Nei mercati finanziari
internazionali negli ultimi cinque anni sono avvenuti cambiamenti rivoluzionari
sia negli strumenti con i quali si effettua la provvista dei capitali,
sia nei modi con i quali si esegue il collocamento, sia nella dimensione
dei mercati nei quali circolano, sia nella quantità di informazioni
alle quali gli investitori hanno accesso e nella rapidità con la
quale si diffondono. L'area occupata dalla intermediazione delle banche
si è contratta; la concorrenza dei nuovi intermediari si è
inasprita; lo spostamento di fondi da un mercato all'altro ha ampliato
le oscillazioni dei cambi e ha accresciuto l'incertezza. Fra il '79 e
l'84 le contrattazioni di titoli nei mercati internazionali sono aumentate
da circa 150 miliardi di dollari a circa 1.500 in ragione d'anno. Non
soltanto il volume dei titoli emessi è aumentato, ma anche la loro
qualità si è diversificata, l'attività di intermediazione
delle "investment banks" ha superato le previsioni. I grandi
mercati (New York, Londra, Tokio) sono collegati ininterrottamente nel
corso delle ventiquattr'ore. Le contrattazioni avvengono come se fossero
un tutt'uno. Si può affermare con ragione che si è istituito
un mercato globale dei capitali internazionali. Quali sono state le condizioni
che hanno sollecitato questa trasformazione? Le indicherei nell'ordine
seguente:
a) la ricchezza finanziaria delle famiglie rispetto al reddito è
aumentata; il fenomeno si manifesta con diversa intensità nei Paesi
industriali; si manifesta anche nel nostro; con l'aumento della ricchezza
finanziaria è divenuta più intensa la ricerca dei modi con
i quali investirla, conciliando la conservazione del capitale con il reddito;
nella composizione dei portafogli delle famiglie è cresciuta la
quantità dei titoli; si è attuata una sorta di "securitization"
dei sistemi finanziari;
b) i titoli costituiscono lo strumento che facilita lo spostamento dell'investimento
da una forma all'altra, da un mercato all'altro; la possibilità
di far ciò dipende dal grado di libertà consentito dall'ordinamento
giuridico; ciò spiega l'impulso verso la "deregulation";
quanto più ampio il grado di libertà, tanto più necessaria
l'informazione e la parità di accesso ad essa;
c) le nuove tecnologie consentono la diffusione istantanea delle informazioni
e l'interpretazione con il ricorso all'elaboratore elettronico.
L'impiego dell'elaboratore elettronico permette di acquisire in tempo
reale un volume imponente di informazioni concernenti gli andamenti dei
mercati intorno al mondo e di confrontare la convenienza degli investimenti
alternativi. La composizione dei portafogli degli investitori istituzionali
muta incessantemente secondo gli andamenti dei mercati e l'interpretazione
che essi danno. L'integrazione dei mercati finanziari e l'ampliamento
della gamma di titoli offerti accrescono l'efficienza del processo di
allocazione delle risorse quando tutti gli investitori abbiano parità
di accesso all'informazione e dispongano di gradi di libertà coerenti
con il numero delle decisioni che sono chiamati a prendere.
All'interno stesso delle "merchant banks" si assiste all'intensificarsi
del decentramento delle decisioni. Quando si visitano le "trading
room" delle maggiori fra esse, si resta stupiti dal numero di terminali
allineati l'uno accanto all'altro, come se si fosse nel centro di controllo
spaziale di Houston. I singoli operatori leggono le informazioni che si
succedono ininterrottamente e prendono determinazioni senza disporre del
tempo necessario per chiedere istruzioni ai superiori. Le loro retribuzioni
superano largamente quelle corrisposte ai dipendenti delle banche di deposito.
Stretta interdipendenza
Fra i mutamenti
strutturali avvenuti nei mercati finanziari internazionali e quelli
avvenuti nei mercati nazionali esiste una stretta interdipendenza. In
tutti i mercati si è inasprita la concorrenza fra le istituzioni
finanziarie e si sono contratti i margini di intermediazione per i mutuatari
di maggiore affidabilità. Le autorità hanno reagito disponendo
che le banche aumentino i coefficienti di capitale proprio; le banche
vi hanno ottemperato, in parte, con il ricorso all'emissione di "subordinated
loans", e in parte estendendo il ricorso a operazioni che per loro
natura non vengono incluse nei conti patrimoniali.
