§ INDUSTRIA SENZA CIMINIERE

Turismo per il futuro




Maurizio Vitale



Nel corso degli ultimi quindici anni la domanda turistica ha mostrato una vigorosa espansione. Ciò ha comportato l'aumento dell'importanza che l'"industria" legata al turismo esercita sul sistema economico. La quota di occupazione di questo settore sfiora ormai il 6% di quella totale, e il saldo -sempre positivo - tra flussi di visitatori in entrato e in uscita dall'Italia è pari a quasi il due per cento del reddito nazionale lordo. Superfluo è sottolineare il benefico impatto che tale saldo ha sulla bilancia dei pagamenti: i consumi finali in Italia da parte dei non residenti ammonta a circa il 10% delle esportazioni di beni e servizi; e ciò ha effetti largamente positivi per un Paese trasformatore come il nostro costretto a far ricorso ai mercati esteri per l'approvvigionamento di materie prime ed energia. Importante è anche la considerazione che l'importanza crescente del settore è largamente generalizzato in tutti i Paesi dell'area OCSE: il turismo è un "prodotto" in espansione che ancora non sembra aver raggiunto la fase di maturità precedente il declino. E' quindi facile dedurre che il peso dell'economia legato al turismo è destinato in futuro a crescere ulteriormente, e quindi l'Italia deve in conseguenza prepararsi a fronteggiare, negli anni a venire, un accentuato dinamismo del mercato.
Il modello di sviluppo turistico adottato dal nostro Paese ha permesso, come si vedrò, di sfruttare al meglio la congiuntura economica degli anni '70. Ma questo stesso modello rischia di risultare inadeguato di fronte ad una domando sempre mutevole, a causa di alcune tendenze che esso stesso ha generato. Se il turismo è per l'Italia una risorsa notevole, esso non è nel contempo una rendita; è compito di coloro che a vario titolo operano nel settore sfruttare al meglio le potenzialità che il nostro Paese offre al fine di rendere il turismo una fonte sempre più importante di reddito e ricchezza.
Dal 1970 ad oggi la bilancia turistica ha registrato saldi costantemente in attivo. Come si può riscontrare dalla tab. 1, nel 1985 il saldo è risultato superiore all'1,7% del reddito nazionale lordo disponibile, e ha segnato, rispetto all'analogo rapporto riferito al 1970, un aumento del 43%. E sicuramente superfluo sottolineare l'importanza di tale risultato per l'economia italiana. le entrate turistiche coprono circa il 10% delle esportazioni di beni e servizi, e rappresentano una fonte importantissima di valuta estera di cui un Paese trasformatore come il nostro ha sicuramente bisogno. Se quindi vi è stata, nel corso degli ultimi quindici anni una crescita complessiva del saldo della bilancia turistica, è pur vero che tale crescita non ha assunto un andamento lineare e continuo. Osservando i dati della tab. I risulta infatti che si sono toccati due picchi superiori nel 1979 e nel 1983 e, precedentemente, un picco inferiore tra gli anni 1974 e 1975. Si è registrato quindi, in questi anni un andamento ondulatorio attorno ad un trend sicuramente positivo. Quali possono essere state le cause di tali fluttuazioni che in taluni casi sono risultate di notevole ampiezza ed intensità? E' stato giustamente osservato che "la" risposta, unica e onnicomprensiva, probabilmente non esiste. Non rimane quindi che osservare attentamente le tabelle e tentare di individuare alcune correlazioni che possono contribuire ad una maggiore comprensione del problema.

Innanzitutto va premessa l'ovvia constatazione che il saldo è la differenza tra due flussi, quello in entrata e quello in uscita dall'Italia. Gli andamenti di queste due componenti non sempre sono risultati concordi, cosicché diviene necessario analizzarle separatamente.
Per quanto riguarda il flusso in entrato si può notare come esso presenti due flessioni negli anni 1973/74 e 1980/81 e un impetuoso boom tra il 1976 e il 1979; il 1977, in particolare, è stato l'anno che ha registrato il maggior incremento (+37%). Si possono forse individuare tre distinti fattori che hanno, influenzato più di altri l'andamento della spesa in Italia di turisti stranieri.
