Nello
studio della dinamica economica, che rappresenta il motivo conduttore
e finalistico della ricerca quali ne siano state e ne siano le angolazioni
anche cronologiche, due ottiche e teorie hanno riassunto le più
valide impostazioni ed elaborazioni, e cioè quella riguardante
l'accelerazione e l'altra concernente il moltiplicatore.
Agli studi rientranti nella prima tematica ha dato un contributo significativo
Aftalion, che ha posto la premessa sulla quale si sono fondati i successivi
approfondimenti, dovuti a J. Maurice Clark, Gottfried vari Waberler,
Simon Kuznets, Wesely C. Mitchell e R.F. Harrod.
In sostanza il pensiero di Aftalion, avente a riferimento le motivazioni
delle crisi, si riassume nell'affermazione che ogni aumento della domanda
di beni di consumo comincia con il provocare un aumento più che
proporzionale della produzione dei beni strumentali. La produzione supplementare
dei beni di consumo domandati verrebbe effettuata in seguito e spesso
in eccesso. La conseguenza sarebbe che la legge della economia è
lo squilibrio con l'alternarsi di periodi di deficit e di periodi di
sovrapproduzione.
Fin qui l'analisi, con l'assolutismo, naturalmente discutibile, delle
enunciazioni che rivela.
Quanto invece allo sbocco di questo pensiero, messo in evidenza da Claudio
Napoleoni nel "Pensiero economico del 900" esso sottolinea
che se si vuole che l'accumulazione di capitale proceda ad un ritmo
maggiore del ritmo di aumento delle forze lavoro, come è necessario
che accada per colmare il sempre crescente divario fra reddito e consumo,
se si vuole cioè che nella produzione vi siano combinazioni di
capitale e di lavoro nelle quali il primo divenga relativamente sempre
più abbondante, è necessario che abbia luogo un adeguato
progresso tecnologico, in mancanza del quale le possibilità di
sostituire il capitale al lavoro sono inevitabilmente limitate.
I successivi contributi teorici, facendo sempre perno su I l'accelerazione,
ne hanno determinati ed approfonditi i complessi elementi di fondo,
definendone i legami con l'ammortamento del capitale e puntualizzandone
le applicazioni anche nelle teorie sui cicli. Le principali conclusioni
intervenute al riguardo evidenziano che se il coefficiente di accelerazione
è molto elevato ne possono derivare risultati addirittura esplosivi
e che pure se esso è moderato può generare eccessi con
connessi pericoli di improvvise inversioni di tendenza. Da ciò
ineluttabilmente discende la conseguenza del carattere oscillatorio
proprio dell'economia, che poi non è altro che lo sbocco obbligato
di ogni manifestazione di vita e delle analisi che vogliano circostanziarla.
Particolarmente indicativo a questo riguardo è quanto scrive
H. Guitton: "Il principio di accelerazione esiste. Come Samuelson
con un certo senso di humour dice, esso dà l'impressione che
noi cavalchiamo una tigre. Per usare un'altra espressione, esso è
una lama a doppio taglio. Esso amplifica i fenomeni sia quando la tendenza
è verso l'alto che quando è verso il basso. Crea nel sistema
una certa instabilità, anche qualora ogni uomo d'affari agisca
nel modo più razionale del mondo ed impedisce che il cammino
della macchina economica sia regolare. Esso è un principio inevitabile
di amplificazione dei fenomeni. Seguendo ancora Samuelson, si dirà
che esso trasforma il sistema economico in una barca senza timone. Per
ottenere un dato risultato nello sviluppo dei beni di consumo esso esige
un movimento a scatti amplificati della produzione e degli investimenti".
L'economia sarebbe pertanto in bilico fra prosperità e depressione,
su cui lo stesso Samuelson indugia in molti suoi studi, riassunti nella
sua "Economics an Introductory Analysis". Fra l'altro egli
afferma che le condizioni commerciali non sono mai costanti; che la
prosperità è seguita dal panico o da un crollo; che reddito
nazionale, occupazione e produzione diminuiscono, che i profitti ed
i prezzi diminuiscono pure ed i lavoratori vengono licenziati; che infine
si tocca il fondo e si inizia la ripresa. Questa può essere lenta
o rapida; può essere incompleta o vivace da condurre ad una nuova
prosperità. A sua volta la nuova prosperità può
rappresentare un lungo periodo di domanda sostenuta, di lavoro a volontà,
di prezzi alti e di un crescente livello di vita. Oppure può
rappresentare un rapido scintillio inflazionistico dei prezzi e della
speculazione, o essere seguita da un'altra disastrosa depressione. Sempre
secondo Samuelson, tale èil cosiddetto ciclo economico, caratteristico
delle nazioni industriali del mondo nell'ultimo secolo e mezzo; almeno
da quando una complessa economia monetaria interdipendente incominciò
a sostituirsi alla società precommerciale, relativamente autosufficiente.
