§ IL SALENTO E IL SUO POETA

Bodini tra biografia e memoria (1914-'44)




Francesco Lala



Ciò che Incise più profondamente e definitivamente nell'animo di Vittorio Bodini fu la prematura perdita del padre quando il piccolo non aveva ancora compiuto i tre anni, e il conseguente vuoto, il senso d'angoscia esistenziale, l'atmosfera di dolore e di pianto, la figura della madre nell'abito nero, tutto conservato nel tempo. Il quadro desolato dell'avvenimento è vivo nei due veritieri, autobiografici racconti dello scrittore, Restauri, poi divenuto Largo del Teatini quando fu ripubblicato (1), e La stregoneria (2). Da poco il padre, Benedetto (3), commissario di pubblica sicurezza, era rientrato a Lecce, la città sua e dei suoi, dopo l'impiego a Bari, dove il 6 gennaio 1914 era casualmente nato Vittorio; la cui nonna, unica eccezione in una famiglia di media borghesia, era nobile, dei conti Quaranta di Napoli, aventi nel proprio stemma tre croci a forma di tre grandi ics (XXX), per cui la donna fu nota a Lecce con il nomignolo la Tre cruci (4). Nella rassegna dei componenti la famiglia non può mancare lo zio Giovanni, avvocato e pubblicista, oggetto di mormorazioni cittadine per avere sposato (colpa, a quei tempi, non lieve per un giovane borghese) una semplice pasticcierina, e, d'altra parte, per aver pubblicato nel 1920 una raccolta di racconti, Rosolacci, e cinque anni dopo il romanzo Perché? entrambi "variamente discussi" come scrisse con garbato eufemismo Gregorio Carruggio nel suo almanacco Il Salento, nel '27.(5) In realtà si rise particolarmente per il romanzo, nel quale risaltarono gli effetti involontariamente umoristici d'una strana riforma stilistica per cui erano aboliti gli articoli: ne rise anche Vittorio, che aveva allora undici anni, anche se con la moderazione dell'affetto: lo dice egli stesso, attenendosi sostanzialmente alla realtà, in Storia dello zio Giovanni, in cui scrive anche della zia grassona e del cugino, di fatto di nome Oronzo, (Clodomiro nella finzione artistica), come il nonno Bodini (6).
Ma la figura che in parte, e tuttavia per pochi anni (morì nel '33), colmò l'assenza paterna in Vittorio fu il nonno materno Pietro Marti, professore, giornalista e storiografo di solenne figura, dalla barba bianca, corta e ben curata: è visibile nella Villa comunale di Lecce una sua bella testa marmorea, a ricordo dei suoi studi e ricerche, e delle riviste e giornali da lui fondati e diretti; l'ultimo, "La Voce del Salento", com'è noto, fu iniziatica palestra del diciassettenne nipote. E già questi, tre anni prima, ma, aveva cominciato ad aiutarlo come correttore di bozze; e pochi giorni prima dell'inizio della collaborazione al citato settimanale (21 giugno '31), a conclusione dell'anno scolastico 1930-31, aveva pubblicato - primissima palestra - "Lo Studente", "numero unico" di 70 pagine in 80 stampato dalla tip. "La Modernissima" di Lecce. Nei primi giorni di quel giugno di chiusura scolastica la rivistina andò a ruba e fu molto commentata a causa della piccola fama, tra gli studenti del liceo "Palmieri", del rissoso e generoso giovane.
La prima delle numerose case della nomade vita del futuro scrittore era nella parte più antica della città, nella zona di via Palmieri; fu da lì che la zia, sorella minore della madre, lo condusse in via degli Antoglietta, contigua al Largo dei Teatini, nella casa dei nonni (7) sotto cui passò il mesto corteo che portava il padre nell'estrema dimora. Lì il piccolo Vittorio scoppiò in pianto nella prima cognizione del dolore. La casa era in "un gomito di via così sottile" che dal balcone - dove la nonna la sera sedeva e da dove scambiava il saluto con una vecchia che, in un balcone di fronte, mormorava come lei il rosario - sembrava "fosse possibile, stendendo il braccio, sfiorare una mano tesa dall'altra parte" (8). Il "paradiso di corta durata" di un breve soggiorno a San Remo con la madre ventenne s'era dissolto in lutto.
