§ BOTTEGA DELLE SPEZIERIE

Il poeta dei liburni e dei corbezzoli




Antonio Verri



"Trenta-quaranta anni fa da un binario secondario di una stazione alquanto grigia, Lecce, partiva una carrozza. Scassata, ma carica di buoni poeti. Destinazione il Basso Salento". Non è che un'autocitazione; cominciavamo casi, sette anni fa, un nostro intervento sulla poesia. Bene. Quella carrozza-epopea, scendendo attraverso paesi canterini, trasportava non solo "uomini col colletto unto, col volto rovinato dal lavoro... chiusi in camicie silenziose, oppure donne con bellissimi occhi ma strapiene di solitudine", trasportava anche poeti, pittori, scultori, convinti, al solito, che la poesia, l'arte poteva risolvere un po' tutto, un po' tutto saldare.
Gli artisti in questione erano Bodini, Pagano, D'Andrea, Macrì, De Rosa e a volte, dicevamo, l'impeccabile Vittore Fiore (ed è tutto un bel dire). Prima tappa Lucugnano, da Corni, seconda Gagliano, da Ciardo, l'omone con gilè e cappello, poi, in grossa allegria, risalivano con nuove tappe a Castro, a Otranto (con Bodini che ogni tanto spariva dal gruppo: lo ripescavano a Cocumola intento a sbirciare con curiosità nelle cucine di donne stavolta allegre, ospitali... e pennute!).
Un po' più in là, nel nostro intervento, facevamo partire, con percorso contrario, una nuova carrozza (carrozza di fine anni settanta e non necessariamente immaginaria) con destinazione Lecce, carica di nuovi poeti che si sentivano sì figli dei primi o di una umanità smodata e silenziosa, ma che avevano un po' l'aria stanca e non molta fiducia nella poesia. Niente "discesa alle madri", niente incanti, niente "condizione dell'anima" o "categoria dello spirito", solo discrezione, non molto vigore nel cercare spazio, incertezze e loro purgatorio.
Erano poeti, questi ultimi, figli un po' di quell'intimismo dilagante in quegli anni nella poesia nazionale, un po' di quelle nenie continue e di quel sole matto di questa terra a volte sgraziata a volte splendida.
Fuori dall'intervento-preambolo. Ecco. E' in arrivo una nuova pattuglia di artisti e poeti. Vengono anche loro dal sud del Salento, ma non hanno assolutamente voglia di fermarsi a Lecce.
Quasi tutti un po' più agguerriti, un po' più scaltri, forse anche cialtroni e vili al punto giusto, non molto estroversi ma molto ambiziosi, con cortesie e sorrisi a volte veri a volte fasulli, che intanto lavorano con molta tenacia, confrontandosi con altre esperienze, con respiro diverso, (hanno però assorbito, e bene anche, esperienze solitarie e no come quelle di Bodini, Pagano, Ciardo, oppure il loro operare non può non tener conto di avventure artistiche come quelle di Mandorino, Dodaro, Antonio Massari, Suppressa, Rita Guido); poi fanno le amicizie che contano, intessono rapporti che possono servire, sanno avere come pochi la faccia di bronzo, e ci sentiamo di dire che si serviranno di tutto pur di arrivare. Hanno la nostra, forse è inutile dirlo, sconfinata simpatia!
Bene. Intenzione di Sud/Puglia è farveli conoscere uno alla volta, due per volta, comunque parlarne, farveli arrivare: non sono molti qua da noi (ma forse altrove non va meglio) gli spazi che hanno, le riviste che li possono ospitare. Cominciamo.
Il primo, non è una scelta casuale, è Salvatore Toma, nato a Maglie dopo il cinquanta, poeta di quella razza che lavora sul dolore e sull'ironia delle parole con una sua speciale carica, strapiena di miti, di favole. Anche poeta fine che difficilmente cede alle mode e bizzarro e fantasioso e quanto mai stravagante (dispiacerà forse al critico "materialista" questo - e ai suoi tanti discepoli, bamboli tinti di rosso - che termini come "mitico", "fantastico" li scarica direttamente nel capiente bidone del recente riflusso).
Allora. Toma ha un bosco. Glielo hanno affidato (è l'unica cosa che ha) dieci, quindici anni fa. E' lì che uno può andare a trovarlo. E' lì che lui passa tutto il giorno. E' in questo bosco che è nata quasi tutta la sua produzione poetica (quattro o cinque libri semiclandestini, due in preparazione). E' in questo bosco che lui alleva i suoi bastardini, i suoi Bull Terriers, il suo Akita Inu. è il posto ideale per un poeta come Toma, con un sottobosco di liburni, corbezzoli, lentischio, pungitopo, con querce e pini fittissimi ma che non riescono a far da tetto ai suoi svolazzi, ai suoi variopinti grifoni, alle sue chimere.
Parlare di Toma vuoi dire anche fermarci sulle condizioni frustranti e sullo stato di disagio di chi è poeta o autore in questo posto; parlarvi di editori-imprenditori all'ombra del potere o assorti in operazioni tanto assurde quanto presuntuose; parlarvi della disattenzione organica e studiata e programmata di chi è addetto alla cosa culturale nei centri di qualsiasi Palazzo (non è che vorremmo trovarci davanti a tanti Nicolini dei bei tempi, o davanti a una collana di letteratura gestita dalla Regione, ma ci pare pure giusto sperare in uno stato di cose in cui non sia l'autore stesso a trovarsi in grossi guai con i soldini o i soldoni da dare al tipografo); oppure parlarvi di una Università assolutamente impreparata a recepire e a dare nuovi stimoli; oppure parlarvi, vecchio discorso, delle librerie semideserte, del disamore per il libro, soprattutto di poesia (notavamo tempo addietro che è sparito persino quel mercato che fino a otto-dieci anni fa aveva per destinatario l'amico o il conoscente). Ma basta. Chiudiamo qui. Soliti vecchi discorsi e solite vecchie risposte che non arrivano.
