§ DOTTRINA ECONOMICA E XX SECOLO

II confronto sull'"accelerazione" e sul "moltiplicatore"




Gennaro Pistolese



Nello studio della dinamica economica, che rappresenta il motivo conduttore e finalistico della ricerca quali ne siano state e ne siano le angolazioni anche cronologiche, due ottiche e teorie hanno riassunto le più valide impostazioni ed elaborazioni, e cioè quella riguardante l'accelerazione e l'altra concernente il moltiplicatore.
Agli studi rientranti nella prima tematica ha dato un contributo significativo Aftalion, che ha posto la premessa sulla quale si sono fondati i successivi approfondimenti, dovuti a J. Maurice Clark, Gottfried vari Waberler, Simon Kuznets, Wesely C. Mitchell e R.F. Harrod.
In sostanza il pensiero di Aftalion, avente a riferimento le motivazioni delle crisi, si riassume nell'affermazione che ogni aumento della domanda di beni di consumo comincia con il provocare un aumento più che proporzionale della produzione dei beni strumentali. La produzione supplementare dei beni di consumo domandati verrebbe effettuata in seguito e spesso in eccesso. La conseguenza sarebbe che la legge della economia è lo squilibrio con l'alternarsi di periodi di deficit e di periodi di sovrapproduzione.
Fin qui l'analisi, con l'assolutismo, naturalmente discutibile, delle enunciazioni che rivela.
Quanto invece allo sbocco di questo pensiero, messo in evidenza da Claudio Napoleoni nel "Pensiero economico del 900" esso sottolinea che se si vuole che l'accumulazione di capitale proceda ad un ritmo maggiore del ritmo di aumento delle forze lavoro, come è necessario che accada per colmare il sempre crescente divario fra reddito e consumo, se si vuole cioè che nella produzione vi siano combinazioni di capitale e di lavoro nelle quali il primo divenga relativamente sempre più abbondante, è necessario che abbia luogo un adeguato progresso tecnologico, in mancanza del quale le possibilità di sostituire il capitale al lavoro sono inevitabilmente limitate.
I successivi contributi teorici, facendo sempre perno su I l'accelerazione, ne hanno determinati ed approfonditi i complessi elementi di fondo, definendone i legami con l'ammortamento del capitale e puntualizzandone le applicazioni anche nelle teorie sui cicli. Le principali conclusioni intervenute al riguardo evidenziano che se il coefficiente di accelerazione è molto elevato ne possono derivare risultati addirittura esplosivi e che pure se esso è moderato può generare eccessi con connessi pericoli di improvvise inversioni di tendenza. Da ciò ineluttabilmente discende la conseguenza del carattere oscillatorio proprio dell'economia, che poi non è altro che lo sbocco obbligato di ogni manifestazione di vita e delle analisi che vogliano circostanziarla.
Particolarmente indicativo a questo riguardo è quanto scrive H. Guitton: "Il principio di accelerazione esiste. Come Samuelson con un certo senso di humour dice, esso dà l'impressione che noi cavalchiamo una tigre. Per usare un'altra espressione, esso è una lama a doppio taglio. Esso amplifica i fenomeni sia quando la tendenza è verso l'alto che quando è verso il basso. Crea nel sistema una certa instabilità, anche qualora ogni uomo d'affari agisca nel modo più razionale del mondo ed impedisce che il cammino della macchina economica sia regolare. Esso è un principio inevitabile di amplificazione dei fenomeni. Seguendo ancora Samuelson, si dirà che esso trasforma il sistema economico in una barca senza timone. Per ottenere un dato risultato nello sviluppo dei beni di consumo esso esige un movimento a scatti amplificati della produzione e degli investimenti".
