col mio silenzio
DUE Ormai sono al collo Azzannano con la solita furia, in pochi attimi si affloscia anche il congegno
UNO Voi dite e dite, ma sotto l'arlo c'è solo silenzio
DUE Il corpo profumato e la forza e la tenacia ingigantiscono le parti boccali, le palpebre già grosse
UNO Sotto l'arlo un vuoto incredibile, e l'arlo è un luogo felice
DUE Dentro c'è uno squalo per tutti, e sottoterra ci seguono cento squali
UNO Non ha frutti l'arlo, e sterco e ombra e spuma e seme di giglio sono solo buffe vostre storie
DUE Ha sguardo colmo e sguardo disperato, ha furore negli occhi e pietà per il corpo assalito
UNO L'orlo ha radici devastate, per tutti però è il luogo delle splendide occasioni
DUE Cento squali gli premono in gola, tutta Castro è oscurata, allo stremo
UNO Cinquanta, sessanta, al trotto!
DUE Solo nei pressi del carro una flebile luce. Aderire allo squalo, perché no
UNO Duecento, trecento, al galoppo!
DUE Castro è di nuovo deserta. Monta un rosso vivo, un rosso iniziale. C'è un brusìo divoratore. Il curlo
UNO Cinquemila, diecimila... Imprendibile!
DUE Sera dopo sera, la baionetta. C'è uno squalo che, curvo, scrive in fondo alla bivett del teatro.


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