Parlare di Toma è anche, in certo senso, considerando la frequentazione e la collaborazione in crescendo, parlare delle nostre scelte culturali di questi ultimi cinque anni. Per esempio possiamo dire che i nostri ultimi numeri di Pensionante non li abbiamo pensati a Lecce ma a Maglie: qua c'è Totò Toma, la colta Claudia, De Jaco che si è ricomprata la casa dei genitori, la Maria Corti e Oreste Macrì che scappano appena possono... qui siamo nel centro dell'altra cultura, quella scarna, senza ridondanze, senza velleità, senza troppe parole, quella lineare, essenziale, che ha due poli, anche geografici, di immediatezza, di sofferenza e di grecità, Martano e Otranto.
Ma chi è Totò Toma? Ecco qua (aiutati anche da nostre idee raccolte due-tre anni fa durante la presentazione del suo "Forse ci siamo" nella Biblioteca comunale di Maglie). Toma è un colossale bagno di trovate, è il poeta che da sempre ha capito tutto e vola su tutte le manovre di imbottigliamento, sulle invidiuzze di qualche sciocco amico, come sulle cretinerie dei celebrati e venerati potenti di ogni luogo. Toma è feroce, è sanguinario come tutti i veri poeti e come tutti i veri poeti ha il diritto di mandare al diavolo un po' di gente; Toma èun io che vince, dolorosamente ma vince, che sovrasta dall'alto di una quercia secolare; Toma è un batuffolo di ironia e di smaliziato candore, Toma è di una ironia favolosa (provate a guardare nei carteggi dei più grossi poeti e scrittori, troverete sberleffi pazzeschi, trovate esilaranti), sa inventarsi di tutto e di tutti con allegria e meraviglia; come tutti i veri poeti ha carisma, ha potere sulla vita e sulla morte di ognuno; può avere, è un suo diritto, armonia e tenerezze e aspri giudizi per tutti; può ridere di te, volare apparentemente sereno, dire sciocchi, odiare chi odia gli ubriaconi, gli emigranti, i diseredati che puzzano; può essere un bambinone, può avere ossessioni erotiche, può canzonarti quando gli pare, può scappare dai suoi e tornare con detti stravaganti, con astuzie candide e sanguigne.
Quante cose! Troppe. Cose pensate in motorino, il più delle volte dietro un bulbo da suo padre fioraio, per rompere, per cercare di rompere il magone di una vita senza ruolo, le cose idiote che ti circondano... o forse solamente la paura della morte, della vecchia con la falce e col ghigno.
Toma è anche uno che sa godere, ha capito benissimo che la poesia è qualcosa che si consuma in un attimo, con voluttà, con intensità, con dolcezze, di quelle "che fanno vergognare il Paradiso" per intenderci; Toma è un animale d'assalto e di rientro, sicuro, scaltro, triste, allegro, pieno di tremori inaspettati, e poi rivoltato, costretto, annientato "da questa civiltà simile alle periferie, piena di barattoli, di plastiche, di scarpe vecchie, di bambole spezzate, di fumo, di puzze, di cadaveri di cani bruciacchiati".
Anche noi crediamo, con lui, che in guerra come nella vita vince sempre "chi più è ucciso", chi meno sa incassare, chi ha sempre dei dubbi. E poi cosa c'è di più raggelante, per dirla con Toma, della "elementare certezza" della banalità, della inutilità della vita, ma anche della poesia, di questo regno di suoni, di allusioni, di segreti, di scoperte tenere e altrimenti inconfessabili, di ossessioni, ("oh sogni sogni fughe rinunce brividi esplosioni morte alcool dagli spettri argentati disperate vele a ritroso nella memoria, fame di vivere, mi date il vomito e la bizzarra allegria"); cosa c'è di più raggelante della elementare certezza che non ci resta poi molto in mano, quasi niente, perché la poesia non è stata mai un grosso affare per nessuno: e allora i rapporti privilegiati con la morte, con la verità, con il mare-segno di serenità e tranquillità, con una boscaglia verdissima di invenzioni: e allora l'unica via, la sola possibile via, "la mente, il sogno proibito, il blaterare placido e corretto della sopravvivenza".
Questo, a grosse linee, è Salvatore Toma, o almeno il nostro Toma, che non abbiamo nessuna riserva, anche perché aiutati da Macrì, a mettere accanto a Bodini, Baudelaire, Campana, ma anche a Vittorio Pagano, a De Candia, a Tonino Caputo e a tutta quella schiera di poeti e artisti ingenui, puri, schematici, semplici, banali, profondi, allegri, deficienti, arguti, accattivanti, indifesi, disarmati, candidi, macilenti, persi nella gente che odiano, che amano, col sorriso misto al rutto, col fresco di una vita senza lacci, con la convinzione che la sola cosa che conta, la sola cosa per la quale vale la pena vivere è la letteratura, l'arte, la poesia.