L'integrazione fra mercati internazionali e mercati nazionali, fra cui
i mercati creditizi e quelli finanziari, e fra i mercati nelle diverse
monete, è aumentata. La distinzione sul piano istituzionale e
operativo tra le diverse categorie di intermediari finanziari si è
attenuata. Questi fenomeni sono comuni a tutti i Paesi industriali;
ma differisce da Paese a Paese l'intensità con la quale si sono
manifestati. In tutti questi Paesi negli ultimi dieci anni è
cresciuta la quota di credito non intermediato destinata sia al finanziamento
del settore pubblico sia al finanziamento del settore privato.
Nella maggior parte dei Paesi del Gruppo dei Dieci il fabbisogno finanziario
del settore pubblico soddisfatto dal sistema bancario ha manifestato,
a partire dal 1980, una chiara tendenza alla diminuzione. Anche quando
i disavanzi del settore pubblico sono stati finanziati con l'intervento
delle istituzioni creditizie, è stato incoraggiato l'ampliamento
dei mercati secondari per il ricollocamento dei titoli sottoscritti
dalle istituzioni. Ciò accade in particolar modo in Giappone,
dove le banche assorbono larghe quantità di titoli del Tesoro
all'atto dell'emissione, ma ne collocano quantità sempre maggiori
presso il pubblico. L'ampliamento della gamma delle opzioni offerte
ai prenditori di finanziamenti ha aumentato il peso dei mercati finanziari
nell'offrire parametri di valutazione delle condizioni praticate dalle
banche. E' divenuta maggiore la difficoltà per esse di allontanarsi
dalle condizioni dei mercati non regolamentati, senza incorrere nel
rischio di perdere la clientela che vi ha più facile accesso.
Negli Stati Uniti, fra il '77 e l'84, il volume di una carta commerciale
emessa da imprese non finanziarie è cresciuto del 500 per cento.
Nei portafogli
delle famiglie
l'offerta di una
gamma più vasta di strumenti finanziari incide non solo sulla
composizione ma anche sulla consistenza della ricchezza finanziaria
delle famiglie. Negli Stati Uniti la ricchezza finanziaria delle famiglie
rispetto al Pnl ha avuto un andamento diverso rispetto a quello osservato
in Giappone e in Germania: il rapporto fra ricchezza finanziaria e Pnl
ha segnato una tendenza alla diminuzione negli anni '60 e un recupero
in periodo recente. Una delle spiegazioni che solitamente si danno è
che nella ricchezza finanziaria delle famiglie americane hanno peso
maggiore le azioni e le obbligazioni a lungo termine a tasso fisso,
ossia titoli che negli anni '70 hanno subìto una caduta delle
quotazioni. In Giappone e in Germania invece i sistemi finanziari sono
maggiormente imperniati sull'intermediazione bancaria e le attività
finanziarie sono di preferenza espresse in moneta. Il rapporto ricchezza
finanziaria/Pnl, pur essendo intaccato dall'inflazione, non risente
con pari intensità le conseguenze delle valutazioni di mercato.
La composizione dei portafogli delle famiglie americane è contraddistinta
da una quota elevata di titoli azionari; non di meno è calata
dalla metà degli anni '60; è invece aumentata la quantità
detenuta indirettamente attraverso le assicurazioni sulla vita e i fondi
pensione; la quota di depositi è aumentata probabilmente per
il minor rischio di inflazione e i maggiori rendimenti conseguenti alla
deregolamentazione e all'innovazione finanziaria, che si sono estese
alle banche e alle casse di risparmio. Sono cresciuti i dissesti di
queste ultime.