Il principio
di accelerazione
Ma ritornando più direttamente al principio di accelerazione,
è da notare che vari studiosi ne hanno ulteriormente approfonditi
e condizionati i termini di contenuti e di efficacia. In sostanza
se ne condivide la credibilità, ma se ne sottolinea anche la
variabilità, e fra l'altro l'impossibilità di ogni verifica
statistica. Taluni studiosi pertanto, e fra questi Jan Timbergen,
hanno costruito la loro teoria delle fluttuazioni, prescindendo dal
principio della accelerazione. E' sopravvenuto, come si è ricordato
in precedenti nostre notazioni, il principio del moltiplicatore. Questo
è il coefficiente che bisogna dare all'aumento della variabile
indipendente per conoscere l'aumento della variabile dipendente.
Fa spicco in questa evoluzione del pensiero economico l'apporto di
Keynes, secondo il quale esiste un moltiplicatore degli investimenti,
in quanto ogni investimento addizionale tende a provocare mediante
un alternarsi di nuove rispendite di reddito, un aumento più
che proporzionale del reddito globale. Ne consegue un moltiplicatore
dipendente dalla propensione marginale al consumo.
Intorno a questi due fattori, acceleratore e moltiplicatore, le analisi
hanno proceduto con particolare intensità pure in questi ultimi
anni, con i distinguo e le limitazioni insiti nelle particolari angolazioni
adottate o ipotizzate, ed anche con il tentativo di sintesi in un
solo insieme teorico delle due nozioni.
Anche alla luce di questi sbocchi di fusione fra le due nozioni il
pensiero economico deve qualcosa alle prese di posizione assunte da
Samuelson, fra l'altro con lo studio "Interactions between Multiplier
Analysis and the Principles of Acceleration". In detto studio
la sintesi è diretta a mostrare che il progresso economico
implica, secondo i casi, sia dei processi di espansione o di recessione,
sia delle oscillazioni, che a volte tendono a smorzarsi, a volte ad
amplificarsi spontaneamente. Samuelson tuttavia non si impegna sulla
valutazione delle probabilità, limitandosi a considerare la
possibilità.
Anche Guitton ha proceduto ad una sintesi delle due teorie, analizzandone
le possibili combinazioni ed attribuendole all'unitarietà della
forza che esse esprimono. Nondimeno anch'egli rifugge da ogni tassatività
di conclusione, in quanto "in economia non si può fissare
una volta per tutte l'elemento determinante".
A queste teorie, che mantengono intatte le loro validità di
principi, ma alle quali si imputano spesso anche le insufficienze
proprie di tutte le impostazioni troppo meccanicistiche, si è
chiesto e tuttora si chiede una maggiore ispirazione anche di ordine
psicologico della influenza che le diverse variabili economiche esercitano
le une sulle altre.
In sostanza, massima vigenza delle valutazioni obiettive, ma anche
adeguata e non marginale valenza delle spiegazioni psicologiche della
fenomenologia e della problematico dell'economia. E questo è
un richiamo che sistemi e società rivolgono alla scienza, quale
ne sia il campo di applicazione, e di cui la politica spesso si attribuisce
la titolarità esclusiva, nella carenza o nel l'inadeguatezza
dei punti di riferimento forniti con questa ispirazione più
profondamente umana dalla ricerca scientifica e dottrinaria. E qui
si parla di una nuova dimensione della cultura.
Le fluttuazioni
nell'attività economica
Un filone di confluenza di queste sistematiche e della loro dinamica
è costituito dallo studio delle fluttuazioni nell'attività
economica. I primi impatti teorici su questa materia risalgono alla
prima metà del secolo XIX, avendo a propria diretta motivazione
l'alternarsi di periodi di prosperità e di ristagno che si
susseguirono in quella fase storica. Da Sismondi ad Juglar molti sono
gli economisti che cominciarono a cimentarsi su questa tematica, con
saggi che mantengono anche se in parte la loro validità di
impostazioni e di conclusioni.