Che altro? Ah, i suoi biglietti rossi, gialli, le sue buste finissime, la sterminata serie di penne, le cartoline d'autore che monta con i suoi timbri, con immagini che ama, con incredibili autoadesivi, le carte intestate col disegno dei suoi cani, le strampalate domande di iscrizione ai "Lions club", le sue "guerre" con manifesti per tutta Maglie, o le bizze con Contini, o le tormentate, monologanti, sue vicende con Cucchi e Raboni (strapiene di ironia cruda, illogica, un po' da ragionamenti alla Don Chisciotte), colpevoli, secondo lui, di bloccare la sua ascesa poetica, in fondo capi, e di conseguenza predoni, in quel di Milano, dello Stato della poesia italiana, della editoria poetica nazionale, ecc. ecc.: corsi e ricorsi la storia si ripete, Raboni e Cucchi qui altro non sono che quel che furono Papini e Soffici per Dino Campana!; anche se l'odio, le accuse per la non inclusione nello Specchio mondadoriano, lo scherno semmai, confinano sotto sotto con l'ammirazione, una sorta di amore inconscio, una ferma volontà di farsi valere e apprezzare "soffocandoli" e "sputtanandoli" con le sue trovate al limite della denuncia ("denuncia" è voce generica, buona, disperante, per tutti ma non per Toma, o per i poeti come Toma).
Però non è stata, non è sempre monologante la furia epistolare di Totò Toma; vi sono delle lettere - e non solo lettere: chi non ricorda il saggio di Oreste Macrì sull'Albero di Milella? -, delle testimonianze di tutto rispetto e nobiltà: Davide Laiolo per esempio, oppure due righe di Montale, una lettera di Prezzolini, ecc. ecc. oppure contatti recenti attraverso Pensionante, o nuove amicizie, Vittorino Curci per esempio, uno dei più valenti poeti dei Mezzogiorno. Eccetera.
La mezzaluna di Toma, allora, fende, incontenibile, il cielo ed è come quella -non è la stessa però - che Bodini, Campana, il suo "Rembò", hanno visto splendere, bianca e tagliente, in bocca ad un pesce o sulla groppa di un grifone.... intanto lui continua con le sue cartoline, i suoi voli-appigli: una delle più recenti, a parte quelle settimanali a Cucchi e Raboni (ai quali, tra l'altro, per lo Specchio, propone le stesse identiche poesie da cinque anni i), è quella indirizzata a Maria Corti, che pure quattro-cinque anni fa lo ha ospitato su Alfabeta. Allora, la Corti gli promette, una sera a Maglie, il suo interessamento per una recensione al "Forse ci siamo"... che non arriva. Muore Calvino, l'autrice de "L'ora di tutti" interviene il giorno dopo su Repubblica. Da Maglie parte una cartolina: "Adesso so che devo fare per meritare la sua presentazione: comincerò a passare coi rossi!".
Cosette, cosettine a volte, ma la vita di Toma poeta è questa, nell'altra ha tre figli e una moglie che è un po' il suo angelo custode, comunque la sua regolatrice. Ma sono tutte nostre idee, per lui non c'è una vita da poeta e poi l'altra. Permaloso, sofisticato, aristocratico com'è (si firma il Sommo oppure a Great Poet), non vive che per la poesia e di poesia. C'è poco altro da dire, da fare nella vita. Niente, non conta niente altro. Tutto è vecchio e tutti siamo vecchi, quasi morti ("... Mai/visti tanti convalescenti/senza speranza/aggirarsi per le strade/automatici lenti/con occhi di ghiaccio/e faccia lunga").
Ecco, per finire. Chi non consente poesia, chi non riceve poesia è un morto, chi non sa vedere i pesci d'oro che pendono dalle sue querce e dai suoi pini è un morto, chi non si accorda con la sua urgenza (propria dei poeti) è un morto, chi non sa ascoltare, con un vento leggero, le nenie, le canzoni dei suoi liburni e dei suoi corbezzoli è un morto, chi non vola con i suoi mitici uccelli, chi non ama il guizzo dei suoi cani, la loro eleganza, la loro voracità, è un morto...
è da concedere tutto ai poeti... specie quando, come nell'ultimo Toma, nel penultimo Toma, nel Toma di sempre, la poesia assume valenze profetiche, detta verità valide per tutti!
Oddio, si è girovagato un bel po' sul personaggio Toma, non abbiamo detto granché della sua poesia (ma parleranno, e bene, i testi che seguono). Volendo farlo non possiamo che sottoscrivere le intuizioni
e intuizioni resoconto che Macrì ha steso prima nel citato saggio (numero 63-64 dell'Albero), dopo, nella breve presentazione al "Forse ci siamo": e allora radicalità, "innocenza, libertà, genesi e apocalisse", e allora "... accentuato corso diaristico d'un io aggressivo, insolente d'acuminata verità, trascolorante agli estremi poli dell'infraumano e del celeste, dell'onirico-fiabesco e della più aspro e dura realtà".
E ancora - e questo è caratterizzante soprattutto dell'ultimo Toma -: poesia ormai profetica, ormai contagiante, luogo di parole che non hanno più bisogno di aggettivi, verso che tende ad esser mozzo, sballo continuo, continua allegria, la presenza sempre più raggelante e definitiva della morte (dice continuamente di aver solo altri nove mesi di vita!), poesia epifania dell'assurdo che respiriamo ogni giorno, delle paure, delle ansie che vorticano su tutto e su tutti. Anche sui poeti. Sì, ma loro hanno torri e querce altissime, solitarie, secolari. Eppoi i poeti, i veri poeti, sanno così bene svettare che, sul serio, è necessario conceder loro tutto...

