§ DOCUMENTO ANNUALE DELLE BANCHE POPOLARI

Lineamenti e prospettive dell'economia italiana




Francesco Parrillo



1. L'economia internazionale non sembra aver utilizzato pienamente le possibilità offerte dalla riduzione del prezzo del petrolio e delle altre materie prime. Tale riduzione ha comunque dominato la scena internazionale del 1986. Il suo repentino ritorno a valori "reali" prossimi a quelli dell'inizio degli anni settanta ha favorito un consistente sgonfiamento dell'inflazione, ma non ha consentito un ritorno a tassi di crescita più sostenuti, paragonabili a quelli, precedenti la prima crisi da petrolio.
In effetti, l'improvviso modificarsi delle ragioni di scambio a favore dei paesi industrializzati, e più in generale di quelli importatori di energia, ha prodotto nuovi squilibri nel sistema dei pagamenti internazionali che, sommatisi a quelli preesistenti, hanno comportato una fase di diffusa incertezza. Per i paesi industrializzati, la disinflazione importata con il calo del prezzo del petrolio ha generato una fase di attesa che ha dato luogo ad un processo di decumulo di giacenze, con la conseguenza che, specie nel primo semestre del 1986, la domanda e la produzione dei paesi industrializzati sono rimaste stagnanti. Nell'ambito di tali paesi, la svalutazione del dollaro ha ulteriormente favorito la disinflazione per i paesi europei ed il Giappone' ma ha reso meno dinamico e, soprattutto, meno remunerativo il mercato interno statunitense, cosicché, anche per questo motivo, domanda e produzione non hanno ricevuto stimoli nell'arco dei primi mesi dell'anno.
Per i paesi esportatori di petrolio, il forte calo e l'incertezza del prezzo del greggio hanno comportato la rapida compressione della domanda di importazioni che, in pochi mesi, è scesa del 20/30%. Per i paesi in via di sviluppo, il rallentamento della domanda mondiale e la debolez-za dei corsi delle materie prime hanno ridotto le possibilità di crescita.
Se questi paesi hanno beneficiato anch'essi - ed in misura non trascu-rabile - della caduta del prezzo del petrolio e della svalutazione del dollaro, tuttavia il peso del loro indebitamento ed il livello del costo del denaro, confrontato con il rendimento delle loro esportazioni, hanno continuato a rendere difficile la loro posizione. Analoga è la situa-zione dei paesi ad economia pianificata, sui quali, peraltro, pesa il for-te ritardo di ammodernamento accumulato nel corso di questi anni di rivoluzione tecnologica. è così che la diminuzione dell'inflazione mondiale si è accompagnata ad un rallentamento del commercio internazionale, che, nel 1986, è cresciuto appena del 3,5%, ossia ad un tasso inferiore a quello già basso del 1985 (5% circa).. Si osserva, comunque, che è cresciuta l'interdipendenza tra aree economiche, mentre gli scambi mondiali subiscono misure protezionistiche e la diffusione di accordi bilaterali.
Anche a livello internazionale gli alti disavanzi dei conti pubblici hanno reso necessario proseguire l'azione di risanamento della finanza statale. In particolare, gli Stati Uniti, paese a basso tasso di risparmio privato interno, hanno raccolto risparmio estero in misura tale da capovolgere la loro posizione netta sull'estero, passata da un attivo di 150 miliardi di dollari nel 1982 ad un passivo così elevato da rendere gli USA il principale debitore mondiale.
La modifica rapida e profonda dei flussi finanziari internazionali è certamente un fattore di instabilità del mercato dei capitali. La stessa caduta, recentemente attenuata, del dollaro non sembra aver prodotto, tuttavia, apprezzabili miglioramenti della bilancia commerciale, né è migliorata la competitività delle merci USA nei confronti delle aree in via di sviluppo e dei paesi di nuova industrializzazione. E' importante che il dollaro si stabilizzi, per disinnescare un fattore d'incertezza nel mercato dei cambi e nelle stesse politiche monetarie, fattore d'incertezza che, unitamente agli elevati livelli dei tassi reali, si risolve in un freno all'espansione produttiva. Nell'ultima riunione del Fondo Monetario Internazionale è stata auspicata una sorveglianza più attenta, basata su indicatori idonei, per controllare l'andamento delle economie mondiali e la coerenza delle politiche economiche. In sostanza, è indispensabile che le diverse politiche interne tengano conto, più strettamente, delle ripercussioni internazionali della propria azione.