L'economia sarebbe pertanto in bilico fra prosperità e depressione, su cui lo stesso Samuelson indugia in molti suoi studi, riassunti nella sua "Economics an Introductory Analysis". Fra l'altro egli afferma che le condizioni commerciali non sono mai costanti; che la prosperità è seguita dal panico o da un crollo; che reddito nazionale, occupazione e produzione diminuiscono, che i profitti ed i prezzi diminuiscono pure ed i lavoratori vengono licenziati; che infine si tocca il fondo e si inizia la ripresa. Questa può essere lenta o rapida; può essere incompleta o vivace da condurre ad una nuova prosperità. A sua volta la nuova prosperità può rappresentare un lungo periodo di domanda sostenuta, di lavoro a volontà, di prezzi alti e di un crescente livello di vita. Oppure può rappresentare un rapido scintillio inflazionistico dei prezzi e della speculazione, o essere seguita da un'altra disastrosa depressione. Sempre secondo Samuelson, tale èil cosiddetto ciclo economico, caratteristico delle nazioni industriali del mondo nell'ultimo secolo e mezzo; almeno da quando una complessa economia monetaria interdipendente incominciò a sostituirsi alla società precommerciale, relativamente autosufficiente.

Il principio di accelerazione
Ma ritornando più direttamente al principio di accelerazione, è da notare che vari studiosi ne hanno ulteriormente approfonditi e condizionati i termini di contenuti e di efficacia. In sostanza se ne condivide la credibilità, ma se ne sottolinea anche la variabilità, e fra l'altro l'impossibilità di ogni verifica statistica. Taluni studiosi pertanto, e fra questi Jan Timbergen, hanno costruito la loro teoria delle fluttuazioni, prescindendo dal principio della accelerazione. E' sopravvenuto, come si è ricordato in precedenti nostre notazioni, il principio del moltiplicatore. Questo è il coefficiente che bisogna dare all'aumento della variabile indipendente per conoscere l'aumento della variabile dipendente.
Fa spicco in questa evoluzione del pensiero economico l'apporto di Keynes, secondo il quale esiste un moltiplicatore degli investimenti, in quanto ogni investimento addizionale tende a provocare mediante un alternarsi di nuove rispendite di reddito, un aumento più che proporzionale del reddito globale. Ne consegue un moltiplicatore dipendente dalla propensione marginale al consumo.
Intorno a questi due fattori, acceleratore e moltiplicatore, le analisi hanno proceduto con particolare intensità pure in questi ultimi anni, con i distinguo e le limitazioni insiti nelle particolari angolazioni adottate o ipotizzate, ed anche con il tentativo di sintesi in un solo insieme teorico delle due nozioni.
Anche alla luce di questi sbocchi di fusione fra le due nozioni il pensiero economico deve qualcosa alle prese di posizione assunte da Samuelson, fra l'altro con lo studio "Interactions between Multiplier Analysis and the Principles of Acceleration". In detto studio la sintesi è diretta a mostrare che il progresso economico implica, secondo i casi, sia dei processi di espansione o di recessione, sia delle oscillazioni, che a volte tendono a smorzarsi, a volte ad amplificarsi spontaneamente. Samuelson tuttavia non si impegna sulla valutazione delle probabilità, limitandosi a considerare la possibilità.
Anche Guitton ha proceduto ad una sintesi delle due teorie, analizzandone le possibili combinazioni ed attribuendole all'unitarietà della forza che esse esprimono. Nondimeno anch'egli rifugge da ogni tassatività di conclusione, in quanto "in economia non si può fissare una volta per tutte l'elemento determinante".
A queste teorie, che mantengono intatte le loro validità di principi, ma alle quali si imputano spesso anche le insufficienze proprie di tutte le impostazioni troppo meccanicistiche, si è chiesto e tuttora si chiede una maggiore ispirazione anche di ordine psicologico della influenza che le diverse variabili economiche esercitano le une sulle altre.
In sostanza, massima vigenza delle valutazioni obiettive, ma anche adeguata e non marginale valenza delle spiegazioni psicologiche della fenomenologia e della problematico dell'economia. E questo è un richiamo che sistemi e società rivolgono alla scienza, quale ne sia il campo di applicazione, e di cui la politica spesso si attribuisce la titolarità esclusiva, nella carenza o nel l'inadeguatezza dei punti di riferimento forniti con questa ispirazione più profondamente umana dalla ricerca scientifica e dottrinaria. E qui si parla di una nuova dimensione della cultura.

Le fluttuazioni nell'attività economica
Un filone di confluenza di queste sistematiche e della loro dinamica è costituito dallo studio delle fluttuazioni nell'attività economica. I primi impatti teorici su questa materia risalgono alla prima metà del secolo XIX, avendo a propria diretta motivazione l'alternarsi di periodi di prosperità e di ristagno che si susseguirono in quella fase storica. Da Sismondi ad Juglar molti sono gli economisti che cominciarono a cimentarsi su questa tematica, con saggi che mantengono anche se in parte la loro validità di impostazioni e di conclusioni.
