§ TACCUINO DI BORDO

Macerie dentro




Gianfranco Langatta



"Vennero ( ... ) i manifesti con l'annuncio dell'imminente erogazione dell'acqua. Apparvero in paese grandi carri carichi di terraglie: giare, quartare, anfore d'ogni tipo e misura. Ognuno volle avere un recipiente nuovo. Un pomeriggio fui svegliato da un insolito vociare. li sole era arrossato sulle cose. La piazza brulicava. Improvvisamente la folla ondeggiò, si sollevò in piedi, come richiamata da un impercettibile fremere sotto la terra. Tutti tendevano l'orecchio in un sospeso silenzio. Ci fu un attimo di stupore. Si spalancarono le persiane delle case e altra gente si affacciò incuriosita, altra ancora giunse correndo dalle stradine adiacenti. Si udirono le campane a stormo. La folla si stringeva attorno alla fontana. Si sentì la violenza dell'aria compressa precedere lo scroscio, e un urlo quasi straziante echeggiò nell'aria snidando le rondini spaventate: l'acqua I La ressa intorno alla fontana si fece frenetica. Gli orci, issati sulle teste, risuonavano nelle scosse delle spinte. Vi era chi si inginocchiava, chi piangeva, chi baciava la terra. L'acqua! Dalla calca incominciarono ad uscire le prime persone completamente bagnate, con le terraglie arrossate dall'umidità, appesantite, trasudanti frescura. lo ero dietro, incapace di farmi largo. E vidi scorrere il primo rivolo fra i miei piedi nudi" (Cantatore).
L'acqua dei pozzi piovani, prima dell'Acquedotto, era razionata persino ai ragazzi. E spesso, il tempo che intercorreva tra una razione e l'altra sembrava eterno. Eravamo cresciuti con l'idea che l'acqua fosse un bene proibito, da potersi avere stentatamente nella vita: qualcosa che solo il cielo, quando e se voleva, poteva dispensare. Poi si vide il fumo delle mine e apparvero i cantieri: lo squarcio era in realtà una serpentina che attraversava paesi e campagne con la lunga serpentina dei tubi. Comparvero nelle piazze le fontane, dipinte di verde. Infine, giunse l'acqua. L'arsura era vinta?
L'arsura non fu vinta. Ci sarebbe voluto ancora mezzo secolo perché l'acqua, oltre ai paesi, raggiungesse le campagne. Mentre altrove, in Italia, maturava la secondo rivoluzione industriale, nel Sud e in Puglia i contadini, che avevano avuto assegnate le terre e le cose della riforma fondiaria, ,senza energia motrice e senz'acqua, si vendevano porte e finestre, abbandonavano i campi e partivano per il Nord e per l'Europa, inventando la più grande e più silenziosa rivoluzione sociale del nostro secolo. Incominciarono ad arrivare i soldi delle "rimesse" con ordini perentori: costruire Case. Nacquero le orribili periferie che hanno appiattito le terre un giorno fuori porto: una babele di "stili" (ho visto persino tetti ultraspioventi, a loro modo gotici, di teutonica memoria, accanto a cose di presunto stile 'mediterraneo) ha deturpato forse irrimediabilmente paesi e città, cingendo d'assedio antichi centri storici e antiche aree paesaggistiche. E' il prezzo del progresso? Servivano case, dice Contatore, la gente doveva abbandonare corti, tane, cotoi, bassi, aveva diritto al bagno e all'eliminazione della promiscuità. Le nuove case divennero sacrari: lucide, intatte, le prime con le stanze infilate una dietro l'altra, alla maniera greca, con i servizi in retroguardia, ai confini dell'immancabile giardino; più razionalmente disposte le altre, coi salotto buono al centro della costruzione, in attesa degli emigrati di ritorno.
L'antologia degli scempi non è dovuto solo allo stato di necessitò. Se brutte costruzioni ormai difficilmente fanno presagire le piazze gentili e severe, le splendide corti, le vie e le stradine della vecchia architettura spontanea, quelle che hanno divorato le serre e le coste sono il peccato capitale di un'economia di rapina rifilata per sviluppo turistico. I simboli di questo stravolgimento dei valori paesistici e architettonici sono i falsi trulli che sorgono nelle fungaie costiere appena fuori provincia di Lecce, beota simulazione di ripescaggio di una civiltà seicentesca, circoscritta, storicamente irripetibile. Ambigue Locorotondo contemporanee con i coni che hanno realizzato la quadratura del cerchio: il tutto-tondo, il tutto-ovale si sono stirati, disavvitati, e messi in fila per tre, per dieci, per trenta persino, formando la nuova barriera corallina, d'un corallo vile, lustro, liscio, complessivamente aberrante. E' il segno dei tempi?