Il primo di essi è il generale aumento, in tutta l'area OCSE, della domanda turistica. Il fenomeno, ben noto, può essere spiegato con la maggiore propensione verso spese riguardanti il tempo libero da parte di Società che aumentano la propria ricchezza. Negli anni considerati, infatti, a parte i periodi immediatamente seguenti i due shocks petroliferi, il reddito dei Paesi di area OCSE (da cui provengono, per la maggior parte, i turisti stranieri) aumenta costantemente. a maggior ricchezza porta, secondo schemi ben conosciuti, alla riduzione della quota di spese per generi di prima necessità (alimentari innanzitutto) e quindi all'aumento della quota destinata al "benessere". Le stesse componenti che spiegano il peso sempre crescente del settore terziario, contribuiscono a spiegare il trend tendenzialmente crescente del giro d'affari del settore.
Il secondo fattore è rappresentato dal generale andamento delle economie dei Paesi industrializzati, come si può notare considerando il peso che hanno avuto le crisi petrolifere del 1973/74 e del 1979. A seguito di questi periodi, infatti, il, flusso in entrata presenta valori generalmente modesti. In particolare sembra stretta la correlazione tra lo stagnante andamento delle economie negli anni 1980/82 e il calo vistoso, rispetto al massimo registrato nel 1979, della bilancia turistica.
Il terzo elemento è costituito, ovviamente, dalle parità delle valute. Tra il 1975 e il 1976 il tasso di cambio effettivo nominale della lira si svaluta di oltre il 16% e nell'anno successivo di un ulteriore 9%. Questo dato, peculiarmente italiano, può contribuire a spiegare il balzo in avanti delle entrate turistiche nel 1977. In tale anno si è avuto infatti un aumento che ha portato le spese dei turisti stranieri in Italia dall'1,7% del RNL al 2,2%. Infatti i primi due fattori, incremento complessivo della domanda e andamento delle economie, essendo comuni a tutti i Paesi industrializzati, possono spiegare il generale aumento delle spese turistiche in tutta l'area OCSE, ma il tasso di cambio aiuta a comprendere come l'Italia abbia accresciuto, in quegli anni, la propria quota di mercato.
Gli elementi che influenzano il secondo flusso componente il saldo della bilancia turistica, quello in uscita dall'Italia, sono in parte gli stessi appena citati. E' però evidente che in questo caso l'andamento del tasso di cambio tende a scoraggiare il turista italiano dal recarsi all'estero; e bisogna inoltre ricordare che l'economia italiana si aggancia a quella internazionale con qualche mese di ritardo. In ogni caso ciò che si può osservare è che la quota del reddito nazionale spesa in viaggi all'estero è crollata nel 1974 e che nel 1985 non era ancora risalita ai livelli del 1973. In generale, però, l'andamento del flusso in uscita presenta negli ultimi anni una variabilità minore rispetto a quello d'entrata. Inoltre si può notare come la componente passiva della bilancia turistica si incrementi nell'ultimo decennio ad un ritmo maggiore rispetto a quella attiva. Il dato risulta evidente considerando il saldo relativo al 1985. Tale valore (1,76) è quasi pari a quello registrato nel 1977 (1,75) ma sono notevolmente maggiori, nel 1985, le entrate derivanti da turisti stranieri. Negli stessi anni è quindi cresciuta in modo notevole la spesa dei turisti italiani e il saldo ne è rimasto in conseguenza largamente influenzato. L'Italia ha quindi drasticamente ridotto le proprie uscite nel periodo 1974/76, ma da allora esse aumentano ad un ritmo maggiore di quello registrato dalle entrate. Il 1974 non è un anno casuale: allora fu stabilito il famoso plafond sulle spese degli italiani all'estero. Tale misura, chiaramente protezionistica, sembra essere stata molto efficace nel drenare il flusso in uscita dal nostro Paese negli anni immediatamente successivi. Se questo ha portato indubbio beneficio alla bilancia dei pagamenti, ha anche portato alla compressione forzata dei consumi all'estero e, probabilmente, alla creazione di una domanda inespressa o latente. Tale domanda, negli ultimi anni, comincia ad esprimersi e da un lato tende a ridurre considerevolmente il saldo della bilancia turistica e desta preoccupazione per il suo possibile andamento negli anni futuri se, come auspicato, assisteremo ad una maggiore stabilità e competitività dell'economia italiana.