In particolare è a Juglar che si attribuisce il ruolo di principale
teorico classico delle crisi economiche, presentate come fenomeni
di deflazione, indotta dal fatto che dopo periodi di espansione del
credito che determinavano crescite dei prezzi e l'apertura artificiosa
di larghi sbocchi, le banche restringono il credito. Ne deriva allora
una crisi, che riconduce il mercato alla normalità, provocando
abbassamento di prezzi e scomparsa delle imprese nate in vista dell'ampliamento
artificioso di detti sbocchi.
Senonché alcuni critici non hanno mancato di osservare che
le banche non svolgono il ruolo così disegnato, dato che esse
più che provocare le richieste del credito rispondono ad esse.
Va peraltro osservato che quanto non si può attribuire alle
banche discende dagli indirizzi della politica creditizia adottati
dalle autorità monetarie e che sono quanto mai incisivi nelle
strategie economiche e finanziarie di oggi.
Comunque il pensiero economico maturato al riguardo durante il secolo
scorso, pur essendo giusto ad espressioni tutt'altro che definitive
è tuttavia valso a stabilire dei punti fermi, dai quali hanno
preso le mosse le successive elaborazioni. E cioè:
- definizione del concetto di ciclo.
- affermazione che gli squilibri non si riassorbono immediatamente.
- le motivazioni del concetto di crisi addebitabile ad un eccesso
di prosperità cui succede un eccesso di depressione.
- rilevanza della politica monetaria nel determinarsi delle crisi.
Tre tipi di
variazioni economiche
La dinamica del pensiero economico su questa problematica è
stata particolarmente sensibile sin dagli albori di questo secolo
e nella prima parte di esso ha avuto vari campioni. Fra questi fanno
spicco Aftalion e Lescure.
I punti culminanti di questi approfondimenti sono costituiti dalla
determinazione di tre tipi di variazioni economiche, e precisamente:
1 ) Movimenti di lunghissima durata, definiti a volte "movimenti
di Kondratieff". Tali movimenti con riferimento alla prima crisi
mondiale sono stati approfonditi da Simiand che ha affermato l'esistenza
di larghe ondate di aumento, poi di diminuzione dei prezzi, ciascuna
delle quali si svolge in un periodo di venti-venticinque anni.
2) Fluttuazioni dette cicliche o cicli di Juglar, approssimativamente
decennali.
3) Fluttuazioni più corte, spesso chiamate fluttuazioni di
Kitchin. Ma oltre queste ripartizioni, troppo tassative e solo modulo
a posteriori nelle verifiche dei mutamenti delle congiunture, il punto
focale di queste ricerche è costituito dal tentativo di previsione
e di prevenzione nei casi necessari e possibili delle tendenze congiunturali,
legate all'ampiezza ed al ritmo delle fluttuazioni cicliche.
Tuttavia molti studi più che fornire spiegazioni teoriche hanno
dato corpo a considerazioni descrittive di determinati momenti economici.
Fra gli altri, due autori si sono principalmente distinti in questa
materia ed in questo momento dottrinario.
Il primo è W.C. Mitchell, cui si è affiancato il contributo
del suo collaboratore Arthur Burns, ed al quale si devono gli studi:
"Business Cycles" - Berkeley 1913 -, nonché "Business
Cycles the Problem and its Setting", National Bureau of Economic
Research, New York 1927. Egli ha creduto a fluttuazioni mediante decennali,
come movimenti dei prezzi in cui una spinta eccessiva verso l'alto
tende a provocare ad un certo momento una caduta, e la ripresa nasce
da un livello troppo basso. Commenta Emile James nella sua "Storia
del pensiero economico" che Mitchell pensava che alla fine del
boom i costi sono relativamente più elevati dei prezzi, così
che allora il profitto realizzato su ciascuna unità venduta
è ridotto, mentre il profitto globale aumenta ancora. Sempre
secondo Mitchell questo abbassamento del profitto unitario tendeva
a mettere in moto la crisi.
Crisi periodiche a distanza più ravvicinata, e cioè
presso a poco ogni 4 anni, sono state prese in considerazione sempre
da Mitchell, fondandosi su di una documentazione statistica, che tuttavia
solo in parte può essere portatrice di conclusioni previsionali,
dato che nelle ipotesi avvenire contano più che le sequenze
numeriche le combinazioni delle condizioni di fondo ed i loro possibili
mutamenti.