In particolare è a Juglar che si attribuisce il ruolo di principale teorico classico delle crisi economiche, presentate come fenomeni di deflazione, indotta dal fatto che dopo periodi di espansione del credito che determinavano crescite dei prezzi e l'apertura artificiosa di larghi sbocchi, le banche restringono il credito. Ne deriva allora una crisi, che riconduce il mercato alla normalità, provocando abbassamento di prezzi e scomparsa delle imprese nate in vista dell'ampliamento artificioso di detti sbocchi.
Senonché alcuni critici non hanno mancato di osservare che le banche non svolgono il ruolo così disegnato, dato che esse più che provocare le richieste del credito rispondono ad esse.
Va peraltro osservato che quanto non si può attribuire alle banche discende dagli indirizzi della politica creditizia adottati dalle autorità monetarie e che sono quanto mai incisivi nelle strategie economiche e finanziarie di oggi.
Comunque il pensiero economico maturato al riguardo durante il secolo scorso, pur essendo giusto ad espressioni tutt'altro che definitive è tuttavia valso a stabilire dei punti fermi, dai quali hanno preso le mosse le successive elaborazioni. E cioè:
- definizione del concetto di ciclo.
- affermazione che gli squilibri non si riassorbono immediatamente.
- le motivazioni del concetto di crisi addebitabile ad un eccesso di prosperità cui succede un eccesso di depressione.
- rilevanza della politica monetaria nel determinarsi delle crisi.

Tre tipi di variazioni economiche
La dinamica del pensiero economico su questa problematica è stata particolarmente sensibile sin dagli albori di questo secolo e nella prima parte di esso ha avuto vari campioni. Fra questi fanno spicco Aftalion e Lescure.
I punti culminanti di questi approfondimenti sono costituiti dalla determinazione di tre tipi di variazioni economiche, e precisamente:
1 ) Movimenti di lunghissima durata, definiti a volte "movimenti di Kondratieff". Tali movimenti con riferimento alla prima crisi mondiale sono stati approfonditi da Simiand che ha affermato l'esistenza di larghe ondate di aumento, poi di diminuzione dei prezzi, ciascuna delle quali si svolge in un periodo di venti-venticinque anni.
2) Fluttuazioni dette cicliche o cicli di Juglar, approssimativamente decennali.
3) Fluttuazioni più corte, spesso chiamate fluttuazioni di Kitchin. Ma oltre queste ripartizioni, troppo tassative e solo modulo a posteriori nelle verifiche dei mutamenti delle congiunture, il punto focale di queste ricerche è costituito dal tentativo di previsione e di prevenzione nei casi necessari e possibili delle tendenze congiunturali, legate all'ampiezza ed al ritmo delle fluttuazioni cicliche.
Tuttavia molti studi più che fornire spiegazioni teoriche hanno dato corpo a considerazioni descrittive di determinati momenti economici.
Fra gli altri, due autori si sono principalmente distinti in questa materia ed in questo momento dottrinario.
Il primo è W.C. Mitchell, cui si è affiancato il contributo del suo collaboratore Arthur Burns, ed al quale si devono gli studi: "Business Cycles" - Berkeley 1913 -, nonché "Business Cycles the Problem and its Setting", National Bureau of Economic Research, New York 1927. Egli ha creduto a fluttuazioni mediante decennali, come movimenti dei prezzi in cui una spinta eccessiva verso l'alto tende a provocare ad un certo momento una caduta, e la ripresa nasce da un livello troppo basso. Commenta Emile James nella sua "Storia del pensiero economico" che Mitchell pensava che alla fine del boom i costi sono relativamente più elevati dei prezzi, così che allora il profitto realizzato su ciascuna unità venduta è ridotto, mentre il profitto globale aumenta ancora. Sempre secondo Mitchell questo abbassamento del profitto unitario tendeva a mettere in moto la crisi.
