Il
più antico componimento poetico pervenutoci da civiltà
mediterranee è un canto nunziale sumero, di 4000 anni fa. Dice,
nei primi versi:
Sposo, coro
al mio cuore,
grande è la tua bellezza, dolce come il miele,
leone, caro al mio cuore,
tu mi hai affascinato, lascia che io resti tremante davanti a te.
Emergono tre dati:
siamo già di fronte a una società non primitiva, che
ha creato una forma di matrimonio sacro; il rapporto uomo-donna è
fortemente passionale e richiama il "Cantico dei Cantici"
della Bibbia; la condizione della donna è superiore a quella
degli animali (intesi come beni, come simboli concreti di ricchezza),
ma è subalterna e inferiore a quella dell'uomo.
Nell'età paleolitica, animali e donne furono tracciati in graffiti
nelle caverne o sulle rocce e scolpiti in statuette. La più
antica statuetta è la "Venere di Willendorf", scoperta
in Austria. Risale a 20.000 anni fa, e rappresenta una donna non più
giovane, nuda, grassa, capelli a cerchi concentrici, volto trascurato,
seno cadente, gambe e fianchi esasperati, ventre e organi riproduttori
enormi (segno di continue gravidanze). le ultime statuette scoperte
sono le "Veneri di Paràbita", risalgono a 7000 anni
fa, e hanno sempre ventre e organi sessuali accentuati (simbolo di
fecondità), ma hanno il resto del corpo più rispondente
ai canoni naturali della giovinezza (età della piena fertilità),
senza devastazioni fisiche. Che cosa è accaduto? Si è
verificata la transizione dei gruppi sociali dal nomadismo alla vita
stanziale, col passaggio dalla pastorizia alla coltivazione della
terra.
L'uomo cacciatore è diventato uomo contadino, bonificatore
e persino irrigatore. Il fenomeno si verifica in Asia, specie in quell'ombelico
del mondo antico che è la Mesopotamia, o Terra tra i fiumi,
il Tigri e l'Eufrate: qui si instaurano le più antiche forme
di vita associata; nascono i primi villaggi; si elaborano le prime
tecniche di fusione del rame, del bronzo, del ferro; si creano alfabeto,
scrittura e leggi.
In questo contesto, la donna serve a stabilire i collegamenti e i
rapporti tra gli uomini, tra le famiglie e tra i gruppi triboli. Uomini
produttori di beni diversi ebbero come base io scambio delle donne,
collegato anche a un flusso di merce sotto forma di dote o di prezzo
d'acquisto della moglie. Dunque, il matrimonio primitivo fu unione
di fatto, ma dovuta alla necessità, e solo raramente all'amore.
Tant'è che proprio presso i Sumeri, popolo al vertice dell'organizzazione
civile del tempo, nacquero 3500 anni fa i proverbi, compresi quelli
legati al matrimonio, che hanno singolari analogie con gli atteggiamenti
in voga da noi, e dappertutto, oggi. Alcuni esempi:
La brocca vuota
è la vita dell'uomo,
la scarpa è l'occhio dell'uomo,
la moglia èil futuro dell'uomo,
il figlio è il rifugio dell'uomo,
la figlia è la salvezza dell'uomo,
la nuora è l'inferno dell'uomo.
Una donna inquieta
nella casa
aggiunge male al malanno.
Per il suo
piacere: il matrimonio,
se ci pensa sopra: il divorzio.
Chi non ha
mantenuto una moglie o un figlio,
non ha portato un guinzaglio al naso.