2. In effetti, l'esperienza del 1986 testimonia della impossibilità che il sistema economico internazionale possa riprendere la via di un più ordinato sviluppo senza un certo grado di concertazione e senza politiche volte ad arginare i principali squilibri. In tale assenza, prevalgono le attese e le decisioni di breve termine, le quali tendono a perpetuare le tendenze in atto con pericolosi rischi di forti oscillazioni. E' così che la caduta del prezzo del petrolio è proseguita nel corso della prima parte dell'anno anche al di là di quanto era ragionevole attendersi, innescando un processo di deflazione per molti paesi ed instaurando un clima di indecisione per il diffondersi di timori di eventuali rimbalzi. Un andamento analogo ha mostrato il dollaro USA, deprezzatosi progressivamente, ma al di fuori di un piano di riequilibrio concertato che potesse evitare profonde fluttuazioni o ridurre i rischi, sempre immanenti, di misure protezionistiche.
In realtà, come sottolineato anche lo scorso anno, la decisione del Gruppo dei Cinque (oggi allargato a sette paesi con l'ingresso dell'Italia e del Canada) di pilotare al ribasso il corso del dollaro non poteva aver successo senza una modifica delle politiche economiche interne dei maggiori paesi industrializzati. Da un lato si sarebbero dovute introdurre politiche fiscali più restrittive negli USA al fine di controllare, in tempi rapidi, il disavanzo pubblico. Dall'altro lato, si sarebbero dovute adottare politiche di maggior sostegno della domanda interna da parte dei paesi europei e del Giappone.
Non che tali orientamenti siano stati del tutto disattesi: anzi è recente l'accordo tra USA e Giappone per un controllo della discesa del dollaro ed un maggior rilancio dell'economia nipponica. Ma i tempi di tali tendenze non appaiono sufficientemente rapidi né abbastanza coordinati, senza parlare dell'atteggiamento della Repubblica Federale Tedesca che, fino ad oggi, non si è associata a qualsiasi ipotesi di locomotiva o convoglio né ha ancora assunto iniziative per favorire la discesa dei tassi d'interesse.
Si assiste, così, ad un certo recupero congiunturale dei paesi europei che, tuttavia, non è accompagnato da un sufficiente rilancio giapponese e, mancando dell'apporto determinante tedesco, non riesce a compensare il rallentamento statunitense. Nel contempo, restano ampi squilibri sia interni (basti pensare alla finanza pubblica statunitense) che esterni: i disavanzi di bilancia dei pagamenti di molti sistemi stanno a sottolineare la instabilità dell'attuale fase congiunturale. E' in questo clima che il tasso di crescita dei paesi industrializzati risulta modesto (2,7% realizzato nel 1986 ed atteso per il 1987) e, se l'inflazione appare ormai su livelli bassi (2,7% nel 1986 per l'insieme dei Paesi OCSE) il tasso di disoccupazione resta estremamente elevato e lo sviluppo del commercio mondiale del tutto insufficiente a garantire l'avvio di una nuova fase di ripresa.
3. Per l'Italia il calo del prezzo del petrolio e la svalutazione del dollaro hanno favorito un aggiustamento dei principali fattori di squilibrio. L'inflazione, che era ancora pari all'8,5% alla fine del 1985, è scesa al 4,5% alla fine del 1986, consentendo all'economia italiana di "rispettare", per la prima volta, l'obiettivo indicato un anno fa (6% per la media dell'86).
Ancora più vistoso il vantaggio in termini di bilancia dei pagamenti. Il miglioramento delle ragioni di scambio ha permesso di ribaltare la posizione italiana: da un disavanzo di circa 8 mila miliardi di lire nella bilancia dei pagamenti correnti del 1985 si è passati ad un avanzo di circa 9 mila nel 1986. Tale rovesciamento non avrebbe potuto realizzarsi senza la riduzione dei prezzi all'importazione, valutabile attorno al 14% nel 1986. Anche la finanza pubblica ha beneficiato dei fattori di distensione importati. Il calo del prezzo del petrolio ha reso possibile un rialzo dell'imposta sulla benzina senza modificarne il prezzo al consumatore, sicché le entrate pubbliche hanno drenato parte del beneficio derivato dal minor prezzo dell'importazione. Grazie anche alle misure adottate con la legge finanziaria, è così che nel 1986 il fabbisogno del settore statale è rimasto (110 mila miliardi di lire) entro i limiti programmati un anno prima. Per la prima volta, in venti anni, tutti i principali indicatori economici sono orientati al miglioramento allontanandosi da quella fisionomia che è stata definita di "fragilità" strutturale dominante per un lungo periodo.
