§ PUGLIA - MEZZOGIORNO - ITALIA

Strutture economiche e dinamiche produttive




Pietro Sambati



Ad oltre trent'anni dall'avvio di misure di politica economica, anche di carattere straordinario, a sostegno dello sviluppo delle regioni meridionali, risulta ancora ampio il divario tra il Mezzogiorno ed il resto d'Italia.
Approfondirne le ragioni rappresenta per gli economisti un esercizio ricorrente. Differenze di fondo tra Nord e Sud emergono inequivocabili dai dati statistici nelle strutture e nei risultati economici (Sambati 1986). Ne discende l'interrogativo: in che misura contesti strutturali e livelli di crescita sono tra loro correlati?
Il legame tra caratteristiche della struttura produttiva e performance economica è approfondito in letteratura negli ormai numerosi studi sulle disparità regionali (Camagni-Cappellin, 1984; Cappellin, 1986), rivolti a dare ragione, tra l'altro, dei diversi profili di crescita della produttività DEL lavoro.
La dinamica della produttività, misurata dall'andamento del prodotto che il singolo lavoratore ha in media contribuito a formare', costituisce un indicatore sintetico sulla base del quale comparare gli andamenti di Puglia, Mezzogiorno e Italia sia in termini aggregati (parte prima) che ripartiti per principali settori di attività economica (parte seconda). L'interpretazione dei risultati richiede particolare cautela: i processi di sostituzione tra fattori della produzione tendono infatti a spostare le tecniche utilizzate verso l'impiego dei fattori più convenienti e comportano fenomeni di aggiustamento nelle combinazioni di tutti i fattori della produzione i cui effetti possono essere valutati in modo impreciso con il calcolo della sola produttività del lavoro.

Questo testo riproduce con opportune modifiche ed integrazioni l'intervento svolto dal'A. alla VI Conferenza Italiana di Scienze Regionali (Genova, 23-25 ottobre 1985) nella sessione sulle "Trasformazioni produttive nelle regioni italiane".
Chi scrive ringrazia Raffaele Brancati, Paolo Costa, Fabio Del Prete, Vittore Fiore e Adriano Giannola per aver discusso il tema, assumendosi, com'è ovvio, ogni responsabilità per le opinioni espresse.

PARTE PRIMA

Con questa avvertenza, si esaminano le differenti dinamiche di una regione periferica, pur se in crescita, quale la Puglia, dell'area geografica più ampia, il Mezzogiorno, nella quale si colloca, e della media nazionale, provando a ricondurle in alcuni schemi teorici.

Lo schema di riferimento
In letteratura sono state individuate sette possibili modalità di sviluppo (Camagni-Cappellin, 1984):
1) circolo virtuoso, con sviluppo della produttività e del prodotto regionale superiore alla media nazionale e sviluppo dell'occupazione positivo;
2) riconversione, con sviluppo della produttività e del prodotto superiore alla media nazionale, andamento dell'occupazione negativo, ma superiore alla media;
3) ristrutturazione, con sviluppo della produttività e del prodotto superiore alla media, sviluppo dell'occupazione inferiore;
4) abbandono, con sviluppo della produttività superiore alla media, sviluppo dell'occupazione e del prodotto inferiori alla media;
5) ritardo nel processo di sviluppo, con andamento di produttività, occupazione e prodotto inferiori alla media;
6) conservatorismo, con sviluppo della produttività e del prodotto inferiore alla media, sviluppo dell'occupazione superiore alla media;
7) sviluppo labour intensive, con sviluppo della produttività inferiore alla media, sviluppo dell'occupazione e del prodotto superiore.

I risultati di sistema
In Puglia, dove il prodotto è cresciuto nel periodo 1970-1983 ad un saggio annuo del 3,7% e la produttività del 2,6%, l'occupazione è aumentato poco più dell'1%, con una elasticità pari a 0,26.
Con incrementi di prodotto e produttività rispettivamente del 3,3% e del 2,5%, nel Mezzogiorno i posti di lavoro aggiuntivi sono risultati inferiori all'1% l'anno e solo dello 0,6% nel complesso del Paese, che ha sperimentato ritmi più decelerati di prodotto, + 2,8%, e produttività, + 2,2%.
Nel periodo considerato, la Puglia realizza dunque aumenti di produttività coerenti con una crescita dell'occupazione superiore a quella meridionale e ancor più a quella nazionale, per cui risulta appropriato ricondurre lo sviluppo dell'economia regionale nel suo complesso nello schema "labour intensive".
E' però fuorviante valutare la dinamica della produttività in sé, prescindendo dal livello di partenza della variabile considerata, in Puglia inferiore non solo ai valori medi nazionali, ma anche a quelli meridionali (Tab. 1).