In Giappone e in Germania la composizione della ricchezza finanziaria
delle famiglie è stata piuttosto stabile. I depositi bancari
sono rimasti lo strumento preponderante, ma di recente hanno rivelato
qualche tendenza alla diminuzione. In Germania si è notato uno
spostamento verso istituti di assicurazione, e in Giappone anche verso
titoli azionari. La composizione di depositi bancari si è mossa
da quelli in conto corrente libero ai conti correnti vincolati e ai
depositi a risparmio.
I cambiamenti in atto nei mercati finanziari hanno ripercussioni positive
e negative sulla politica monetaria. L'innovazione finanziaria, la crescita
della quota di credito diretto e l'aumento dello spessore dei mercati
finanziari incidono sulla propensione alla liquidità del pubblico.
Mercati vasti ed efficienti conferiscono alle singole attività
finanziarie maggiore liquidità di quella che deriverebbe da operazioni
convenzionali; la demarcazione fra attività monetarie e non monetarie
diviene più labile. La stessa criminalità organizzata
viene a disporre di margini più ampi per spostare da un punto
all'altro ricchezza di origine illecita. Le opportunità di lavaggio
di moneta sporca si accrescono.
Le autorità monetarie sono costrette ad adeguare i loro comportamenti
alla constatazione che le munizioni delle quali dispongono in alcune
circostanze sono insufficienti per battere gli obiettivi. Ne deducono
l'opportunità del ricorso a interventi che vengono decisi proprio
con l'intento di accrescere l'incertezza nei mercati, inducendo gli
operatori ad assumere comportamenti più prudenti. Si assiste
al paradosso che l'autorità interviene non per accrescere le
condizioni. di prevedibilità e stabilità del sistema,
ma per confondere le previsioni nella speranza che ciò induca
alla cautela.
Fra l'80 e l'84 il credito bancario nei mercati internazionali è
diminuito da 241 miliardi di dollari a 125; le emissioni di obbligazioni
estere sono salite da 39 miliardi a 107. Questo mutamento ha inciso
diversamente sulle varie categorie di prenditori di finanziamenti. I
Paesi in corso di sviluppo hanno scarso accesso ai mercati finanziari
privati. La sola fonte di finanziamento privata alla quale possono attingere
è rappresentata dalle banche. Ma dal 1982 queste hanno ristretto
il credito spontaneo e nel 1984 i Paesi dell'America Latina hanno dato
alle banche più di quanto hanno ricevuto. L'aspetto più
vistoso nel movimento dei capitali internazionali è costituito
dall'assunzione della condizione di importatore netto di capitali da
parte degli Stati Uniti, iniziata nell'82 e accentuatasi negli anni
seguenti.
Afflussi di capitali non compensati da deflussi di ammontare equivalente
si sono ripercossi sul saldo netto del movimento dei capitali. Ciò
ha determinato la sopravvalutazione del dollaro, la perdita di competitività
delle merci americane, il disavanzo della bilancia dei pagamenti. La
concezione antica secondo la quale i movimenti di capitali si adeguano
alle occorrenze di finanziamento del saldo della bilancia dei pagamenti
si è invertita; a un saldo attivo dei movimenti di capitali determinato
da trasferimenti di fondi non correlati con i mercati delle merci, ha
corrisposto e doveva corrispondere un saldo passivo di ammontare equivalente
delle partite correnti. Il meccanismo di trasmissione è stato
il cambio. Su questo argomento intendo soffermarmi.
Il meccanismo
del cambio
Negli anni nei quali
si procedette alla ricostruzione del mercato internazionale e nei quali
la dilatazione degli scambi contribuì ad accelerare la ripresa
economica nei Paesi dell'Occidente, si mosse dalla convinzione che il
sistema finanziario internazionale avrebbe dovuto soddisfare le seguenti
condizioni:
a) abrogazione dei contingenti alle esportazioni e alle importazioni
di merci e servizi; soppressione delle licenze di esportazione e importazione;
abbassamento progressivo dei dazi doganali;
b) soppressione dei vincoli all'esecuzione dei pagamenti e riscossioni
afferenti merci e servizi; multilateralità degli stessi e convertibilità
delle monete le une nelle altre sulla base di cambi fissi;
c) regolamento degli squilibri della bilancia dei pagamenti mediante
un elemento di riserva costituito dall'oro o dal dollaro degli Usa convertibile
in oro;
d) mantenimento del tasso d'inflazione all'interno di ciascun Paese
nei limiti di quelli dei vicini;
e) controllo sui movimenti internazionali dei capitali al fine di impedire
che i tassi di cambio si discostino da quelli nei quali si riflettono
le parità dei poteri d'acquisto delle monete.