Vi sono state quindi importanti motivazioni economiche che hanno influenzato il saldo della bilancia turistica, ora elevando le entrate, ora comprimendo le uscite, ma, ovviamente, ad esse se ne devono aggiungere altre. In particolare va ricordato come si sia fatta decisamente più agguerrita la concorrenza di alcuni Paesi tra i quali primeggiano Spagna e Grecia che possono, ora, fruire, tra l'altro, di benefici valutari rispetto all'Italia. Il nostro Paese ha in conseguenza sperimentato una flessione della sua quota di mercato nell'area OCSE, passata da 33% del 1979 a meno del 28% nel 1984. Non pare invece, e ciò può destare qualche sorpresa, che il fenomeno terroristico degli anni '70 abbia influenzato significativamente il comportamento degli stranieri. Gli anni di maggior incremento sono stati infatti quelli compresi tra il 1976 e il 1979, mentre dal 1980 inizia un periodo di declino o stasi. Sembrerebbe che il cambio della lira abbia potuto di più della copertina con la P38 sul piatto di spaghetti.
La conclusione che comunque si ricava anche ad una prima lettura è che il mercato turistico è soggetto a forti dinamismi dal lato della domanda. La questione che, un po' scolasticamente, ci si può porre è se sia l'offerta a creare la domanda o non, piuttosto, il viceversa. Se per offerta si intende la "dotazione" di risorse sia naturali sia monumentali sia, infine, ricettive di cui indubbiamente l'Italia dispone, la conclusione che può trarsi è che essa, da sola, non costituisce una "rendita di posizione" così solida in grado di generare una domanda stabilmente crescente. Come si è cercato di argomentare, accanto a fattori artistici e naturali, che comunque rendono l'Italia un Paese unico e quindi appetibile per il turista straniero, ve ne sono altri che, invece, la rendono un "bene turistico" sostituibile. Questi ultimi, inoltre, sono tali da generare vaste fluttuazioni nel settore, e vi è la convinzione che alcuni di essi, concorrenza di altri Paesi innanzitutto, produrranno incisivi effetti nei prossimi anni. Una domanda dinamica deve quindi spingere ad un'attenta e diversificata politica dell'offerta che da un lato contrasti la tendenza che vede l'Italia perdere quote di mercato nei confronti dei Paesi concorrenti, e dall'altro sappia offrire ai residenti italiani servizi e prestazioni ricercati all'estero.

IL MODELLO Di SVILUPPO DEL SETTORE TURISTICO IN ITALIA

L'osservazione dei dati relativi alle presenze dei turisti italiani e stranieri evidenzia il carattere fortemente concentrato o localizzato del fenomeno turistico. Le spiegazioni di ciò in parte dipendono dalle attrattive che determinate zone, per il loro patrimonio artistico e naturale, esercitano sul visitatore, ma in parte dipendono dal particolare sviluppo "trainato dalle esportazioni" - tedesche in particolare - che il settore ha avuto in questo dopoguerra.
La fascia turisticamente più sviluppata è infatti costituita da quella che verrà chiamata "il corridoio del Brennero", che comprende il Trentino Alto Adige, il Veneto e l'Emilia Romagna. Queste tre Regioni hanno totalizzato nel 1985 il 38,7% del totale delle presenze e il 51% delle presenze straniere. Le quote rispettive, nel 1970, erano il 35,6% e il 45,4%. Queste Regioni quindi non solo detengono una quota rilevante di mercato, ma hanno visto aumentare il proprio peso nell'ultimo quindicennio, come la tab. 2, col. 3 (EX), mostra chiaramente. Posto pari a 100 l'incremento complessivo delle presenze nel periodo 1970/85, si nota come le tre Regioni considerate totalizzino 65,4, che è come dire che delle 100 presenze straniere in più che si sono avute in Italia, circa i due terzi si sono concentrate nel corridoio del Brennero. Le caratteristiche artistiche e naturali di tale zona sono ben note: essa comprende infatti le montagne del Trentino, i litorali dell'Adriatico, il lago di Garda e importanti città, tra cui Venezia; ma è in dubbio che oltre a questi fattori ha decisamente contribuito la vicinanza con la frontiera dato che la gran parte (circa i tre quarti) dei turisti stranieri arriva in Italia utilizzando mezzi di trasporto su strada. Se quindi gli stranieri tendono a cumulare le loro presenze nelle zone a loro più vicine, bisogna osservare come tali Regioni rappresentino un forte polo d'attrazione anche per gli italiani. Nello stesso periodo 1970/85, infatti, su 100 giornate di presenza in più che sono state spese da parte di residenti in Italia, 38,7 spettano alle tre regioni considerate. Il dato relativo ai visitatori italiani risulta comunque in grande misura influenzato dal turismo romano.