Il basso valore di partenza del 1970 fa quindi apparire l'indice del 1983 relativamente più elevato, mentre sostanzialmente non mutano le differenze di produttività tra la regione e la media italiana, che anzi risultano solo lievemente attenuate nei confronti del contesto meridionale e addirittura ampliate rispetto al dato nazionale.
Nell'assaporare le variazioni non si devono perdere di vista le grandezze di riferimento espresse dalle consistenze. Sul totale nazionale l'incidenza del prodotto e dell'occupazione pugliese continua ad oscillare nell'ultimo decennio intorno al 4,5% ed al 6,2%; l'intero Mezzogiorno assorbe rispettivamente il 24% ed il 30% e, di conseguenza, il 76% del prodotto ed il 60% dell'occupazione si concentrano nel Centro-Nord.
La minore dinamica della produttività nelle regioni meridionali è attribuibile essenzialmente al concorso di due fattori:
1) arresto del processo di accumulazione avvenuto dopo la prima crisi petrolifera;
2) politiche di difesa dell'occupazione orientate al Mezzogiorno.
Al contrario, nel resto del Paese la crescita della produttività del lavoro avviene proprio attraverso processi di ristrutturazione labour saving in otto dalla fine degli anni Settanta, che portano all'installazione di nuovi macchinari più flessibili e adattabili alle accresciute fiuttuazioni del mercati: maggiore automazione dunque e riduzione della manodopera impiegata.
Non di meno, per effetto di fattori demografici - sostanziale arresto dei flussi migratori netti sia verso l'estero sia verso le altre regioni italiane e contrazione del saldo naturale relativamente minore che nel resto del Paese - e della maggiore partecipazione soprattutto femminile al mercato del lavoro, aumenta nel Sud lo squilibrio tra offerta di lavoro e incremento del l'occupazione: nel 1985 il tasso di disoccupazione si attesta in Puglia (13,7%) su valori ancora inferiori a quelli del Mezzogiorno (14,7%), ma sensibilmente più alti del dato nazionale(10,6%). Particolarmente preoccupante è infatti al riguardo la differenza tra Centro-Nord e Mezzogiorno, che riflette le insufficienze della dinamica produttiva e le rigidità del mercato del lavoro. Se si punta l'attenzione sui sotto-periodi 1970-1974, 1974-1978 e 1979-1983, si mettono a fuoco modalità di sviluppo che rispondono a sequenze logiche differenti. Così la Puglia passa da uno schema "labour intensive" dei primi anni Settanta, nei quali produzione e occupazione, ma non produttività, mostrano valori superiori alla media nazionale, al "conservatorismo" del periodo che segue la crisi petrolifera dei 1974, con crescita di prodotto e produttività inferiore alla media, alla "ristrutturazione" sul finire degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, con incrementi di prodotto e produttività superiori alla media e andamento dell'occupazione non solo inferiore, ma anche leggermente negativo (Tab. 2). Il Mezzogiorno, invece, che pure aveva vissuto una fase di conservatorismo a minore elasticità occupazionale, realizza già nei primi anni Ottanta posti di lavoro aggiuntivi, anche se con contenuti tassi di sviluppo di prodotto e produttività. Cosa fare per elevare l'elasticita dell'occupazione alle variazioni del prodotto? Per accrescere cioè il ritmo di crescita dell'occupazione senza compromettere i livelli di efficienza? Per un approfondimento in tale direzione, si è ritenuto di articolare l'analisi in chiave settoriale, mettendo in luce, oltre ai risultati economici conseguiti, i caratteri e i cambiamenti strutturali.