Queste condizioni hanno subìto un cambiamento sconvolgente fra
il '72 e il '73, quando si riconobbe che il rifiuto degli Stati Uniti
di accettare la stessa disciplina alla quale gli altri Stati membri
del Fmi si sottomettevano, produceva la conseguenza che il tasso d'inflazione
all'interno di questo Paese si propagava al resto del mondo. Costrette
ad acquistare dollari in quantità illimitata sulla base di cambi
fissi, le banche centrali dei Paesi orientati più di altri alla
repressione dell'inflazione avvertirono che l'assolvimento dell'obbligo
restringeva fino ad annullarla la sovranità della quale si giudicavano
depositarie.
Quando avvenne il passaggio dal regime dei cambi fissi al regime dei
cambi flessibili, si discusse fra gli esperti se la fluttuazione avrebbe
dovuto essere "pulita" o "sporca". Con la prima
espressione si intendeva "senza interventi delle banche centrali";
con la seconda espressione, "con interventi". In seguito,
sia perché i movimenti di capitali internazionali avevano assunto
dimensioni eccedenti i mezzi dei quali le banche centrali disponevano
per correggere gli effetti sul cambio, sia perché nella politica
di intervento si credeva di scorgere un elemento di dirigismo contrastante
con il principio: "Il mercato ha sempre ragione", si accordò
preferenza al regime del non-intervento.
Nel corso degli anni '70, i modelli econometrici dai quali i più
accreditati istituti di previsione economica deducevano la risposta
all'interrogativo sull'andamento del cambio del dollaro, assumevano
l'esistenza di una stretta correlazione fra questo andamento e il saldo
delle partite correnti della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti.
Nel '77 e nel '78 i disavanzi di parte corrente ebbero ripercussioni
notevoli sul cambio del dollaro, inducendo la convinzione che il declino
sarebbe stato inarrestabile. L'Economist di quei tempi intitolò
un numero: "II dollaro nella spazzatura".La correlazione si
è interrotta nel corso degli anni '80: trasferimenti di capitali
privati dal resto del mondo verso gli Usa non compensati da trasferimenti
di capitali privati dagli Usa verso il resto del mondo e non compensati
da interventi nei mercati dei cambi delle banche centrali, hanno prodotto
saldi attivi in conto capitale. Il sistema finanziario privato americano
ha cessato di adempiere alla funzione di redistributore di capitali
internazionali, assumendo il rischio dei crediti ai Paesi in corso di
sviluppo. Il rifiuto dei pubblici poteri di accordare garanzie di ammontare
adeguato ha aggravato le condizioni dei Paesi debitori. il risultato
è stato che l'economia più ricca del mondo sottrae risorse
a quelle più povere.
Le contraddizioni insite nella situazione descritta sono state esposte
in una dichiarazione incisiva di Paul VoIcker, Chairman del Board del
Sistema della Riserva Federale: "Abbiamo dato la dimostrazione
della capacità di prendere a prestito più di quanto risparmiamo
e di comprare più di quanto vendiamo, accumulando un debito verso
l'estero di dimensioni senza precedenti nella nostra storia".
Gli Usa debitori
La persuasione che
la crescita del debito estero degli Stati Uniti non avrebbe potuto seguitare
indefinitamente indusse alcuni fra i più stimati esperti della
finanza internazionale a prevedere verso la fine dell'82 una caduta
dei corso dei dollaro nel 1984; verso la fine dell'84 una caduta dei
corso dei dollaro nel 1985. Nonostante oscillazioni di grande ampiezza,
ciò non è accaduto nemmeno nell'86, e la sopravvalutazione
dei dollaro è restata e la perdita di competitività delle
merci americane sui mercati internazionali si è aggravata. Il
convincimento che le forze di mercato avrebbero impresso un moto discendente
al cambio dei dollaro, riconducendolo su livelli prossimi alle parità
dei poteri di acquisto non è stato confermato dai fatti.