Il secondo importante studioso di questa problematico è J.A.
Schumpeter. la sua opera "Business Cycles" è fondamentale.
Ma fondamentali sono anche la sua "Teoria dello sviluppo economico"
(1912), "Capitalismo, socialismo e democrazia" (1942), la
sua "Storia dell'analisi economica", pubblicata postuma
nel 1954.
Ma restando nella tematica delle fluttuazioni e dei cicli è
da notare che lo Schumpeter ha motivato le riprese quale effetto delle
innovazioni e delle accelerazioni della loro propagazione. Egli ritiene
che il fenomeno dei rendimenti crescenti, qualora si prescinda dall'indivisibilità
presente in certi fattori produttivi, è essenzialmente legato
alle innovazioni e quindi al passaggio da una condizione tecnologica
ad un'altra: il che giustificherebbe l'ipotesi di rendimenti non crescenti
nell'ambito di una tecnologia data.
Su questo sfondo, quando credito e speculazione provocano un troppo
forte aumento dei prezzi, i costi si innalzano più presto dei
prezzi, inducendo uno scoraggiamento degli operatori, una diminuzione
ed arresto degli investimenti in forza della diminuzione dei profitti
per unità venduta: tutti fattori questi generatori di crisi.
La crisi non è il diavolo per Schumpeter commenta qualcuno.
Perché essa può anche tradursi in una distruzione creatrice
delle ditte peggio attrezzate, in una specie di socializzazione del
prodotto della economia mediante la riduzione dei. prezzi, nell'avvio
ad una condizione di normalità o per lo meno di minore distanza
da uno stato di equilibrio. In altre parole, il ciclo è da
lui considerato come processo attraverso il quale il capitalismo poteva
e può realizzare la sua missione di progresso tecnico ed economico.
In tutto ciò vi è del vero, come vi è del discutibile.
Rientra in questa discutibilità quanto egli afferma in materia
di rapporti fra prezzi e crisi, che colpendo singoli settori può
tradursi in riduzioni, ma riguardando tutto il sistema origina generali
tensioni e squilibri, non certo conformi all'obiettivo della ripresa.
Nuovi approfondimenti
Ulteriori passi innanzi in questa evoluzione del pensiero sono stati
compiuti da altri studiosi, che frequentemente ed opportunamente hanno
concentrato i loro sforzi più che sulla descrizione dei fenomeni
sulla loro causale e sulle loro concatenazioni logiche. Naturalmente
anche qui non mancano classificazioni più o meno apodittiche,
che sono più di approccio ad una tematica che non svolgimento
di essa. I cardini sono sempre le nozioni teoriche di moltiplicatore
e di acceleratore, che fin qui abbiamo richiamate.
Fra gli altri fa spicco Roy F. Harrod, con il sui "Trade Cycle",
nel quale sono classificati i fattori determinanti del livello di
attività in un'economia capitalista. Fra questi livelli sono
il tasso di remunerazione dei fattori della produzione, nonché
la politica monetaria che avrebbe un ruolo nettamente destabilizzatore.
Come si vede, l'angolazione monetaria è sempre in primo piano
ed è posta in sempre maggiore evidenza come leva imprescindibile,
ma con valutazioni che nel pro e nel contro divergono e tanto più
divergono dalla realtà economica, in forza della conformità
o meno dei momenti e della misura e dei modi di intervento. E questo
è il grosso limite del ruolo della politica monetaria e creditizia,
che non potrà mai essere strumento esclusivo ma complementare
di ogni strategia diretta all'equilibrio.
Nella dinamica delle fluttuazioni un peso rilevante ha il livello
degli investimenti. Questo si realizza sotto la spinta di una serie
di fattori, variamente determinanti, ma tutti parimenti imprescindibili.
Harrod ne traccia una sintesi, richiamandosi soprattutto ai seguenti
elementi:
- evoluzione della propensione marginale al consumo.
- elasticità dei profitti in rapporto ai mutamenti del volume
della produzione.
- evoluzione dell'ammontare del capitale necessario alla produzione
di ogni unità singola.
Premesso che moltiplicatore ed acceleratore entrando in relazione
amplificano le fluttuazioni, Harrod nondimeno ritiene che la propensione
marginale a consumare, poiché decresce via via che il reddito
aumenta, fa compiere al moltiplicatore che essa eleva un ruolo stabilizzatore.