PARTE SECONDA

L'analisi settoriale

La struttura dell'economia pugliese è caratterizzata dall'incidenza assai accentuata del settore primario (pari nel 1983 al 15 per cento ed al 30 per cento del totale regionale rispettivamente di valore aggiunto e occupati) e di quello terziario (rispettivamente 55 per cento e 42 per cento). Nonostante che la Puglia sia stata, anche nei primi anni Settanta, regione meridionale tra le più favorite dal processo di industrializzazione indotto dall'intervento esterno, il peso dell'industria resta sostanzialmente stazionario (intorno al 30 per cento ed al 28 per cento, sempre in termini di valore aggiunto e occupati).

Agricoltura

La struttura
La Puglia presenta al suo interno realtà agricole profondamente diverse, nelle quali il grado di efficienza varia in funzione della situazione morfologica e della disponibilità di risorse idriche; si passa così dalle zone più ricche della fascia costiera a quelle via via più povere della zona situata tra la costa e le prime alture per finire alle zone più interne. Tra i due ultimi censimenti agricoli del 1970 e del 1982, sono diminuiti nel complesso la superficie agricola utilizzata e così pure il numero di aziende agricole, con una sostanziale invarianza nell'ampiezza media del terreni aziendali. Permane quindi, nonostante l'esigenza di elevare la dimensione media delle aziende, un elevato grado di polverizzazione fondiaria (oltre l'80 per cento delle aziende agricole è compreso nella classe di superfici sino a 5 ettari). Già preponderante nel 1970, risulta ulteriormente rafforzata la conduzione diretta da parte del coltivatore, mentre flettono le aziende condotte in economia con l'impiego di salariati e sono quasi scomparse le forme coloniche.
La trasformazione irrigua inizia ad incidere in modo significativo su estensioni a vecchio oliveto e vigneto, che vengono trasformate in nuove colture a frutteto e ortaggi. Sempre notevole e anzi crescente è l'importanza relativa dei cereali, rappresentati essenzialmente dal frumento.

I risultati economici
In Puglia il prodotto del settore primario registra in termini reali nel periodo 1970-1983 uno sviluppo (+32 per cento) più marcato di quello della sola agricoltura (+29,7) per effetto della maggiore importanza che i contributi alla produzione sono andati assumendo sul totale della produzione vendibile agricola (dal 12,5 per cento del 1970 al 18,8 per cento del 1983, con un massima del 21 per cento nel 1980). Sull'andamento del prodotto ha inciso in modo determinante l'evoluzione del settore agricolo in senso stretto (coltivazioni erbacee e foraggere, arboree e allevamento), mentre modesto è stato l'apporto di silvicoltura e pesca. Secondo solo a quello dell'Emilia-Romagna nella graduatoria delle regioni italiane, il livello del prodotto agricolo pugliese rimane comunque intorno al 10 per cento del totale nazionale (10,1 per cento nel 1970; 11,3 per cento nel 1983), in virtù di uno stesso andamento tendenziale. Si realizza però ad un grado più basso di efficienza, in quanto a formarlo concorre un numero relativamente più elevato di occupati. Osservando la dinamica della produttività, si nota infatti come in Puglia, alla pari del Mezzogiorno, essa sia cresciuta ad un tasso inferiore a quello registrato in Italia, passando da un valore pari all'87 per cento di quello medio nazionale all'inizio degli anni Settanta al 79 per cento circa nei primi anni Ottanta. In sostanza, per quanto si possa desumere dagli indici adottati, il più lento sviluppo della produttività in Puglia (da 1,3 milioni di lire 1970 per addetto nella media triennale 1970-1972 a 1,9 milioni nella media 1981-1983) a confronto del resto del Paese (da 1,5 a 2,4 milioni) èprincipalmente riconducibile al diverso andamento del l'occupazione, negativo ma in misura inferiore alla media italiana, e che pertanto ha abbassato nella regione l'entità del rapporto prodotto/lavoro rispetto al valore nazionale. Una espansione del prodotto primario analoga a quella italiana si realizza quindi in Puglia a più bassi livelli di efficienza produttiva.