La gamma degli strumenti finanziari che gli Usa offrono e la quantità
di fondi liquidi che vagano intorno al mondo in cerca di conveniente
impiego hanno seguitato a esercitare un effetto di attrazione di fondi
esteri verso i mercati finanziari americani. Nel solo mese di luglio
i giapponesi hanno acquistato titoli esteri, nella maggior parte americani,
per un ammontare di 8,5 miliardi di dollari; acquisti della metà
di questo volume finanzierebbero più di un terzo dei disavanzo
di parte corrente della bilancia dei pagamenti americana. In questa
situazione è apparso evidente che il ripristino di livelli dei
cambio dei dollaro coerenti con l'esigenza di ristabilire correnti più
equilibrate di scambi internazionali non avrebbe potuto avvenire per
effetto delle forze di mercato in assenza di interventi correttivi da
parte dell'autorità monetaria. la decisione assunta dai ministri
delle Finanze riuniti a New York in autunno interrompe il periodo di
indifferenza verso i mercati dei cambi e inaugura un periodo di interventi
coordinati, nell'intento di ristabilire in qualche misura una relazione
fra livelli del cambio e parità dei poteri d'acquisto delle monete.
Esiste un ampio margine d'incertezza sia intorno al livello di cambio
fra dollaro e monete del resto del mondo capace di restringere il disavanzo
corrente della bilancia dei pagamenti americana, sia intorno al tempo
necessario affinché l'aggiustamento dei cambi produca l'effetto
desiderato. Resta acquisito che anche un'economia di grandi dimensioni
come quella degli Stati Uniti non è in condizione di sopportare
per periodi lunghi rapporti di cambio non correlati con le parità
dei poteri d'acquisto delle monete. Le lacerazioni inflitte all'economia
reale divengono troppo profonde e le richieste di lenirle col ricorso
alla protezione troppo insistenti.
Gli interventi delle banche centrali nei mercati dei cambi introducono
un elemento di incertezza e probabilmente sono stati compiuti con questo
obiettivo. Non sono in condizione di indicare quali possano essere le
conseguenze sul comportamento dei mercati dai quali muovono e verso
i quali muovono i capitali internazionali. Da qualche tempo si osserva
un mutamento nella composizione dei portafogli di alcuni dei maggiori
investitori istituzionali, nel senso di una diminuzione dei titoli americani
e un aumento di quelli europei. Questo cambiamento non lascia indifferenti
le Borse Valori del nostro Paese e contribuisce all'innalzamento delle
quotazioni dei titoli azionari.
Cosa accade in
Italia
Questa constatazione
mi induce a esporre qualche riflessione su fenomeni di casa nostra.
In Italia:
- i saldi finanziari del settore famiglie si mantengono su livelli più
alti di quelli osservati nei maggiori Paesi industriali;
- la corresponsione di interessi reali positivi sui titoli di debito
pubblico di nuova emissione induce un aumento della ricchezza finanziaria
delle famiglie rispetto al reddito;
- l'aumento dello stock di ricchezza finanziaria e la sua concentrazione
nei titoli pubblici accentuano la ricerca di impieghi alternativi.
Lo stock di titoli pubblici posseduti dalle famiglie e il ritmo del
suo accrescimento sono oggetto di un ampio dibattito. Si succedono conferme
e smentite della volontà di assoggettare gli interessi dei titoli
pubblici a più pesante tassazione, nella forma di imposta sostitutiva.
In alternativa, si chiede di deprimere i rendimenti e si suggerisce
di conseguire questo obiettivo imponendo alle banche vincoli di portafoglio.
Si argomenta assumendo che il nostro mercato dei capitali sia un mercato
chiuso e destinato a rimanere tale; si dimentica che nel mercato chiuso
la reazione di rigetto dei risparmiatori si manifesta con spostamenti
più violenti dai titoli alla moneta e da questa alle cose.
