§ ANTICO E NUOVO

La donna in Parnaso (2)




Ada Provenzano



Nel Medioevo si diffonde in Europa l'ideologia-eresia catara, basata sul contrasto irriducibile tra bene e male, tra spirito e materia: il mondo era un campo di battaglia tra Dio e Satana. Ciò, in diverse sfumature, portò a un ascetismo eccessivo, al disprezzo della carne e a una rabbiosa fuga verso la castità, alla compressione dell'amore umano, al rifiuto del matrimonio e, soprattutto, della procreazione. E tutto questo si rifletté sulla condizione della donna, in un contesto sessuofobo che era già presente nel primo Cristianesimo, per influssi orientali sempre presenti nella religione cattolica, e all'identificazione della donna come causa e origine del peccato. Fu una visione manichea che ebbe larga diffusione, e fu presente anche negli intellettuali cristiani più sensibili, compreso Sant'Agostino.
A questa concezione, in un certo qual modo, sembra reagire la poesia cortese, con un concetto ideale dell'amore al di là d'ogni frontiera, al punto che la vicenda di Tristano e Isotta, che ne segna il momento più alto, e comunque più fortunato, è stata definita il mito europeo dell'adulterio. Un mito che non a caso nasce in un periodo di grave crisi del matrimonio, per l'avversione dei catari, ma anche perché nel sec. XII esso era diventato un puro e semplice mezzo per arricchirsi con la dote della donna, che poi non veniva restituita quando, con estrema facilità, veniva ripudiata.
A questi abusi, causa di innumerevoli litigi e guerre, l'amor cortese oppone una fedeltà indipendente dal matrimonio e fondata sul solo amore: è una forma di platonismo che implica anche concezioni simboliche e mistiche, con l'esaltazione dell'amore più sofferto che goduto. E tutto questo fu alla base del rinnovamento della poesia europea.
La Chiesa di Roma ebbe, in questo periodo, il momento di massima penetrazione nel mondo dei rapporti uomo-donna. Di fronte all'"anarchia" dell'amor cortese, predispose una vasta riforma morale della società laica e del clero ed elaborò una dottrina giuridica e religiosa del matrimonio, collegata all'indissolubilità, ed elevata a sacramento. E questo finì per provocare la reazione di alcuni popoli, in particolare degli inglesi e dei tedeschi, dove si sviluppò l'azione controriformistica. L'epica germanica, oltre tutto, in questo periodo si esprime nel "Nibelungenlied" o "Canto dei Nibelunghi", d'autore anonimo, cantore d'una società violenta, anche se per certi aspetti evoluta, e primitiva nei sentimenti, e persino feroce nel l'interpretazione e nella realizzazione rigorosa dei rapporti e dei doveri feudali. E' un contesto nel quale la donna (quella degli strati altissimi dell'organizzazione sociale) invano lotta per un rapporto leale e di parità con l'uomo.
Diversa la situazione nella società finnica. Nel poema nazionale "Kalevala", diverso dagli altri d'Europa, che sono di natura guerresca, e incentrato sulla natura favolosa, su feste e usanze popolari, ci sono gentilezza e attenzione verso il mondo della donna, anche se questa è inserita in rigidi schemi tradizionali e ha tipici condizionamenti. Ma è una particolare venatura di dolcezza che rende gentile, cordiale, il rapporto uomo-donna in una società rurale non rozza né oppressiva.
Il ritorno alla narrazione guerresca si ha in Spagna, con il "Romancero dei Cid": trionfa l'ideale cavalleresco e ricompare la solitudine della donna, che al di là di ogni formalismo esteriore è e rimane vittima di guerre, di avventure militari, di scontri tra religioni e civiltà.
In Italia, il Medio Evo eredita dai Padri della Chiesa l'atteggiamento verso la donna che era stato tipico della decadenza dell'impero Romano: diffidenza verso di essa, essere fragile, unito ai cicli simbolici della luna, della terra, dell'acqua, mentre l'uomo è connesso a quelli del sole, del cielo, del fuoco: quindi, c'è una tensione dell'uomo verso l'alto, e una della donna verso il basso; l'uomo è forma, mentre la donna è materia. E solo attraverso l'uomo, la donna può porsi in relazione con gli elementi superiori. In questo senso, per i trovatori come per gli stilnovisti, l'amore è una spinta potente verso la perfezione divina, di cui la bellezza femminile è solo un segno tangibile. E c'è chi vede in questa concezione influenze dirette della poesia orientale e del Cantico dei Cantici.