Sulla minore produttività del lavoro influiscono fattori quali il ritardo nella meccanizzazione, la capacità di recepire le innovazioni tecniche, la preparazione imprenditoriale e, non ultima, la rilevata dimensione aziendale, troppo modesta per realizzare una gestione economicamente positiva.
Anche la quantità di terra per occupato è minore che nel resto del Paese (4 ettari contro 6 ettari circa), mentre più elevata è la produttività della terra: il valore aggiunto al costo del fattori per ettaro di superficie agricola utilizzata è salito da 333.000 lire annue nel periodo 1970-1972 alle 391.000 lire nel triennio 1981-1983, sempre a prezzi 1970, mentre in Italia è su valori inferiori di circa 30.000 lire e di 70.000 lire nel Mezzogiorno.
Il prodotto agricolo regionale è inoltre sorretto in modo significativo, come si è visto, dai consistenti trasferimenti correnti effettuati da Amministrazioni pubbliche ed Organismi comunitari, i c.d. contributi alla produzione.
Agli apprezzabili segnali di riconversione verso colture a più elevato valore aggiunto e con domanda in tendenziale espansione - si pensi alla floricoltura, garofani e gladioli, ed alla frutticoltura, agrumi, ciliege e mandorle - si contrappongono gli aspetti negativi di ampie fasce periferiche di sottoutilizzo delle risorse agricole regionali, dove un circolo vizioso di bassa innovatività, decrescente competitività, bassa crescita del prodotto, crescente disoccupazione conduce al progressivo abbandono delle campagne.

L'industria

La struttura
Il grado di industrializzazione della Puglia è nel complesso modesto: circa 50 addetti per mille abitanti, la metà della media italiana e meno della metà di regioni come l'Umbria e le Marche (Tab. 4). Realtà complessa, caratterizzata da profondi squilibri settoriali e territoriali e polarizzato sotto l'aspetto dimensionale (Dei Prete, 1979; Sambati, 1986), l'industria operante in Puglia non si presta ad essere imbrigliata in un giudizio sintetico per la difficoltà di riportare ad unità dinamiche quanto mai differenti.


Prima di concentrare l'attenzione sull'industria manifatturiera, che spiega i due terzi circa dell'occupazione industriale nel suo complesso, non si può prescindere da un cenno, sia pur breve, sull'industria delle costruzioni, che da lavoro grosso modo al restante terzo. Qui una crescita degli impianti, superiore a quella degli addetti, ed il conseguente calo della dimensione media sembrano riconducibili al concorso di due fattori: il primo, obiettivo, legato al venir meno dei grandi lavori di infrastrutture e di costruzione dei nuovi impianti industriali nel Mezzogiorno, cui era collegata l'espansione dei cantieri; il secondo, alla scelta aziendale di una dimensione minore, anche se più diffusa, più adatta al carattere ciclico dell'attività edilizia. Nell'ambito dell'industria manifatturiera, i settori leggeri (intendendo per leggeri quei settori a minore intensità di capitale fisso, quali alimentare, abbigliamento, calzature, v. nota 2) aumentano tra i due ultimi Censimenti il numero medio di addetti per impianto, a seguito di una contrazione del denominatore e di una crescita del numeratore. Nonostante l'avvenuto processo di consolidamento evidenzi la tendenza a convergere verso i valori medi nazionali, non trascurabile risulta ancora il divario nei loro confronti.
Crescono i settori intermedi (meccanica e mezzi di trasporto), sia in termini di occupati che di unità locali; per la meccanica, in particolare, la Puglia possa dal terzo al secondo posto nel Mezzogiorno, scavalcando la Sicilia.
Nei settori pesanti (quelli a più alta intensità di capitale, come siderurgia, chimica, minerali non metalliferi) si ha invece un incremento degli impianti che supera quello degli addetti, dimostrando una volontà di ristrutturazione più che di sviluppo quantitativo (Tab. 5).

 

La Puglia degli anni 80 appare ancora fortemente specializzata nei settori pesanti e despecializzata in quelli intermedi, mentre le quote dei settori leggeri tendono a convergere verso i valori medi meridionali e nazionali. La discontinuità può essere osservata, oltre che nella specializzazione, nel profilo dimensionale e nella stessa distribuzione territoriale delle unità produttive (Sambati, 1986).