Contatore dipinge pingui donne contadine (come fertili e inappagate odalische) distese su presumibili sofà. Donne di grano, seno fecondo, ventre-otre, gremboofferta. E le mani, grandi come campi a primavera. Mandorino, che ha rifiutato i treni della speranza e la valigia di cartone rosso con lo spago intorno, stilizza paesi d'un bianco abbagliante, ma sempre più spesso nel cono d'un sole imploso, rosso acceso, non si so se più premonitore o minaccioso: certo, inquietante; e sempre più spesso deserti (l'uomo dov'è? rinserrato nelle case, o latitante?). Pignatelli scompone la tela: di qua, il paesaggio-ricordo, più o meno intatto: quello che era, e che forse non è più; di là, una composizione-meccano, più sovrastante, forse inarrestabile, divoratrice. Il segno dei tempi, appunto.
Forse, solo insieme con i poeti, i pittori hanno anticipato la vocazione dell'uomo al suicidio collettivo. Città e paesi li abbiamo resi invivibili; le strade, insicure; la notte, con porte inchiavardate. Il circolo virtuoso del consumismo, sul quale regge l'economia, ci ha messi in stato d'assedio. Milioni di isole, non formiamo più un arcipelago.
"Mestamente conoscersi nell'atto / di decidere il grido in cui risolvere / la propria solitudine: altra prova / d'onniscenza non c'è al di qua dal limite / dell'umana vicenda...". (Questi versi li scriveva Vittorio Pagano, forse nel 1976, anticipando tempi tutti nostri, o proiettando fino a noi l'"idea" primordiale della vita). Mai come ora le nostre piazze sono popolate di giovani, uomini e donne firmati da capo a piedi, con la bocca colmo di spot. Parlano standard. A nessuno viene il dubbio che l'omologazione è il primo passo verso il consenso. Dov'è la fantasia del Sud? Dov'è l'ironia afosa, dove la rivolta perentoria, e sia pure d'un minuto, dove lo scetticismo creativo? Questi giovani sembrano periferie umane. L'abiura, strisciante nei tempi lunghi, non ha lasciato traccia di un pensiero infedele. Tutto è stato subìto acriticamente; tutto è stato recepito quasi "naturalmente". Ci sono macerie che camminano, case e uomini, perfettamente funzionanti.
Cioè: tecnicamente rispondenti alle sollecitazioni di chi manovra i fili. Quando è di massa, la conversione è persino felicità. Invisibili missionari ci hanno reso felici.
Perché il sud del Sud resti sempre più profondo Sud.
Bentham introdusse nella sua teoria qualcosa di assolutamente rivoluzionario, non solo per un filosofo, ma anche per un politico del suo tempo. Si trattava di un principio che tutti i grandi riformatori ebbero a cuore: il principio della felicità, ovvero il tentativo di una fondazione sociale della felicità stessa, un'idea che prese da Francis Hutcheson, ma che ambedue presero da Cesare Beccaria. Che la felicità fosse un summum bonum tutti lo hanno sempre riconosciuto, fin dagli inizi della filosofia. I termini del problema non sono realmente cambiati da come li pose Platone, nel dialogo tra il giovane Socrate e il sofista Protagora. La differenza è sempre stata la stessa: nessuno, nemmeno Socrate, ebbe mai dubbi che questo summum bonum fosse di natura morale e dunque individuale, e che fosse un'aspirazione naturale degli uomini. Nessun pensatore, però, aveva mai potuto definire se l'oggetto di questo sommo bene, e della felicitò stessa, potesse essere giusto o ingiusto. Bentham, piaccia o no, ci riuscì. E insieme con Stuart Mill fu il primo a mettersi alla ricerca di qualcosa di simile a ciò che oggi possiamo chiamare "libertà sostanziali", cioè libertà il più possibile concrete. Essi si convinsero che queste consistessero semplicemente nell'estendere il più grande benessere al massimo numero di persone. Fondarono così un nuovo punto archimedeo: quello di identità tra morale sociale e felicità sociale e diedero vita ad una concezione distributiva del benessere economico, culturale ed educativo. Come ha sinteticamente osservato Hobhouse, essi ebbero la convinzione che "ciò che la gente voleva non era principalmente governare o direttamente partecipare al governo, ma quella quota di felicitò e di utilità che promana da un governo democratico". Chiunque si occupasse di politica, dunque, poteva anche non interpretare la "volontà generale", ma doveva rendersi garante e difensore della felicità e del benessere degli individui. In questo senso, gli utilitaristi ebbero sempre una concezione pratica della felicitò. Si posero le radici filosofiche dell'assistenzialismo. Il passo verso l'economia sorretta fu breve. Il prolungamento della sua esistenza è storia nostra. Anche dei giovani che popolano le piazze dei paesi e delle città del Sud. 0 soprattutto loro.