4. A fronte di tale aggiustamento macroeconomico, l'economia italiana ha sofferto, però, di uno sviluppo contenuto e di molte tensioni nascoste. La crescita appare limitata a quel 2,5-3% che già era stato previsto l'anno scorso, malgrado il manifestarsi di condizioni esterne favorevoli ai paesi europei. La debolezza della crescita interna è la risultante di un progressivo scambio tra domanda estera (in rallentamento) e domanda interna (in ripresa).
Il calo della domanda estera è la diretta conseguenza delle difficoltà che l'economia internazionale incontra in questo momento e di cui si è detto in precedenza. L'Italia, tuttavia, risente con maggior intensità di tali difficoltà in considerazione della struttura geografica delle sue esportazioni e delle meno favorevoli condizioni di equilibrio interne. Ed infatti il lungo periodo di sopravvalutazione del dollaro ha finito per orientare verso il mercato statunitense una quota crescente di esportazioni italiane, specie con riferimento a prodotti di largo consumo (tessile, calzature, abbigliamento). La svalutazione del dollaro ha penalizzato queste esportazioni, colpite dapprima nella remuneratività, tenuto conto che il calo del dollaro si è tradotto in minori incassi in lire per l'esportatore italiano e, poi, nelle quantità per il venir meno della domanda statunitense. V'è da aggiungere che le monete di importanti paesi di nuova industrializzazione (come la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, ecc.) hanno seguito il dollaro finendo per acquisire un forte guadagno di competitività rispetto al Giappone ed ai paesi europei, colpendo, soprattutto, quelle produzioni di largo consumo, ove tali paesi sono particolarmente agguerriti.
E' così che, malgrado un certo recupero di domanda in Europa, le esportazioni italiane hanno preso a rallentare specie a partire dalla metà del 1986, ossia dopo aver esaurito lo slancio dell'anno precedente. Viceversa, la domanda interna si è fatta più sostenuta nel corso di tale anno, perché la caduta dell'inflazione ha consentito il riformarsi di un potere d'acquisto interno tanto per le imprese quanto per le famiglie.
Domanda di investimento e spesa per consumi hanno mostrato un considerevole recupero, ma tale fenomeno ha mirato a favorire, in molti casi, più le importazioni che la produzione nazionale. In effetti, ogni rapido cambiamento nella destinazione della domanda non può che riflettersi in un aumento della quota di importazioni, perché la struttura dell'offerta interna è più lenta ad adattarsi ad improvvise modificazioni della domanda. Ma nel 1986 ha operato anche una certa perdita di competitività "nascosta" dal calo dell'inflazione: infatti, se è vero che, nel corso dell'anno, il degrado monetario è sceso di ben quattro punti, il ritmo di aumento dei prezzi interni è restato ancora superiore a quello di tutti i nostri principali concorrenti europei, mentre la lira è rimasta pressoché stabile.
In queste condizioni, l'aumentata domanda interna ha sollecitato più importazioni (aumentate del 7% circa in volume nel 1986) che produzione nazionale, cresciuta del 2,7%. l'occupazione si è, comunque, accresciuta dello 0,7%, ma ciò non ha impedito un ulteriore incremento della disoccupazione. In realtà, si sta ancora assistendo, nel mercato del lavoro, a forti processi di ristrutturazione, di cui sono indici segnaletici sia il progressivo processo di terziarizzazione, sia il ricomporsi dell'occupazione industriale: la grande industria continua a perdere occupazione, ma aumentano le ore lavorative per operaio perché, nel contempo, si restringe il ricorso alla cassa integrazione guadagni. La piccola impresa ha ripreso a crescere. Nell'ambito di queste tendenze è da segnalare, poi, un miglioramento dell'occupazione giovanile, favorita anche dai nuovi contratti di formazione, che hanno semplificato le regolamentazioni di assunzione ed introdotto una sorta di salario di ingresso "de facto".
