§ L'INEDITO

Appunti per gli "Appunti"




Aldo Bello



"Di notte è peggio. E' allora che fermentano ancora più liberamente le peggiori sudicerie, e il vizio e la fame danno vita ai baratti avvilenti e bestiali. Povera Napoli!".Così, Ciardo anticipa un frammento malapartiano della Pelle. Napoli è la capitale delle retrovie. Dalle sue macerie fumanti emerge un'umanità spettrale, che alle ferite e alle lacerazioni della guerra aggiunge quelle - sordide - dell'occupazione. La carne da cannone è diventata carne da mercato, a prezzo vile: per un pacchetto di Lucky Strike si può disporre di una dodicenne. "Qui tutto è in funzione dell'oggi e, diciamolo pure, dello stomaco. Si traffica con gli americani, con i negri, con chiunque abbia denaro da spendere ( ... ). Le donne poi hanno oltrepassato ogni limite ( ... ). Dolorosa e mortificante è la supina acquiescenza degli uomini. Addirittura tragica la rovina morale dell'infanzia costretta a vivere in simile luridume ( ... ). Povera Napoli!". Napoli, che pure era stata quella disperata e grande delle "Quattro giornate", tornata alla quotidianeità della sua fame, si dà impudicamente, e senza condizioni, ai nuovi vincitori. Quando vi torna, dopo un'assenza di dieci mesi, Ciardo scopre anche le rovine morali. "E' come un sogno cattivo", annota. Scoprirà che altri veleni intossicano gli uomini, l'arte, la città.
Questi "Appunti per un diario", pervenutici in 43 fogli manoscritti, riguardano quattro anni cruciali della nostra storia, dal maggio '44 all'aprile '48. Passano tra le righe cronache pubbliche e private: le "consuete meschinità" dell'Accademia, cui "si aggiunge adesso la politica"; le perfidie, i voltafaccia, le vocazioni dell'ultima ora, le delazioni, il doppio gioco, le epurazioni, le risse; i rischi di una guerra civile italiana; i nuovi fermenti dell'arte; lo scoppio delle atomiche; la repubblica di Salò e la fucilazione di Mussolini; la resa della Germania; la morte della madre; il referendum istituzionale e la caduta della monarchia; il trattato di pace e la questione di Trieste; l'Uomo Qualunque e i partiti di massa; i disordini di piazza e il primo governo De Gasperi; le elezioni del '48 e la sconfitta del "frontismo"; la guerra fredda; i ritorni a Leuca e a Gagliano: uno scarno brogliaccio di un uomo, e artista, che dichiara la propria "azione moderatrice" e il proprio non essere "mai stato un animale politico", non in funzione di una visione idilliaca della vita, ma di una scelta di democrazia maturata nella storia e sulla pelle (tre fratelli perduti nel primo conflitto mondiale; aspirazione a un ordine politico come riflesso del proprio ordine morale; tardiva e temporanea adesione al fascismo; scoperta e assunzione dei valori del pluralismo democratico). Tutto questo fa di Ciardo un moderato aperto alle nuove istanze ("fermenta in me una evoluzione spirituale che... mi accosta ogni giorno di più al senso esatto della parola democrazia... E' un processo del tutto interiore, il mio, al quale ripugnano le esibizioni clamorose di certuni che non sanno sottrarsi al piacere di dar conto delle proprie crisi, dato che davvero ne abbiano. Oggi so finalmente che cos'è democrazia. in fondo, per me, reduce della prima guerra mondiale, i due anni che precedettero il fascismo non furono davvero scuola sufficiente in tal senso...").
Sono i giorni ambigui della corsa al riparo dalle epurazioni. Chi può, con i mezzi che ha, anche sleali, si crea un passato di oppositore o di vittima. Oppositori e vittime, ovviamente, passivi, in una città (e in un Sud) in cui quelli autentici, attivi, avevano ben conosciuto emarginazione e persecuzione, carcere e confino, e persino morte. Con la liberazione, le mimetizzazioni e le fughe in avanti furono il grimaldello opportunistico per conservare posizioni - e possibilmente privilegi - consolidate nel ventennio. Così, anti-fascismo e post-fascismo finirono con l'identificarsi solo in parte. E sulla generale insincerità, oltre che contro processi sommari e vendette e ritorsioni, scese la cappa balsamica dell'amnistia.