Negli ultimi quindici anni si è infatti sviluppata una serie di cittadine balneari sulla costa laziale tra Formia e Civitavecchia che da un lato hanno assorbito un'ingente quota di presenze nazionali, dall'altro hanno notevolmente ridimensionato il peso turistico della città di Roma nell'ambito del Lazio. Probabilmente anche parte del dato relativo agli Abruzzi può essere letto in quest'ottica: il sistema turistico abruzzese-laziale presenta quindi alcuni tratti tipici di un sistema "chiuso" largamente dipendente da Roma. Ciò è confermato, tra l'altro, dal fatto che la quota di turismo nazionale in queste due Regioni sia molto superiore alla media nazionale, nonostante vi sia verso la città di Roma un flusso ingente di visitatori stranieri. A parte il caso romano, quindi, che può essere visto anche come la conseguenza della crescita abnorme registrata dalla città nel dopoguerra, rimane la constatazione che il turismo nazionale tende a concentrarsi nelle zone preferite dagli stranieri, la metà dei quali è costituita da tedeschi e austriaci.
In questo senso può quindi parlarsi di sviluppo trainato dalle esportazioni, in quanto la sostanza del modello italiano è costituita da poli in grado di attrarre turisti dall'estero e che rappresentano anche le destinazioni principali dei turisti italiani. Il meccanismo di sviluppo delle località turistiche sembra seguire infatti il cosiddetto principio di cumulazione valido per le città industriali. Così come le nuove attività economiche tendono a concentrarsi in quelle città o località dove le attività preesistenti hanno generato un'efficiente e fitto rete di servizi, creando così una cumulazione di risorse in zone circoscritte, così il turismo tende, a grandi linee, a concentrarsi in quelle zone nelle quali preesista una serie di discoteche, ritrovi, shopping centres, amicizie, incrementando così il peso di talune località rispetto ad altre. l'ingente flusso di turisti proveniente dalla Germania, localizzato in certe Regioni a causa della vicinanza con il confine, ha quindi contribuito allo sviluppo di località che hanno attirato anche i turisti italiani per i quali il problema della distanza si pone in termini meno pressanti. Non sorprende quindi, in questo quadro, che il Meridione, sul quale torneremo, non si sia sviluppato considerevolmente dal punto di vista turistico, nonostante le sue indubbie potenzialità. Il turismo romano, infatti, ha generato un sistema chiuso localizzato tra Lazio e Abruzzo e il turismo del Nord ha seguito, a grandi linee, il modello trainato dalle esportazioni.
