La leggenda del cavaliere romano e del suo cavallo




Brizio Montinaro



Esistono, appena fuori da Supersano, un paese in provincia di Lecce, sulle pendici della Serra salentina, una grotta e una chiesa dedicate entrambe alla Beata Vergine di Celimanna (Coelimanna o Cirimanna). Ed esistono, sempre a Supersano, due menhir: uno situato nei Parco delle Rimembranze, l'altro a metà strada tra questo e la grotta. Altri due, che si trovavano secondo una tradizione locale nei pressi dei luoghi sacri suddetti, ormai sono da moltissimo tempo scomparsi. Ed esiste ancora una breve leggenda popolare di tradizione orale, questa: un principe romano, salvato da un morbo mortale dall'apparizione della Madonna, andava cavalcando un giorno in agro di Supersano. Ad un tratto il suo cavallo si bloccò, piegò le gambe anteriori e si genuflesse rimanendo così per qualche minuto.
Il principe non si era ancora riavuto dalla meraviglia che il cavallo riprese il cammino, ma non aveva percorsi cinquecento metri verso la collina che nuovamente si fermò, piegò le gambe e si inginocchiò una seconda volta. Il cavaliere romano a questo punto cominciò a sospettare di cosa poteva trattarsi, ma definitivamente capì e si convinse quando il suo cavallo per la terza volta si fermò e, proprio dove oggi esiste la cripta rupestre, si inginocchiò non più muovendosi. Fu precisamente lì che il cavaliere, interpretando il volere della Madonna che lo aveva miracolato, Per Grazia Ricevuta fece costruire una chiesa a lei dedicata.
Chiesa, grotta e menhir apparentemente estranei tra loro, senza alcun rapporto specifico, sono invece legati da un filo comune - la leggenda - che fa di questa realtà una cosa sola e ben articolato.
Mettere in evidenza questo filo, con un attento esame, può risultare molto istruttivo ed esemplare e porsi alcune domande sull'argomento può significare, inoltre, aggiungere una piccola luce alle altre grandi già esistenti per illuminare la storia della devozione, della cultura e, soprattutto, dei meccanismi usati dalla Chiesa per sostituire un culto ad un altro e probabilmente una religione ad un'altra.
Perché esistono due luoghi sacri vicinissimi, quasi sovrapposti, dedicati entrambi allo Vergine? Nella cripta rupestre c'è sempre stato un culto cristiano? I menhir nell'area salentina, oggi pietre mute al punto che il loro abbattimento purtroppo non suscita scandalo in nessuno, sono stati privi di significato per le genti presso le quali si trovano anche in tempi relativamente recenti? Una leggendo del tipo di quella narrata può nascondere un significato profondo e rivelatore che vada al di là di quanto in essa è narrato? Quale può essere stata la sua vera funzione?
Primo di analizzare l'episodio del cavaliere romano e del suo cavallo conviene scartare immediatamente l'ipotesi che renderebbe inutile questo breve studio: la storicità dell'episodio raccontato. Infatti, come direbbe Jacques Le Goff, se il cavallo che fa le tre genuflessioni è realmente esistito questo articolo allora non ha alcuno scopo d'essere.
Prima si è accennato ad un nesso che lega i tre elementi, di diversa natura, esistenti: grotta, chiesa, menhir. Vediamo adesso le cose un po' più da vicino. La chiesa è legato dalla leggendo al cavaliere romano che la fa edificare ed è legata alla grotta da una comune denominazione: entrambe sono dedicate alla B. V. di Celinanna. I menhir sono legati alla leggenda in quanto la devozione popolare riconosce i luoghi in cui essi si trovano come i punti precisi in cui il cavallo si sarebbe Inginocchiato. La grotta infine è legato ai menhir da una omogeneità di genere, Altre connessioni minori si potrebbero ancora rilevare ma finirebbero con il confondere più che illuminare il lettore e comunque non farebbero procedere di molto il discorso. Quindi, le tralasciamo.