La secondo casa (senza contare quella del nonni) era in viale Gallipoli, di fianco alla sagrestia della chiesa del Carmine, dove con la madre, Anita Marti, risposatasi nel '19 con un commerciante di cognome Guido, Vittorio visse (dopo aver trascorso un periodo di tempo con la zia Emma) la maggior parte degli anni leccesi con due sorelle e un fratello (fratellastri: brutta parola per un così costante affetto); da lì - la casa era a pian terreno - agli amici che lo attendevano mentre si preparava a uscire appariva alta, da una finestra interna, la vicina cupola de Carmine, che si ergeva come un'immensa mammella protendentesi verso il cielo.
Dal 21 giugno '31 al 26 febbraio '33 (ma già poco prima, come s'è detto, era apparso "Lo Studente") il giovanissimo Bodini si divide tra gli studi liceali, ai quali si applica con alterno interesse, e l'attività giornalistica, collaborando a "La Voce del Salento", al periodico "Vecchio e nuovo" diretto da E. Alvino e al settimanale tarantino "La Voce del Popolo" (9). Fu una fiammata di prorompente ardore letterario propagatosi da quello del nonno, poligrafo di sorprendente attività. E non per caso la prima parentesi creativa di Vittorio si chiude con un articolo sull'opera di Pietro Marti, nel "Supplemento" della stessa "Voce", del 18 maggio '33, dedicato alla morte del settantenne direttore.
Espulso dal liceo "Palmieri" nel medesimo anno per un diverbio con il suo professore di latino e greco (cui seguì una formidabile scazzottatura con il compagno che lo aveva accusato), il polemico studente (ma non vi era in tutto questo l'ombra dell''assenza, la rabbia contro un destino di ragazzo privato d'improvviso della guida paterna?) comincia ad accompagnarsi a giovani piccolo-borghesi squattrinati e insoddisfatti, girelloni quasi sempre allegri - malinconicamente allegri -, e specialmente ad uno di essi, Memé Valente, indivisibile amico di buoni bicchieri rossi e di biliardo. Superata, quindi, da privatista la maturità classica nel '34, si iscrive a Roma alla facoltà di lettere e filosofia, ma le difficoltà economiche e un intollerabile disadattamento alla vita della capitale lo spingono di nuovo a Lecce, dove trova, su interessamento dello zio Alberto Marti, impiego al R.A.C.I. (il Reale Automobil Club ltaliano)(10).
Nel romanzo incompiuto postumamente pubblicato con il titolo Il fiore dell'amicizia (11) Bodini narra con molta autenticità le vicende di questi anni: rispondenti gli amici, Memé Valente, Michele (un noto professionista), perfino con i loro nomi; la figlia del tabaccaio, la bella ed eterea Flora Bernardini, morta poi di tisi.
I ragazzi del "Palmieri" che lo hanno visto prima "partire con un silenzio pieno di rispetto", avendo egli gettata "un'ultima occhiata a quei pilastri di tufo e al busto torvo e impettito del poeta della terza Italia", e gli amici bohemiens, lo rivedono tutti in città ancora una volta nell'autunno del '40, dopo i suoi successivi trasferimenti, nel '35 ad Asti, l'anno seguente a Domodossola e nel 1937 a Firenze. lo rivedono gli studenti e lo chiamano per nome: "Ehi Vittorio!", "Ciao Vittorio!" ciascuno facendo mostra di essergli molto amico. Ora però non è più il Futurbodini di prima, il giovane polemico e rissoso; si è, anche se tardi, laureato, ha conosciuto Montale, che ha approvato per "Letteratura" di Bonsanti un gruppetto di liriche, il che significa che è entrato nella più prestigiosa rivista letteraria del tempo, ha frequentato le "Giubbe rosse" e il caffè San Marco, ha insegnato - ottenuta una supplenza nel '38 - materie letterarie nel ginnasio inferiore "M. Ficino" di Figline Valdarno. E anche se solo pochi sanno tutto questo, ora Bodini è cambiato: parla e cammina lentamente e la polemica è divenuta sorridente ironia. Pochissimi leggono le sue sei poesie sul numero di aprile-giugno 1940 di "Letteratura" e sanno che nella città toscana ha incontrato un amore, l'inglese Isobel Gerson, "Isobel dalle braccia d'olio e al polso / il braccialetto con le bandiere d'Europa"(12) e nessuno saprà mai se ha lasciato l'impiego al R.A.C.I. per l'insegnamento, allo scopo di concludere gli studi universitari e la sua tesi sulla Teoria dell'incivilimento in G. D. Romagnosi, o per essersi rifiutato di mettere sul risvolto della giacca il distintivo, obbligo del regime (13). A Firenze ha anche visto Benedetto Croce e ne ha letto alcuni libri, sempre "in un clima fortemente idealistico e spiritualistico" (14). Nel suo cassetto v i è un primo racconto, Morte di Angelo, che rimarrà inedito (15).
