Sud, giovani, giusti zia, informazione




Alberto Severi



E' innegabilmente cresciuta in questi anni l'attenzione al problema mafia soprattutto da parte delle giovani generazioni. Un particolare rilievo va alla informazione che attraverso giornali, stampa quotidiana, radiotelevisione ha disegnato confini e caratteri della mafia. Notevole il contributo di conoscenza. Ma è ancora insufficiente. Vediamo perché. E' vero che l'aumento dell'informazione è dovuto ad una maggiore mobilitazione del mondo dell'informazione e ad una accresciuta sensibilità dei giornalisti innervata sui punti nodali dei valori della società, ma si tratta di una esperienza ancora troppo legata ad un "tempo straordinario", quello che in politica si suole chiamare "emergenza". E che mai definisce il carattere di presenza quotidiana della grande delinquenza nel Sud e dell'intero fenomeno associativo.
La legge La Torre parla di associazioni di tipo mafioso in quanto perseguono finalitá o agiscono con metodi corrispondenti a quelli della mafia. Metodi e finalità che consistono nell'avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento di omertà che ne deriva.
Il primo problema che si pone, dunque, l'operatore della informazione è quello della immagine del fenomeno mafioso: che cos'è, la sua pericolosità, la delineazione dei rimedi necessari e possibili. Ma per far ciò occorre veder chiaro nel rapporto fra mafia e società.
Abbiamo voluto vedere, con attenzione, l'evolversi sulla stampa del cosiddetto processo di Palermo, avvenimento rilevante nella storia giudiziaria del nostro paese. Una sorto di romanzo nero dal quale scaturiscono realtà mostruose, uno straordinario intreccio di ferocia con i moderni apparati tecnologico-criminali. La pubblicazione della sentenza-ordinanza è già un contributo alla delineazione di un mondo finalmente ricomposto e documentato nella sua complessità. Non più schegge o tasselli di un mosaico inesplorato. Questo documento è anche la prova della volontà dello stato di sconfiggere la mafia. Ma l'impresa non può essere lasciata solo alla azione giudiziaria. C'è un impegno dell'informazione che, innanzitutto, deve fare i conti con il pericolo di un progetto giustizia-spettacolo. Risultato sarebbe l'appannamento dei contorni reali della manifestazione mafioso.
La ragnatela ha grandi fili invisibili, un suo codice, riesce a vivere dentro le istituzioni, va sconfitto nel suo stesso terreno. Non basta dunque guardare dentro le nicchie dei gabbioni di Palermo. Troveremo alcuni dei grandi malfattori, non i loro protettori. La mafia riesce a far parlare di sé, a spettacolizzarsi, a dare di sé una immagine mitologica. Si presenta come manifestazione degenerata di attività criminali nello scenario del Mezzogiorno.
Come dunque cogliere attraverso le parole o la ripresa televisiva un fenomeno così complesso e per troppi versi anonimo e addirittura "sommerso" ?
E' questo un tratto essenziale, indispensabile alla esistenza e alla sopravvivenza della mafia. Gli omicidi di personaggi come Mattorella, La Torre, Dalla Chiesa, sono i punti più alti di una operazione criminale che non è follia, ma lucida volontà di egemonia.
Per sopravvivere la mafia ha bisogno di altri piani sommersi, principalmente per quanto riguarda i collegamenti con economia e politica, la saldatura con la vita quotidiana. Il rapporto con i giornali. Il nostro discorso si lega con la speranza dei giovani, la possibilità di vincere con la loro capacitò di lotta. Non si tratta di vertenze straordinarie o di combattenti a viso aperto contro nemici palesi: è l'emergenza di ogni giorno, davanti, intorno, vicino ci sono le sub culture della paura e dell'omertà delle pressioni parentali e clientelari, della logica del "posto se". Occorre così evitare il pericolo delle categorie: definire ciò che si vede, il visibile come morale e trasparente, l'invisibile come immorale e inquinato.
Cosa significa visibile se ogni' sommerso può avere una sua visibilità e ogni visibilità d'altra parte un suo sommerso. I giovani possono con gli strumenti a loro disposizione, primo fra tutti quello della informazione, costruire la cultura della lotta alla mafia, chiave di lettura che ne colga i due livelli: quello simbolico e quello dannatamente concreto.
Mafia come tutela, come protezione: il prezzo è l'omertà. La società mafiosa è. corpo separato quasi in contrapposizione alla società civile, eppure riesce a filtrare le sue presenze. Occorrono comportamenti comunicativi che superino contraddizioni utili alla criminalità mafioso, alla sua logica solidaristica.
Il nuovo vincolo deve scaturire dal rinforzamento degli strumenti di controllo sociale ma soprattutto dalla capacitò di far scattare e mettere in gioco positive reazioni individuali e collettive che scuotano la sonnolenza sociale, introducendo una sorta di rivoluzione morale.
E' dunque parlare, comunicare, raccontare.
Se il ruolo, come soleva dire il giudice Rocca Chinnici, del giornalista è quello di svegliare anche il giudice dalla suo routine noi dobbiamo dire che questo è importante ma non basta.
Gli anni del silenzio sono lontani - è la noto positiva - ma non sono meno pericolosi quelli dei "sussurri e delle grida". L'eccesso di spettacolarizzazione non è il vaccino giusto contro l'infezione mafioso. La nuova mafia ha cambiato volto: lo si coglie nelle straordinarie testimonianze del vissuto di tanti giudici e di tanti politici. Fra questi le vittime di efferati delitti. Occorre un codice più selettivo che definisca luoghi, soggetti, identità, azioni, vittime della mafia: bisogna saper andare oltre i segmenti, ricongiungerli, superare il sensazionalismo dell'inchiesta, il colore del personaggio e portare alla luce gli intrecci di affari e crimini. Mafia come business: non è sufficiente il censimento delle speranze per invertire una tragica tendenza. Se vogliamo smentire la mano che con pietà, ma anche con rassegnazione, scrisse nel luogo dove fu ucciso Dallo Chiesa "qui morì la speranza degli onesti", occorre un salto di qualità. Se il giornalista testimone graffia con la sua denuncia, occorre un impegno professionale che vada più a fondo, che guardi i fatti, li racconti, li studi, li colleghi, li analizzi nel più profondo contesto sociale. Ciò che è individuabile nella mappa del sottosviluppo non lo è con altrettanta chiarezza nella rappresentazione della mafia tecnologica, quella che solco il Mediterraneo con i suoi venti di guerra criminali.
Non è rotocalco la lungo catena dei delitti che ho finito con l'originare una dimensione nuova di conoscenza.
Sconfiggerla vuoi dire fare i conti ogni giorno con le scelte, le idee, le speranze degli uomini. Determinante sarà il sentimento di libertà che appartiene ai giovani. Per assecondare questo processo l'informazione dovrò fare la suo parte: liberandosi dagli impacci e ritrovando la forza di essere chiarezza, semplicità, rischio di verità. Una pietra contro i vetri dei palazzi dell'informazione della società che sa e non parla e quando parla non dice e troppo spesso non dà nome alle cose.

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