5. In sintesi il 1986 dovrebbe concludersi con il pressoché integrale ri-spetto degli obiettivi di politica economica annunciati a fine 1985. Nella legge finanziaria e nella Relazione previsionale e programmatica il tar-get del PIL era, come si è detto, del 2,5-3: il risultato è previsto nel 2,8%; quanto ai prezzi al consumo l'obiettivo del 6,0% è stato lieve-mente migliorato al 5,9%. Sul fronte delle partite correnti si sono otte-nuti risultati ancor più favorevoli: da 8.200 a 9.000 miliardi. L'avanzo determinatosi è, peraltro, effetto solo del miglioramento delle ragioni di scambio. Il deflatore delle importazioni registra una diminuzione (-12,8%) molto più marcata rispetto al deflatore delle esportazioni (-2,7%), mentre dal lato delle quantità, le importazioni crescono ad un ritmo più sostenuto (7,4%) delle esportazioni (5,8%).
Anche in tema di finanza pubblica l'obiettivo del fabbisogno a 110.000 miliardi e del suo rapporto rispetto al PIL (14,8%) è stato conseguito. Il risultato è stato ottenuto, però, attraverso un incremento delle entrate e delle spese superiore al previsto. Da sottolineare che le spese correnti sono esplose, dal 7,4 al 12,9%, sicché è stato il gettito proveniente dall'imposta sui prodotti petroliferi e dell'IVA, in presenza di un minor gettito dell'IRPEF, ad assicurare l'equilibrio.
Quanto alle variabili monetarie e creditizie, il tasso di crescita della moneta (M2) è vicino al margine inferiore della forbice 7-11%, questo contenimento è dovuto, da un lato, alla maggiore raccolta effettuata attraverso nuovi prodotti finanziari e, a dall'altra, a contenuta crescita dei depositi bancari. Lo sviluppo del credito totale interno appare in linea con gli obiettivi, anche se è stata espressa qualche preoccupazione per la componente costituita dai finanziamenti al settore non statale che aumenta ad un ritmo superiore al previsto. I mesi successivi alla soppressione del massimale hanno visto, infatti, una accelerazione improvvisa di questa variabile che, a fine ottobre, aveva toccato il 12,42% annuo, quattro punti oltre l'obiettivo del 7%.
L'abbondante liquidità delle imprese, le disponibilità tratte dall'autofinanziamento e dal mercato azionario possono - a giudizio di Bankitalia - consentire un rallentamento del CTI al settore non statale nell'ultima parte dell'anno senza necessità di ricorrere a misure straordinarie di politica creditizia. Di fatto, la Banca Centrale sta manovrando la liquidità ed i tassi per regolare le riserve disponibili bancarie, quindi, via moltiplicatore, il volume del credito con l'intento di far decelerare l'aggregato al limite prefissato. Parallelamente alla controllata espansione della moneta nei 12 mesi terminati a settembre, la base monetaria è aumentata dell'8,1%, la parte di essa utilizzata dalle banche per soddisfare le esigenze di riserva obbligatoria e di liquidità è stata del 7,2%. Rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente, si è avuta una minore crescita di 6,1 ed un più ridotto assorbimento di 9,3 punti percentuali. I tassi nominali sono diminuiti in linea con il degrado monetario, mantenendo il livello dei tassi reali superiore di 2-3 punti rispetto al tasso di crescita del PIL reale. Ciò si è verificato anche per le emissioni del debito pubblico; il tasso sui BOT annuali è diminuito dal 13,19% dell'inizio del 1986 al 9,38% netto d'imposta all'asta di fine ottobre, circa 70 centesimi sotto il livello al quale si trovava prima del provvedimento fiscale del 19 settembre. La riduzione dei rendimenti, attuata con gradualità in sintonia con il miglioramento delle aspettative sull'inflazione, non ha rallentato il collocamento dei titoli di Stato nel portafoglio degli operatori. E' stata allungata, altresì, la scadenza media del debito, fenomeno che testimonia il miglioramento delle aspettative generali e delle attese di ulteriori ribassi nei tassi.
6. Il principale rischio per l'economia italiana è oggi quello di ritenere che i vantaggi importati attraverso il calo del prezzo del petrolio e la svalutazione del dollaro abbiano riequilibrato stabilmente il nostro sistema, per cui sia sufficiente una politica di rilancio per ottenere una maggiore crescita.
