§ QUELLI DEL SUD

Euro-mediterraneo-arabi




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta



Il 5 maggio 1860, imbarcandosi dallo scoglio di Quarto, i Mille (circa) che seguirono Giuseppe Garibaldi iniziarono la conquista del Regno delle Due Sicilie. Sotto il profilo rigorosamente giuridico (del diritto internazionale), oggi possiamo dire che, condotta in quel modo, la "conquista" non fu soltanto una grave violazione del "diritto delle genti", ma unificò sotto la monarchia sabauda territorio e popolazioni posti fino a dodici paralleli (1.200 chilometri circa) più a sud, dunque culturalmente molto diversi da quelli della pianura padana e delle risaie vercellesi. E' stato puntualmente notato che l'Italia unita portò subito con sé, geneticamente, un doppio destino: continentale dalle Alpi al Granducato di Toscana, mediterraneo dallo Stato Pontificio in giù. Una doppia cultura che centovent'anni di vita unitaria hanno certo modificato, ma nel senso d'aver portato varie regioni del Paese "a far convivere i due aspetti uno a fianco dell'altro, facendoli così diventare una delle più spiccate caratteristiche nazionali". Il costume, i rapporti interpersonali, i comportamenti antropologici, l'arte, la letteratura, la giustizia, perfino la politica estera hanno risentito di questa ascendenza "bilaterale".
Sempre, infatti, negli orientamenti internazionali del nostro Paese, si sono scontrate una concezione che ha mirato a Nord-Ovest, verso l'Europa e l'Occidente, e un'altra attratta invece dal Sud-Est mediterraneo e levantino. Sempre si sono alternate le due opzioni di primeggiare nel bacino del Mediterraneo o di puntare sul concerto europeo, magari restando in fondo alla graduatoria. StrumentaIizzazioni politiche a parte, (e ce ne sono state, basta ripercorrere la nostra storia recente per rilevarle), un po' l'una, un po' l'altra concezione ha prevalso, temporaneamente. Sicché si è finito per parlare di "due anime dell'Italia", e di due vocazioni, nessuna delle quali, alla fine dei conti, ha ascritto una definitiva supremazia.
Bene. Chi ha in sé l'una e l'altra anima, chi incarna le due vocazioni, è uno scrittore di livello europeo, di nome arabo, di pasta meridionale e di intelligenza planetaria: Leonardo Sciascia. "Incarno le due anime con molta difficoltà - dice lo scrittore siciliano -: è un destino che ci hanno assegnato la storia e la geografia; sono cose contro cui si può fare poco. Parlando in particolare della Sicilia, non si può dimenticare che gli Arabi vi sono rimasti per due secoli e che il loro dominio s'è impresso nella fantasia, nella lingua, nel modo di essere, nelle facce, nei nomi di luoghi e di persone, compreso il mio. Michele Amari scrisse che la Sicilia fu dominata dagli arabi, ma non arabizzata. E' evidente che non è così. Tanti elementi spingono a riconoscere nella Sicilia e nel nostro Sud una condizione esistenziale e una storia che somigliano molto a quelle degli arabi".
Ma, a parte la forza dell'influsso culturale, quali altre caratteristiche ebbe la cultura araba in Sicilia e altrove, nelle aree meridionali? Sciascia non ha dubbi: "La tolleranza. In Sicilia gli arabi furono tolleranti verso chiunque: ebrei, bizantini, cristiani. I cristiani bastava che esponessero una croce sulla porta e pagassero una piccola tassa per essere lasciati in pace. Feroce, il Saladino? Tutt'altro. Feroce lo diventò solo con le figurine della Perugina. Il Saladino, al contrario, rappresentava nella novellistica italiana del XIII e del XIV secolo un archetipo di tollerante saggezza. Certo, la politica estera di uno Stato continua sempre lungo le stesse direttrici. Basta pensare a come nulla è cambiato sotto questo profilo tra la politica degli Zar e quella dell'Unione Sovietica. Per quanto ci riguarda, anche le guerre coloniali che abbiamo combattuto dimostrano la nostra tendenza filo-africana. Più che imprese di conquista, furono l'occasione per un immenso dispendio di denari. Ciò succede perché in politica, a volte, il prestigio o il risveglio nazionalistico valgono più della costruzione in un'area sottosviluppata di un ospedale o di una strada. Però resta il fatto che la nostra politica estera da Crispi a Mussolini, da Moro a Fanfani a Andreotti appare orientata molto più verso il Mediterraneo che verso il continente europeo. Questo accade per un'infinità di cause. Perché è il nostro destino storico-geografico, in primo luogo. Perché è più facile, in certo senso. Perché i cattolici si trovano sempre un po' a disagio con lo spirito protestante del capitalismo