Recita un'antica canzone calabra di Cetraro:

Si lu bisuognu fussi na persuna,
lo a punti di curtiellu l'ammazzeri.
Ch'a mia nci curpe la porca furtuna,
Ch'a lu bisuognu sutta mi fa stari
Pur'iu su' nata cumi na signura,
ma cumi na mappina mi mantenu...

Uccidere il bisogno è l'amara scienza di cui scrive Luigi Compagnone. Provando e riprovando, fino al successivo disincanto, fino al sacrificio sanguinante. Per venir fuori dalla propria storia, e vecchia storia, di fame e di arretratezza culturale. Decenni di assistenzialismo hanno sterminato più uomini d'una guerra civile. E hanno inoculato nel sangue la certezza della sopravvivenza, cancellando il dubbio che è all'origine d'ogni creazione. Ha scritto Popper: "Grazie alla scoperto di Einstein sappiamo che anche le migliori teorie, come quella di Newton, sono soltanto ipotesi molto improbabili. Con il che la differenza tra una teoria e un'ipotesi scompare. Tutte le teorie sono quasi ipotesi, anche le più fondate. Questo fatto ha provocato un terribile shock in me, quando l'ho scoperto, e in tutti coloro che avevano qualche idea in proposito. è uno shock dello stesso tipo di quello provocato da Socrate agli ateniesi. E' uno shock al quale solitamente la gente si sottrae. Il fatto che noi non sappiamo niente, che abbiamo soltanto una conoscenza congetturale, ipotetica, provoca sconcerto nell'uomo comune. Secondo me, Socrate fu condannato a morte soprattutto perché la gente aveva paura di questa conseguenza. Eppure è questa la situazione della scienza, la situazione che dobbiamo affrontare e che dovrebbe impedirci di diventare dogmatici. li dogmatismo è il peggior nemico della scienza". (Dogmatismo. Per il Devoto: "Ogni posizione filosofica che partendo da princìpi aprioristici, sui quali non si ammette dubbio, da questi ricava tutto un sistema di verità, indipendentemente dai fatti e dall'esperienza; si contrappone quindi allo scetticismo, negatore della possibilità di ogni positiva affermazione filosofica, e al criticismo kantiano, per il quale è necessaria l'analisi critica della funzione conoscitiva da cui dipende ogni affermazione filosofica").
Vien da pensare alla grande amarezza delle parole di Dante Troisi, in Viaggio scomodo: "... non ti consumi con le memorie dell'infanzia, nel quotidiano ci stai troppo spesso aggrovigliato, il futuro non riesci a supporlo, e tuttavia, adesso, incantato al pudore di come il cielo si pulisce della notte, al miracolo di come la trama di luce e ombra dilata le maglie nel nitore del mattino, eccoti uscita dal deserto. E pensi che a giustificare l'esistenza vale la vocazione: non conto più fallire o tradurla in segni, ma soltanto il sentirsi chiamato, e seppure non potrai mai realizzarla, capisci che soffrirla è un privilegio... Sperimentare che siamo ancora allo sbaraglio dopo un tempo incalcolabile mi aiuto a credere che davvero ci sia un viaggio e un senso del viaggio...".
Sono macerie abitabili, dunque, per forza di cose. Ora, è tempo di dar torto a De Giorgi, il quale voleva che si tornasse alla storia e alla geografia. Ribaltando: bisogna appropriarsi storia e geografia, a partire dal presente. Piegandole per non subirle, per metter fine ci giochi. Dimenticate la Cassa per il Mezzogiorno, dimenticate le facoltà di Scienze Bancarie. Abolite i mega-parcheggi che sono un'ottica ingannatrice. Fatevi bucanieri di nuovi mari: ricchi di dubbio e di curiosità. I giovani tornino giovani. Frequentino il mercato delle pulci. Boicottino spot e sponsor. Ricomincino a pensare in proprio. A sbagliare in proprio. Ci saranno meno macerie.
Hanno abbandonato la campagna. Sulla terra sono rimasti solo quelli che hanno creduto nella cooperazione. La vecchia civiltà contadina aveva sradicato le pietre, facendone delle muricce. Le muricce non erano confini accaniti, steccati invalicabili: erano riparo dai venti, ma soprattutto paziente opera di raccolta della pietra che affiorava dalla terra rossa. Opus incertum di memoria probabilmente messapica. I messapi furono tenaci coltivatori e tenaci difensori della loro terra. L'acqua, allora, c'era. C'erano i fiumi, in Salento. Uno cingeva Otranto, cíttà-simbolo alla quale diede il nome. Degli altri sono rimasti superstiti rivoli, con corsi di poche decine di metri; o soltanto i letti, scavati in millenni, e sprofondati in pochi anni. Diventati corsici, diedero un nome alla geografia dei pozzi.