Occorre tener presente tutto questo, per leggere oggettivamente un Ciardo che rifiuta la protesta qualunquistica di Giannini e la dottrina dittatoriale di Togliatti, le nostalgie dei monarchici e quelle dei neofascisti; che si stacca di netto dalle ideologie, ("Preferisco conservare l'indipendenza nei confronti di tutti i partiti"); che giudica con lucido rigore le trascorse esperienze storiche, ("Per noi, purtroppo delusi da tanti fallimenti, non vi sono che ceneri e rottami. Un solo desiderio anima ancora lo spirito stanco: la pace e la tranquillità del lavoro. Politicamente, quelli della mia generazione non possono essere che degli inutili stracci.,"); che affida all'arte l'estremo messaggio, ("Per me conta solo la pittura. Quando sarò morto verrò giudicato non per il colore politico che avevo in vita, ma per i quadri buoni o cattivi che avrò lasciato"). E occorre cogliere il senso di stanchezza, ("Continua questo stato di pigrizia che non mi consente di lavorare. Tutto mi do fastidio. Sullo spirito inquieto grava come una cappa di piombo"); di solitudine, (la morte della madre lo ferisce profondamente; e ferite -ma di segno opposto - lasciano le calunnie e i tradimenti di molti, che pure aveva beneficato); di nauseo persino, (per l'ingiusta sospensione dal comando all'Accademia), per comprendere la contraddizione di fondo di un uomo (e dell'inscindibile artista) il quale esulta per la democrazia come strumento di progresso e plaude al giovane il quale esclama che "il popolo ormai s'è svegliato e non lo si può più trascurare", e poi, quasi ingannato da un ideale astratto, si chiede: "Ma che davvero non sia possibile che la cultura resti fuori dalla mischia?".
Ciardo veniva do una terra eccentrica, con società stratificata, sostanzialmente conservatrice, con quel poco o quel tanto di spirito anarchico (ma molto estetico e verbale), temperato comunque da un galantomismo che era un filone non secondario dell'antropologia culturale locale. E proprio un forte bagaglio culturale metteva questo artista in una posizione particolare. Maturato con la fine della guerra il collasso delle idee dominanti (già esploso con l'azione partigiana e con le rivolte popolari), nessuno ebbe la forza politica di estrapolare da biologia, psicologia, scienza delle istituzioni, magistero civile (che pure c'era stato: con Croce, prima; con il Partito d'Azione in seguito), un contributo determinante perché i conflitti (ideologici, politico-economici, sociali) non degenerassero e la nostra società trovasse una sintesi superiore. Accadde così che il Paese visse in una situazione oggettivamente rivoluzionaria, ma ebbe molti fenomeni della violenza privata, perché avendo una situazione di tipo rivoluzionario in senso storico, non seppe o non volle affrontarla. 0 forse non poté. Lo stesso referendum istituzionale mise in rilievo la pre-esistenza di "due Italie", che non erano solo quella operaia e quella contadina, quella da ancorare all'Europa e l'altra da lasciare alla deriva nel Mediterraneo, ma anche quella del "vento del Nord" che era destinato ad infrangersi contro il muro delle plebi sanfediste, affamate di terra e spaventate dalla storia del Sud. La manovra di queste grandi masse contrapposte (con i filoni eccentrici individuabili nell'una e nell'altra massa) portò, dopo la brevissima stagione unitaria, alla costituzione del blocco bianco, con le sue scelte di schieramento. Lo scontro, che non fu indolore, si decise negli anni cruciali tra il '45 e il '48.E forse proprio l'esito non rivoluzionario e la sconfitta del frontismo impedirono che accadesse all'Italia quel che si verificò per la Cecoslovacchia, nel nome della logica spartitoria di Yalta.