Crisi periodiche a distanza più ravvicinata, e cioè presso a poco ogni 4 anni, sono state prese in considerazione sempre da Mitchell, fondandosi su di una documentazione statistica, che tuttavia solo in parte può essere portatrice di conclusioni previsionali, dato che nelle ipotesi avvenire contano più che le sequenze numeriche le combinazioni delle condizioni di fondo ed i loro possibili mutamenti.
Il secondo importante studioso di questa problematico è J.A. Schumpeter. la sua opera "Business Cycles" è fondamentale. Ma fondamentali sono anche la sua "Teoria dello sviluppo economico" (1912), "Capitalismo, socialismo e democrazia" (1942), la sua "Storia dell'analisi economica", pubblicata postuma nel 1954.
Ma restando nella tematica delle fluttuazioni e dei cicli è da notare che lo Schumpeter ha motivato le riprese quale effetto delle innovazioni e delle accelerazioni della loro propagazione. Egli ritiene che il fenomeno dei rendimenti crescenti, qualora si prescinda dall'indivisibilità presente in certi fattori produttivi, è essenzialmente legato alle innovazioni e quindi al passaggio da una condizione tecnologica ad un'altra: il che giustificherebbe l'ipotesi di rendimenti non crescenti nell'ambito di una tecnologia data.
Su questo sfondo, quando credito e speculazione provocano un troppo forte aumento dei prezzi, i costi si innalzano più presto dei prezzi, inducendo uno scoraggiamento degli operatori, una diminuzione ed arresto degli investimenti in forza della diminuzione dei profitti per unità venduta: tutti fattori questi generatori di crisi.
La crisi non è il diavolo per Schumpeter commenta qualcuno. Perché essa può anche tradursi in una distruzione creatrice delle ditte peggio attrezzate, in una specie di socializzazione del prodotto della economia mediante la riduzione dei. prezzi, nell'avvio ad una condizione di normalità o per lo meno di minore distanza da uno stato di equilibrio. In altre parole, il ciclo è da lui considerato come processo attraverso il quale il capitalismo poteva e può realizzare la sua missione di progresso tecnico ed economico.
In tutto ciò vi è del vero, come vi è del discutibile.
Rientra in questa discutibilità quanto egli afferma in materia di rapporti fra prezzi e crisi, che colpendo singoli settori può tradursi in riduzioni, ma riguardando tutto il sistema origina generali tensioni e squilibri, non certo conformi all'obiettivo della ripresa.

Nuovi approfondimenti
Ulteriori passi innanzi in questa evoluzione del pensiero sono stati compiuti da altri studiosi, che frequentemente ed opportunamente hanno concentrato i loro sforzi più che sulla descrizione dei fenomeni sulla loro causale e sulle loro concatenazioni logiche. Naturalmente anche qui non mancano classificazioni più o meno apodittiche, che sono più di approccio ad una tematica che non svolgimento di essa. I cardini sono sempre le nozioni teoriche di moltiplicatore e di acceleratore, che fin qui abbiamo richiamate.
Fra gli altri fa spicco Roy F. Harrod, con il sui "Trade Cycle", nel quale sono classificati i fattori determinanti del livello di attività in un'economia capitalista. Fra questi livelli sono il tasso di remunerazione dei fattori della produzione, nonché la politica monetaria che avrebbe un ruolo nettamente destabilizzatore. Come si vede, l'angolazione monetaria è sempre in primo piano ed è posta in sempre maggiore evidenza come leva imprescindibile, ma con valutazioni che nel pro e nel contro divergono e tanto più divergono dalla realtà economica, in forza della conformità o meno dei momenti e della misura e dei modi di intervento. E questo è il grosso limite del ruolo della politica monetaria e creditizia, che non potrà mai essere strumento esclusivo ma complementare di ogni strategia diretta all'equilibrio.
Nella dinamica delle fluttuazioni un peso rilevante ha il livello degli investimenti. Questo si realizza sotto la spinta di una serie di fattori, variamente determinanti, ma tutti parimenti imprescindibili. Harrod ne traccia una sintesi, richiamandosi soprattutto ai seguenti elementi:
- evoluzione della propensione marginale al consumo.
- elasticità dei profitti in rapporto ai mutamenti del volume della produzione.
- evoluzione dell'ammontare del capitale necessario alla produzione di ogni unità singola.