Certo, vita e comportamenti delle donne furono ben altra cosa da quelli descritti dalle ideologie e dalle filosofie del tempo. Dante idealizza Beatrice, ma esalta la vicenda di Paolo e Francesca che sembrano ripetere la storia stupenda e tragica di Tristano e Isotta; Boccaccio sfida ogni concezione religiosa e morale del tempo, presentandoci un mondo di adultere, di infedeli, di furbe matricolate, di popolane regine di vicoli e di quartieri, ma anche di donne di ceto elevato che, in modo diverso, si comportano non diversamente nello sfogo di istinti naturali e nella manifestazione di intelligenze spregiudicate, pronte, anche ciniche. E' un contesto realistico che capovolgeranno Petrarca e i petrarchisti, con l'idealizzazione della donna in senso mistico, se si vuole, ma anche con le espressioni di un desiderio che è tutto umano e terreno.
Come Boccaccio, anche l'inglese Chaucer costruì nei suoi "Racconti di Canterbury" un grande affresco della società contemporanea. Con alcune differenze di fondo: nello scrittore italiano, la ribellione avviene sul piano pratico, mentre in quello inglese avviene sul piano teorico, e non gioca quasi mai col ricorso all'ironia. Chaucer esprime la libertà sessuale quasi come una realtà, mentre per Boccaccio tale libertà è quasi una beffa, o la rivincita contro un mondo in cui la legge ha un suo enorme peso formale. Forse, a determinare questa differenza fu la diffusione della peste nera, che in quel tempo dimezzò la popolazione europea. L'orrore per la morte incombente determinò la caduta dell'autorità delle istituzioni, la resa ai più bassi istinti: persone d'ogni classe si abbandonarono alle proprie inclinazioni senza ritegno; donne invasate e nude percorrevano strade e piazze; nacque perfino la diceria che coloro che erano colpiti da malattie veneree non contraevano la peste, e ci fu una caccia delirante a questo tipo di contagio. Certo, in prospettiva, Boccaccio e Chaucer determinarono (soprattutto l'inglese) l'anticipazione di una mentalità legata al realismo: ma in Italia questo si tradusse in una forza capace di far sopravvivere i sentimenti di nazionalità, offesi dalle invasioni straniere; in Inghilterra portò alla disgregazione medioevale e alla nascita della società borghese, che qui e altrove fu alla base della creazione dei grandi Stati nazionali.
Con l'Umanesimo, la donna si presenta sulla scena della poesia e della cultura non più con la sua ritrosia e con i suoi rossori, ma con tutta la sua personalità e il suo corpo, del cui fascino e della cui potenza di rivelazione e di completamento esistenziale sembra essere, in parte, consapevole. Non c'è più, come nel mondo classico, la commedia o la tragedia delle lacrime; non c'è piú la violenza coniugale della decadenza latino-romana, che però vedremo ritornare nel Seicento e nel periodo neoclassico. La donna, ora, cessa di essere parte passiva, e diventa parte attiva della società. Non per niente, il Rinascimento scopre la bellezza "nuda" della donna, alla quale si rifà tutto: la brevità della vita, la caducità della bellezza, l'invito a cogliere gli attimi fuggenti della felicità. Comunque, è sempre l'uomo al vertice della società. Basta leggere i "Libri della Famiglia", di Leon Battista Alberti, nei quali si parla di "compera della moglie", tra una rosa di donne scelte dagli anziani della famiglia: la donna è posta su un piano prettamente commerciale, di compravendita; deve avere ottima complessione fisica, in grado di procreare figli sani e robusti: non dev'essere magra, né troppo grassa, né sospetta di frigidità, lieta, fresca, viva di sangue, "molto ampia in tutte le membra", quasi esclusivamente "brunetta", decisamente giovanissima perché, essendo inesperta e ingenua, è anche sottomessa e docile; e, soprattutto, deve essere di "sangue non vulgare, di fortuna non infima", e con "dote certa e presente". Peccato, lascia capire, che la morale cristiana neghi il ripudio per sterilità! Alberti la giudica una sfortuna alla quale, "purtroppo", non v'è riparo.
D'altro canto, la poesia giocosa del tempo, aveva messo in mostra i contorni della società borghese, col marito dominatore incontrastato, con la moglie in cerca di una impossibile libertà e costretta ad accettare il destino. Teatro, poesia, novellistica, presentano la donna-moglie medioevale come bisbetica, irascibile, intrattabile, collegata in un patto di ferro con la madre, sempre desiderosa di prevalere sull'uomo, ed eternamente sconfitta. E la poesia italiana, in particolare, preferì la trasfigurazione della realtà, e dunque l'evasione, piuttosto che la descrizione della realtà: e questi sono i casi del Poliziano, dell'Ariosto e del malinconico Tasso, mentre ben altra sensibilità nei confronti della parte femminile esprime Vittoria Colonna:

Provo, tra duri scogli e fiero vento,
l'onde di questa vita, in fragil legno,
e non ho più, a guidarlo, arte né ingegno;
quasi è al mio scampo ogni soccorso lento...

Un caso a parte rappresenta il Ruzante, poeta in dialetto padovano, descrittore della vita e della società contadina che inutilmente cercheremo nella cultura ufficiale, ricca di pastorelli e contadine, di satiri e ninfe resuscitati dalle carte polverose dei poeti alessandrini. Ruzante descrive un universo a parte, privo di rapporti con la cultura, con la società, col mondo politico-religioso. La sua è una società calata in un'immutabile miseria, nella disperazione tradotta in volgarità popolaresca. E' specchio in gran parte fedele, anche se a volte cerebrale e compiaciuto, del tempo:

...Qui dentro
ci sono delle caraffe, che tu poi sia destra a fornire la tavola,
e se non ci saprai fare, che lui ti sbatta in testa la ramina
e ti carezzi la schiena col mestolo. E se non saprai lavare i piatti,
che te li faccia leccare; e se romperai le caraffe,
ti faccia mangiare i vetri rotti...

Intanto, la poesia europea si rinnova. In Spagna, Gòngora è scrittore raffinato, innovatore influente nella poesia europea, satireggiato dal contemporaneo Quevedo, spirito estroso e ironico, disprezzatore delle donne quanto l'altro era stato delicato cantore dell'altra metà del cielo. In Inghilterra, Shakespeare indaga sui misteri dell'uomo, annientato da un'oscura forza, o in grado di compiere una sola conquista, quella dell'ultima realtà, che è la morte: così in Romeo e Giulietta, e così in Otello e Desdemona. Poiché la vita appare ai poeti elisabettiani quanto di più provvisorio, labile e contraddittorio ci sia, l'uomo è"fatto della materia simile a quella di cui son fatti i sogni". Dopo il crollo delle grandi realtà metafisiche del Medioevo e le rivelazioni sull'entità del mondo date dalla scienza, l'uomo si sente solo anche nei confronti della donna: e questa gli può apparire ora creatura dolce e indifesa, più spesso essere lussurioso e perverso, schiavo della passione, oggetto di un sentimento indomabile, ma mai sorella con la quale si dividano le pene e le gioie di una stessa vita. Dal "Riccardo II":

O tu, che già fosti regina,
preparati ad andare in Francia; pensa
che io sia morto e tu prenda l'ultimo commiato
come dal mio letto di morte.
Nelle lunghe notti d'inverno siedi accanto al fuoco
tra vecchia e brava gente, fatti raccontare storie
di tempi dolorosi ormai lontani...