Ecco quindi improvvisamente Vittorio a Lecce nel '40 - ma era a Lecce anche alla fine del '39 -, partito assonnato con l'ultimo treno della notte, con in mente Isobel e il ricordo del luoghi d'incontro e delle disarmonie. Firenze, ormai lasciata, significa la poesia e la cultura fiorentina, con la "non-politica" o l'idea montaliana di una "polis ideale" diversa dal presente, incontaminata. Perde, a proposito della quale posizione, di motivazioni indagare la misura dei rapporti con il gruppo di "Italia libera". Conoscendo il Bodini dell'immediato rientro a Lecce, della redazione della terza pagina di "Vedetta mediterranea", esperienza che si collega a quella di "Primato" di Bottai, della coabitazione, asettica e 'separata', con gli intendimenti di richiamo del "regime", si può tutt'al più parlare di una generica insofferenza verso gli aspetti retorici e imperialistici del tempo, comune alla maggior parte degli scrittori di quel periodo, che non giunge, in questi primi due anni del quarto decennio, presso molti tra costoro, a globale e organica opposizione ideologica. Domina l'immagine mitica di Benedetto Croce e del suo splendido isolamento; essi non giungono, tuttavia, al totale non -collaborazione grafica, alla non accettazione. Il fenomeno è abbastanza largo tra chi si apre ad una cultura europea, non limitata da anguste visioni, con letture di Freud, Kafka, Proust, oltre naturalmente quelle italiane di Ungaretti, Montale, Campana, Svevo, De Ruggiero ecc. La sorte di Vittorio Bodini è quella di avere aderito alla 'moda' futurista senza esserlo del tutto, all'ermetismo rimanendo tuttavia in una sfera meno assoluta e 'pura' intrisa di sana e magica provincialità. Tali i suoi rapporti politici; e ciò per il suo costante ed invincibile distacco critico con cui egli si accostava ad ogni idea o cosa. In lui era prevalente il giudizio estetico-morale, anche quando si interessava di politica. Ma è da precisare subito che in Bodini gli interessi politici - sempre compresenti con quelli letterari o artistici - presero forza solo nel periodo 1943-1947. Il suo gusto estetico gli ha dettato, a diciassette anni, Il turibolo politico (16) su "La Voce del Salento", forte stroncatura della piccola retorica provinciale; molto più tardi, nel secondo dopoguerra, gli amici lo sentiranno sorridere sui petti gremiti di medaglie dei generali di Stalin.
A Lecce (l'altra delle "due ipotesi altrettanto motivate e legittime dell'universo" (17) Vittorio fa il bilancio delle non molte vistose esperienze fiorentine: i contatti con alcuni intellettuali, che non possono essere enfatizzati se è vero che il deluso poeta, tranne che in occasione della sporadica accettazione su "Letteratura", ha fatto più da comparsa che da attore sulla scena culturale della città toscana, e Isobel, per sempre svanita e oggetto di pochi versi. Nella provincia leccese Bodini prende contatto con Oreste Macrì, a Maglie, e gli comunica di essere stato chiamato da E. Alvino - il direttore del cessato "Vecchio e nuovo", cui ha collaborato diciottenne - a lavorare per una pagina culturale di "Vedetta mediterranea" (18). Dal n. 1 al n. 12 (1941) del settimanale compaiono due rapidi saggi di Bodini: Compianto di Joyce e Opinione su Poe e Kafka (19); un racconto, Largo dei Teatini (20), già pubblicato col titolo Restauri in "Incontro" del 13 ottobre 1940; una polemica con "Primato" sugli ermetici, Per scongiurato pericolo (21) ; due poesie, A B. G. e A un esiguo soccorso di violette (22); la traduzione del sonetto di J.R. Jiménez, A una giovane diana, e un'altra, in versi, di Qualche volta con le lacrime di J. Larrea (23). La pagina letteraria (anche tipograficamente differenziata dal resto del giornale, per un ahimé contraddittorio distacco) fu caratterizzato oltre che dagli scritti di Bodini e di Macrì (questi con sei "letture": Rebora, Vittorini, Treccani, Sereni, Luzi, Pratolini), dalle poesie di L. Fallacara, P. Bigongiari, G. Comi, L. Sinisgalli, V. Sereni e A. Gatto, e dalle prose (due di ciascuno) di V. Pratolini e F. Ulivi.