Se si considerano gli indici di localizzazione, riferiti agli occupati, vi sono in regione tre addetti e mezzo nella siderurgia e due nell'alimentare contro uno in Italia; anche calzature ed abbigliamento hanno nella regione coefficienti maggiori di uno (Tab. 6). Relativamente inferiore alla media nazionale è invece l'apporto occupazionale dei settori intermedi: la meccanica mostra i coefficienti più bassi nella costruzione di macchine per ufficio, apparecchi di precisione ed installazione impianti; i mezzi di trasporto nella costruzione di autoveicoli.
Come dimostra l'indice di Beaud (Sambati, 1986), vi sono, in termini percentuali, 22 punti di differenza tra il tasso di crescita dell'occupazione dell'industria manifatturiera in Puglia (+34%) ed in Italia (+12%) nel periodo 1971-1981 (Tab.7). Mentre decisamente basso è l'effetto di mix sui settori (-4%), conseguenza del mancato potenziamento delle attività già esistenti nella regione, particolarmente significativo (+26%) è l'effetto differenziale, inferiore solo a regioni come Umbria e Marche o Abruzzi e Molise, ad indicare che anche la Puglia è cresciuta proprio nei settori nei quali era strutturalmente in ritardo.
All'interno dei settori, l'indice di Beaud mette in evidenza che la meccanica spiega il 40% e la siderurgia il 27% della componente differenziale, mentre tra i leggeri sono alimentare, abbigliamento e calzature a presentare la maggiore dinamica relativa. Nella componente strutturale, il valore assoluto dell'effetto mix sui settori conferma l'importanza relativa di siderurgia e minerali non metalliferi tra i pesanti; costruzione di prodotti in metallo tra gli intermedi; alimentare e tessile tra i leggeri (Tab. 8).

I risultati economici
Anche per i risultati economici conseguiti dall'industria, il tentativo di una lettura unitaria, da "onda lunga", potrebbe portare ad interpretazioni da "circolo virtuoso", distorte però dal sovrapporsi di fenomeni dei tutto diversi. E' preferibile, pertanto, isolare i "cicli", suddividendo l'intervallo in esame nei sotto-periodi 1970-1974, 1974-1978, 1979-1983 (Tab. 9).


Il primo è caratterizzato dai colpi di coda dei programmi tutti esogeni di espansione della grande industria pubblica e privata nella regione, a seguito della mutata situazione internazionale (aumento del prezzo del petrolio e delle materie prime, rallentamento generalizzato della domanda, emergere di nuovi paesi industriali produttori a minor costo del lavoro); il secondo ed il terzo dalle diverse modalità di risposta dell'economia locale.
Sull'andamento economico dei tre periodi ha inciso profondamente l'evoluzione del l'occupazione: nei primi anni Settanta l'occupazione aumenta in Puglia, mentre rimane sostanzialmente stazionaria nel Mezzogiorno ed in Italia, e realizza incrementi di prodotto e di produttività leggermente superiori a quelli nazionali; negli anni che seguono la crisi del 1974 l'occupazione in Puglia permane sostanzialmente stazionaria e, data la più generale situazione di crisi, mostra una produttività costante, a differenza di quella italiana, in aumento per effetto della contrazione di mano d'opera; negli anni più recenti, anche l'industria pugliese subisce una flessione nei livelli occupazionali, peraltro minore rispetto a quella media nazionale, ma per tale via riesce a recuperare produttività.
Una tale impostazione, se ha il pregio della sintesi, è però eccessivamente aggregata per permettere di valutare possibili linee di intervento in un tessuto industriale fortemente diversificato. Si è perciò pensato di calcolare i valori assunti dalla produttività, nonché i tassi di variazione di prodotto, occupazione e produttività per l'industria manifatturiera e per i due sottocomparti "metalmeccanico" e "altri prodotti" per Puglia, Mezzogiorno ed Italia. L'esercizio svolto offre, pur con le cautele richieste da ogni semplificazione della realtà economica, interessanti spunti di riflessione.
L'aggregato manifatturiero pugliese presenta uno sviluppo del prodotto e ancor più dell'occupazione superiore alla media nazionale ed una inferiore dinamica della produttività. Rispetto al Mezzogiorno la regione registra una minore crescita di prodotto e produttività a fronte di un maggiore aumento dell'occupazione (Tab. 10).


