§ FINE SECOLO

Vuoti a rendere




Aldo Bello



Gli abusivi siciliani che bloccano le strade e, sindaci in testa, reclamano la non-applicazione di una legge dello Stato (quella sul condono); la regione che innalza la bandiera dell'autonomia per la sua terza sanatoria degli abusi edilizi, e sventola cartelli inneggianti alla "mafia che dà lavoro"; i produttori di mozzarelle del Cilento, che sbarrano anch'essi le strade per protestare contro una direttiva Cee che impone regole per il confezionamento del prodotto e agitano il vecchio spettro sudista; i diciottomila falsi invalidi scoperti a Noia, che rimpolpano le schiere di tanti altri invalidi (veri e fasulli) disseminati nel Mezzogiorno (Molise in testa), dove se ne scopre uno ogni cinque abitanti, contro uno ogni venti della Lombardia: sono logori luoghi comuni del "Nordismo" (alla Mario Soldati o alla Giovanni Arpino, per intenderci), o il segnale di un "Sudismo" che rifiuta le regole del giuoco, o che cerca di eluderle, e minaccia sfracelli tipo Reggio Calabria ogni volta che si ritiene vittima dello Stato? Siamo alla logica riemersione del sommerso, o ci troviamo di fronte alla irrazionalità di uno "spontaneismo" che è solo di comodo, perché vuole sfuggire alle maglie della legge?
Le inchieste sui pre-giudizi contro il Sud, e gli inviti ai meridionali a restare nelle loro terre, invece di andare a "insudiciare le città del Nord", le quali, a dire il vero, al novanta per cento affogano nell'inquinamento e respirano veleni, distruggono fiumi e laghi e camminano su campagne-cimiteri di discariche a cielo aperto e su giganteschi depositi di sostanze letali, coperte da un lieve strato di sabbia, che con le piogge annientano le falde idriche; i titoli dei giornali che, in prima pagina, amplificano le imprese della mafia e della camorra, mettendo in ombra i corrotti delle regioni del triangolo industriale, del Triveneto, della Toscana e dell'Emilia-Romagna, presi con le tangenti in mano, gli evasori fiscali, i contrabbandieri, i terroristi, gli speculatori finanziari che hanno messo sul lastrico centinaia di migliaia di persone; i direttori di quotidiani alla Montanelli, che al capibastone del Sud dicono di poter contrapporre, sul piano della cronaca, solo un Vallanzasca, come se decenni di storia avessero cancellato le vicende di decine di rapinatori a mano disarmata del Nord, calati a Sud come avvoltoi, a profittare di incentivi, di trasferimenti di impianti industriali obsoleti, e poi di ristrutturazioni e di Cassa integrazione speciale; o che si chiedono se Sindona sarebbe stato Sindona senza la mafia, dimenticando che Sindona (al quale Nord, Centro e Sud si inchinarono, fino a che fu potente) non sarebbe stato mai Sindona senza i banditi in doppiopetto del Nord e in clergymen del Centro, milanesi e vaticani; gli assassini del metanolo, che hanno distrutto un'economia meridionale attivissima, esportando "pregiati" vini omicidi prodotti sotto l'intero arco alpino; e gli intrallazzatori della benzina, che succhiarono allo Stato (cioè alla collettività, quella meridionale compresa) duemila miliardi di lire; e i razzisti, gli esportatori di armi e importatori di droga: allora, Nord e "Nordismo" sono il vero male oscuro del Paese? E a una notissima "questione meridionale" va contrapposta, finalmente venuta allo scoperto, una ben più drammatica "questione settentrionale"?
In uno degli ultimi Rapporti Censis, vien fuori un'immagine fortemente contraddittoria della società italiana. Da una parte, una società che nel giro di qualche decennio ha compiuto una terza rivoluzione industriale, si è affermata sui mercati internazionali, ha completato una rete di infrastrutture e di servizi che, per dimensione, se non per qualità, è ormai paragonabile a quella dei maggiori Paesi. Dall'altra, una società avvelenata dal traffico della droga, da una criminalità diffusa quanto raramente punita, da attività illegali, da conflitti territoriali, cui va aggiunto uno stato dei rapporti interpersonali, soprattutto nelle città, non proprio civile.
In tema di criminalità, ci si può in qualche modo consolare, osservando che Paesi più avanzati del nostro non se la passano meglio. In Francia, in Germania Federale, in Inghilterra, per non parlare degli Stati Uniti, la frequenza complessiva dei reati non è molto diversa da quella italiana. Ma in Italia la criminalità è un peso che si aggiunge, diversamente da quei Paesi, all'inefficienza dei servizi e dell'apparato pubblico, all'aggressività dei rapporti sociali, a città sempre più invivibili, dando così origine a una combinazione di fattori negativi che molti trovano difficile comprendere e sopportare.