La rottura con Alvino che, per seguire le direttive ministeriali, intendeva inserire il 'politico' nel 'letterario', fu ricordata poi dallo stesso poeta in una sua 'autodifesa', pubblicata, con il titolo Scacciato e rabbioso, in "Democrazia del lavoro" (30 luglio 1944). Ancora una volta agì, più che altro, nell'animo di Bodini il suo incoercibile orrore per la retorica, da tempo imperante. Anche prima, questa era stata la sua divisa estetica. Cercare nel poeta il politico è di rado operazione sufficientemente fruttuosa, anche se necessaria: egli può essere un chiaroveggente, quasi mai un realista. Così l'operazione, pur utile sotto un certo aspetto biografico, condotta da Fabio Grassi con lo studio introduttivo agli scritti civili di Vittorio (24) , non è stata esente dal rischio di qualche interpretazione forzata. Opportunamente perciò Mario Marti, in un'ampia e notevole recensione (25) a i fiori e le spade, ha focalizzato alcune questioni e ha sottolineato certi aspetti: tra le quali questioni e i quali aspetti emerge per importanza l'affidabilità di "testimonianze" di "poeti i quali per vocazione" si rimettono alla "memoria", alle "evocazioni", dinanzi alle quali "occorre esser molto cauti e prudenti: ché quelle "testimonianze" possono essere ispirate delle condizioni spirituali, ideologiche e autobiografiche del 'momento' in cui vengono scritte e formulate, dalle quali dunque possono soltanto essere considerate documenti storici (e non invece dell'altro "momento" che esse vogliono rievocare)".
Consequenziale è, d'altra parte, in Bodini, in questi anni, la ricerca dell'eros come salvataggio esistenziale. Ricordiamo ad esempio il suo sodalizio con Giulia Massari, durato a lungo. Ci torna nella memoria il poeta nel '43-'44 con l'inseparabile amica per le vie di Lecce, coppia un po' stravagante con un pizzico di separatezza, il cagnolino di Giulia tocco indispensabile. La sera Vittorio veniva accostato da qualche aspirante letterato o artista. Lo avvicinò allora chi scrive e gli presentò i saldatini, su pezzi di carta, vistosamente antiretorici e sofferenti del giovane Lino Suppressa. Si accostò anche Luciano De Rosa, quattordici anni dopo redattore de "L'esperienza poetica" di Bodini, e Vittorio Pagano, che dal luglio '56 all'ottobre '64 redigerà il supplemento letterario de "Il Critone", allora più che poeta, anima in fase filosofica: diceva di aver spedito un grosso malloppo di fogli d'intonazione idealistica a Croce, che "padreternista" (era la sua definizione) non si degnava di rispondere. Il più giovane Vittorio mostrava, accaldandosi, di spregiare la produzione poetica contemporanea, in linea con il suo grande maestro: la conversione all'ermetismo giungerà poco prima di "Libera voce" (1943-47), uno dei primi periodici della (relativamente) risorta libertà di stampa, settimanale dei quali sarà uno dei collaboratori.