Premesso che moltiplicatore ed acceleratore entrando in relazione amplificano le fluttuazioni, Harrod nondimeno ritiene che la propensione marginale a consumare, poiché decresce via via che il reddito aumenta, fa compiere al moltiplicatore che essa eleva un ruolo stabilizzatore. Essa limita pertanto le amplificazioni verso l'aumento. Lo stesso dicasi per l'elasticità dei profitti.
In sostanza secondo questo pensiero, ogni sistema economico ha un carattere oscillatorio ed in particolare l'economia capitalista risponde a forti fattori destabilizzatori. Fattori che tuttavia sono suscettibili di correzione nell'ambito dello stesso sistema capitalistico, sulla base di una condotta politica che sia riequilibratrice rispetto alle fasi di boom ed a quelle di depressione.
Siffatta strategia è esercitabile mediante rimedi monetari ed interventi di condotta economica, dei quali l'Harrod sottolinea il carattere complementare nella contemperanza e nella contemporaneità di misure e di indirizzi.
Circa i contenuti degli interventi monetari, essi sono indicati nelle forme ricorrenti di aumento del tasso di interesse in caso di espansione, di diminuzione in caso di depressione, di acquisti o vendite di titoli sul mercato aperto. E questa è la manovra che è in atto nelle varie condotte economiche e finanziarie con una intensità alla quale ci hanno abituato anche le cronache di questa fase della congiuntura mondiale e che ha trovato riscontri tanto frequenti nel corso di questi ultimi mesi. Un'altra leva raccomandata da Harrod in funzione di riequilibrio e di incentivazione dei circuiti economici è quella del ricorso ad una politica dei lavori pubblici per superare o attenuare le situazioni di crisi. Secondo Harrod tale politica dovrebbe essere condotta da un'amministrazione speciale, atta ad intensificare i ritmi degli interventi come a meglio puntualizzarne le incidenze. E questa una strumentazione che è stata largamente sperimentata nel corso di questo secolo, allineando risultati ora positivi, ora meno positivi, a seconda dei campi di applicazione, delle proporzioni assunte dai vari interventi, dal grado di coordinamento con gli altri mezzi ed aspetti dello sviluppo. Per quanto in particolare concerne il nostro Paese siamo in una fase critica e di aggiustamento di questi interventi, con le migliori messe a punto nel campo delle infrastrutture e delle localizzazioni interessanti il Mezzogiorno.
Un altro contributo notevole a questa tematica porta il nome di J.R. Hichs, fra l'altro con il suo "Trade Cycle" che segue al suo "Value and Capital" in una visione più dinamica della fenomenologia presa in esame.
Il pensiero di quest'economista si inquadra in quella scuola che si è definita "nuova economia del benessere" e nella quale sono confluiti gli apporti di una larga schiera di economisti: dallo stesso Hichs a Lerner, Kaldor, Little in Inghilterra, a Hotelling, Bergson, Lange, Samuelson, Arrow, Debreu negli USA, a Maurice Allais in Francia.
Due sono fra gli altri i caratteri distintivi di questa scuola.
Il primo riguarda l'affermazione che perché una configurazione possa essere definita migliore di un'altra non è indispensabile che nel passaggio dalla prima alla seconda non vi sia un peggioramento per nessuno, ma basta che coloro che hanno migliorato abbiano risorse addizionali sufficienti per indennizzare coloro che hanno peggiorato.
Il secondo principio si riassume nel l'affermazione che ogni configurazione ottima può essere pensata solo come una configurazione concorrenziale.
Ma ritornando alla tematica dello sviluppo o ristagno l'apporto di Hichs si sostanzia in una serie di ragionamenti, che denunciano questa serie di sequenze. E cioè:
- un iniziale ciclo che cresce regolarmente e nel quale gli investimenti, il reddito ed i risparmi progrediscono parallelamente. E questo è uno stato ideale del quadro economico che molto raramente nella realtà si avvicina a questo modello. Anche nelle fasi migliori non mancano le disarmonie e gli squilibri, che la media certamente non riassorbe, ma frequentemente è tale da provocare disattenzione.
- la sopravvenienza di uno sviluppo autonomo del l'investimento (Utilizzazione di una scoperta tecnica o azione dello Stato).
