§ IL CORSIVO

Anni '80 dorati?




Franco Ferrarotti



Può ben darsi, come ritengono commentatori noti per la proterva superficialità, che gli anni '80 siano "anni dorati". Il rigore non garantisce nulla circa la fondatezza delle previsioni. E una Certo dose di leggerezza può anche disporre a captare meglio, con maggiore prontezza, i capricciosi venti dell'attualità e gli improvvisi réfoli della moda. Però anche la saggezza convenzionale ci avverte che non è tutto oro quello che luccica. Sarò certo impresa difficile convincere la popolazione del Libano che gli anni '80 sono anni dorati così come non riuscirà agevole persuadere i neri del Sudafrica che stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili. Ma gli odierni dottor Pangloss sono forse casalinghi e giudiziosamente limitano l'ambito delle loro osservazioni all'orizzonte domestico. è impossibile non riconoscere che, dopo anni di magra, la Borsa è esplosa. Non solo. i bilanci delle imprese, da anni indebitate fino al collo, sono nuovamente in nero. Stanno tornando gli utili e, con gli utili, fanno capolino i dividendi con grande soddisfazione dei réntiers che si guadagnano da vivere tagliando le loro cedole. Ma a questa relativa prosperità dei privati corrisponde in Italia un pauroso debito pubblico, un'autentica voragine.
La recentissima radiografia dell'economia italiana portato a termine dal Fondo Monetario Internazionale non è un documento che possa indurre a sonni tranquilli. Secondo la diagnosi del Fmi, nel 1985 l'economia italiana ha praticamente segnato il passo; anzi, alcuni settori hanno accusato un netto deterioramento. Una delle maggiori debolezze va ricercato nella finanza pubblica; con il suo cronico, ampio disavanzo costituisce la palla di piombo al piede per quanto riguarda lo sviluppo del sistema. Il deficit sembra destinato a restare altissimo. Il colo combinato di dollaro e petrolio non risulterò decisivo per sanare questo squilibrio. Nonostante i benefici connessi con il miglioramento delle condizioni esterne non è azzardato l'ipotesi che l'Italia si trovi ancora relegata all'ultimo posto nella classifica dei sette più importanti paesi industrializzati. Mentre la sua crescita economica è prevista come inferiore alla media, il suo tasso di inflazione resterò di parecchie unità superiore.
Il discorso si fa anche più problematico se, cifre e statistiche a parte, si considera la qualità della vita quotidiana, vale a dire quella "polpa" della convivenza che usa chiamarsi "la società civile". Basti pensare alle migliaio di giovani che, per pochi posti e per di più malpagati, affollano i concorsi. I giornali amano in queste occasioni indulgere alle pennellate ad effetto e qualcuno, più coraggioso della media, ha anche proposto, come misura radicalmente risolutiva, di abolire i concorsi. Ma ciò vorrebbe dire curare la febbre con la cipria. Partecipare ai concorsi indetti dalle varie amministrazioni pubbliche, statali e parastatali, non è per i giovani un piacevole passatempo. E' piuttosto il frustrante inseguimento, spesso, di un'illusione: un guadagno modesto, ma sicuro, la possibilità di autonomia rispetto alla famiglia, la speranza di mettere su casa per conto proprio e dar corpo finalmente alla propria autonomia con un minimo garantito di dignità.
Troppi analisti, oggi, dagli economisti ai sociologi e agli psicologi, sembrano piuttosto indifferenti alla dimensione esistenziale dell'inserimento produttivo dei giovani. Colpisce soprattutto lo sprovveduto ottimismo di coloro che esaltano la società post-industriale, l'informatica, la telematica, e così via. Essi si dicono certi che alla lunga scadenza i nuovi posti di lavoro compenseranno quelli che oggi si stanno quotidianamenti perdendo. Naturalmente, "alla lunga scadenza". A loro ha già risposto il grande J. M. Keynes: "Alla lungo scadenza saremo tutti morti".

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