Il rientro dall'inflazione non è ancora definitivamente compiuto; ciò malgrado, le negoziazioni per i nuovi contratti di lavoro puntano ad incrementi superiori a quelli prevedibili per gli altri paesi industrializzati. Il migliorato equilibrio di molte aziende produttrici ed il timore di perdere commesse, in caso di agitazioni prolungate, possono indurre a concludere contratti costosi che porrebbero, poi, le imprese Italiane in condizioni competitive difficili, quando il velo del calo del prezzo del petrolio sarà levato. In tale ambito, suscita preoccupazioni l'accentuato ricorso alle sospensioni dal lavoro nel settore dei servizi pubblici, ove la "resistenza" del dotare di lavoro è minore ed ove il danno è più diffuso a tutta l'economia. Aumenti eccessivi in questo comporta costituirebbero non solo un aggravio per le già provate finanze pubbliche, ma anche un segnale negativo a tutto il sistema produttivo. Analoga illusione può prodursi con riferimento alla finanza pubblica. Senza sottovalutare la portata di taluni provvedimenti adottati con la legge finanziaria per il 1986, è, tuttavia, da sottolineare come il contenimento del fabbisogno sia stato conseguito essenzialmente attraverso un aumento della pressione fiscale, per cause naturali (la progressività), contributive (i ritocchi operati) ed eccezionali (il rialzo dell'imposta sui carburanti).
Nel 1987 altri fattori positivi giocheranno nel senso di contenere il fabbisogno statale; in primo luogo il rallentamento del servizio del debito pubblico, in seguito al calo dei tassi di interesse intervenuto nel 1986. Ma tali fattori non incidono sui meccanismi di formazione del bilancio pubblico, mentre è per lo meno dubbio che la collettività continui a sostenere una pressione tributaria così elevata. Vi è, inoltre, il rischio non improbabile che specifiche riduzioni di spesa agevolata dalla congiuntura più favorevole (ad esempio la spesa per interessi) e, quindi, di natura contingente, vengano utilizzate per finanziare nuove spese di natura permanente, con ciò finendo per gravare un sistema ove il peso relativo del debito pubblico continua a crescere. Anche la bilancia dei pagamenti, che sembra mostrare un comodo avanzo, nasconde però un andamento preoccupante. Il flusso reale di importazioni si prevede possa crescere ad un ritmo ben superiore a quello delle esportazioni, erodendo così il vantaggio delle ragioni di scambio: un eventuale non improbabile improvviso mutamento dei prezzi internazionali potrebbe farci nuovamente precipitare in una situazione di profondo squilibrio: e già le prospettive del prezzo del petrolio stanno cambiando di segno.
7. In questo contesto, le ipotesi per il 1987 dell'economia italiana appaiono relativamente buone con riferimento ai dati macroeconomici medi annui, ma meno favorevoli con riferimento alle tendenze che sottintendono. Tutti i principali centri di previsione (ISCO, CER, CSC, PROMETEIA, IRS, CEE, OCSE, FMI) indicano per il 1987 una crescita dell'economia italiana del 3% o poco più. Il tasso di inflazione dovrebbe risultare prossimo al 4% e la bilancia dei pagamenti rimanere in adeguato avanzo. Anche il disavanzo pubblico dovrebbe stabilizzarsi, riducendosi, almeno come percentuale del PIL (ma la valutazione del PIL per il 1986 subirà profonde modifiche metodologiche, imposte dalla revisione in atto presso l'ISTAT del sistema di contabilità nazionale).