- l'entrata in funzione del moltiplicatore, generatore di nuovi redditi e perciò causa di crescita progressiva del reddito globale con una espansione della domanda di beni di consumo e per il principio della accelerazione di una crescita della domanda di nuovi investimenti indotti.
- una situazione di boom derivante dall'azione congiunta del moltiplicatore e del principio di accelerazione e che può anche svilupparsi allorché la causa iniziale si è arrestata.
Ma sia l'espansione che la depressione hanno limiti obiettivi di durata e persistenza.
E ciò perché la prima finisce con l'incontrare un ostacolo preclusivo, in quanto la produzione di merci reali non può accrescersi indefinitamente, il rendimento degli investimenti tende ad essere decrescente, i costi lievitano, si raccorciano le distanze dalla piena utilizzazione delle risorse per cui l'espansione diventa tecnicamente impossibile e ad essa si sostituisce l'inflazione. E questa è la lezione che le politiche economiche d'oggi cercano di tenere presente il più possibile, salvo a non sempre tempestivamente ed adeguatamente tenere conto degli insegnamenti e degli ammonimenti.
A sua volta anche la depressione non può essere illimitata, in quanto incontra anch'essa un ostacolo, che è il mantenimento di un certo livello di investimento autonomo, che resta creatore di reddito e con ciò assicura il mantenimento di un minimo di attività, punto di partenza di un rimbalzo che si avrà al primo sviluppo più o meno fuori dall'ordinario dell'investimento autonomo.
In sostanza, il punto di partenza sarebbe un supplemento di investimenti autonomi, il boom e la depressione sono in relazione con la dinamica degli investimenti indotti, ed i cardini sono costituiti per l'espansione dai limiti nella capacità tecnica delle attrezzature e per la depressione nel livello di investimenti autonomi normali. Tutto il pensiero economico di questo secolo e quello immediato dei nostri giorni si affatica su questa logica e sulla misurazione dei possibili effetti, nello sforzo di determinazione del momento e delle condizioni di passaggio, da una fase all'altra della congiuntura.

La possibile determinazione dei cicli
Lo sforzo si dirige così alla possibile determinazione dei cicli, intorno alla quale si pone, irrisolto, l'interrogativo se esistono o meno fluttuazioni regolarmente periodiche dell'attività o dei prezzi. La realtà è che le crisi del secolo XX non si sono verificate così regolarmente come quelle del secolo scorso; che alcune crisi non hanno colpito tutti i Paesi industriali; che altre si sono prodotte in certi Paesi con anni di ritardo. La conseguenza è che le leggi economiche non hanno una validità uniforme, ma si atteggiano agli ambienti ed ai momenti, dovendo registrare spesso attriti ed eccezioni che non annullano certo la regola ma la indeboliscono e rendono precaria.
A questa luce Johan Acherman ha preferito non distinguere troppo nettamente le fluttuazioni cicliche dalle altre ed ha presentato le crisi o le riprese come fenomeni innestati su altri economici o politici. E sempre a questa luce Leon Dupriez ha parlato di movimenti economici generali piuttosto che di cicli, mentre Henr Guitton ha detto che le fluttuazioni sono ricorrenti e non cicliche né periodiche. E questa ci pare la conclusione più convincente e sperimentata, perché l'economia risponde a certe premesse che sono immutabili, ma non sono sempre prevedibili nei momenti e nella misura della loro operatività.
L'organismo economico è in sostanza come l'organismo umano. Ha bisogno di costanti verifiche, perché le condizioni di sviluppo e di crescita siano salvaguardate e quelle di crisi o di malessere siano allontanate. Tutte le politiche economiche sono ispirate da questo assillo, al cui superamento la scienza dà il suo apporto, ma la strategia politica - e non bastano, come si sa, solo quelle nazionali - deve assicurare la sua esperta e decisa partecipazione.
L'obiettivo è quello di conseguire un optimum concernente l'attenuazione dei minimi e dei massimi e quindi di equilibrare al meglio livelli di attività e prezzi. Queste scelte così orientate e così sollecitate hanno evitato in questo secondo dopoguerra che le recessioni degenerassero in crisi molto gravi. E questo è un risultato che più che attribuire a questa o a quella scuola del pensiero economico va riconosciuta al maggiore rispetto delle leggi economiche che si viene diffondendo nelle coscienze civili. Primo punto di partenza per il progresso.


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