E, sempre in Inghilterra, John Donne, cattolico, soldato, cortigiano, sacerdote, rivalutò per primo la donna, percependo la crisi del pensiero medioevale. l'amore e la donna, in lui, si propongono come via di scampo verso la salvezza, o come fonte di rivelazione metafisica e rifugio dall'universo in rovina.
Spirito puritano, ma anche eretico per gli stessi assertori del puritanesimo, John Milton non seppe liberarsi da una forma di misoginia, vicina a quella che venò l'opera dei Padri della Chiesa. Saltando la parentesi dell'amor cortese, e rifacendosi a Chaucer, egli, soprattutto nel "Paradiso perduto", ricondusse il rapporto dei sessi allo schema medioevale per cui l'uomo non saliva a Dio attraverso la donna, ma era egli stesso elemento di mediazione gerarchica tra Dio e colei che Dio stesso gli aveva dato per compagna. Fu polemista contro il rigore moralistico di Roma, anticipando temi della futura letteratura anglosassone, da Patmore a Lawrence.
In Italia, intanto, le cose andavano verso il peggio. Tra classe cittadina e classe contadina si creava un abisso incolmabile: i pregiudizi, le dicerie, le favole, i proverbi, certa letteratura, servivano a tenere a bada la popolazione rurale. La nuova classe dominante, riassestata su vecchi schemi, portò avanti là sua filosofia, ponendo le basi di una società isolata, immobile nella conservazione del propri privilegi, non preoccupata d'altro, dunque in piena involuzione sociale. La vita del villani fu, al più, oggetto di analisi e di descrizione; ma gli uomini vennero abbandonati al loro universo d'ignoranza e di volgarità, quando non di miseria, come i contadini delle scene dipinte da Bruegel. Nel Seicento, allora, la cultura italiana si rinchiuse (forse con l'eccezione del solo Buonarroti dei sonetti) nelle corti provinciali e cominciò a crescere su se stessa, come un fiore esotico coltivato in una serra. E la Controriforma istituzionalizzò questo sistema: codificati i sentimenti, resa certa e indiscutibile la verità, incasellata la vita nella casistica morale, spartita esattamente la dannazione dalla beatitudine. Le porte si aprono ai mediocri. Trionfa l'incredibile poesia di Marino. Un confronto tra Chiabrera e il suo contemporaneo Shakespeare illumina sull'abisso che sta tra un'Inghilterra che rapidamente evolve verso una coscienza moderna e un'adeguata struttura sociale, e un'italia che si chiude in una mentalità conservatrice. Si salva solo la scienza. Mentre in Francia la nuova classe già bussa alle porte del predominio e dei potere.
Non per nulla la "Medea" di Corneille segue più la tragedia di Seneca che quella di Euripide. L'autore stesso confessò in una lettera che dell'opera latina gli erano piaciuti di più "i veleni", i lamenti, i crudeli trasporti della sposa abbandonata, a cui s'opponeva l'amor materno, i vari sentimenti che essa prova e disdice a volta a volta, che fanno il dolore della madre e l'audacia della sposa, tutti questi movimenti degni del coturno tragico, che tutti, giovani e vecchi, ammirano sulle scene". Tanto gli era congeniale Seneca, e tanto più corrispondeva al gusto di quel tempo, che Corneille spesso tradusse addirittura certe parti. E per di più, fu allievo dei gesuiti, che dal terreno stoico dell'antichità trassero i principii dell'educazione da insegnare ai giovani. Così, il suo teatro è tutto permeato del conflitto tra la volontà e le passioni, e dove non regge, si protende più verso la costruzione dei caratteri e della vita che verso la lettura della realtà. Infatti in questo fu anche figlio