Il rafforzamento del processo di crescita in una cornice di sostanziale stabilità dipende, però - giova ribadirlo - dal verificarsi di alcune condizioni, quali l'adozione di politiche economiche atte a stimolare la domanda interna in Germania e Giappone, una crescita moderata dei prezzi delle materie prime ed un maggior coordinamento fra le politiche monetarie dei principali paesi industrializzati. In questo quadro vincolato, il peso del raffreddamento del tasso di inflazione poggerò, in misura più rilevante che nel passato, su elementi endogeni (il deflatore del PIL è previsto al 4,5% contro l'8,9% del 1986). La convinzione nasce dalla consapevolezza che gli importanti risultati sono stati ottenuti grazie prevalentemente al calo del prezzo del petrolio e del cambio del dollaro; vantaggi che si affievoliranno nel tempo; sicché "l'onere dei futuri necessari miglioramenti tornerà a spostarsi a carico dei fattori interni". La manovra di politica economica è volta a conseguire una crescita del PIL del 3,5%, un aumento ridotto dei prezzi al consumo: 4%, un saldo delle partite correnti positivo per 6.000 miliardi. Le previsioni potranno realizzarsi nel rispetto delle seguenti ipotesi: mantenimento del livello delle ragioni di scambio, aumento della produttività, diminuzione sensibile della elasticità delle importazioni rispetto al reddito contenimento dei solari. Il traguardo che ci si può porre per gli anni tra il 1987 e 1989 è la creazione di circa 900.000 posti di lavoro, cifra che permetterà di superare la nuova offerta di lavoro, e, quindi, di iniziare il processo di riassorbimento dei disoccupati, la cui soluzione sostanziale è legata, oltre che ai richiamati fattori esterni di cooperazione internazionale di aumento della domanda aggregata, a programmi mirati a medio termine e ad un incisivo incremento del tasso di sviluppo.
Le linee guida per le variabili di finanza pubblica contenute nella legge finanziaria prevedono: invarianza della pressione fiscale ai livelli dell'anno che si chiude, crescita delle spese correnti al netto degli interessi sul debito in misura non superiore al tasso d'inflazione previsto del 4%, sviluppo delle spese in conto capitale pari al tasso di aumento del PIL in termini nominali: 8% per il fabbisogno di cassa del settore statale, l'obiettivo è un disavanzo di 100.000 miliardi. Si precisa, peraltro, nella legge finanziaria che il target potrà essere conseguito se "contemporaneamente verranno adottati specifici interventi in settori strategici della spesa pubblica - quali quelli della previdenza, della sanità, della finanza regionale e della finanza locale - che non possono trovare collocazione nell'ambito della legge finanziaria". In breve, la possibilità di mantenere il fabbisogno pubblico entro i 100.000 miliardi, pari al 12,1% del PIL, dipende da alcune ipotesi chiave: la possibilità di limitare gli apporti dello Stato alla gestione dell'INPS entro i livelli del 1986 (33.000 miliardi); il contenimento delle necessità del Fondo Sanitario Nazionale non oltre i 46.200 miliardi programmati; l'introduzione di una forma di autonomia impositiva locale; di un calo dei tassi di interesse tale da fare decrescere il peso del servizio del debito in valore assoluto rispetto al PIL. Allo scopo si calcola che sarebbe necessario un taglio nei saggi di almeno un punto e mezzo percentuale. In tale modo si conterrebbe il disavanzo al 12% del PIL per il 1987 ed al 10% nel 1988, contro il 16,4% del 1985 ed il 14,3% del 1986, riportandolo ai tassi del 1980, pari al 10%, anno in cui il deficit cominciò a crescere ad un ritmo eccezionale.
Per il credito totale interno e le attività finanziarie dell'economia il tasso di crescita indicato è quello dell'11%. Limitati scostamenti potranno essere tollerati se compatibili con il quadro di riferimento macroeconomico. Se ciò si realizzasse, il flusso di credito segnerebbe rispetto al PIL una diminuzione' di altri due punti percentuali, mentre le attività finanziarie continuerebbero ad evolversi più rapidamente del PIL tanto che la loro consistenza passerebbe dal 136 al 141% del prodotto interno.
Anche le indicazioni di politica monetaria sono scarne. All'inizio di ottobre, il Governatore ha affermato che il "ridimensionamento del ricorso del Tesoro al mercato favorirà la flessione dei tassi di interesse, non solo di quelli nominali in connessione con il rallentamento dell'inflazione, ma anche di quelli reali, fino a riportarli entro il tasso di crescita del PIL". Purtuttavia, la politica del credito e della moneta non subirà mutamenti sostanziali, per motivi interni ed internazionali. Così con la legge finanziaria ed altri provvedimenti, tra cui quello attinente alla tassazione dei titoli di Stato, è stata avviata l'azione di correzione strutturale del bilancio pubblico; in particolare con la prima sono stati fissati tetti di trasferimenti dello Stato verso i principali comparti di spesa. Il completamento della manovra richiede, ora, la definizione dei progetti di legge annunciati dal Governo, volti a modificare i meccanismi di spesa esistenti e a reperire nuove fonti di entrata".