Secondo la classificazione adottata, la Puglia avrebbe seguito nell'industria manifatturiera una tipologia di sviluppo "labour intensive", che privilegia i livelli occupazionali alle possibilità di sviluppo di medio periodo. Ciò l'ha portata ad una posizione di minor competitività rispetto allo stesso Mezzogiorno, che invece mantiene una variazione della produttività media pressoché in linea con quella nazionale.
Nel comparto metalmeccanico si osservano in Puglia tassi di crescita di prodotto ed occupazione superiori sia al Mezzogiorno che all'Italia, mentre notevolmente più contenuto è l'andamento della produttività, che, partendo da valori relativamente più elevati, perde terreno convergendo verso il dato medio nazionale. Gli altri prodotti industriali sperimentano nella regione incrementi di occupazione maggiori che nel Mezzogiorno ed in Italia, ma dinamiche inferiori di produttività e prodotto.
In sostanza, l'andamento del settore metalmeccanico evidenzia in Puglia, in confronto a quello di Mezzogiorno ed Italia, una tendenza a convergere da attività a più alto valore aggiunto per addetto verso produzioni a minore produttività; negli altri prodotti industriali permane forte il ritardo rispetto ai valori nazionali (Tab. 11). Nonostante una crescita meno sostenuta, il metalmeccanico resta però anche in regione il comparto manifatturiero a produttività più elevata, mantenendosi su livelli medi analoghi a quelli meridionali e nazionali (Tab. 12).
In termini di rapporto di composizione, le diverse risposte settoriali hanno comportato l'aumento del peso relativo dei prodotti metalmeccanici, peraltro in Puglia e nel Mezzogiorno ancora in ritardo rispetto ai valori medi nazionali (Tab. 13).


L'analisi finora svolta ha fornito una risposta sintetica, ma ancora eccessivamente aggregata, sul "dove" intervenire per accrescere l'efficienza del sistema. E' perciò opportuno avvalersi del maggior dettaglio settoriale consentito dall'Indagine Istat sul prodotto lordo delle imprese con oltre venti addetti, che appunto coglie lo sviluppo delle imprese più significative. Il basso profilo del settore metalmeccanico pugliese trova così spiegazione nel calo di produttività del settore metallurgico, che, a prezzi 1970, declina da 4,3 milioni per addetto nel 1971 a 2,9 milioni nel 1981. Ciò perché proprio negli anni della crisi si è avuto il raddoppio dello stabilimento Italsider di Taranto con un aumento degli addetti cinque volte superiore a quello del prodotto (+ 63% contro il 12%).
Data la rarefazione degli sbocchi del prodotto, una gestione profittevole avrebbe reso necessaria una ristrutturazione (capital deepening) degli impianti esistenti piuttosto che un loro ampliamento (capital widening).
Considerazioni analoghe valgono più avanti per la chimica a Brindisi, che sperimenta anzi risultati ancor più contraddittori (+ 18% in termini di addetti, + 1 % di prodotto). Al contrario, sia nel settore meccanico che nei mezzi di trasporto la produttività aumenta notevolmente a fronte di una crescita degli occupati inferiore a quella del prodotto (Tab. 14).
Sono pertanto i settori meccanico e dei mezzi di trasporto a proporre i tratti tipici del "circolo virtuoso", a differenza del metallurgico, che nel periodo considerato si sviluppa secondo uno schema di "conservatorismo industriale", caratterizzato dal tentativo di mantenere comunque obiettivi occupazionali per motivi di consenso sociale, prescindendo dall'efficienza dell'impresa. Anche per gli altri prodotti industriali i dati relativi alle imprese con oltre 20 addetti contribuiscono a meglio qualificare la tipologia dello sviluppo.


Come si ricorderò, già nel 1971 il livello medio di produttività degli altri prodotti era più basso del corrispondente dato nazionale. la minore dinamica relativa del prodotto, unitamente alla mancata contrazione della forza-lavoro, porta all'inizio degli anni Ottanta ad un allargamento nel divario di efficienza tra la regione ed il resto del Paese. Scendendo nel dettaglio settoriale, le differenze tra la Puglia e la media nazionale nei valori assunti dai vari comparti (Tab. 14) sono la riprova di come le diverse dinamiche strutturali si riflettano in una pluralità di moduli di comportamento e quindi di sviluppo:
- nonostante il consolidamento avvenuto nel corso degli anni Settanta, perdura un certo ritardo nel processo di industrializzazione di alimentare, tessile, abbigliamento e calzature, tutti settori tradizionalmente presenti nella economia regionale;
- l'elevata produttività dei minerali non metalliferi rispecchia processi di riconversione produttiva;
- in espansione occupazionale, la chimica configura peraltro, al pari della siderurgia, i tratti del conservatorismo industriale, a scapito degli aumenti di produttività e quindi delle possibilità di sviluppo di medio periodo.
E' ora agevole ricondurre le caratteristiche dei principali settori manifatturieri pugliesi nella tripartizione leggeri - intermedi -pesanti:
- i rami intermedi e pesanti, al netto del dato spurio della chimica, presentano nel complesso livelli di produttività e quindi di efficienza superiori alla media nazionale;
- i leggeri accusano un certo ritardo nel processo di industrializzazione.

