Referendum
per il Mezzogiorno, non sul Mezzogiorno. Per, nel senso di a favore
del Mezzogiorno, perché il Mezzogiorno sappia che cosa - a torto
o a ragione - si pensa di lui, di una questione così antica,
la vera e grande questione nazionale. Per sapere che cosa gli italiani
in generale, del nord come del centro come dello stesso sud, pensano
di un fenomeno tanto complesso e adesso anche tanto variegato, a un
ennesimo passaggio cruciale della sua storia. Con questo spirito è
stato ideato e lanciato il referendum del GR1 per, lo ripeto, per il
Mezzogiorno, secondo un filone già felicemente sperimentato:
dare appunto con i referendum, assieme alle notizie e agli approfondimenti
delle notizie, anche un campione degli umori della gente su un tema
grande o, piccolo, comunque significativo della nostra vita. Un microfono
fra la gente, una sonda fra la gente. Per capire e far capire. Purtroppo
non sempre c'è chi ha voglia di capire. Ma la nostra convinzione
è forte come il pregiudizio che il referendum ha purtroppo rivelato.
Perché
un referendum oggi per il Mezzogiorno.
L'iniziativa del GR1, all'inizio di maggio, si è inserita in
un dibattito che aveva avuto una brusca accelerazione. Imprenditori,
sindacati, banchieri, uomini di governo sembravano aver improvvisamente
riscoperto la "questione meridionale". Non a caso. Dopo
sei anni di vuoto legislativo erano entrate o stavano entrando in
vigore tre nuove leggi, destinate a spostare un fiume di investimenti
verso il Sud, ridisegnando totalmente l'intervento straordinario.
Ed ecco il dibattito: come utilizzare al meglio quelle somme, 120
mila miliardi per l'intervento straordinario e tremila per la legge
sull'imprenditoria giovanile? Come evitare gli errori del passato?
Il dato di base è preoccupante. Nel Mezzogiorno la disoccupazione
supera il 15 per cento, quella giovanile raggiunge il 25 per cento;
il prodotto pro capite è inferiore di un quarto e i consumi
del 30 per cento rispetto alle medie nazionali.
Perché
quella formula del referendum.
La scelta della formula di un aggettivo da affiancare al sostantivo
Mezzogiorno ha fatto molto discutere. Come si sa, l'ascoltatore è
stato chiamato a scegliere fra quattro aggettivi: indolente, ingegnoso,
arretrato, emergente. La proposta è stata elaborata, a livello
scientifico, dell'équipe del prof. Gianni Statera, direttore
del dipartimento di sociologia dell'Università di Roma. Ed
è stata una proposta con una rosa di partenza di una trentina
di aggettivi. Ne sono stati scelti due con valenza positiva (emergente
e ingegnoso) e due con valenza negativa (indolente e arretrato). Come
tutte le scelte conteneva, ovviamente, un margine di opinabilità.
Ma il meccanismo estremamente semplificato obbediva alla legge del
referendum, perché un referendum - rivolto a tutti - deve aver
il massimo di semplificazione, tanto che, ordinariamente, a un referendum
si risponde con un sì o con un no. Nel nostro caso, abbiamo
optato per un meccanismo più articolato proprio per evitare
- come dire? - giudizi sommari. Disconoscere la semplificazione, significherebbe
quindi disconoscere l'istituto stesso del referendum.
I risultati
del referendum
Il 57 per cento degli ascoltatori ha scelto l'aggettivazione negativa
e, di questi, il 44 per cento l'aggettivo indolente.
Vediamo gli elementi di maggior rilievo o curiosità del voto:
1) La maggior parte delle risposte sono venute dal nord (47%) e dal
centro (17,2%).
2) Chi ha scelto l'aggettivo indolente in genere non lo ha motivato
se non usando un altro aggettivo o una descrizione già compresa
nell'aggettivo indolente. In pratica, non lo hanno neppure spiegato,
non ci hanno neppure provato, non hanno neppure fatto lo sforzo di
tentare una argomentazione, per giustificare perché giudicano
il Mezzogiorno indolente. E questo dimostra come sia veramente un
pregiudizio.
3) Il giudizio negativo sul Mezzogiorno è più largo
negli uomini (60%) che nelle donne (55%).