AUTORITRATTO
Salvatore Toma è nato a Maglie l'11- 12 maggio 7951 e qui è morto nell'agosto del 1968 in seguito a una colluttazione d'amore. Ma non erano passate che poche ore dal suo disastroso decesso, che il cielo lo rispedì sulla terra per mancanza di prove. Ora vive su una enorme quercia, si nutre di beffe e raramente guarda a terra. Ma più che per le sue divine poesie, Salvatore Toma è famoso per la sua acrobatica precisione nel beccare il vasino, abilità maturata col fatto che non volendo scendere mai più dall'albero, i monellacci del luogo glielo spostavano, divertendosi a vedere come se la cavava. Ed è appunto per questo incalcolabile virtuosismo che nel 1993 ha vinto il premio Nobel. Si narra che in quell'occasione, unanimemente richiesto di esibirsi, i giudici scappassero in tutte le direzione come pazzi inferociti, ma furono da lui tutti puntualmente beccati anche a distanze mostruose.
In questi ultimi tempi gli è presa la fissazione dei fumetti, ma guai a portarglieli perché sbraita come una bestia! quei maledetti monellacci, ora che lo scherzo del vasino non funziona più, gli hanno messo in testa che i fumetti sono dei meravigliosi dolcetti che si fanno in provincia di Rovigo!
Poveri poeti!
Scherzi a parte, Salvatore Tomo è un tipo decente, presentabile, un po' volutamente folle, ma in definitiva un buono. E' sposato con una cara moglie-madre, piovutagli dal cielo (senza colluttazione... perciò è sfortunato al gioco) e ha due strepitosi bambini che gli fanno da papà e gli stanno sempre appresso, perché se lo perdono d'occhio un istante, ma solo un istante, lo si ritrova subito su quella maledetta querciaccia...
Capito ora?