Per collocare nel tempo il fatto riferito dalla leggenda noti esistono documenti storici e non potrebbero esistere perché, come si è detto, l'episodio di cui il cavallo del cavaliere romano è il vero protagonista certamente non Celimanna è mai avvenuto e vedremo dopo il perché. Esistono delle "pezze d'appoggio", poche, che ci permettono però di delineare dei confini temporali, di porre dei limiti oltre i quali non è possibile, ragionevolmente andare. La prima alita sempre nell'aura della leggenda e, a proposito delle origini del tempio, dice: "Si vuole per tradizione che sia stato eretto a spese di un principe romano il quale scampato miracolosamente da morbo fatale per apparizione di Maria, che si svelò cori un tal titolo di Celimanna ardente di fede si condusse in questo luogo ed innalzò ad onor di Maria ed in testimonianza delle sua riconoscenza un monumento perenne"(1). L'oggettivo "romano" presente sia nella leggenda di tradizione orale sia in quella di tradizione scritta divento nome proprio nel volume cura di Giacomo Maria Medica i santuari mariani d'Italia(2). In esso infatti è accoppiato al cognome Brancaccio e indicherebbe un personaggio storico, realmente esistito cioé che avrebbe voluto la costruzione della chiesa. Non faremo ricerche d'archivio particolari per avere certezza dell'esistenza o meno di tale personaggio. Anche ammettendo che sia veramente vissuto la questione fondamentale non cambia: certo non ha fatto edificare la chiesa e proprio in quel posto per indicazione del suo cavallo. Semmai la sua data di nascita potrebbe segnare il termine dopo il quale è possibile si sia formato la leggenda. Non altro.
Per quanto concerne l'anno di edificazione della Chiesa della B.V. di Celimanna si hanno alcune date discordanti. Cosimo De Giorgi la fa risalire al 1746 (3) . Alba Medea, non si sa se perché d'accordo con lo studioso o se perché semplicemente dalla sua opera rileva i dati, dice anch'essa che "è costruzione del 1746"(4). Franco Contini in un articolo apparso su Quotidiano, afferma, non si so in base a quali documenti, che il santuario "già ricostruito nel 1660 venne nuovamente rifatta nel 1746"(5).
Dalla relazione di Monsignor De Rossi, circa la Visita pastorale del 1711 a Supersano conservata nell'Archivio vescovile di Ugento, si rileva con chiarezza che la chiesa è invece già esistente al momento della sua visita e che potrebbe essere stata edificata circo 40 anni prima, quindi, approssimativamente, nel 1670. In realtà la frase usato dal Monsignore lascia nel lettore qualche dubbio, crea un possibile equivoco: "fuit erecta ecclesia in meliore forma"(6) dice. Che valore bisogna attribuire all'espressione "in meliore forma"? Fu restaurata? le fu dato un aspetto migliore di quello che aveva? Oppure fu costruita per la prima volta e la "forma" è da considerare "meliore" in relazione a quella della grotta? Comunque sia, noi non saremo lontani dalla realtà se ipotizziamo la costruzione della chiesa nel XVII secolo.
Della cripta si hanno ancor meno notizie storiche precise. Charles Diehl, il quale alla fine del secolo scorso analizzò gli affreschi che la decorano, colloca alcuni di essi all'inizio del XIV secolo, altri, probabilmente al XV(7) . Alba Medea, che studiò gli stessi affreschi nel 1939, è propensa a credere che una parte di essi sia stata realizzata forse nel tardo XIII secolo, un'altra invece nel XIV e un'altra ancora nel XVI(8).
Così affermando collega il culto cristiano della grotta a quella fiumana monastica basiliano che invase la Puglia e la Calabria nel corso del IX, X, XI secolo e ancora dopo. Non si deve quindi credere che tali manifestazioni figurative siano arcaizzanti, esse sono, come avverte Valentino Pace, "di stretta referenza bizantina" e "in sintonia con i tempi, motivate dai legami storici che tuttora si intrecciano fra l'opposta sponda adriatica e i centri monastici pugliesi di lingua e di liturgia greca"(9).
Alba Medea in un altro passo afferma che talvolta le architetture delle grotte basiliane rimandano "a quelle caverne naturali che dovettero già essere forse luogo di culto superstizioso" (10) prima ancora della colonizzazione dei monaci. E la grotta della B.V. di Celimanna potrebbe rientrare in questa categoria. l'ambiente naturale nel quale essa si trova infatti è tipico - e lo era ancora di più prima - dei santuari precristiani dedicati a divinità femminili; tale ambiente è caratterizzato di solito dalla presenza di boschi, rocce, montagne e grotte (11).