I servizi

La struttura
L'importanza dei servizi nell'ambito dell'economia pugliese è messa in evidenza dal rilevato, consistente apporto al prodotto ed ancor più alla occupazione regionale. Le attività destinabili alla vendita (commercio e pubblici esercizi, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni) assorbono i due terzi circa della occupazione terziaria, mentre il restante terzo fa sostanzialmente capo alla pubblica amministrazione.
I dati dell'ultimo censimento mostrano un sistema commerciale ancora polverizzato in un numero eccessivo di unità locali: cresciuto di un ulteriore 22% (+ 16% in Italia), da 80.391 a 98.735, conserva una dimensione media prossima ai due addetti (in Italia di poco superiore). L'incremento sia di occupati che di esercizi si concentra prevalentemente nel commercio al minuto di prodotti non alimentari, mentre un certo processo di razionalizzazione con riduzione dell'apparato distributivo si è avuto nel comparto dei generi alimentari.
Nei trasporti e nelle comunicazioni, i tassi di accrescimento dell'occupazione sono risultati più sostenuti della media nazionale. L'ampliamento dell'attività di intermediazione delle aziende di credito, anche in termini di servizi alla clientela, e l'apertura di nuovi sportelli ha contribuito all'incremento dell'occupazione nel settore, particolarmente elevato fino al 1981 (+107 in Puglia e +79% in Italia, rispetto al 1971) e successivamente più contenuto.
Il censimento pone inoltre in evidenza la rapida crescita degli addetti nel cosiddetto terziario avanzato, soprattutto in agenzie di pubblicità, consulenza organizzativa e informatica (tra il 1971 ed il 1981, i relativi addetti si sono triplicati in Puglia e quadruplicati in Italia). Al di là delle nuove opportunità di occupazione, che vengono spesso enfatizzate da chi sostiene che il terziario più avanzato dovrebbe assorbire la manodopera liberata dall'agricoltura e dall'industria in seguito alla crescente automazione dei processi produttivi, lo sviluppo delle attività di servizio appare di rilievo proprio per il supporto a riorganizzazioni produttive di imprese del primario o del secondario ed alla diffusione di innovazioni tecnologiche e gestionali.

I risultati economici
Alla crescita del l'occupazione, in Puglia (+4% l'anno) e nel Mezzogiorno (+ 3,6%) più elevata che nel complesso del Paese (+2,6%), non ha fatto però riscontro un'adeguata espansione del prodotto: ne è scaturita una minore dinamica della produttività, pari annualmente allo 0,3% sia in Puglia che nel Mezzogiorno contro l'1% della media nazionale. Anche nei servizi non destinabili alla vendita l'incremento del numero dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche non si è riflesso in Puglia e nel Mezzogiorno, al contrario di quanto avvenuto in Italia, in un incremento della produttività, che è anzi regredita rispetto ai valori del 1970 (Tab. 15).


Gli aumenti di occupazione, registrati sia nelle branche dei servizi destinati al mercato che in quelle dei servizi non vendibili della regione e dell'area meridionale in misura superiore a quelli del Paese nel suo insieme, sono dunque avvenuti più sotto la spinta dell'eccesso di offerta di lavoro che per effettive esigenze della domanda di servizi. Si spiega così perché nell'intervallo 1970-1983, la crescita del prodotto terziario nel suo complesso si rivela soprattutto in Puglia e nel Mezzogiorno di poco superiore a quella del l'occupazione, portando ad una più bassa efficienza relativa (l'indice di produttività, pari in Italia a 115,5 nel 1983 rispetto al 1970, assume in Puglia valore 107,3 e nel Mezzogiorno 108,8).