L'aumento della ricchezza finanziaria delle famiglie, la maggiore varietà
degli strumenti nei quali può essere investita, si ripercuotono
sulla politica monetaria nel senso di una minor efficacia dei suoi interventi.
Nelle condizioni attuali, l'ordine impartito alle banche di impiegare
in titoli pubblici quote di depositi, nell'intento di deprimere il livello
degli interessi, potrebbe provocare le seguenti conseguenze:
a) diverrebbe necessario creare base monetaria nella quantità
sufficiente per suscitare l'espansione dei depositi di ammontare correlato
con la quantità dei titoli pubblici di cui le autorità
monetarie desiderano la sottoscrizione;
b) se la quantità di depositi eccedesse la propensione delle
famiglie a detenerli, deriverebbero:
- maggiore propensione alla spesa e inflazione più alta; 0, per
contenerla:
- aumento degli interessi sui depositi e non -conseguimento dell'obiettivo.
Quanto più i mercati divengono interdipendenti, tanto più
i richiedenti il capitale devono pagare il prezzo al quale l'offerta
collima con la domanda: le aste competitive sono il mezzo atto ad accertare
imparzialmente l'altezza dell'interesse netto al quale i risparmiatori
sono disposti a sottoscrivere emissioni di titoli pubblici nell'ammontare
desiderato.
Tutti i mutamenti
Desidererei concludere
con una reminiscenza storica: verso la metà del 1967 partecipai
al dibattito avvenuto in una località della Baviera, nel corso
del quale fu decisa l'istituzione dei Diritti speciali di prelievo.
Il ministro delle finanze della Francia, Michel Debré, rivelò
una solida preparazione giuridica, opponendo argomentazioni sottili
alla creazione di un'unità monetaria da parte del Fmi. Egli dimostrò
quale differenza esiste fra moneta e titoli di credito: la moneta assume
l'attribuzione di un potere liberatorio illimitato e, secondo Debré,
la convertibilità in oro. Invece il Fmi avrebbe potuto concedere
crediti esigibili nelle singole monete nelle quali sono versate le quote.
In ultima istanza, avrebbe creato titoli di credito; non avrebbe creato
moneta; avrebbe accordato un diritto di prelievo presso le proprie casse.
Il rievocare questa esperienza mi è suggerito dalla constatazione
dei profondi mutamenti accaduti nel corso degli anni che ci separano
dal tempo nel quale si poteva argomentare alla maniera di Michel Debré
e suscitare consensi. La linea di demarcazione fra banche e altre istituzioni
finanziarie è divenuta più tenue; la concorrenza fra i
nuovi intermediari più aspra; lo spessore dei mercati finanziari
è divenuto più profondo; il grado di liquidità
delle attività finanziarie maggiore; la distinzione fra moneta
e altre attività finanziarie è divenuta più labile
e gli spazi per la politica monetaria più angusti; è divenuto
necessario ridefinire con frequenza la nozione di moneta alla quale
si riferisce il governo della liquidità; l'elasticità
della domanda di moneta ai tassi d'interesse delle attività finanziarie
alternative è aumentata; il grado di succedaneità fra
le une e le altre è cresciuto. Da questa constatazione non deduco
che la composizione della ricchezza finanziaria del pubblico è
indifferente; alcune componenti sono più prossime di altre alla
moneta in senso stretto; ma il successo della politica monetaria diviene
più dipendente dal controllo sull'espansione totale delle attività
finanziarie. Quando questa riflette in misura preponderante titoli con
i quali si finanzia il disavanzo pubblico, indipendentemente dai modi
con i quali sono emessi e dai soggetti presso i quali sono collocati,
soltanto il rallentamento dell'espansione dello stock di debito pubblico
conferisce credibilità alle politiche di controllo dell'inflazione.
Il potere di battere moneta che un tempo spettava al principe o per
sua delegazione agli istituti di emissione, si è diffuso fra
gli innumerevoli soggetti muniti del potere di creare i succedanei;
il più prepotente è e resta il principe stesso.
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