Essa limita pertanto le amplificazioni verso l'aumento. Lo stesso
dicasi per l'elasticità dei profitti.
In sostanza secondo questo pensiero, ogni sistema economico ha un
carattere oscillatorio ed in particolare l'economia capitalista risponde
a forti fattori destabilizzatori. Fattori che tuttavia sono suscettibili
di correzione nell'ambito dello stesso sistema capitalistico, sulla
base di una condotta politica che sia riequilibratrice rispetto alle
fasi di boom ed a quelle di depressione.
Siffatta strategia è esercitabile mediante rimedi monetari
ed interventi di condotta economica, dei quali l'Harrod sottolinea
il carattere complementare nella contemperanza e nella contemporaneità
di misure e di indirizzi.
Circa i contenuti degli interventi monetari, essi sono indicati nelle
forme ricorrenti di aumento del tasso di interesse in caso di espansione,
di diminuzione in caso di depressione, di acquisti o vendite di titoli
sul mercato aperto. E questa è la manovra che è in atto
nelle varie condotte economiche e finanziarie con una intensità
alla quale ci hanno abituato anche le cronache di questa fase della
congiuntura mondiale e che ha trovato riscontri tanto frequenti nel
corso di questi ultimi mesi. Un'altra leva raccomandata da Harrod
in funzione di riequilibrio e di incentivazione dei circuiti economici
è quella del ricorso ad una politica dei lavori pubblici per
superare o attenuare le situazioni di crisi. Secondo Harrod tale politica
dovrebbe essere condotta da un'amministrazione speciale, atta ad intensificare
i ritmi degli interventi come a meglio puntualizzarne le incidenze.
E questa una strumentazione che è stata largamente sperimentata
nel corso di questo secolo, allineando risultati ora positivi, ora
meno positivi, a seconda dei campi di applicazione, delle proporzioni
assunte dai vari interventi, dal grado di coordinamento con gli altri
mezzi ed aspetti dello sviluppo. Per quanto in particolare concerne
il nostro Paese siamo in una fase critica e di aggiustamento di questi
interventi, con le migliori messe a punto nel campo delle infrastrutture
e delle localizzazioni interessanti il Mezzogiorno.
Un altro contributo notevole a questa tematica porta il nome di J.R.
Hichs, fra l'altro con il suo "Trade Cycle" che segue al
suo "Value and Capital" in una visione più dinamica
della fenomenologia presa in esame.
Il pensiero di quest'economista si inquadra in quella scuola che si
è definita "nuova economia del benessere" e nella
quale sono confluiti gli apporti di una larga schiera di economisti:
dallo stesso Hichs a Lerner, Kaldor, Little in Inghilterra, a Hotelling,
Bergson, Lange, Samuelson, Arrow, Debreu negli USA, a Maurice Allais
in Francia.
Due sono fra gli altri i caratteri distintivi di questa scuola.
Il primo riguarda l'affermazione che perché una configurazione
possa essere definita migliore di un'altra non è indispensabile
che nel passaggio dalla prima alla seconda non vi sia un peggioramento
per nessuno, ma basta che coloro che hanno migliorato abbiano risorse
addizionali sufficienti per indennizzare coloro che hanno peggiorato.
Il secondo principio si riassume nel l'affermazione che ogni configurazione
ottima può essere pensata solo come una configurazione concorrenziale.
Ma ritornando alla tematica dello sviluppo o ristagno l'apporto di
Hichs si sostanzia in una serie di ragionamenti, che denunciano questa
serie di sequenze. E cioè:
- un iniziale ciclo che cresce regolarmente e nel quale gli investimenti,
il reddito ed i risparmi progrediscono parallelamente. E questo è
uno stato ideale del quadro economico che molto raramente nella realtà
si avvicina a questo modello. Anche nelle fasi migliori non mancano
le disarmonie e gli squilibri, che la media certamente non riassorbe,
ma frequentemente è tale da provocare disattenzione.
- la sopravvenienza di uno sviluppo autonomo del l'investimento (Utilizzazione
di una scoperta tecnica o azione dello Stato).
- l'entrata in funzione del moltiplicatore, generatore di nuovi redditi
e perciò causa di crescita progressiva del reddito globale
con una espansione della domanda di beni di consumo e per il principio
della accelerazione di una crescita della domanda di nuovi investimenti
indotti.