del suo secolo, il Seicento: nell'estraneità della donna secondo la definizione moderna, che gli rimase del tutto sconosciuta. Sarà Racine il primo a scoprirla, facendola muovere secondo formule psicologiche, e non più cartesiane. E sarà Racine ad avvertire per quali altre tenebrose vie l'animo giunga al male, ne divenga artefice e vittima, e come il turbine della vita e del destino travolga come deboli foglie le misere volontà umane. La sua "Fedra", che ebbe un clamoroso insuccesso, in realtà fu definita "il primo personaggio moderno del teatro europeo".
Ma è nell'"École des Femmes" di Molière che vive la nuova società borghese venuta lentamente alla ribalta, innestandosi in difficili convivenze con l'aristocrazia corrotta e in declino. Inizia un nuovo processo, nel quale si avverte l'esigenza di collocare la donna in un ruolo di affettuosa collaborazione e intimità domestica con l'uomo, rompendo il medioevale rapporto gerarchico divenuto ormai pura forma. E si colgono giù alcuni elementi caratteristici dell'idea borghese della donna: sottomissione all'uomo che la domina non più come vertice d'una gerarchia terrena, riflesso di quella celeste, ma come padrone di casa, cioè come depositario della dignità, dei valori economici e civili ottenuti con la propria attività. Insomma, la fides medioevale si trasforma nell'honor borghese. Nel matrimonio convivono sacramento e contratto. E di questa nuova situazione si faranno teorizzatori un poeta tedesco, Schiller, e un filosofo tedesco, Schopenhauer. Ma influiranno anche le decisioni prese al Concilio di Trenta, che, collegandosi in parte agli antichi principii medioevali, stabilì regole fisse per il matrimonio: e questo non dispiacque alla società borghese, che poteva solo svilupparsi nell'ordine.
In Italia, il Settecento fu il secolo in cui l'aristocrazia si isolò dalla borghesia. Non accettando compromessi, si anemizzò, falsò i rapporti, racchiuse nel formalismo le ragioni di vita. L'amore divenne galanteria, mediazione fra decoro esterno e realtà; il matrimonio fu unione di interessi; di patrimoni, di potenze familiari. Dunque, fu necessario dar voce all'amore istituzionalizzando la figura dell'amante: nacque il cicisbeo. I contratti matrimoniali dei nobili stabilivano anche quanti dovevano essere i cicisbei della moglie. Matrimonio, dunque, come avventura galante, con regole su fedeltà e infedeltà, e vita dei coniugi su strade parallele che possono non incontrarsi mai.
Specchio fedele di questa condizione, l'onesto artigiano del verso e del sentimento che fu Metastasio, che ebbe il merito di dissolvere le artificiose passioni del secolo precedente, riducendo la vita a quel che era intorno a lui: un gioco raffinato, di gusto; una recita disinvolta della parte dell'eroe. L'individualismo del tempo alimentava compromessi e disimpegno, le facciate un po' ipocrite un po' decorose, lo squallore morale.
Sarà Goldoni il primo assertore della negazione del matrimoniocontratto, (e per questo fu avversato dal miope conservatore Carlo Gozzi), con i giovani che, nelle sue commedie, fanno ricorso a tutte le astuzie, a tutti i trucchi, a tutti gli espedienti, per far rispettare i propri sentimenti, contro la mentalità corrente, e corale, che perseguiva ideali di stabilità economica, di agiatezza, di rendita, e che vedeva nella donna quasi esclusivamente l'oggetto dei propri desideri. E sarà Parini, con la sua satira, a darci un quadro perfetto dell'alta società del tempo, con infiniti riflessi che provengono da tutti gli altri strati sociali:

.... Non di cieco amore
vicendevol desire, alterno impulso,
non di costume simiglianza or guida
gi'incauti sposi al talamo bramato:
ma la Prudenza col canuti padri
siede librando il molt'oro e i divini
antiquissimi sangui: e allor che l'uno
bene all'altro risponde, ecco Imeneo
scoter sua face; e unirsi al freddo sposo,
di lui non già, ma de le nozze amante,
la freddissima vergine che in core
già volge i riti del Bel Mondo; e lieta
l'indifferenza maritale affronta....

Questa donna che, pur pensando al mondo dorato che l'attende, si avvia verso il "sacrificio" (motivo che vedremo tornare in Pascoli, ma con altre motivazioni e implicazioni psicologiche), è un po' frutto del gusto depravato, signorilmente depravato, che non sa distinguere tra conquista e rapina, essendo la seconda il modo abituale d'acquistare; ma più ancora è frutto della condizione sociale e psicologica della donna, conservata accuratamente in collegi e conservatori come un ignorante e incosciente giglio di purezza, alla mercé poi di un'istitutrice o di una monaca, prima di diventare oggetto d'attenzione di un uomo (magari attempato) al quale interessano esclusivamente la parte finanziaria e il prestigio che derivano dall'affare.
Sulla linea del Parini fu Alfieri, per la volontà di distruggere il passato. Tant'è che spesso fece ricorso alla satira e all'ironia. Ma nelle tragedie, dove ci aspetteremmo l'espressione matura dei nuovi bisogni dell'uomo, egli non trovò altra soluzione che un robusto, nobile verbalismo. Così, le figure alfieriane hanno una grandezza eccessiva che le pone al di fuori della misura umana: son un campionario di inflessibili applicatori di un modello astratto di forza morale, ricalcato sul modello classico della virtù perseguita con determinazione e con impassibilità glaciale. La sua è l'antitesi esasperata della donna frivola del Settecento: non oggetto di tornaconto e di piacere, ma soggetto pieno di rigorosi doveri, senza dubbi, abbandoni, rimpianti, senza ragioni interiori, carica di dignità formale. Qualcosa di diverso accadde a Schiller, che attraverso il teatro riuscì a trovare la vera anima del nuovo, sentendo il polso affannoso e il cuore gonfio d'ira del ceto borghese. Ma in Italia mancò quasi del tutto il dissidio tra nobiltà e borghesia. E probabilmente non c'era posto per una poesia di questo tipo. Ce n'era per quella dei Monti. D'altro canto, la poesia romantica italiana non darà un gran contributo: in Foscolo, la reazione romantica e la giusta rivendicazione del primato dell'amore contro i pregiudizi e i volgari calcoli, quali emergono nelle "Ultime lettere di Jacopo Ortis", sono giuste e degne, anche se si deve riconoscere che la tensione veniva tradotta per lo più in sogni e in fantasie; Leopardi ha, nel senso della lontananza, uno dei punti cardinali del Romanticismo; e Manzoni traduce una vicenda seicentesca, calandola però nel suo tempo, con splendide figure femminili colte in pieno contesto realistico, ma che possiamo emblematizzare in sintesi in Lucia e nella Monaca di Monza, vittime dei tempi e dell'ideologia tardo-feudale. E forse solo nel Manzoni c'è il tentativo di agganciare nobiltà e contado, cioè aristocrazia e borghesia in nuce, nella parte finale del suo romanzo, in questo senso essendo il più sensibile alla condizione femminile.
Va sottolineato, peraltro, che la stessa rivoluzione francese non ebbe in campo sessuale una grande spinta sovversiva: come tutte le rivoluzioni, in questo campo si limitò semmai a restaurare una morale tradizionale, fondandola su nuovi principi, come lo spirito etico, il senso della dignità e quello del dovere. E dalla rivoluzione uscì il codice napoleonico, che restaurò e potenziò sul piano del diritto il primato dell'uomo e l'autorità paterna. Goethe dà al ruolo della donna una colorazione tipicamente borghese; Schiller non apre spazi alla donna, relegandola in casa, mentre l'uomo è impegnato nelle attività principali, esterne rispetto alle mura domestiche; Heine espresse per la donna un amore tenerissimo, ma comunque non superò mai il concetto di subordinazione. D'altra parte, una profonda, consistente corrente di misoginia percorse l'Ottocento. Le argomentazioni di questa filosofia sono compendiate in "Parerga e Paralipomena" di Schopenhauer: il fulcro di questo pensiero è la convinzione della sostanziale inferiorità della natura femminile, e ciò può spiegarsi in parte sottolineando che il termine di riferimento, la donna della borghesia ottocentesca, era ridotta a una funzione tale che non poteva incoraggiare l'ottimismo.