Conclusioni

Le modifiche qualitative riscontrate nella struttura e nei risultati economici costituiscono le "risposte" alla sfida di efficienza che si è posta anche alla nostra economia: dal "labour intensive" dei primi anni Settanta al "conservatorismo" del periodo che segue la prima crisi petrolifera, alla "ristrutturazione" della fase recessiva d'inizio anni Ottanta.
Se la Puglia di oggi presenta una ritrovata efficienza, molto complesso e delicato appare il compito di ridurre in modo significativo il numero dei disoccupati. L'analisi settoriale ha portato ad individuare i comporti nei quali recuperi di competitività sono riusciti a coniugarsi con la difesa dei posti di lavoro: da alcuni rami della trasformazione industriale, segnatamente meccanica e mezzi di trasporto, a talune fasce dell'agricoltura e dei servizi. Nel dilemma tra espansione occupazionale e crescita della produttività, la Puglia e le regioni meridionali in genere, sospinte dal nuovo intervento straordinario, devono imboccare decisamente il "circolo virtuoso":
1) accentuando processi di innovazione che ne accrescano la flessibilità e la competitività sui mercati;
2) valorizzando le opportunità offerte dall'agricoltura e dal turismo;
3) rilanciando l'attività edilizia;
4) stimolando il terziario di effettivo supporto alle imprese.
Tutto questo, che attiene al progetto, va fatto, però, dopo un'attenta analisi di mercato, per ridurre il rischio di trovarsi ancora una volta con capacità produttiva oziosa per carenza di domanda.


NOTE
Questo testo riproduce con opportune modifiche ed integrazioni l'intervento svolto dall'A. alla VI Conferenza Italiana di Scienze Regionali (Genova, 23-25 ottobre 1985) nella sessione sulle "Trasformazioni produttive nelle regioni italiane".
Chi scrive ringrazia Raffaele Brancati, Paolo Costa, Fabio Del Prete, Vittore Fiore e Adriano Giannola per aver discusso il tema, assumendosi, com'è ovvio, ogni responsabilità per le opinioni espresse.
1) Con il termine produttività (P) si definisce il rapporto tra prodotto (Y) ed occupazione (E): P = Y/E
Ci si riferisce pertanto ad un risultato pro-capite, che si differenzia dalla nozione, egualmente usata, di produttività quale rapporto tra valore del prodotto e costo del lavoro.
Dalla definizione di produttività deriva la relazione che la lega alla occupazione:
P - E = Y
Moltiplicando infatti la produttività per il numero degli addetti si ottiene il prodotto.
In termini dinamici, il tasso di crescita della produttività è dato dalla differenza dei tassi di sviluppo di produzione ed occupazione; esso rappresenta l'inverso dell'elasticità occupazione/prodotto, laddove questa è il risultato del rapporto tra le variazioni percentuali dei posti di lavoro e della produzione. Le variabili considerate permettono di individuare le elasticità occupazionali parziali (settoriali) e generali (di sistema), che, dati i differenti sentieri di crescita di produzione e occupazione, portano a "traguardi" di maggiore produttività o minore disoccupazione.
2) Nel seguito si farà spesso riferimento alla ripartizione "settori leggeri, intermedi, pesanti" per indicare le classi 4,3 e 2 di attività economica Istat. Pur se non tutti i. comporti compresi nelle tre classi sono rigorosamente riconducibili alla tripartizione prescelta (così ad esempio i mezzi di trasporto ed i minerali non metalliferi), quelli coerenti con la terminologia adottata sono di gran lunga prevalenti:

LEGGERO (4)
41 Alimentare di base
42 Zucchero, bevande, tabacco
43 Tessile
44 Pelli e cuoio
45 Calzature, abbigli. biancheria
46 legno e mobili in legno
47 Carta stampa edit.
48 Gomma e mat. plast.
49 Manifatt. diverse

INTERMEDIO (3)
31 Costr. prod. in metallo
32 Costr. e installaz. macchine
33 Costr. macchine per ufficio
34 Costr. e installaz. impianti
35 Costr. autov. e carroz.
36 Costr. altri mezzi di trasporto
37 Costr. apparecchi di precisione

PESANTE (2)
22 Prod. e prima trasform. metalli
24 Lavorazi. minerali non metalliferi
25 Industrie chimiche
26 Prod. fibre artif. e sintetiche

BIBLIOGRAFIA
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