- una situazione di boom derivante dall'azione congiunta del moltiplicatore
e del principio di accelerazione e che può anche svilupparsi
allorché la causa iniziale si è arrestata.
Ma sia l'espansione che la depressione hanno limiti obiettivi di durata
e persistenza.
E ciò perché la prima finisce con l'incontrare un ostacolo
preclusivo, in quanto la produzione di merci reali non può
accrescersi indefinitamente, il rendimento degli investimenti tende
ad essere decrescente, i costi lievitano, si raccorciano le distanze
dalla piena utilizzazione delle risorse per cui l'espansione diventa
tecnicamente impossibile e ad essa si sostituisce l'inflazione. E
questa è la lezione che le politiche economiche d'oggi cercano
di tenere presente il più possibile, salvo a non sempre tempestivamente
ed adeguatamente tenere conto degli insegnamenti e degli ammonimenti.
A sua volta anche la depressione non può essere illimitata,
in quanto incontra anch'essa un ostacolo, che è il mantenimento
di un certo livello di investimento autonomo, che resta creatore di
reddito e con ciò assicura il mantenimento di un minimo di
attività, punto di partenza di un rimbalzo che si avrà
al primo sviluppo più o meno fuori dall'ordinario dell'investimento
autonomo.
In sostanza, il punto di partenza sarebbe un supplemento di investimenti
autonomi, il boom e la depressione sono in relazione con la dinamica
degli investimenti indotti, ed i cardini sono costituiti per l'espansione
dai limiti nella capacità tecnica delle attrezzature e per
la depressione nel livello di investimenti autonomi normali. Tutto
il pensiero economico di questo secolo e quello immediato dei nostri
giorni si affatica su questa logica e sulla misurazione dei possibili
effetti, nello sforzo di determinazione del momento e delle condizioni
di passaggio, da una fase all'altra della congiuntura.
La possibile
determinazione dei cicli
Lo sforzo si dirige così alla possibile determinazione dei
cicli, intorno alla quale si pone, irrisolto, l'interrogativo se esistono
o meno fluttuazioni regolarmente periodiche dell'attività o
dei prezzi. La realtà è che le crisi del secolo XX non
si sono verificate così regolarmente come quelle del secolo
scorso; che alcune crisi non hanno colpito tutti i Paesi industriali;
che altre si sono prodotte in certi Paesi con anni di ritardo. La
conseguenza è che le leggi economiche non hanno una validità
uniforme, ma si atteggiano agli ambienti ed ai momenti, dovendo registrare
spesso attriti ed eccezioni che non annullano certo la regola ma la
indeboliscono e rendono precaria.
A questa luce Johan Acherman ha preferito non distinguere troppo nettamente
le fluttuazioni cicliche dalle altre ed ha presentato le crisi o le
riprese come fenomeni innestati su altri economici o politici. E sempre
a questa luce Leon Dupriez ha parlato di movimenti economici generali
piuttosto che di cicli, mentre Henr Guitton ha detto che le fluttuazioni
sono ricorrenti e non cicliche né periodiche. E questa ci pare
la conclusione più convincente e sperimentata, perché
l'economia risponde a certe premesse che sono immutabili, ma non sono
sempre prevedibili nei momenti e nella misura della loro operatività.
L'organismo economico è in sostanza come l'organismo umano.
Ha bisogno di costanti verifiche, perché le condizioni di sviluppo
e di crescita siano salvaguardate e quelle di crisi o di malessere
siano allontanate. Tutte le politiche economiche sono ispirate da
questo assillo, al cui superamento la scienza dà il suo apporto,
ma la strategia politica - e non bastano, come si sa, solo quelle
nazionali - deve assicurare la sua esperta e decisa partecipazione.
L'obiettivo è quello di conseguire un optimum concernente l'attenuazione
dei minimi e dei massimi e quindi di equilibrare al meglio livelli
di attività e prezzi. Queste scelte così orientate e
così sollecitate hanno evitato in questo secondo dopoguerra
che le recessioni degenerassero in crisi molto gravi. E questo è
un risultato che più che attribuire a questa o a quella scuola
del pensiero economico va riconosciuta al maggiore rispetto delle
leggi economiche che si viene diffondendo nelle coscienze civili.
Primo punto di partenza per il progresso.
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