§ CULTURA SALENTINA TRA '400 E '500

Pietro Galatino




Giancarlo Vallone



Il De arcanis catholicae veritatis (1518) di Pietro Galatino attira, in questi ultimi anni, rinati interessi della cultura filosofica. Ma sul francescano galatinese si sono accumulati secoli. di luoghi comuni, di errori, di falsità che bisogna sconfessare punto su punto, per restituire questo intellettuale anzitutto alla dimensione reale della sua biografia. Mi sono dedicato a questo ingrato, ma, lo dirò, indispensabile lavoro, subendo anche la delusione di un Galatino sfuggente ad ogni esplicito collegamento con gli altri dotti salentini di questo periodo che, per la cultura salentina, è quello aureo. Queste pagine un po' fanno, o anticipano, la storia di tale silenzio, ch'è paradossale perché senz'altro le circostanze biografiche, e non soltanto le mie congetture, portano il Galatino ad incontri taciuti o nascosti.
Egli nacque a Galatina qualche tempo prima del 37 agosto 1464 ed ebbe non solo in religione, ma fors'anche al fonte battesimale, il nome del patrono del suo paese: Pietro. Una lunga polemica settecentesca divulgò il suo cognome: era un Colonna. Così almeno volle Alessandro Tommaso Arcudi, erudito galatinese, in conflitto con la famiglia patrizia dei Mongiò-Gigli, che pretendevano di ascrivere il frate al loro casato. Ma se Galatino non fu del Mangiò, non fu neanche un Colonna. Il suo cognome iniziava senz'altro per "S", ed era gente povera. Per di più, come ci svela uno dei suoi conoscenti romani, la sua famiglia aveva origini albanesi. Dunque, dall'intenso flusso di levantini che si concentrarono a Galatina, allora infeudata ai discendenti del grande Giorgio Castriota Scanderbeg, non emerse solo la famiglia di filosofi e medici Zimara, ma anche il teologo Pietro S.. Non una lettera, non una citazione sopravvive tra loro. Eppure è impensabile che il Galatino non conoscesse almeno il capostipite degli Zimara, Marco Antonio, che era un po' più giovane, e doveva tutto ad un suo parente mezzo prete e mezzo faccendiere, Pietro Bonuso, anch'egli di Galatina.
Non è possibile sapere se Pietro S. ebbe un avvio alla lingua greca già dal dialetto, in età infantile, nella sua patria ancora grecofona. Egli avrebbe anche potuto apprendere l'ebraico dai dotti del ghetto di Lecce, dove pure il celebre Abramo de Balmes, coetaneo del nostro, aveva mosso i suoi primi passi.
A Lecce, dove il Galatino ebbe residenza monastica, è legata la prima sua opera pervenutaci, il De optimo principe (1507): e qui emergono alcune conoscenze salentine: il brindisino Bernardino Scolmafora, vescovo di Castro, ch'è il più noto di tutti. E poi Francesco Scalona di Ostuni, Giacomo Schifizzari di Nardò ed anche il patrizio leccese Ruggero Lubelli. Persone queste che difficilmente si sarebbero sottratte all'oblio se il Galatino non le avesse introdotte nell'opera. Da questa si apprende anche una certa abilitò oratoria di Pietro, che mai raggiunse, naturalmente, la fama dell'altro francescano, il celebre Roberto Caracciolo da Lecce. Costui, assai più anziano (era nato nel 1425), mori nel 1495. Ma un suo ricordo ce lo offre Giovanni Potken (1470-1524 circa) che fu poi, forse non a caso, maestro di lingua etiopica al Galatino.
Mistico e visionario il nostro frate credeva ciecamente alla celebre profezia di S. Cataldo, rinvenuta a Taranto nel 1492.Non era il solo, perché, tra i tanti, vi credette anche il cronista leccese Antonello Coniger. Solo il Galateo dubitava e rideva anche dei frati: ma forse del Galatino non sorrise. Il Galateo era più anziano e morì proprio nell'anno in cui fu pubblicato il De arcanis. Nessuna traccia è reperibile di un rapporto (pure possibile) tra i due, tranne forse la comune conoscenza di Egidio da Viterbo. Eppure, da posizioni diverse, vi sono convergenze di passioni politiche: la simpatia per Alfonso d'Aragona, il principe di ferro; la esultanza per la presa di Tripoli ad opera del Cattolico, e così via. Intanto il Galatino, verso il 1512, era giunto a Roma e ci si fermò quasi continuamente fino alla morte (dopo l'11 maggio 1539). Uno dei suoi primi contatti in città fu il Potken. Ma è impensabile che il Galatino sia vissuto senza incontrare l'altro salentino di Melpignano, Nicolò Majorano (nato il 7491 o il 1492 e morto tra il 1584 e il 7585) che insegnava greco alla "Sapienza" almeno dal 1535. Costui era famigliare del Cardinale Nicolò Ridolfi, quello stesso cui il Galatino dedicò alcune opere. Ma ebbe anche funzioni di custode alla Biblioteca Vaticana che il Galatino frequentava; e di sicuro la frequentò lavorando al De arcanis. La Voticono nel 1522 (e poi forse nel 1541) fu frequentata anche dal soletano Matteo Tafuri (1494-1582), su cui i secoli hanno addensato fama di mago e negromante e che allevò una notevole schiera di discepoli. Non si può pensare ad interessi più lontani da quelli del Galatino. il quale anzi dedicò un lavoro, pervenutoci, "contra astrologos prognosticantes". Forse è causa del tempo che appiattisce ogni differenza; ma sembra davvero un tiro della sorte che chi derivava il futuro del mondo, ed anche il proprio, da profezie e vaticini religiosi, avversasse a tal punto chi lo derivava dalle stelle.

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