Il santuario della Celimanna è situato proprio in uno grotta che si apre sulla Serra di Supersano dove un tempo esisteva un grande bosco di querce conosciuto come il Bosco di Belvedere. Tali considerazioni, anche se schematiche e frettolose, ci autorizzano a non escludere l'eventualità che nella grotta, prima del culto cristiano in onore della Madonna, fosse praticato un culto pagano rivolto ad una delle tante divinità femminili greco-romane venerate nella zona in analoghe caverne-santuario .
Lasciando il compito di verificare a chi ne ha la competenza, da quanto fin qui si è detto risulta che il culto nella cripta potrebbe risalire, se si tien conto dell'epoca in cui sono stati realizzati i primi affreschi, agli albori del XIV secolo: ed era di rito greco-bizantino; mentre il culto nella chiesa potrebbe essere nato circa alla metà del XVII secolo: ed era ed è di rito latino-romano.
Perché una grotta ed una chiesa dedicate entrambe ailo stesso culto della B. V. di Celimanna?
La grotta - si è detto - è legata da un nesso sottile ed ideale ai menhir. Per chiarire questa affermazione bisognerebbe ricordare che tali monumenti megalitici, sparsi in numero notevole in tutto il Salento in una direttrice ideale che partendo poco più a nord di Lecce va fino al capo di Santa Maria di Leuca, seguendo un parallelo la costa adriatica, sono stati oggetto di culto pagano sino almeno al X secolo. La funzione del menhir non è chiaramente e inequivocabiImente conosciuta. E' opinione diffusa che essi costituissero idoli per quei culti solari diffusi ampiamente in tutto il mondo neolitico. Non manca però chi li ritiene legati al culto antico dei morti oppure vede in essi una manifestazione del culto fallico a causa della loro stessa morfologia. Non entreremo nei particolari su questo argomento perché esula dal tema e dalla brevità di questo studio.
A noi importa qui soltanto sottolineare che i menhir furono oggetto di interesse religioso molto oltre i limiti naturali della cultura che li originò. Tale culto non cristiano fu così radicato nelle popolazioni che occupavano l'area di diffusione del menhir che la Chiesa, per secoli, si trovò a lottare duramente per sopprimerlo. Molti sono i Sinodi e i Concili in cui, per circa un millennio, si condanna infatti il loro culto.
Qui ricordiamo il Concilium Arelatense II del 452 che nel canone XXIII condanna esplicitamente la venerazione delle pietre (12); il Concilium Turonense II del 567, canone XXII(13), e il Concilium Nannetense dell'890 (?), canone XX (14). Non solo la Chiesa ma anche il potere civile (l'imperatore Teodosio Il nel 435 d.C. e Carlo Magno nel 789) ingaggiò una lotta contro il culto del menhir (15) . Più volte fu ordinata la loro distruzione fisica ma la resistenza del popolo deve essere stata molto forte se questi monumenti hanno attraversato i secoli e sono giunti numerosi fino a noi. Bisogna chiarire che quando si parla di culti medievali rivolti a menhir o ad altre pietre non si intende parlare di culti organizzati in una omogenea sistemazione organica, ma di relitti disarticolati, di resti folklorici precristiani sopravvissuti e penetrati nelle linee di giuntura dei nuovi principi del Cristianesimo avanzante. La Chiesa nella sua opera evangelizzatrice si è inserita nel quadro della cultura folklorica e, lentamente ma con perseveranza, ha snaturato, nel resto d'Europa come nel Salento, il senso dei menhir con l'apporvi, incisa su un lato della pietra o alla sommità, una croce.
Il nesso che lega la grotta ai menhir sta dunque nel fatto che sia l'una che gli altri sono monumenti di una religione diversa dalla cattolica cristiana; e anche se per la grotta non si può giungere ad ipotizzare un residuo culto grecoromano dedicato ad una divinità femminile e per i menhir un culto solare o altro, in entrambi i luoghi si sono svolti con certezza rispettivamente riti religiosi greco-bizantini e riti folklorici.
Rileggere la leggenda in base ai dati fin qui descritti significa dover notare necessariamente lo stretto legame che unisce, in un percorso di ascesa, i monumenti megalitici alla cripta bizantina e, quindi, alla chiesa cattolica-romana.
