§ OPINIONI A CONFRONTO

La via italiana al calvinismo




Michele Tito



Bisogna cominciare a preoccuparsi della faccenda dell'ideologia del successo. Attenzione, non del successo in sé, ma dell'ideologia che lo sostiene e degli orientamenti che essa esprime. E' una faccenda noiosa ma importante perché minaccia, così come è vista, trattata e usata in Italia, di fare danni seri.
L'annuncio è stato dato da Francesco Alberoni nelle sue divagazioni profetiche: "E' nata la nuova ideologia del successo". Dove sta? Come si vede? Sta e si vede nella nascita e nella fortuna di un numero sterminato di pubblicazioni di ogni genere che si occupano, esaltandoli, dei ricchi vecchi e nuovi, della gente chic, degli "uomini rampanti", della "classe dirigente" e che alimentano il culto del denaro, del lusso, dell'ostentazione del potere, del consumismo mondano, del frivolo. Tutti segni che denotano adesso il successo raggiunto e come tale rispettato. Esso oggi dà il prestigio.
Il sociologo trova giustamente che il rispetto del denaro, del piacere della vita e soprattutto del successo è un bene. L'Italia sta vivendo finalmente una rivoluzione. Ma osserva che, guardando all'America, le pubblicazioni di cui si parla dimenticano che alla base di tutto in America c'è l'etica calvinista, l'etica calvinista che esige il rispetto dei meriti reali, dell'onestà e del lavoro ben fatto. Senza di ciò, l'ideologia del successo che dilaga in Italia porterà altra corruzione, più cinismo e un aumento della criminalità economica e politica.
I sacerdoti della nostra ideologia del successo rispondono ponendo una domanda paralizzante: "Chi sono i veri eredi del "Calvino"?" Siamo noi, dicono in sostanza, anche se non coltiviamo l'etica protestante e non badiamo ai suoi valori. Perché - spiegano - noi non abbiamo complessi, perché esaltiamo il denaro e il suo uso consumistico, perché abbiamo il coraggio di dire che la classe dirigente è quella dei ricchi e di fare in modo che sia così. Se manca la base etica - aggiungono - c'è una cultura: la "classe dirigente" italiana cui noi ci rivolgiamo ha alle spalle una cultura "unica" ed è meno rozza di quella dei ricchi e dei dirigenti americani. Conclusione: in virtù della cultura dei ricchi o aspiranti ricchi di cui ci occupiamo, può esserci una "via italiana" al capitalismo che ingloba i concetti del calvinismo e quelli del capitalismo americano. Che cose immense e insospettate Alberoni ha sfiorato con il suo problematico annuncio!
Poiché la cultura "unica" di cui è dotata giustifica la "classe dirigente" (sempre da identificare con i ricchi vecchi e nuovi) e rende proficuo il successo comunque raggiunto, non rimarrebbe che vedere quali segnali essa riceve dalle lussuose "guide" ad essa destinate. Può esserci una cronaca mondana che narra di una signora romana che invita per un ricevimento non attraverso i classici cartoncini ma per telefono, oppure la rivelazione, con ausilio di splendide immense fotografie, che il pescespada è un cibo raffinato e valido come status symbol, oppure ancora l'aggiornamento sull'uso dello smoking e la scoperta delle farfalle che si possono far volare nel corso di un pranzo al momento dello champagne.
Dev'esserci un equivoco. le pubblicazioni che per Alberoni sono rivelatrici di un fenomeno epocale non sono portatrici di un'ideologia del successo; vogliono essere strumenti di status symbol per ingenui. Cominciano con il confondere il successo mondano con quello professionale, l'ostentazione del lusso con il potere, la scalata spregiudicata alla notorietà con l'appartenenza alla classe dirigente. C'è un'equazione precisa: ostentazione = ricchezza; ricchezza vera o apparente, comunque riconosciuta = potere; potere e ricchezza insieme fanno cultura, dunque rivendicano legittimità e diritto al dominio. Perciò, guidato dalle riviste rampanti, l'ultimo ragioniere che sa intrufolarsi può aspirare a trovarsi insieme colto, cultore del lusso e dominatore. Eredità di Calvino a parte, questa in America si chiamerebbe speculazione sugli ingenui; e in realtà le pubblicazioni che la praticano sostituiscono i fotoromanzi degli anni Sessanta.
Ma non è solo questo. La "classe dirigente" di cui i sacerdoti del successo all'italiana si fanno interpreti è quella che insegue l'effimero e che sta tentando di imporre i valori dell'avventura e dell'inconsistente in nome del capitalismo. Di tutto il resto non sa e non gli importa niente; né ha, oltre quella dell'apparenza del prestigio, ambizione alcuna. Apparire servendosi di farfalle e di marchesine del mondo "cultural-economico" conta più dell'essere e molto più del fare. Editori che sono in realtà solo capaci di raccogliere pubblicità di lusso coltivano questi orientamenti. Niente di male se sono spregiudicati come i loro clienti. è pericoloso però che siano presi sul serio, che diventino sacerdoti di una rivoluzione che non c'è e che, venuto meno Verdiglione, assurgano al rango di protagonisti di una nuova cultura. Una cultura che è "unica", ma che purtroppo non è la sola a ignorare che cos'è per l'America il mondo protestante, il successo. Non è come intendiamo noi, è la "riuscita", cioè il risultato di sforzi e di capacità nel rispetto delle regole e dei doveri verso il prossimo. Una cosa diversa dalla nobiltà che viene dal consumo del pescespada.

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