Ma c'è di più, e può cogliersi in questo pensiero, tratto dall'opera citata di Schopenhauer: "Le donne sono adatte a curarci e educarci nell'infanzia, appunto perché esse stesse sono infantili, molli e miopi, in una parola tutto il tempo della loro vita rimangono grandi bambini: esse occupano una specie di gradino intermedio fra il bambino e l'uomo, che è il vero essere umano ( .... ). Che la donna, per natura, sia destinato all'obbedire, si può riconoscere dal fatto che ogni donna, che venga messa nella posizione innaturale di completa indipendenza, subito si unisce a un uomo, dal quale si lascia guidare e dominare, poiché ha bisogno d'un padrone. Se è giovane sardi un amante; se èvecchia, un confessore".
I romantici francesi non giungono a tanto, perché idealizzano l'amore: ma la condizione della donna non travalica gli steccati, anche se l'ottimismo di un Lamartine, i sublimi principi di Hugo, le intuizioni di Balzac e di Stendhal già preludono a un nuovo rapporto, che sarà espresso non solo da alcuni romantici inglesi, da Shelley a Byron, ma anche dai poeti francesi del simbolismo, con una saldatura europea passata attraverso il primo narratore russo di spessore continentale, Puskin.
Con Baudelaire si affaccia, accentuandosi progressivamente, il distacco dell'arte dalla società: distacco rabbioso, orgoglioso, le cui ragioni divengono sempre più chiare agli artisti che passeranno lentamente da una critica superficiale a un approfondimento dei motivi del dissidio con l'ipocrita società dei nuovi borghesi. l'Europa, dissanguata dalla rivoluzione prima, dalle campagne napoleoniche poi, ha subìto un improvviso processo d'invecchiamento. I grandi ideali rivoluzionari e nopoleonici sono crollati insieme con quelli dei restauratori che sentono subito l'immensa distanza tra ciò che è e ciò che fu. Economia e potere sono in pugno ai piccoli e grandi proprietari sorti sulle macerie, sospettosi, caparbi, ingenerosi. In questo contesto, gli ultimi romantici parlano di ciò che lega e unisce, avendo come prospettiva l'eternità, e i decadenti si preoccupano di ciò che divide, mettendo in discussione tutto. Il mondo di "Rosso e nero" lentamente si trasforma. E diventa il mondo di "Madame Bovary". Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Corbière, si chiamano fuori dall'etica corrente: incostanti, amanti dell'assoluta libertà, anche sessuale, terribili e sognanti, ritengono la donna un alter ego presente, se non proprio con tutta la sua personalità e indipendenza, almeno come elemento vivo, concreto, lontano da ogni astrazione, e sobriamente triste (come l'uomo) per un'esistenza cosciente del suo lento estenuarsi.
E' stato scritto che con Carducci è l'Italia rurale che parla: la sanguigna popolazione dei campi mette avanti la sua filosofia, che reclama donne massicce e sane, amanti-madri per il marito, per la famiglia, per la patria. Sordo a qualunque raccordo psicologico, l'anticlericale Carducci, a modo suo, conferma la morale della Chiesa che, prima dei Concilio Vaticano li, poneva la "procreatio prolis" come fine primario del matrimonio. E' il trionfo dei luoghi comuni sulla donna, incentrato sul concetto di sposa-madre legata più alla vita rustica che a quella più evolutamente borghese, visto che la borghesia italiana era - fra l'altro - da sempre sopita. C'è, comunque, nel Romanticismo nostrano, uno spontaneo abbandono a quello schema inconscio che fa parte del sistema mentale dell'uomo italiano: un ostinato, costante rifiuto della vita moderna e urbana, accettato come necessità e non scoperta come nuova dimensione; un ritorno inconscio e nostalgico a quella che egli considera la sua vera vita, la vita sobria, semplice, tranquilla del campi. Logico, dunque, che l'ideale di donna-sposa s'incarni nell'umile, devota, operosa campagnola nei confronti della quale il paternalismo è all'origine di rassegnata sottomissione. D'altro canto, anche i poeti della vita rurale mancarono quasi sempre, dal Petrarca in giù, di un vero amore e di un vero interesse per i problemi della campagna e della vita di campagna: i campi erano rifugio esteriore, però fatto interiormente sul modello dei campi e dei contadini virgiliani. E', questo, un filone costante della poesia nata nella nostra terra: da Virgilio a Orazio, agli Umanisti, ai letterati del Sei e Settecento, fino a Carducci e agli echi del Gozzano: con Carducci che costruisce la più robusta impalcatura retorica.

(2 - continua)


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