Il sistema turistico italiano quindi possiede una struttura tale che ha permesso di massimizzare a suo favore l'interscambio con Paesi terzi e di sfruttare al meglio le contingenze economiche riguardanti soprattutto la modifica della parità tra le valute. Si spiega anche così, quindi, il perché le misure valutarie di metà anni '70 abbiano prodotto un notevole soldo della bilancia turistica. Ma un modello di sviluppo siffatto, se da un lato procura indubbi benefici, dall'altro genera delle tendenze che se non adeguatamente contrastate lo possono mettere in crisi. La concentrazione di ingenti flussi in zone circoscritte, se infatti crea una serie di economie di scala che indubbiamente favoriscono ulteriore cumulazione, può anche portare ad un eccesso di domanda a fronte di un'offerta tutto sommato limitata. Un'azione del genere, ovviamente, ha riflesso sui prezzi. Inoltre, se il flusso di domanda si esprime in valuta pregiata, e quindi sopravvalutata, quest'effetto inflazionistico rischia di amplificarsi. I prezzi turistici, infatti, sono cresciuti negli anni più recenti ad un ritmo notevolmente più elevato del tasso di inflazione (11,6% contro 9,2% nel 1985). Ciò si è riflesso, naturalmente, in una generale perdita di competitività del turismo italiano nei confronti di altri Paesi, tra cui Spagna e Grecia, nei quali il costo di una giornata turistica è poco più della metà di quello praticato in Italia. Ora, se il "bene turistico Italia" non fosse sostituibile con altri, ciò potrebbe non destare grandi preoccupazioni. Ma dato che, come si è visto precedentemente, una buona parte della domanda straniera è molto sensibile a considerazioni di tipo economico, vi è da temere che se non si prenderanno contromisure dal lato dell'offerta, il sistema turistico italiano possa entrare in crisi. Già oggi, ad esempio, il numero di presenze tedesche in Spagna è pari o superiore a quelle in Italia quando non più tardi del 1980 era pari a circa il 67%. In altri termini, il differenziale tra i prezzi italiani e spagnoli rischia di annullare il costo del viaggio e, quindi, il beneficio geografico di cui l'Italia gode. Né sembra che la presenza di città d'arte insigni nel nostro Paese possa rappresentare un adeguato deterrente, dato che su 100 presenze in Italia il turista tedesco ne trascorre, in città d'arte, solo 5. Una percentuale così bassa è probabilmente da mettere in relazione con il fatto che essendo. il turista tedesco generalmente affezionato può già, nel corso di anni precedenti, aver visitato le principali, o almeno quelle da lui ritenute tali, città d'arte. Quest'ultimo elemento non deve essere sottovalutato perché garantisce, ai Paesi concorrenti, un effetto "novità" di cui l'Italia può solo marginalmente disporre. la perdita di competitività del sistema italiano non potrà non avere, inoltre, influssi sempre più marcati anche sul flusso in uscita. l'effetto congiunto del relativo miglioramento del tasso di cambio e della possibilità che la domanda di turismo all'estero da parte di italiani possa esprimersi più liberamente in presenza di minori vincoli protezionistici, rischia di influire negativamente sul saldo della bilancia turistica aumentando la sua componente passiva.
Il particolare modello di sviluppo che il sistema turistico ha seguito ha quindi prodotto una serie di tendenze endogene che rischiano di avere gravi ripercussioni in futuro. Come contrastarle? Dopo quanto visto, la risposta, almeno a livello teorico, è piuttosto semplice: mediante un processo di diversificazione dell'offerta. In questo modo da un lato si potranno allentare pressioni della domanda che sono destinate (il caso di Venezia è emblematico) a scaricarsi sui prezzi, dall'altro si renderà disponibile una nuova gamma di servizi che possano sia attrarre nuovi turisti stranieri sia frenare il flusso di turisti italiani in uscita. Nell'ambito di questo generale processo di riadeguamento dell'offerta ad una domanda che continuamente propone nuove tendenze e sfide, un posto di primo piano spetta al Meridione d'Italia. E' sicuramente superfluo, in questa sede, spender parole per ricordare le dotazioni sia naturali che artistiche che il Sud possiede; eppure la sua quota di presenze turistiche è del tutto sproporzionata alle sue risorse. Se si considerano le Regioni meridionali (escludendo gli Abruzzi) più la Sicilia e la Sardegna, si può constatare come esse totalizzino, nel 1985, poco più del 12% delle presenze turistiche totali; tutte queste Regioni assommate ricevono meno presenze del solo Trentino Alto Adige. L'analisi delle tendenze dell'ultimo quindicennio mostra come la situazione, dal 1970, non si sia modificata: delle 100 presenze in più che l'Italia ha registrato in questo periodo solo 12,2 sono di competenza delle Regioni meridionali. Ma quello che desta maggiore preoccupazione è la constatazione che nel 1970 su 100 giornate di presenza spese da turisti italiani nel proprio Paese 13,2 erano trascorse al Sud, mentre nel 1985 tale valore scende a 12,4.Se la quota di mercato di queste Regioni è rimasta immutata ciò si deve ad un incremento delle presenze straniere, che pur sono solo circa la metà delle presenze straniere in Veneto.