Di regola, come
emerge in particolare dalla storia egiziana, caratteristica del matrimonio
era la monogamia. La poligamia era diffusa fra le dinastie regnanti
e negli strati altissimi della società. L'endogamia era consentita
alla famiglia regnante, proibita agli altri. La poliandria era consueta
nelle società matriarcali. La figura della sposa-sorella è
tipica delle coppie divine e rappresenta, nelle proiezioni umane,
la caratteristica, appunto, del matriarcato, diffuso nelle società
avanzate (1600-300 a.C.), che erano in possesso della scrittura (aree
mesopotamica, cretese, egizia), mentre il patriarcato strutturava
società più arretrate. In Egitto, in particolare, la
donna godeva di libertà, regnava, e nelle vesti di regina era
molto potente. Questa posizione di preminenza ha origini misteriose
e remote. Col tempo, l'uomo scalzò il suo predominio.
Il "Pentateuco", di cui il "Genesi" è il
libro più importante, è un insieme di testi risalenti
a tempi diversi, dal X secolo di Salomone, (quando Dio era chiamato
Jahvé), all'VIII secolo, (quando Dio era chiamato Elohim),
fino al VI secolo a.C.
Questo grande arco di tempo e le varie tradizioni raccolte nel "Pentateuco",
(testo fondamentale per le tre religioni monoteiste: ebraica, cristiana,
musulmana), spiegano perché vi sono riportati due racconti
diversi della creazione dell'uomo. Il primo dà la contemporaneità
della creazione:
Dio creò
l'uomo a sua immagine,
a sua immagine Dio lo creò.
Maschio e femmina li creò.
Il secondo dà
la successione: Dio crea Adorno, poi gli animali, infine (con la costola
dell'uomo) Eva:
... E l'uomo
disse:
Ora finalmente questa è carne della mia carne
e ossa delle mie ossa...
Il peccato originale,
commesso dalla coppia, (il serpente tenta la donna; la donna istiga
l'uomo), determina la fine del regno della felicità, la conoscenza
della fatica, il conflitto bene-male, l'avvento della morte. la donna
ha, però, nel peccato originale, parte di protagonista, evidenziata
da una condanna più severa di quella dell'uomo e più
leggera di quella del serpente (che dovrà solo "strisciare").
Così viene sancito il suo assoluto assoggettamento all'uomo:
Alla donna
disse:
Moltiplicherò le tue pene e le tue doglie;
nel dolore partorirai i figli;
i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito
ed egli ti dominerà...
Il dato riconosciuto
è quello di una società pastorale fortemente patriarcale
e rigida, che solo più tardi evolverà in società
contadina, con la donna non più costretta nell'ambito della
tenda o della capanna, ma libera tra le coltivazioni e gli animali
addomesticati, con rapporti di vicinato. Essa rimase sempre proprietà
dell'uomo, comprata dopo trattative anche laboriose, e ripudiata se
non fertile. Ma ebbe anche aperte le vie del successo e della preminenza
se in possesso di riconosciute doti di intelligenza e di saggezza.
Il marito poteva prendere tutte le mogli che voleva, secondo la convenienza
e la ricchezza. E tutte doveva trattarle con ugual dignità.
E da questa società venne il più grande canto, il più
splendido inno all'amore, nel "Cantico dei Cantici":
Come, come
sei bella, amica mia;
colombe sono i tuoi occhi
tra l'ombra dei capelli,
i riccioli
un gregge di caprette
sparse sulle pendici di Giléad,
i tuoi denti
pecore
che dalla fonte risalgono tosate...
Le tue labbra
sono un filo di porpora,
un incanto è la tua bocca;
tra le ciocche
dei capelli
le tue guance sono spicchi di melagrana...
Il "Rigveda",
testo indiano scritto intorno al 1000 a.C., ma proveniente da una
tradizione orale che si perde nei millenni, è stato definito
"il più antico documento letterario della razza bianca".
In uno degli inni, Yama, corrispondente nella mitologia indiana al
nostro Adamo, rifiuto le nozze con la sorella Yami. E' il primo rifiuto
codificato dell'incesto. E segna l'inizio della vita basata sullo
scambio, di cui la donna è segno fondamentale.