Testimone del tempo, Ciardo sembra cogliere tutti i sintomi del malessere di quanti (e non eran pochi) avevano sotto gli occhi quel panorama di rovine fisiche e spirituali. Diffidando dei partiti e delle fazioni, egli fa leva sulle risorse personali, si ritira in se stesso, risolve la vita nell'esercizio dell'arte. Onestà, pulizia morale, coerenza professionale, libertà d'espressione, disponibilità umana, insomma i suoi codici di comportamento, messi alla frusta dalla diffusa caduta dei valori, dagli stravolgimenti, dalle macerie morali, dalle ambiguità, rientrano in una sfera di pessimismo che lo portano a contare quasi esclusivamente sulla vitalità individuale e sulle capacità espressive (se pure associati, pittori e scultori "non potranno risolvere il duro problema della rivalutazione dell'arte napoletana. Ne saranno impediti da questo falso concetto della democrazia che va affermandosi tra gli artisti, in virtù del quale nessuno è disposto a riconoscere i maggiori diritti di chi, per forza d'ingegno e di lavoro, ha conquistato un gradino più in alto nella scala dei valori. E allora bisogna dare un addio alle iniziative basate sulla collettività, e sbrigarsela da soli. Per fortuna non mi manca né la volontà né il coraggio di affrontare la prova"). Ce la farà, eccome!, Ciardo, a riproporsi all'attenzione di tutti e a tornare ai vertici della pittura "napoletana". Dirà di lui Raffaele Carrieri: "Ciardo era la Puglia come Tosi era la Lombardia. Certi suoi paesaggi pugliesi sono da considerarsi opere compiute..,. ".
Eppure mai le traversie, le delusioni scalfirono la sua caratura umana, (scrive in un momento di ironica riflessione: "Ma perché poi debbo essere così fesso? Non sarò mancanza di carattere questa facilità di dimenticare i torti ricevuti?"). Una caratura sempre controllata. Anche nelle righe che riguardano la madre, colta con un rapido, intenso tessuto narrativo negli ultimi istanti della vita, con alcune notazioni folgoranti, ("La morte è ormai in mezzo a noi... Su quella maschera tormentata scende come un velo, che a mano a mano distende i tratti del volto... Come per un miracolo vedo il caro viso ricomporsi nella serenità di un riposo che non avrà fine... Contadini induriti nel lavoro piangono come ragazzi". E nel Natale, a Gagliano: "La casa è muta e triste... Un lievissimo odore di canfora ristagna sempre nell'aria!...").
Altre "passioni" agitano (si coglie quasi un'ansia panica) Ciardo, e riguardano le condizioni del trattato di pace, le cessioni territoriali, la questione di Trieste (non va dimenticato che era un "reduce" del primo conflitto mondiale), le riparazioni, il timore di una guerra civile. Ciardo interpreta sentimenti comuni a molti, anche se deve accettare l'ineluttabilità della storia. Il diario si chiude con un auspicio: "Pace, serenità, benessere e libertà.
Si lavori per raggiungere questi obiettivi e si sarà reso un servizio alla patria".
Con una vena di umanissimo pessimismo: "Speriamo bene".
C'è un ultimo rigo: "Stamane ho incontrato Assante del Corriere di Napoli". E' sempre il 21 aprile del '48. Il testo finisce qui. Giulia Ciardo e Cosmo Carabellese, che hanno trovato tra le carte dell'artista queste pagine, trascrivendole e affidandocele, ci hanno confermato che altro non segue. Quella riga chiude la quarantatreesima pagina. Forse Ciardo si fermò qui; o, se andò oltre, ci andò di pochissimo. Una perdita, comunque. Ma intatto resta lo spaccato che questo nostro grande salentino dà della storia, della società, dei movimenti di pensiero, della politica del tempo. E anche in questo senso gli "Appunti" sono un documento originale e rilevante, intenso, vissuto dall'interno, scabro, e per molti aspetti rivelatore; che con ogni probabilità farà discutere, ma che certamente fu scritto per essere reso pubblico, ordinato com'è, e rivisto, "meditato": per consegnarci una tranche de vie che ci aiuti a interpretare, insieme con l'arte e con la personalità dell'artista, anche il mondo complesso nel quale, in quegli anni, operava.

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