LETTERA
Avrei tante cose
da dirti da chiederti
un'infinità ma come si può
rinvenire dolcemente il passato
senza essere
importunati dal presente?
tutto è assurdo
tutto non avrebbe dovuto
accadere eppure è così
straordinario tutto ciò
che accade! Ma c'è
chi giura
che esiste un'altra vita.

74.2.1980


DELIRIO
Non succede mica tutti i giorni
di aprire la porta di casa
e vedersi lì per terra rotolare
un chicco di grano
raggrinzito come un feto
o chiuso come un rimorso
o vedere sul muro tingersi
una verdissima boscaglia
dove un cervo dal mantello rosso
lotta con un'aspide
un bull terrier con un'ape
un iceberg
con un decrepito viandante.
C'è da chiedersi se la realtà
sono gli occhi
il naturale il tangibile
oppure lo sgambetto l'alcol
il perdono impossibile.

22.6.1980


INNOCENZA


1

La morte ghermisce
ma forse è innocente
si muove senza malizia
perciò di innocenti
a volte si nutre
come di premure un malato.
Forse la morte è innocente
la sbandiera senza malizia
la sua falce beffarda e dolorosa
e da noi esala già forse concepita
quest'ossessione bellissima
che è vita.
Forse la morte è già in noi
quando senza malizia
una sera si annuncia da lontano
coi suoi sonagli d'oro.