Prima di passare alle brevi conclusioni rimane da considerare da ultimo, per un momento, l'importante ruolo, veramente da protagonista, che svolge il cavallo nella leggenda. la sua azione non si può capire se non si tiene conto "della miracolosa attitudine degli animali domestici a divenire segni della volontà teofanica e ad avvertire le presenze numinose anche quando l'uomo non ne è capace"(16). Nelle opere agiografiche medievali esistono numerosi esempi di animali domestici: cavallo, bue, asino, toro, mulo, ecc. che diventano mezzi per il ritrovamento di corpi di santi, di quadri miracolosi, oppure diventano, genericamente, strumenti del volere divino. la genuflessione poi è quasi sempre il segno, il termine ultimo dell'opera svolta dalle povere bestie. Non bisogna credere comunque che una tale "mitologia delle facoltà straordinarie degli animali" sia riscontrabile soltanto in leggende o agiografie medievali cristiane, essa può essere reperita anche in numerose testimonianze di classici. Alfondo M. Di Nola produce due esempi tipici che qui mi piace riportare. Pausania narra:
Quando Cadmo lasciò Delfi dirigendosi verso la Focide, una vacca, come vuole la tradizione, lo guidò sulla via... secondo l'oracolo del dio, Cadmo e l'esercito che era con lui si sarebbero dovuti fermare dove la vacca fosse crollata per la stanchezza (Pariegesis, lib. IX, 12, 1).
Strabone riferisce:
I Sabini, mentre conducevano una lunga guerra contro gli Umbri... dedicarono ad Ares tutti i figli nati in quell'anno; e quando questi furono adulti, li mandarono via come coloni, e un toro guidò il loro cammino; e quando il toro giacque per riposare nella terra degli Opici.... i Sabini li scacciarono e si accamparono sul posto e secondo il pronunziato del loro indovini sacrificarono il toro ad Ares che lo aveva loro concesso per guida.
(Geografia, lib. V, 4, 12) (17).
Nei racconti della tradizione popolare italiana molti santuari sorgono nei punti indicati da animali. Il santuario di Gibilmanna, a pochi chilometri da Cefalù in Sicilia, fu edificato nei preciso punto indicato da due muli con il ristare dopo un percorso (18), e l'apparizione della Madonna di Polsi, nell'Aspromonte, avvenne là dove un pastore aveva ritrovato, inginocchiato dinanzi ad una croce che aveva tracciato con le zampe, il suo toro che si era smarrito. Precisamente in quel luogo fu fatta costruire dal pastorello la chiesa che la Madonna aveva chiesto in suo onore (19).
Il topos del cavallo che si inginocchia indicando un luogo sacro o si inginocchia davanti ad una presenza celeste - come al passaggio dell'Eucaristia durante le processioni del Corpus Domini diffuso nella cultura popolare - è lo strumento usato nella leggenda presa qui in esame per desacralizzare i menhir e la grotta. Il cavallo infatti, inginocchiandosi davanti ai megaliti, li spoglia del loro antico significato sacro, li carica nello stesso tempo di una nuova religiosità positiva e li lega al culto cattolico della Madonna. la terza ed ultima genuflessione dell'animale avviene invero nei pressi della grotta dove sorgerà la chiesa. Con questo segno risolutivo il cavallo, qui strumento del volere della Madonna, oblitera il culto bizantino in favore del nuovo culto della religione dominante. Non un doppio dunque il culto in grotta e quello in cappella. Non un doppio i due siti. Ma uno opposto all'altro, l'uno teso a vanificare l'altro. L'uno in luogo dell'altro.
La leggenda del cavaliere romano e del suo cavallo costituisce chiaramente un mito di fondazione di un culto nuovo, di un culto che stenta ad affermarsi. Con tale leggenda, nata certamente in ambiente clericale latino ai tempi del tramonto del rito greco nel Salento, la Chiesa ha vinto la resistenza che opponevano i culti estranei alla religione cattolica avanzante.
