§ CONTI SOSPESI

Sud: nuove illusioni trappole antiche




Maria Rosaria Pascali



L'immagine del Mezzogiorno "a pelle di leopardo", partorita negli anni '50, era quella di un Sud fatto di contraddizioni, in cui aree sviluppate (quelle della fascia adriatica) convivevano, in uno strano connubio, con aree interne depresse. l'immagine, che avrebbe dovuto aprire la porta a politiche di intervento differenziate, fu invece sfruttata da correnti antimeridionaliste per negare l'intervento straordinario alle zone più avanzate e per alimentare comode teorie dello sviluppo autopropulsivo o autocentrato.
Si negò, allora, la tipicità storico-politica dei problema meridionale, assimilandolo a quello delle aree depresse nel mondo. Da quel momento e per quell'errore, molti altri errori furono commessi, ignorando il persistere di un modello dualistico a cui spontaneismi e localismi non avrebbero potuto porre. riparo.
Stretto nella morsa di mascherati interessi antimeridionalisti, il Sud assisté pieno di speranza alla costruzione di enormi impianti petrolchimici e siderurgici, che avrebbero dovuto dare - così dicevano - la svolta decisiva all'economia meridionale. E, nel frattempo, il Nord si ancorava sempre più al mercato; investiva in imprese dinamiche, pronte ad essere ristrutturate in caso di inversioni di tendenza.
Abbiamo abboccato, illudendoci di poter usufruire di continui approvvigionamenti di materie prime (petrolio, minerali metallici) e fonti di energia a basso prezzo. Ma le cose sono andate molto diversamente: dal 1973 l'Opec ha fatto salire vertiginosamente i prezzi del petrolio greggio, ponendo fine ai decenni di sfruttamento da parte delle compagnie petrolifere internazionali. E, da allora, solo quest'anno si è avuta un'inversione di tendenza. Non solo: ma i paesi dell'Opec hanno deciso di sfruttare le enormi ricchezze accumulate dalla vendita del greggio per costruire impianti petroliferi in loco.
Anche i paesi che possiedono i minerali di ferro (di cui siamo grandi importatori) hanno deciso di produrre acciaio nel loro stesso territorio o, comunque, di esportare materiale pre-ridotto, con maggiore valore aggiunto. Tendenza questa che sposta i centri di produzione dell'acciaio dai paesi industriali ai paesi in via di sviluppo, con produzioni effettuate in acciaierie di dimensioni limitate rispetto ai nostri grandi centri siderurgici.
Così oggi, mentre il resto del paese si avvia verso l'era post-industriale, il Sud deve rivolgersi al terziario per parare lo scotto di una politica di comodo per le regioni centro-settentrionali. Intanto, puntuali come sempre, i nostri nuovi "ascari" hanno coniato un altro slogan: quello del "via con il turismo alternativo per risollevare le sorti del Sud". Ma alternativo a cosa? Alla ripresa del processo di industrializzazione, visto che il Nord ha già quello che gli serve? Oppure alla ripresa del l'agricoltura, visto che potrebbe avvenire solo tramite introduzione di nuove conoscenze e tecnologie, e quindi con una inevitabile presa di coscienza, da parte del produttore meridionale, dello stato di inferiorità in cui è da sempre tenuto? E forse abboccheremo anche questa volta, abbagliati dal miraggio di un Sud ristrutturato a paradiso terrestre. E abboccheremo fino a quando non comprenderemo che qualsiasi palliativo ai gravi problemi del Sud non può prescindere da una logica di intervento più ampia, che vede il contemporaneo potenziamento dei settori primari, come uniche vere sorgenti di sviluppo.
Così, al "turismo alternativo" va sostituito il "turismo complementare". Complementare sia al processo di ristrutturazione industriale, della cui urgenza tanto si è già parlato in questa sede; e sia al potenziamento del settore agricolo, che costituisce un campo ancora tutto da esplorare.