2


La vita per innocenza
va goduta dormendo
e lui si è solo girato di fianco.
Sì meglio dare il fianco
alla morte
insegnarle il perdono
che darle le spalle per viltà
o il petto per arroganza.

22.6.1980


L'ORA PIU' BELLA DEL MONDO
L'ora più bella del mondo
l'ora magica
è trovarsi in campagna
il 25 dicembre alle ore 13!
non si incontra nessuno.
L'aria è allegra
luminosa e freschissima
le allodole sfidano il sole
cucendosi nell'azzurro
mentre fringuelli si bagnano
nelle rare pozzanghere
che la tramontana non ha
ancora bevuto.
E' allora che io
avverto me stesso
sento il mio corpo
smembrato in leggerezze infinite.
Questo riconoscersi tacito
è una solitudine preziosa
che non si può acquistare.
Gli uomini mi sembrano allucinazioni
brutte fiabe
deliranti utopie
ora che nelle loro tane
mangiano a lungo
a lungo augurandosi di vivere.
Poveri illusi! non sanno
che io qui li sto pensando.

25.12.1980


PENSO AL MONDO
Penso al mondo che gira
e anche se non si sente
io mi sento girare la testa.
Mi annienta questo civiltà
simile alle periferie
pieno di barattoli di plastiche
di scarpe vecchie
di bambole spezzate di fumo
di puzze
di cadaveri di cani bruciacchiati.


8.8.1987


MI VIENE DA RIDERE
Mi vien da ridere
perché in fondo ci godo.
Il mio cuore (chiamiamolo
così questo effervescente ascoltare)
impazzisce. Non c'è niente da fare.
Al lusso allo star bene si mesce
la più desolante povertà
il paese è come la città
non ci resta che la mente
il sogno proibito
il blaterare placido
e corretto della sopravvivenza.


8.8.1981


IL BOEING
Non mi abbandona più
il ricordo di quella sciagura.
Se chiudo volutamente gli occhi
lo vedo tagliare bellissimo le nubi
nel suo metallo d'argento
con invincibile purezza.
E' pieno di sguardi di borse
di foulard di prospettive...
ma ecco d'improvviso il crac!
Vedo l'aereo spaccarsi in due
rovesciare a rilento il contenuto
in una tomba di mare.
Nessuno ha fatto in tempo a capire.
Ma sulla terra
nessuno ha notato:
c'è chi attende l'autobus
chi esce allegro dal bar
chi dice alla moglie:
cara stasera ti parto a ballare.

23.1.1982


E' UN UOMO

1


C'è un'agonia
intorno a me lenta
lentissima
un risveglio straordinario
di rughe del viso.
D'improvviso da un giorno
di qualche mese fa
vedo tutti invecchiati
non superati per rinnovata
esistenza del pensiero
ma invecchiati
proprio invecchiati. Tra poco
ci sarà una moria
generale. Mai
visti tanti convalescenti
senza speranza
aggirarsi per le strade
automatici lenti
con occhi di ghiaccio
e faccia lunga.
Ma che cosa mi è
mi sta accadendo?
tra poco
ci sarò una moria devastante
se io non sto sognando.

2


Camminano a volte in molti
a volte da soli
ma basta vederne uno aggirarsi
sotto un viale alberato.
E' un uomo.
Le sue gambe
sono rigide
lo sguardo fermo
le braccia lente tic-tac
mai oseresti
rivolgergli la parola.

3
Volvo Audi 100
Bmw Fiat Regata
Fiat veliero
autoradio gelatina
bionda accanto
bruna accanto
e d'incanto
laghi mare montagne colline
esercitazioni sessuali
divagazioni sul tema...
IL TEMA! il tema
sono le braccia cervellari
i capillari tic-tac
le faccia lungo stese
per forza di cose.
Tra poco
ci sarà una moria generale
situazioni incresciose.