Ogni giorno si vedeva passare - dopo il suo ritorno da Firenze - Bodini con Giulia, che gli cingeva il braccio, verso le quattordici, attraverso l'antica piazza (quella ancora circondata da basse case e, da un lato, dalle 'capande') in direzione di via Ascanio Grandi, "dietro il Bambino", come si diceva, e di lì verso le "Scalze", nel cui rione aveva una stanzetta in affitto. Era il tempo di una pausa esistenziale - dopo cessata la collaborazione a "Vedetta" - durante la quale seguiva il sogno gozzaniano del "vivere di vita", ridiventato cittadino anonimo dopo le sfuriate futuriste e "Lo Studente" dal buon gusto sconosciuto alle rivistine dei genere. Chi scrive, troppo minore d'età per avvicinarlo al tempo del "Palmieri", gli si era accostato una sera del maggio '41: fu allora che ebbe inizio un rapporto umano che doveva terminare solo con la fine del poeta. Ricordo Vittorio sempre pronto alla battuta di spirito, all'ironia sottile, oppure volto ad interrompere improvvisamente una seria conversazione con frasi di ammirazione per qualcuno delle belle ragazze lupiensi (le "strie": parola derivante, opportunamente da "streghe"); lo faceva per alleggerire, come lui preferiva, il peso d'un discorso, per il suo caratteristico 'distacco'. La vita, la bellezza, un caffè bevuto lentissimamente, a sorsetti, per prolungare il piacere dell'aroma o, come con senso di humour diceva, per sostituire la tazzina "lunghissima" al pranzo, con compiacimento - certo una forzatura - per la vita da bohémien che conduceva allora. Era per tutto questo che voleva vivere; solo più tardi, qualche anno dopo la guerra, amerà parlare di letteratura con la serietà imposta dall'esigenza di una 'ricostruzione letteraria'. Quasi per avversione - che egli sempre conservò - al contingente, di rado lo si vedeva con quotidiani: preferiva leggere riviste letterarie, e al tempo della "Fiera" di G.B. Angioletti e poi di V. Cardarelli, la pubblicazione era oggetto di un suo evidente interesse di aggiornamento bibliografico.
Molti e vari i libri che leggeva, tra cui quelli di Croce, De Ruggiero, Ungaretti, Montale, poi di Verga, Lorca, De Libero, Quasimodo, Bilenchi, Landolfi, Bo. Su De Libero ironizzava, divertendosi a citare: "Senza cavalli bianchi / non si può andare a mare. / Con i cavalli bianchi / io e tu bastiamo" e ciò a prova della sua avversione per i non-sens di alcuni poeti 'puri'.
Nonostante il suo comportamentale quadro biografico, con gli amici, in genere non ebbe motivi di rottura: si mostrava disponibile all'incontro, alla passeggiata, alla conversazione. Preferiva circondarsi di elementi della media borghesia e del ceto piccolo-borghese, non simpatizzando per chi, per censo o rendite, mostrasse una vacua superiorità; del resto l'alta borghesia salentina, ai suoi tempi, era, salvo eccezioni, immersa nel l'indifferenza per gli aspetti culturali. E la più notevole eccezione era costituita da un certo numero di professionisti, avvocati in specie, e medici, o di alti funzionari o magistrati. Tutto sommato, il motivo di differenziazione tra la disponibilità verso gli amici, da un lato, e un suo certo rigore di rapporti nel versante culturale-letterario derivava da una sua concezione morale del l'intellettuale e della funzione esemplare di questi.


NOTE
1) Apparve in "Incontro" (1) del 13 ott. 1940 con il titolo Restauri, divenuto Largo del Teatini quando fu ripubblicato in "Vedetta mediterranea" (5 maggio 1941) e nella "Tribuna del popolo" (7 luglio 1946). Con qualche eccezione, come in questo caso, in cui vi è un radicale mutamento del titolo, nelle note successive saranno indicate la prima e l'ultima stampa. A proposito dell'intenzione di B. di raccogliere le sue prose in unico testo, si veda il saggio di A. DOLFI Autobiografia e racconto: storia di una scrittura negata in Le Terre di Carlo V (Studi su V. B.), Galatina, Congedo, 1984, pp. 425-456. V. nello stesso volume i saggi di M. TONDO (pp. 309-349) Introduz. ai racconti di B. e di A. L. GIANNONE (pp. 351-393) Momenti della prosa di B.
2) In "La tribuna del popolo", 7 giugno 1946: poi in V.B., La lobbia di Masoliver e altri racconti: v. nota 8.
3) Figlio a sua volta di Oronzo Bodini. Il nome e l'occupazione del padre sono stati forniti da fonte indubbia, Luigi Marti, cugino di Anita, madre di B.
4) V. nota precedente.