Agricoltura: settore trainante
Esaminando le prospettive che fornisce il settore agricolo, appare lampante il suo ruolo strategico nel contesto della ripresa meridionale. Un ruolo che, di certo, non è circoscritto al Sud, ma che al Sud trova un terreno ancora vergine su cui operare. A livello nazionale c'è da dire che la favorevole congiuntura economica non potrà essere pienamente sfruttata da un paese come il nostro, in cui il fabbisogno alimentare viene ad essere soddisfatto a mezzo di una eccessiva dipendenza dall'estero. Infatti, con un'incidenza delle importazioni agro-alimentari sul complesso dei nostri acquisti pari al 17,6%, l'Italia si trova a dover spendere all'estero più per approvvigionarsi di agro-alimentari che non per rifornirsi di prodotti energetici. La nazione sconta, cioè, l'errore di aver troppo spesso sacrificato produzioni tipicamente interne in favore di ibridi prodotti all'estero. Inoltre, il finanziamento degli interventi in campo agricolo, attuato in gran parte con trasferimenti vincolati dallo Stato alle regioni, si è tradotto in una politica di mero contenimento della finanza regionale, che ha penalizzato gli investimenti produttivi soprattutto delle regioni a statuto ordinario.
L'esigenza di una riqualificazione dell'intervento pubblico in agricoltura si scontra, poi, con il persistere di una politica regionale miope e mai strutturata. Compito della politica agraria regionale dovrebbe essere quello di ricondurre i provvedimenti legislativi nazionali alle singole realtà regionali, diversificate fra loro per produzione e domanda. Ma difficilmente questo accade. Prendiamo la legge 153/75: con questa legge sono state recepite a livello nazionale le direttive sociostrutturali della Cee relative al 1972. Vari provvedimenti dovevano essere applicati, in seguito, a livello regionale. Ma sono passati dieci anni e ancora nessuna delle direttive strutturali previste dalla legge (e riguardanti il prepensionamento, l'ammodernamento delle imprese, la creazione di servizi di consulenza socio-economica) è stata attuata nel meridione. Anche l'applicazione della legge nazionale sulle terre incolte e malcoltivate si è tradotta in un fallimento.
Esito positivo ha avuto, peraltro, l'attuazione del regolamento Cee 270/79, relativo alla divulgazione agricola in Italia. Si trattava di un provvedimento volto alla creazione di cinque centri interregionali di formazione di divulgatori agricoli (tre dei quali nel Sud), mediante costituzione di altrettanti consorzi interregionali. Successivamente si sarebbe proceduto alla formazione di 2 mila nuovi divulgatori. Scopo del provvedimento era quello di immettere nuovo e qualificato terziario agricolo nel campo della divulgazione. In linea con le previsioni del regolamento, le regioni meridionali hanno dato vita ai tre consorzi interregionali per la formazione dei divulgatori agricoli e, successivamente, hanno istituito numerosi centri di formazione.
In generale, però, l'operatività delle leggi nelle regioni meridionali è ritardata da un'enorme carenza organizzativa e programmatoria, carenza che la legge n. 64 non colma, ma mortifica ancora di più. la diversa importanza che l'agricoltura riveste nel Sud rispetto al resto del Paese si manifesta anche attraverso una serie di differenziazioni riguardanti sia la composizione delle spese regionali sia il peso del sostegno pubblico nel settore. Guardando al 1983, infatti, si osserva che Vi i% della spesa complessiva sostenuta dalle regioni meridionali era destinato all'agricoltura; nel Centro-Nord la quota non superava il 3%.
Peraltro, mentre nel Centro-Nord il divario tra spesa regionale e valore aggiunto era del 9,6%, nel Mezzogiorno arrivava al 25%. La diversificazione dell'intervento pubblico riguarda in particolar modo la destinazione della spesa. Nel Centro-Nord circa l'80% delle spese sostenute in agricoltura vanno ad alimentare incentivi in favore delle aziende. Nei Sud, la percentuale è del 68%; il 22% delle spese è destinato all'attuazione di grandi interventi infrastrutturali.
La voce "ricerca" risulta, invece, penalizzata in tutto il Paese. Solo che nel Mezzogiorno è mancato anche il collegamento fra ricerca e sistema produttivo. Come logico corollario abbiamo avuto una notevole lentezza dell'innovazione tecnologica nel Sud. Lentezza questa aggravata dalla polverizzazione della proprietà agraria, che rende superfluo l'uso di macchine avanzate, la cui efficienza si misura in relazione alla vastità delle superfici.
La necessità di qualificare e razionalizzare la produzione agricola nel Sud, coerentemente alle richieste del mercato, è oggi molto sentita. Ma essa richiede una completa revisione del ruolo assunto dal produttore meridionale nell'ambito della commercializzazione del prodotti agricoli. E' noto, infatti, lo stato di emarginazione in cui esso è tenuto quando si tratta di gestire e immettere i prodotti agricoli sui mercati nazionali e internazionali. Garanzia della collocazione e premio indiretto, tipiche espressioni della politica assistenzialistica, continuano a favorire una produzione basata sulla consistenza quantitativa, a scapito del miglioramento qualitativo dei beni prodotti e del contenimento dei costi di produzione. l'inversione di tendenza va intesa, quindi, nel senso di una diverso assegnazione delle priorità: ai problemi di mercato devono seguire quelli della commercializzazione, e a questi quelli della produzione.

La nuova legge per il Mezzogiorno
Dopo cinque anni di assoluto silenzio parlamentare, durante i quali il Nord ha completato il suo processo di ristrutturazione, è stata finalmente approvata la nuova disciplina organica sull'intervento straordinario nel Sud. Si tratta della legge 10 dicembre 1983, n. 651; della legge 17 novembre 1984, n. 775; del Programma triennale approvato dal Cipe il 10 luglio 1985; e, infine, della legge 10 marzo 1986, n. 64. Con la nuova disciplina la logica dello stato portatore di un disegno operativo unitario è sostituita da quella che prevede un decentramento delle funzioni fra una molteplicità di soggetti (Amministrazioni centrali, regioni, enti collegati, soggetti privati).
Tre sono i principali organismi previsti dalla legge: Agenzia, regioni, ex enti collegati. L'Agenzia è un soggetto a capacità limitata, avente il solo compito di garantire il finanziamento degli interventi decisi in altre sedi. Agli altri due soggetti, invece, è stata conferita un'ampia sfera d'azione.
La nuova legge, che segna la fine del "grande protettorato", fa sorgere nuovi interrogativi e apre molti vuoti. Infatti, chi si occuperà della realizzazione dei grandi interventi infrastrutturali di natura intersettoriale, dal momento che non sono di competenza delle amministrazioni ordinarie? E a chi spetterà di avviare le procedure speciali, visto che alle amministrazioni ordinarie spettano solo procedure ordinarie?
Ma il fatto che più lascia perplessi è che il trasferimento delle competenze della Cassa alle regioni e alle autonomie locali avviene senza che questi soggetti abbiano maturato quella capacità di programmazione, di progettazione e di spesa, la cui carenza è stata fra i motivi che hanno indotto a istituire la Cassa stessa.


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