4
Se ne va lento
ma svelto
perché dritto deciso
avesse tanto di tacchi
non muoverebbe un dito
mai nemmeno fucilato
prenderebbe una storta.
Il suo sguardo è fermo
ammoniacato
vuoto nel vuoto
sperduto. Le sue
braccia sembrano
due liane al vento.
E un uomo.
Vacci piano.


LA VERITA'
per gli indiani d'America

1

Arriverà la vita
arriverà
arriveranno le grandi cime
mosse dal vento
l'azzurro dei fiumi
e la neve
e i giorni senza peccato.
Arriverà
la squaw dei tuoi pensieri
l'anima ideale
i figli ideali
e la vita.
Arriverà la primavera
coi suoi fiocchi rosa
come se avesse partorito
la femminilità.
Arriverà la gioia di vivere
a costo di morire.

2


Ritorneranno
le mandrie di bisonti
a ricordarci i polveroni americani.
All'orizzonte
li avvisteremo come
una enorme traumatica onda gialla.
Ritorneranno
gli indiani
i bambini chiassosi
con gli archi finti fantasiosi.
Ritorneranno
le squaw a lavare i panni
sulle rive dei fiumi celestiali
e il cane randagio fra le tende
che nessuno si sogna di scacciare.

3


Ritornerà
la vista dei castori
innocenti roditori di tronchi
e le loro tane
le loro gallerie
l'aria delle praterie
e l'odore leggendario
dello sterco dei cavalli.
Ritornerà
il pioniere costruito d'avventure
di partenze di speranze
di terre promesse.

4


Arriverà la vita
arriverà
palazzi città auto ferrovie
saranno dilaniati come antilopi.
Il leone che è in noi
ruggirò in maniera mai sentita
sbranando uomini donne
bambini invecchiati
e vecchi arroganti
malati di dominio.

5


Arriverà la pace
il silenzio mosso
da un canto divino.
Ci sentiremo lo stomaco
svuotato di carni
non avremo bisogno di mangiare
respireremo vento
aria neve gelsi
il selvatico che è in noi
prevarrà.
la verità
arriverà.


5 STORIE PER RIMBAUD

1
Se mi trovassi
vi trovaste di fronte a Rembò
che vi dice voglio fare il mercante
chi mai di me
chi mai di voi
gli crederebbe?
questa è buona
per dire che
poeti si nasce
e a volte non si finisce.

2
Ma SI FINISCE è voluto
NON si fa per dire
a 16 anni
aveva giù detto tutto
con una ventina
di libri letti e letti sfatti.
Come per Mallarmé
la sua poesia
non fu mai
una rinuncia di sé.

3
Caro Rembò
che tutti studiano indagano
delunano denudano
alzano e abbassano
come una saracinesca
A E I O U
(i miei indiani
direbbero una colt)
caro Rembò
questi animosi
che non credono ai fulmini
non hanno ancora capito
che a scrivere poesie
ti sei solo divertito.

4
Hai giocato sincero
perciò ci sei riuscito
come quando mio fratello dice
lo sapevo perché me lo sentivo!
(e bocciava
tranquillamente
il pallino).

5
Caro Rembò
rassegnati
non ti accettano
poeta illibrato libero animale
se sei grande
(e grande lo sei)
altro che podista
culturale culturista ti vogliono
a ogni costo ricordato.
E' inutile
che tu dici gridi urli
di essere stato
da Dio illuminato.


Nota Bibliografica
- Poesie (Prime rondini), Roma, Gabrieli, 1970
- Ad esempio una vacanza, ivi, 1972
- Poesie scelte, Catanzaro, Ursini, 1977
- Un anno in sospeso, Poggibonsi, Lalli, 1979
- Ancòra un anno, Cavallino di Lecce, Capone, 1981
- Forse ci siamo, Lecce, Pensionante de' Saraceni, 1983
In preparazione due volumi, primo dei quali sarà: Battiti
Sue poesie sono apparse su:
Tempo d'oggi, Alfabeta, Nuovo Spazio, Nuova Rivista Europea, Pensionante de' Saraceni, Accademia/Le tout Rome, Bosco delle noci.


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