Le ragioni che possono aver contribuito a questo mancato sviluppo turistico sono state in parte già accennate: l'eccessiva distanza dalle frontiere ha impedito che il flusso di turisti provenienti dalle zone del Nord Europa si dirigesse in massa verso queste Regioni. D'altro canto questo stesso fatto ha impedito che si sviluppassero, a parte singole eccezioni come la costiera Amalfitana o Taormina, degli importanti poli che attirassero anche il turismo nazionale. Così si sta verificando, e ancor più rischia di avvenire in futuro, che sempre più turisti italiani si rechino negli altri Paesi del Mediterraneo disertando il Meridione.
Lo sviluppo turistico del Sud diviene quindi una strada obbligata per prevenire possibili strozzature del settore, e tale strada passa per la creazione di importanti poli che possano dar origine ad un processo di cumulazione delle presenze. Sembra infatti che esistano condizioni tali dal lato della domanda che possano assecondare un tale sviluppo: vi è una richiesta di nuove destinazioni, magari meno affollate o inquinate, vi è la richiesta di turismo a prezzi limitati, vi è una domanda per regioni dalle caratteristiche naturali e climatiche proprie di quelle meridionali. Gli interventi che allora si richiedono sono quindi selettivi: si tratta di scegliere delle località o zone dall'alto potenziale e concentrarsi essenzialmente su di esse. Ciò che deve essere evitato è la dispersione di risorse con una serie di interventi a pioggia senza una precisa programmazione. Diviene necessario quindi parlare non genericamente di Sud, ma di talune zone ben precise, dotarle di tutte le infrastrutture - strade ad alto scorrimento, porticcioli, tutela dei beni ambientali e culturali, promozione in Italia e all'estero -e su di esse puntare per uno sviluppo complessivo.
Sempre nell'ambito del più generale processo di diversificazione dell'offerta, maggiore attenzione dovrà essere data anche a nuovi soggetti quali gli anziani che se richiedono una serie di servizi differente da quelli studiati per una famiglia tipo, possono rappresentare una componente in espansione del mercato. Anche sulle città d'arte è comunque necessario agire. Il fatto che i turisti più affezionati tendano sempre di meno ad essere visitatori di monumenti conferma che, almeno sul piano teorico, la domanda di presenze in città d'arte tende ad una stasi. Ciò è conseguenza inevitabile fintanto che il turista che abbia visitato una città insigne non senta il bisogno di ritornarci. Ma rendere le nostre città diverse di anno in anno, con mostre estive, iniziative varie, festivals culturali, è compito irrinunciabile che però non può essere inquadrato solo nell'ottica turistica, bensì in quella di una più generale crescita culturale del Paese. E' infatti piuttosto arduo pretendere che i turisti stranieri visitino in massa località e musei disertati dagli Italiani.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Lo sviluppo turistico del Mezzogiorno è, come si è cercato di argomentare, questione di decisivo interesse nazionale che non può essere affrontata nell'ambito di un generico meridionalismo, bensì in quello dello sviluppo complessivo del settore in Italia. Il turismo ha rappresentato negli anni passati una risorsa ingente per il nostro Paese, ma il particolare modello di sviluppo che esso ha seguito non sembra in grado di rispondere adeguatamente alle nuove dinamiche del mercato. Ciò sarebbe tanto più grave in quanto tutti i settori legati al tempo libero sono inevitabilmente destinati, vuoi per. il crescere della ricchezza complessiva, vuoi per il conseguente maggior interscambio internazionale, a crescere notevolmente in futuro. Pensare -di affrontare con una politica dell'offerta rigida e talvolta invecchiata tali prospettive è suicida. Si dice spesso che il turismo è divenuto una vera e propria industria. Tale locuzione non solo riflette l'ovvia constatazione circa il peso che, sia per occupazione che per fatturato, il settore ha raggiunto, ma deve anche ricordare come il turismo dovrà sempre più far i conti con situazioni di mercato, sbalzi di domanda, aggressive politiche concorrenti, livelli dei prezzi. L'illusione che l'Italia, dall'alto delle sue indiscutibili bellezze, possa guardare a questi sviluppi futuri con una certa sufficienza o mancanza di programmazione, rischia di cozzare contro il muro della realtà.


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