Gli elementi quantitativi relativi all'evoluzione prevista per le variabili monetarie e creditizie sono limitati. La moneta (M2) dovrebbe crescere in una fascia compresa tra il 6 e il 9%, quindi una prosecuzione della tendenza delle famiglie ad allocare parte della propria ricchezza finanziaria in attività diverse dal deposito bancario e postale. L'espansione del credito al settore non statale dovrebbe essere contenuta entro il 7%, un punto inferiore alla crescita nominale del PIL (8%). l'obiettivo tiene conto del più alto livello di autofinanziamento delle imprese e delle migliorate possibilità di ricorso al mercato azionario. Il dato per-centuale è coerente con il finanzia i mento degli investimenti necessari per conseguire la crescita del reddito e della occupazione, assunta nel quadro programmatico del Governo. Il crescente allargamento della base produttiva, la difesa e la valorizzazione del risparmio, l'incentiva-zione del processo di accumulazione sono i cardini di una strategia eco-nomica rivolta a conseguire tali fini.
8. I buoni risultati complessivi previsti per il 1987 confermano che esiste ancora lo spazio per operare un aggiustamento non effimero dell'economia italiano. Il miglioramento delle ragioni di scambio generato dalle condizioni internazionali può essere utilizzato per contenere il disavanzo pubblico senza eccessivi timori di provocare fenomeni recessivi. Posto che nel 1987 molti fattori agiranno nel senso di rallentare il fabbisogno del settore pubblico, v'è dunque il tempo per operare quella modifica dei meccanismi della spesa onde evitare rimbalzi nei periodi successivi.
Analogamente, per la politica dei redditi, l'aumento di potere d'acquisto dei lavoratori sta a dimostrare la possibilità di difendere il valore effettivo dei solari non già attraverso aumenti nominali, ma puntando ad una maggiore riduzione dell'inflazione, oggi possibile per il contesto internazionale favorevole.
Il sistema economico italiano potrebbe allora utilizzare quest'anno di tregua per consolidare un più puntuale assestamento, affrontando col massimo impegno i problemi che sono collegati ad una fase di profonda e rapida trasformazione. Questa esigenza, organica ed urgente, va affermata con vigore perché l'evoluzione positiva in corso più che a fattori interni è collegata a fattori esterni, mentre, con maggiore frequenza, vanno apparendo all'orizzonte sintomi di incertezza e instabilità. Sul piano interno sono previsti, nel prossimo futuro, confronti di opinioni su questioni di grande importanza, quali il nucleare, la imposizione sulle rendite finanziarie, la riforma della previdenza e del servizio sanitario e su numerosi e scottanti problemi istituzionali e strutturali, per i quali non è facile trovare convergenze delle forze politiche.
D'altra parte, l'esame della congiuntura internazionale mette in evidenza una serie di elementi negativi, tra i quali prevale l'atteggiamento di scarsa disponibilità a collaborare di alcuni paesi, che accresce le difficoltà di trovare accordi in materia di espansione della domanda e di stabilità monetaria, in considerazione della stretta interdipendenza e compenetrazione fra le diverse economie.
Il notevole squilibrio delle bilance dei pagamenti dei paesi industrializzati, il pericolo incombente dell'indebita mento dei Paesi sottosviluppati - autentica mina innescata nel processo di sviluppo mondiale - il riaffiorare di insorgenze protezionistiche, il prevalere di posizioni nazionalistiche in Europa sullo spirito comunitario, sono tutti fattori che non concorrono certamente a creare quel quadro di solidale cooperazione, che è il presupposto della crescita nella stabilità.
Di qui l'esigenza primaria di superare queste barriere, uniti da ideali e sforzi comuni, se non si vogliono peggiorare le attuali condizioni o addirittura imboccare processi degenerativi. Senza toni di trionfalismo, ma con consapevolezza e senso di responsabilità, occorre trarre stimoli dalla contingenza favorevole per affrontare, con organiche ed incisive strategie, i punti maggiormente critici, ampliando e rafforzando il ciclo virtuoso per trasformare gli obiettivi raggiunti in risultati più duraturi e dare maggiore consistenza alle prospettive di equilibrato sviluppo dell'economia italiana.

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