Se ci si chiede come sia possibile che un sistema sociale ed economico ormai avanzato possa convivere e svilupparsi insieme con forme anch'esse sempre più avanzate, a modo loro, di delinquenza, di corruzione, di mafiosità e di teppismo urbano, la risposta non può esser trovata in etichette o in slogan che, volendo sintetizzare in una battuta l'intricato tessuto della realtà, finiscono per risultare goffi e fuorvianti: e ci riferiamo a quelli cui facilmente, e frequentemente, ricorre il Censis. Il guaio delle etichette onnicomprensive, anche se corrispondono al bisogno di fare economia di pensiero, sta nel fatto che esse alimentano poi interventi politici, leggi, azioni sindacali e comportamenti individuali che - fondati sul presupposto che la realtà sociale sia magari dinamica ma piatta, ignorando le sue divisioni interne e le schizofrenie oggettive insite in essa - contribuiscono ad aggravare queste ultime. Una società possiede comunque un certo grado di schizofrenia, che sta nelle cose non meno che nelle menti. Una società è fatta di infiniti gruppi, di segmenti di popolazione che convivono fianco a fianco, diversissimi fra loro, interagendo e comunicando, ma senza sovrapporsi. Per questo è possibile che contemporaneamente aumentino, come di fatto avviene, il numero dei funzionari onesti e il numero di quelli corrotti, il totale dei lavoratori occupati e il totale di quelli disoccupati, l'insieme degli emersi e dei sommersi, i colletti bianchi e i clandestini.
La dissoluzione dei rapporti sociali tipici delle comunità contadine e la crescente urbanizzazione facilitano l'incontro e lo scontro tra tutti questi gruppi, in modi affatto inediti, dando a ciascuno di essi l'impressione che stia succedendo tutto e il contrario di tutto. A buon diritto, una certa dose di schizofrenia, di scissione non soltanto tra l'ideale e la pratica, ma anche tra diversi tipi di ideali e di pratiche, sta anche nella mente di ciascuno. La mente è composta da tanti "io sociali", da tante persone quanti sono i gruppi cui un individuo appartiene. E' quindi possibile che lo stesso individuo agisca in modo diverso e magari irriconoscibile, ai suoi stessi occhi, a seconda dell'io sociale che in un dato momento guida la sua azione.
Tutto questo si riflette a vari livelli nella realtà. Mille o centomila individui perseguono un certo scopo e producono una situazione collettiva che rende loro impossibile raggiungerlo: si fanno leggi per impedire agli esportatori di capitali di dirottare il denaro all'estero, o ai criminali di usare i proventi illeciti, e capitali e proventi vengono reimpiegati in settori dell'economia che prima ne erano immuni. Si progetta un condono per eliminare l'abusivismo edilizio, e questo ne trae forte impulso. Sono effetti perversi che riguardano l'intero Paese, non parti di esso. Ed ecco perché l'Italia può risultare al tempo stesso moderna e premoderna, civile e incivile, avanzata e sottosviluppata, edonistica e affamata, sostenuta da risorse produttive e da risorse assistenziali. Senza discriminazioni territoriali, se è vero, come è vero, che l'assistenzialismo ha varcato da tempo le cinture di Milano, di Torino, di Genova, di Venezia, di Bologna, di Firenze e di altro Centro-Nord; e se è vero, come è vero, che mentre a Sud ci si interroga sui problemi più scottanti (criminalità, sviluppo socio-economico, giovani, città a misura d'uomo, ecc.), altrove ci si attarda ancora su polemiche prive di senso (Meridione come peso insopportabile e meridionali come incidente biologico, autonomie razziali e linguistiche, rigurgiti neocolonialisti e propositi neo-giobertiani): tutti vuoti a rendere alla protostoria unitaria, e alla storia più tragica che grande del Paese, almeno fino alla metà del nostro secolo.
Tener presente tutto questo, progettare il futuro prossimo considerando le contraddizioni interne al sistema e al Paese, e non ad alcuni gruppi di individui e ad alcune aree, significa abbassare il livello di schizofrenia della nostra società, giunto da tempo al segnale di guardia. Ormai siamo al punto di non capire dove, come e di che cosa viviamo, tra economie e diseconomie, tra catastrofismi e messaggi di esultante ottimismo, tra attestazioni di solidarietà nazionale e spinte disgregatrici dell'unità nazionale, tra richiami all'austerità e inviti al consumismo. Tutto ciò, mentre vantiamo l'invenzione del "made in Italy", cioè dell'effimero assurto a immagine del Paese, e fingiamo di non sapere che in crisi profonda è entrata la filosofia della scienza, che è il pane quotidiano di ogni sviluppo culturale, cioè economico, sociale, civile di ogni nazione. Questa crisi ha determinato la nascita di nuove forze centrifughe, la caduta semantica dell'implosione dibattito, l'implosione dei valori che avevano cementato il pluralismo delle identità. Il '900, che non è stato un gran secolo, per noi e per l'Europa, tramonta su un paesaggio di consumata ipocrisia. Politici, economisti, intellettuali, operatori dell'informazione, amministratori pubblici, uomini stradali se ne rendono conto?

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