Un altro testo indiano, il "Mahabharata" è il più
grande poema mai scritto, con oltre 100.000 strofe, sintesi del passato
e dell'avvenire dell'India. Qui compare per la prima volta una tragica
strofa: "La moglie che è morta prima, dopo morta attende
il marito: se muore prima costui, ella come virtuosa lo segue".
è il riferimento all'uso di bruciare la vedova insieme al cadavere
del marito. Questa macabra usanza fu abolita per legge dagli inglesi
nel 1829 (ma le trasgressioni continuarono), e riguardava le coste
più elevate, tant'è che non si diffuse mai in tutta
l'india. Gli invasori Ariani ebbero in questo paese struttura patriarcale
e poligamia; gli indigeni Dravida ebbero struttura matriarcale e poliandria.
Evolvendo, ebbero matrimonio monogamico e indissolubile, con sposa
comprata: questa portava una dote, era uguale all'uomo, partecipava
alla vita attiva e alle cerimonie religiose. Coi tempo, questa condizione
peggiorò, soprattutto con la rigida divisione in caste. L'induismo
proibì il matrimonio tra elementi di caste diverse, e solo
il buddhismo ridiede dignità alla donna, aprendole anche le
vie dell'attività politica. Oggi, in una società fortemente
composita, la donna ha ripreso valore; ma resta la piaga del ripudio
"per scarsità di dote": il marito, cioè, si
appropria la dote della moglie, che scaccia, condannandola alla fame.
Il "Libro delle Odi", (305 componimenti poetici cinesi),
si vuole raccolto da Confucio. Qui compare, per la prima volta, la
figura della poetessa, la regina di Wei. Presso i cinesi, lavoro uguale
per donne e uomini. Tessitura, coltura dei bachi da seta, fabbricazione
dell'alcool, tra i compiti femminili; coltivazione dei campi, caccia,
pesca, raccolta di bacche e rodici commestibili tra quelli maschili.
Forte il matriarcato. Poligamia e concubinaggio diffusi, nelle caste
medio-alte. Interdette le unioni all'interno della parentela. Diffuso
il baratto, o scambio umano: a ogni generazione, metà dei figli,
quelli del medesimo sesso, dovevano abbandonare il villaggio familiare
per andare a sposarsi in un villaggio vicino, in cambio di un medesimo
gruppo di giovani dello stesso sesso e d'un altro nome. Inizialmente,
si trattava di ragazzi, poiché il cognome lo dava la madre
e la casa era di pertinenza delle ragazze. Poi il baratto riguardò
anche le ragazze. Per i matrimoni, rigide differenze d'età:
ottimali erano ritenute le unioni tra un trentenne e una ventenne.
Dal momento che il baratto significò anche per le donne un
sostanziale "espatrio" dal proprio villaggio, la condizione
femminile era particolarmente difficile. Per l'affiatamento con lo
sposo erano previsti tre anni, che includevano litigi, fughe, riconciliazioni,
patteggiamenti, con l'intervento dei genitori.
Penelope, moglie di Ulisse, Andromaca, moglie di Ettore, e Clitennestra,
moglie di Agamennone, rendono bene l'idea della donna nel mondo omerico
e in quello greco. Andromaca, quando parla ad Ettore, alle Porte Scee,
è la vita stessa che non può negarsi: condanna la guerra
e respinge l'idea (che presto diventerà realtà) della
morte (del figlio) e della schiavitù (propria). Pur accettando
il destino (non può fare diversamente: è la donna dell'eroe),
essa resta interiormente libera, come non sarà mai la donna
greca del suo tempo e dei secoli successivi.
Penelope e Clitennestra sono arbitre di storie contrapposte. La prima
ritrova il marito e perde in 20 anni una giovinezza senza amore. E'
emblematica del concetto greco di donna: sposa a 12-15 anni, dunque
con frequenti morti di parto; ripudiabile senza veri motivi; inferiore
rispetto all'uomo; esclusa dalla vita pubblica; sottomessa per consiglio
di Platone e di Aristotele; peso grave e noioso per un padre; esclusa
dalla scienza; dominata dal marito; di poco superiore alla schiava.