anglosassone. Perché il Sud d'Italia, sarebbe inutile nasconderselo, nel contesto europeo non fa gioco dal punto di vista economico. L'Austria illuminata e la Repubblica Cisalpina, questa è la nostra parte d'Europa. Ora, io vivo tra Racalmuto e Parigi, e concilio questi due "opposti" con grande difficoltà. Aggiungo però che del mondo arabo e mediorientale, cioè quello arabo e quello ebraico, rifiuto comunque la miscela religioso-politica che li agita entrambi. Quando penso alle interminabili dispute rabbiniche sulle scritture o agli eterni dibattiti islamici sulla legittimità di bere vino crudo piuttosto che vino cotto, son preso da un profondo, irresistibile desiderio d'Europa e di razionalità europea. Per riduttiva che possa essere".
Fin qui, Sciascia. Certo, visto dalla Europa, l'Oriente arabo-islamico è sempre apparso come una specie di sogno, un inesauribile serbatoio di immagini tra il magico e il fiabesco. lo è stato fin dagli inizi del Settecento, quando Antoine Galland, viaggiatore coltissimo e raffinato, deliziò la corte del Re Sole con la traduzione di dodici volumi di racconti arabi dal titolo suggestivo: Mille et une nuits. E un sogno fu anche per i viaggiatori italiani di fine Ottocento che, avventurosamente, si erano dati a seguire le rotte del Levante. Pochi sanno che fu Edmondo De Amicis, l'autore del Cuore, a inaugurare un nuovo genere letterario, quello del libro turistico, con l'accurata descrizione di alcune città del Marocco, nel 1876. Di lì a poco, nel 1884, Renzo Manzoni, nipote del grandissimo Alessandro, pubblicò il resoconto dei suoi tre anni di viaggi nell'"Arabia felice" corredandolo di ampie vedute panoramiche e della pianimetria di Sana'a, la città santa dello Yemen.
Erano anni in cui il mondo arabo era simboleggiato dalla lampada di Aladino e, agli occhi dell'Europa, evocava fantasie esotiche e pittoresche: cupole abbaglianti, sfarzosi harem, giardini segreti. E' l'epoca dell'Art Nouveau, che quelle immagini si appropriò in nome dell'eclettismo, ed è l'epoca in cui scatta la politica di espansione coloniale. Anche l'Italia va all'arrembaggio. Obiettivo: la Tunisia, dove esiste una forte colonia siciliana. Sembra un'impresa da nulla, ma il sogno imperialista di Depretis viene stravolto bruscamente dalla Francia che, con mossa a sorpresa, nel 1881, occupa Tunisi. Il richiamo dell'Oriente islamico, comunque, non accenna a spegnersi. Suggestioni di quel mondo fantastico, imaginifico, si colgono in tutti i campi dell'arte, dalla pittura alla musica. Il centro di Firenze nel 1886, in occasione del carnevale arabo, si trasforma in un variopinto bazar, popolato da beduini, califfi e odalische. Più tardi, nel 1911, Giolitti dà il via alla conquista della Libia. Tra i volontari, a cavallo di bicicli, c'è un baldanzoso drappello di futuristi.
Occorrerà attendere il secondo dopoguerra e la stagione della decolonizzazione perché l'atteggiamento europeo verso l'Oriente esca dagli schemi dell'esotismo. Anche il rapporto tra la cultura italiana e quella araba cambia: si fa meno sporadico e si sviluppa in forme istituzionali, mentre l'Italia si avvia ad assumere in modo sempre più consapevole il ruolo di mediazione tra la cultura europea e l'universo arabo-islamico. Certo, sono passati i giorni in cui Giannotto Bastianelli, compositore e critico musicale, attratto dal miraggio orientale, andava a vivere e a morire (settembre 1927) nella casbah di Tunisi. In compenso, negli anni Cinquanta si va formando da noi una giovane generazione di arabisti (tra i quali spicca il pugliese - d'origine - Francesco Gabrieli) pronta a riconoscere l'orma islamica ben al di la della vicenda siciliana, (e delle dominazioni arabe di Bari, di Taranto; e delle scorrerie e dominazioni in Basilicata, in Calabria, in Molise e Abruzzo, fino alle porte di Roma), e intanto vengono varati intensi programmi di cooperazione tecnico-culturale con Paesi di cultura musulmana, e mentre cresce in Europa un imprevedibile processo di islamizzazione: sono tre milioni gli europei praticanti musulmani. Tra le conversioni che hanno suscitato scalpore, quelle del filosofo Roger Garaudy e del coreografo Maurice Béjart. Se la Francia è "il paese dei mille minareti", a Roma, cuore della cristianità, si costruirà un'imponente moschea. Che c'è da meravigliarsi, dunque, se nel Sud dell'Italia, un Sud che ha saputo - malgrado tutto - essere "europeo", sopravvive, quasi intatta, una secolare capacità di penetrare nei labirinti dell'anima araba?

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