§ OPINIONI A CONFRONTO

Ascetismo reaganiano




Francesco Alberoni



La differenza più profonda fra Europa e Stati Uniti che emerge anche dal sondaggio Eurisko/Issp/Corriere della Sera è la incrollabile fiducia degli americani nel successo individuale. C'è, nel questionario, una domanda cruciale. Si chiede se si è d'accordo con questa affermazione: "Quello che uno realizza nella vita dipende in gran parte dal suo ambiente familiare". Il sessanta per cento degli italiani ne è convinto e pochissimi dicono il contrario. Fra gli americani avviene esattamente l'opposto.
E' l'ennesima conferma che, nel profondo, nulla è cambiato del mito americano. E'' rimasta immutata la credenza che chiunque, qualsiasi siano le sue origini, la sua famiglia, ha le stesse possibilità di successo. Che la ricchezza dei genitori, l'ambiente familiare contano meno della volontà e della capacità individuale. La certezza, di tipo religioso, secondo cui ogni uomo è artefice del propria destino. E, quindi, che la ricchezza è il premio per la virtù, e la miseria è la punizione per il vizio. La differenza fondamentale fra Europa e Stati Uniti mi sembra ancora questa. Che gli americani dividono gli uomini in vincenti e perdenti, e sono convinti che i vincenti siano moralmente migliori dei perdenti. In Europa, invece, nel profondo la gente continua a pensare che la società celi una sottile ingiustizia. Che il merito non trovi sempre la sua ricompensa, che la virtù sia spesso beffata dai malvagi.
Questa differenza profonda, abissale, di prospettiva, risale a secoli fa. Alla dottrina calvinista della predestinazione. Lo ha mostrato molto bene Max Weber nel suo famosissimo libro l'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Nessun Paese ha realizzato fino in fondo questa santificazione del successo e della ricchezza come gli Usa.
Negli anni Sessanta, coi figli dei fiori, il mito calvinista sembrava incrinato irreparabilmente. Ma già sotto la presidenza Carter si facevano vive le correnti religiose fondamentaliste che poi appoggeranno in modo decisivo la presidenza Reagan. Il reaganismo non ha proprio assolutamente nulla di edonista ma, come ha molto ben mostrato Furia Colombo (vedi in particolare Cosa farò da grande, Milano, Mondadori 1986), è permeato di ascetismo. Dell'ascetismo del corpo, del lavoro, del successo. Dell'ascetismo mondano che ha sempre caratterizzato il calvinismo. Il reaganismo è una forma di calvinismo, la sua ultima incarnazione.
Sotto Reagan gli americani hanno riscoperto la loro nazione come nazione eletta, incaricata da Dio di portare nel mondo la ricchezza e la giustizia. Non l'uguaglianza, perché il Signore premia i buoni e li arricchisce, ma impoverisce i cattivi. La disuguaglianza è un segno della giustizia, una sua manifestazione. Nella logica del neopuritanesimo, gli Stati Uniti sono una nazione carismatica. Il suo potere, il suo successo sono i segni della benevolenza divina. Per questo l'America non deve aver paura di colpire i suoi nemici.
Il calvinismo ha una profonda diffidenza per tutti gli altri. Questo spirito gli americani lo stanno rivelando apertamente, non si fidano dei russi, non si fidano dei sudamericani, non si fidano dei giapponesi, non si fidano neppure degli europei.
Il diverso atteggiamento americano verso il successo e il merito individuale spiega anche la diffidenza verso l'intervento dello Stato a ridurre le differenze di reddito fra le persone. Eppure c'è una serie di risposte apparentemente inspiegabili. Gli americani chiedono che le possibilità dei giovani di frequentare l'università siano molto aumentate, che ci siano più opportunità per le donne. D'altra parte sappiamo benissimo gli enormi sforzi che le famiglie americane fanno per far studiare i loro figli. Indebitandosi e con grossi sacrifici. Non è tutto questo in contrasto con il mito secondo cui la famiglia non conta nulla e lo Stato non deve intervenire?
La spiegazione sta nel fatto che in un sistema collettivo di credenze i singoli valori sono indipendenti. Nel mito americano coesistono, in parallelo, l'idea che tutti devono avere le stesse opportunità di base, quella secondo cui tutti devono competere con ogni mezzo, e quella secondo cui il migliore vince, comunque, sempre.
Questo spiega perché vi siano gruppi che lottano per le minoranze, per le donne, contro la discriminazione razziale. Essi vogliono assicurare l'uguaglianza dei punti di partenza. Ma questa stessa gente crede che le famiglie debbano lottare per assicurarsi non solo il reddito più alto, ma anche per assicurare ai propri figli la scuola migliore, il posto di lavoro migliore. La legge della competizione totale si affianca e non sostituisce la legge della uguaglianza delle opportunità.
Queste contraddizioni colpiscono molto gli europei. Nello stesso tempo, però, li affascinano. Perché il risultato ultimo del mito americano è di produrre una continua spinta vitale, un ottimismo di fondo non solo nell'individuo ma anche nelle istituzioni politiche.

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