E i contadini erano rabdomanti. L'acqua, tirato a forza "di braccia, gorgogliava nelle vene sotterranee, e veniva riportato alla luce per dare un senso alla fatica. Olio di gomito, nella Puglia del Sud. Nell'altra Puglia, in quella del Barese, l'ingegnosità aveva creato la noria, con la catena di tiraggio dei secchi, con le canalette irrigue. Ma lì i poderi avevano misure più ragionevoli, non erano un sudario diviso in mille brandelli. In Messapia predominavano i "fazzoletti di terra", con le muricce: e quando queste non potevano raccogliere più le altre pietre, sorsero i rifugi rustici, a cono e a tronco di cono, a tronco di piramide, col vestibolo, col forno a lato, col deposito alle spalle. Pietre e altre pietre ordinate e civili, atermiche, hanno disegnato un paesaggio unico. Ma quasi mai, se non - forse - d'estate, furono abitazioni dell'uomo. Rifugio, sì.
L'imprenditorialità contadina, la personale iniziativa, servivano a creargli un'azienda agricola, senza che in realtà possedesse un solo metro di terra. Il contadino dormiva in città, nel paese-dormitorio (appunto), e all'alba si recava in uno dei minifundi che coltivava. Ogni giorno era su uno dei ritagli di terra che portava a mezzadria, seguendone a rotazione le colture, diversificandole quando poteva, traendone il massimo beneficio possibile. Difficilmente, nella Puglia meridionale, il mezzadro si trasformava in salariato. Perché in realtà il contadino era abituato alla suo azienda frantumata, che in qualche modo poteva persino metterlo al riparo dai rovesci produttivi, climatici, di mercato. Egli "voleva" la terra, ma non vi metteva rodici. Come dice Vito Laterza, Dio lo incontrava nella chiesa del paese-dormitorio, nella piazza di fronte al sagrato, in mezzo ad altri contadini. Non lo ha mai trovato nella cosa di campagna, nella solitudine della terra, tra le viti o tra gli ulivi. Qui, e in mezzo al grano, ha trovato il diavolo, sotto forma di taranta. Così, il sogno era la casa in paese. Allora, tufi e tufi scavati dalle tagliate (a colpi di piccone, fino al primo quarto, e forse oltre, del nostro secolo), e tufi e tufi aggiunti sulle costole della casa accanto, una grande stanza con la cucina su un angolo e il fumaiolo in cima; o alzati tra ripide scale dentro le corti, fra archi d'ingresso, di sostegno, di alleggerimento: un'architettura nitida, senza sbavature, curata nei dettagli fino alla più indescrivibile puntigliosità, uguagliata forse soltanto da quella moresca, ha dato vita a un'antologia di artistiartigiani formalmente anonimi e indubitabilmente contadini.
Forse, proprio l'abitudine al trasferimento quotidiano verso un fazzoletto di terra dell'azienda contadina ha dato ai meridionali, ai pugliesi, la spinto - e la forza - per l'emigrazione. Resa terricola dalla politica di Federico li, la storia di Terra d'Otranto, ad esempio, non rivela grandi vocazioni marinare. Il mercantilismo è patrimonio di altre genti pugliesi. Dunque, passaggio dall'aratro (non ancora dal trattore, si badi!) alla tuta blu. Con i ritorni immancabili, come per una cultura del rimorso: feste patronali, Natale, ferragosto ... Ma sempre meno ritorni definitivi. Ora, le case di periferia le costruiscono gli stanziali. E gli speculatori. Le periferie si allargano un po' meno a macchia d'olio e un po' di più a pelle di leopardo. Giardini con piante estranee (gli abeti, nientemeno !) sono diventati lo status symbol. Sole il termometro del benessere, precarie economie redditizie garantiscono la "fondazione sociale della felicità, assistita, protetto. Espansa. Ormai sono in disuso il talento e il gusto del rischio. Qualcuno che la sa lunga ha pur dovuto osservare quel che accade nelle piazze dei nostri paesi. E ne ha progettate una cinquantina, per altrettante città (è un modo di incominciare) perché vi si ripetono, ingigantite nei numeri, le stesse non-vicende quotidiane. Gli sportelli dell'omologazione sono aperti. Sotto a chi tocca far la fila.


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