In questo contesto emersero le celebri figure delle etere, (Frine,
Aspasia, Targhelia, Laide, Neera), schiave straniere o figlie di liberti,
con buona cultura, ammesse nei conviti, e al dialogo con l'uomo che
invece non era consentito alle donne che stavano nel gineceo.
La seconda è emblematica della rivolta delle donne greche contro
una condizione di assoluto assoggettamento: suo marito sacrifica la
figlia, Ifigenia, per placare i venti mentre parte per Troia; combatte
per dieci anni per desiderio di potenza; torna con la schiava Cassandra.
Clitennestra è ferita come madre e come donna, allora scatena
la sua furia naturale, sì fa, come nella "Medea"
di Corneille, violenza e distruzione; rivendica il suo ruolo di protagonista
nella vita: e fa entrare la donna, anche se attraverso l'uxoricidio,
nella modernità. In "Le donne a parlamento", Aristofane
descrive la foro assemblea come un raduno di ciabattini, tanto erano
pallide e slavate per la lunga clausura, tipica delle donne greche.
Clitennestra da il segnale della rivolta contro questa condizione
di ostaggi permanenti.
Ben diversa la condizione della donna nella società romana,
nella quale ebbe posizioni preminenti. Intanto, a Roma non esisteva
il gineceo. La donna, dunque, poteva uscire liberamente, godeva d'un
certo prestigio, partecipava a feste e a conviti, per strada le cedevano
persino il passo. Poteva andare a teatro, recarsi ai templi e presso
il tribunale, mangiava col marito, viveva insieme con lui, non aveva
rivali in casa, anche perché il matrimonio era monogamico,
e nell'ambiente familiare aveva peso e dignità. Tuttavia, la
sua capacità giuridica è per molti aspetti inferiore
a quella dell'uomo, tant'è che è esclusa dalla vita
pubblica, e la sua esistenza era limitata dall'intensa attività
domestica. In un certo senso, viveva sotto perpetua tutela. Un fatto
curioso: quando partecipava a un banchetto, le era rigorosamente interdetto
il vino.
Furono i Sabini, dopo il celebre ratto delle loro donne, a porre ai
Romani precise condizioni sul trattamento e sulla condizione femminile.
E i Sabini, notoriamente, trattavano bene l'altra metà del
cielo. Da sottolineare che i Romani avevano verso i figli (dunque,
anche verso le mogli) potere di vita e di morte. Ma non ricorsero
mai a rimedi estremi, anche perché era abbastanza diffuso il
divorzio su richiesta dell'uomo, e, dopo la seconda guerra punica,
anche su richiesta della donna.
Ma c'è una considerazione da fare, e proprio in funzione dell'importanza
della donna nella società romana. Quando per questa società
cominciò lo sfacelo, essendo sempre più dominata dalle
caste militari, si fece strada un motivo che dominò negli anni
seguenti e che fu comune a molti scrittori. Nella ricerca di un responsabile
della situazione, e quindi di un capro espiatorio, gli oscuri sentieri
della mente portarono a individuare proprio l'elemento più
debole e più indifeso: la donna sarà la colpevole, secondo
Marziale, Giovenale, i minori e i misogini dell'"Antologia Palatina",
della decadenza dei costumi, della morale, e quindi della stessa Roma.
Sarà lei la dissoluta e la traviatrice della società,
colei che doveva essere dominata e controllata come la portatrice
di vizi, la seduttrice per antonomasia. E tutto questo fu premessa
per i principii di castità, di continenza, di disprezzo della
carne e persino di fuga dal mondo che caratterizzarono tanta parte
del pensiero cristiano. Scrisse Marziale:
Prisco, è
la donna all'uomo sottomessa
l'unica forma d'eguaglianza ammessa.