Evidentemente ancora nel XVI o XVII secolo vi devono essere stati residui folklorici legati ai menhir di Supersano e il culto alla Madonna della grotta non deve essere stato di segno chiaro, ci deve essere stato una qualche ambiguità, se la Chiesa ha deciso, per una sua più sicura economia, di appropriarsi inequivocabilmente dei luoghi sacri. A conferma di ciò si ha notizia che il sito in cui si apre la grotta e si erge la chiesa, durante il XVII secolo, sia stato luogo di riti di esorcismo e che durante tali riti di liberazione degli ossessi, "uomini maligni, donne e ignoranti sacerdoti" siano andati oltre ogni immaginazione dando diversi scandali tanto da costringere il vescovo Antonio Carafa ad intervenire e proibire categoricamente "tales corruptelas" (20). Non sappiamo se questo episodio possa essere concausa dell'origine della leggenda, ma non siamo molto lontani dalla realtà se lo supponiamo. Fondamentale fu certamente il clima di ostilità che nel XVI e XVII secolo si era creato nel Salento tra elementi del clero greco ed elementi del clero latino (21). I tentativi che la Chiesa romana andava facendo per l'unione dei greci con i latini generarono soltanto un'enorme confusione nei riti tanto che nel 1564 Papa Pio IV fu costretto a dare nuove disposizioni che condussero, dopo qualche anno, i greci ad essere sottoposti alla giurisdizione dei vescovi latini.
Ma neanche ciò deve essere stato sufficiente se Gregorio XIII nel 1585 "espressamente ordinò che fosse introdotto il rito latino" nei paesi in cui abitavano sia latini che greci (22). Alcuni Ordinari andarono oltre questi provvedimenti ed insistettero affinché il rito latino fosse introdotto anche nei paesi la cui popolazione era esclusivamente greca sia di lingua che di sentimenti. Si può immaginare con quale risultato.
E' nel quadro di questa situazione di instabilità e di mutamento che si può comprendere il senso e la funzione che ebbe la leggenda del principe romano e del suo cavallo. Essa fu uno strumento pacifico di conquista ai territori latini, da parte della chiesa locale, di una cripta di culto greco-bizantino.


BIBLIOGRAFIA
1) Novena in onore della Gran Madre di Dio sotto il titolo di Celimanna patrona di Supersano, Maglie, s.d., pag. 5.
2) G. M. MEDICA (a cura di), I santuari mariani d'Italia, Torino, 1965.
3) C. DE GIORGI, La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, vol. I, Lecce, 1882, pag. 149.
4) A, MEDEA, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, vol. I, Roma, 1939, pag. 150.
5) F. CONTINI, "Supersano nella storia", in Quotidiano, 24 dic. 1980, pag. 14.
6) Relazione Monsignor De Rossi. Archivio Vescovile Ugento, libro manoscritto visite, non catalogato, foglio 24r.
7) C. DIEHL, L'art byzantin dans l'Italie méridionale, Parigi, 1894, pagg. 85-86.
8) A. MEDEA, op. cit., pagg. 152-153.
9) V. PACE, "La pittura delle origini in Puglia (secc. IX-XIV)", sta in La Puglia fra Bisanzio e l'Occidente, Milano, 1980, pag. 398.
10) A. MEDEA, op. cit., pag. 32.
11) Cfr, A. ROSSI, Le feste dei poveri, Bari, 1971, poqq. 87-89.
12) C. CORRAIN, Documenti etnografici nei sinodi francesi, Rovigo, 1977, pag. 128.
13) C. CORRAIN - P. ZAMPINI, Documenti etnografici e folkloristici nei sinodi diocesani italiani, Bologna, 1970, pag. 16.
14) C. CORRAIN, op. cit., pag, 74.
15) P. MALAGRINÓ, Dolmen e menhir in Puglia, Fasano, 1978, pag. 13.
16) A. M. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterno italiana, Torino, 1976 paq. 284 e sgg.
17) Cfr. A. M. DI NOLA, op. cit., pagg. 284-288.
18) A. RIPOLI, "Da Trabia ci Cefalù", sta in Santi streghe e diavoli, Firenze, 1971, pag. 349.
19) L. M. LOMBARDI SATRIANI, "Reggio e l'Aspromonte", sta in Santi streghe e diavoli, op. cit., pag. 289,
20) Relazione di Monsignor De Rossi. cit.
21)Cfr, S. BORSARI, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell'Italia meridionale prenormanne, Napoli, 1963, pagg, 116.121.
22) P. COCO, "Le cause del tramonto del rito greco in Terra d'Otranto", sta in Rinascenza salentina, anno 1936, n. 4, pag 258


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