5) "Il Salento". Almanacco dell'anno 1929 a c. di G. CARRUGGIO, Stab. Tip. Giurdignano, Lecce, 1926, p. 267. V. pure: E. PANAREO, G.B. narratore e borghese di Lecce; in "Contributi" (n. 1) marzo 1983, pp. 53-62.
6) Storia dello zio Giovanni, in Appendice a Il fiore dell'amicizia, "Sudpuglia" (n. 1) marzo 1983, pp. 112-114. Per il nome Oronzo, si v. la fonte citata nella nota n. 3.
7) L'indicazione di via Antoglietta e della casa (probabilmente il n. 6) proviene dalla fonte prima citata. Il luogo era individuato con l'espressione "le case degli Saordino".
8) La stregoneria in: V.B.,La lobbia di Masoliver e altri racconti, a c. di P. CHIARINI, All'insegna del paese d'oro, Milano, 1953, pp. 41-42. V. nota 1.
9) V.: A.L. GIANNONE, B. esordiente e la "Voce del Popolo", in "Contributi", III/1,
marzo 1984, pp. 63-77, con quattro testi alle pp. 69-77.
10) V. Introduzione di F. GRASSI a I fiori e le spade, scritti civili (1931-1968) di V.B., MiIella, Lecce, 1984, p. 18.
11) Il fiore dell'amicizia, romanzo incompiuto, pubblicato a c. di D. VALLI in "Sudpuglia" (n. 1) marzo 1983, pp. 65-114; la presentazione di Valli, Un romanzo inedito di V. B. è alle pp. 59-64 dello stesso numero della rivista.
12) "La luna dei Borboni" nell'omon. raccolta, Meridiana, Milano, 1952; poi in Tutte le poesie (1932-1970) a c. di O. MACRI', Mondadori, Milano, 1983, p. 101.
13) Scacciato e rabbioso in "Democrazia del lavoro" (n. 12), 30 luglio 1944.
14) Ricordi di un Caffé Bigio, in "La Gazzetta del Mezzogiorno", 18 dicembre 1943.
15) Morte di Angelo, inedito. M. TONDO fa risalire il racconto al 1939; si veda, del critico salentino, Introduz. ai racconti di B., in Le Terre di Carlo V cit.
16) In "La Voce del Salento", 31 dicembre 1931; ristampato in: V.B. l fiori e le spade cit., pp. 73-75.
17) V.B., Firenze, racconto autobiograf. pubblicato nel volume di R. AYMONE, V.B. Poesia e poetica del Sud (con appendice di testi inediti e rari), Edisud, Salerno, 1980.
18) A proposito di questo settimanale, occorre precisare che l'ultimo numero di esso non è quello del 25 gennaio 1943 (come in D. VALLI, La cultura letter. nel Salento, Milella, Lecce, 1971, p. 89), ma è databile fra la fine di maggio e i primi giorni di giugno '43. L'inesatta indicazione sarà stata determinata dal fatto che nella Biblioteca prov. di Lecce la raccolta si ferma alla data del lavoro, peraltro prezioso, di Valli. Tra il gennaio e il giugno 1943 il settimanale bandì un premio per un racconto, che vide vincitore Gregorio Carruggio (che firmò con uno pseudonimo) con La Samaritana, una prosa di ispirazione biblica. In questo periodo venne pubblicato un bel racconto di Luciano De Rosa.
19) Si elencano i 'pezzi' di B. per completezza. L'elenco di Valli (La cultura cit., p. 90) e quello di F. Grassi (in V.B., l fiori e le spade cit., p. 28) tuttavia si integrano tra loro. I saggi sui tre scrittori sono apparsi rispettivamente nei nn. del 23 marzo e del 14 aprile.
20) Sul n. del 5 maggio 1941.
21) Sul n. del 19 maggio 1941.
22) Rispettivamente sui nn. del 31 marzo e del 19 maggio 1941.
23) Rispettivamente sui nn. del 23 marzo e del 9 giugno 1941.
24) Introduzione a: V.B., l fiori e le spade cit.; pp. 7-59.
25) M. MARTI, l fiori e le spade di B. in "Contributi", III/2, giugno 1984, pp. 15-27. Lo scritto, che va al di là di una recensione, è da ritenersi fondamentale per la ricostruzione della personalità del poeta, grazie all'equilibrio e all'obiettività dei giudizi che vi sono espressi.


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