Se un'amica
Licoride ebbe cara
di regola è finita nella bara.
Voglia il cielo, Fabiano, ch'essa sia
presto anche amica della moglie mia.
E Giovenale:
E' per lui
che si cerca una donna di sani e antichi costumi?
Altro che storie: qui ci vuole una bella camicia di forza.
O adorabile ingenuo, inginocchiati nel tempio Tarpeio
E a Giunone sacrifica una giovenca dalle corno d'oro
Se mai ti tocchi una donna pudica, tanto poche sono oggi
quelle degne di toccare le bende di Cerere e quelle
di cui i padri non temono i baci...
Non diversa è
la concezione della donna nella poesia greca del periodo bizantino,
e in quella latina della decadenza.
Il Cristianesimo incide fortemente sulle coscienze, predica la liberazione
e la libertà, l'uguaglianza e l'amore fra gli uomini: per questo
si diffonde rapidamente, e segna un solco incolmabile con l'età
pagana. Nascono un nuovo mondo di valori e una visione sconosciuta
della vita. Gli dei dell'Olimpo cedono di fronte al Dio del Vecchio
Testamento. E il Cristo dei Vangeli completa la rivoluzione. la dottrina
cristiana accrebbe dignità, sicurezza, parità della
donna, giungendo, (contro la morale del tempo), a riabilitare persino
la peccatrice che si pentiva. Identico fenomeno si verificò,
secondo gli studiosi dell'Islàm, con l'avvento di Maometto
e del Corano: si condannò l'infanticidio femminile, che era
molto diffuso, si regolarono divorzio e concubinaggio con schiave
e con prigioniere, si mutò la pena per le adultere (cento colpi
di frusta, invece della morte). Rimase la poligamia, anche perché
lo squilibrio sociale tra uomo e donna raggiunse nel mondo musulmano
uno dei punti estremi. l'uomo poteva sposare straniere e infedeli;
la donna, no. la donna viveva segregata in casa, senza libertà
personale, isolata dal mondo; poteva parlare solo con i parenti più
stretti; doveva uscire col viso velato e comportarsi come una sordomuta.
Per gli strati sociali più alti, l'harem era una prigione dorata,
con le donne (moglie; prima, seconda e terza favorita; poi le concubine),
guardate a vista dagli eunuchi. Non fu Maometto a favorire tutto questo,
ma certamente ebbe grande influenza la sua concezione della donna.
Dicono alcuni versetti del Corano:
"Gli uomini sono superiori alle donne per le qualità che
Dio ha dato loro al di sopra di quelle, e per le spese che sostengono
per esse ( ... ). Quanto alle mogli di cui temete la ribellione, ammonitele,
fatele dormire da sole, battetele ( ... ). Chi non ha mezzi di sposare
donne libere e credenti, sposi giovani credenti schiave ( ... ). Le
mogli hanno verso i mariti gli stessi obblighi che i mariti hanno
verso di loro secondo giustizia, ma gli uomini rispetto ad esse sono
di grado superiore ... ".
Ma ancora peggiore era la condizione della donna nella società
giapponese, esclusa da ogni attività, di proprietà dell'uomo,
uccisa o suicida con harakiri anche per il semplice sospetto dell'adulterio,
sessualmente trattata con crudeltà. Eppure, tutto questo, insieme
con l'amore, venne cantato in versi preziosi e raffinatissimi, fin
dal primo grande monumento della poesia nipponica, la "Raccolta
delle diecimila foglie", diecimila versi con 4.496 componimenti
del VI e VII secolo dopo Cristo. Un esempio:
Cerco il sentiero
di rosse foglie adorno
da lei percorso
sui colli d'autunno -
e non lo trovo e piango.
Sul lago d'Omi
pivieri a sera stridono
sopra le acque;
il cuore mesto sogna
di giorni ormai lontani.
(1 - continua)