4) Il giudizio è stato tanto più negativo quanto più
si è scesi nel livello di istruzione. Infatti, fra gli ascoltatori
laureati il Mezzogiorno è stato giudicato positivamente dal
52%; dal 39% degli ascoltatori con istruzione media superiore; altrettanto
per gli ascoltatori con livello di istruzione media; scende al 36
per cento per gli ascoltatori con istruzione elementare.
5) Da rilevare come sia stata esigua (5%) la fetta di ascoltatori
che ha indicato nella malavita organizzata la causa della arretratezza
e dell'indolenza attribuita al Sud e come sia stata attribuita scarsissima
rilevanza (3%) a fattori climatici o di territorio per giustificare
giudizi di arretratezza o indolenza.
6) Nelle motivazioni della scelta del secondo aggettivo negativo (arretrato)
più che un giudizio critico nei confronti degli abitanti del
Mezzogiorno, c'è un giudizio critico nei confronti di chi,
nazionalmente e localmente, li ha amministrati. La causa del l'arretratezza
viene infatti fondamentalmente attribuita a cause storiche, a trascuratezza
politica, a ragioni di emarginazione socioculturale.
7) Il 43 per cento dei nostri ascoltatori ha scelto l'aggettivazione
positiva. Di questi, il 17 per cento ha scelto l'aggettivo emergente.
E significativo che siano stati soprattutto i giovani e comunque persone
con un livello di istruzione medio-alto. la maggior parte ha individuato
nella spinta giovanile, nella sensibilità alle nuove tecnologie
e nelle nuove iniziative del governo le cause e le caratteristiche
del Mezzogiorno emergente.
8) Fra i giovani fino a 25 anni oltre il 61% giudica positivamente
il Mezzogiorno. Questa percentuale cala progressivamente con il crescere
dell'età. Per la classe di età compresa fra i 26 e i
45 anni scende al 42%; per la classe fra i 46 e i 65 anni al 39%;
per la classe oltre i 65 anni al 37%.
9) L'atteggiamento nei confronti del Mezzogiorno è tutt'altro
che negativo quando viene espresso da meridionali immigrati al Nord
e da settentrionali che si sono trasferiti al Sud. Questo dimostra
che il contatto diretto con una situazione diverso erode il pregiudizio.
Conclusione
A) Il referendum per il Mezzogiorno del GRI ha rivelato l'esistenza
di un pregiudizio che era legittimo pensare si fosse, almeno in parte,
attenuato.
B) Il pregiudizio è ancora talmente forte che continua a omogeneizzare
e a racchiudere in un giudizio negativo realtà ormai molto
diverse come quelle che ancora si identificano complessivamente nella
"questione meridionale", che ormai come unico dato omogeneo
ha purtroppo solo il tasso di disoccupazione.
C) E' indispensabile porsi per il Mezzogiorno il problema dell'immagine:
bisogna fare un marketing serio dell'immagine del Mezzogiorno .
D) I mass-media, e anzitutto la Rai, possono fare uno sforzo eccezionale
in questo senso. la nostra presenza qui, la presenza del direttore
generale della Rai, testimonia che questo sforzo lo faremo.
Dal "Corpo
8"
Un aggettivo
per il Sud
L'iniziativa è del Gr1: un referendum sul Mezzogiorno. L'invito
è a definirlo con un aggettivo, come usa, ormai, col detersivo,
con l'ultima vettura della gamma Fiat, con le dive dello schermo.
Ma non sono ammessi guizzi di fantasia. Gli ascoltatori (hanno telefonato
ieri, possono telefonare oggi, i risultati si avranno domattina) possono
scegliere fra quattro aggettivi: indolente, arretrato, ingegnoso,
emergente. Prendere o lasciare. Si potrebbe discutere già su
questa indicazione. A ben vedere, è frutto dei più logori
luoghi comuni che il benpensantismo nazionale e l'efficientismo razzistico
delle aree privilegiate hanno coniato nel tempo: l'indolenza, come
dato antropologico; l'arretratezza, come sua conseguenza ineluttabile;
l'ingegnosità, come arte (in fondo simpatica) di arrangiarsi
e di sopravvivere. E infine quell'emergere, generosa concessione alla
speranza di qualcuno e alla logica possibilità di venir fuori
dallo abisso. Ma non è questo che interessa. Né interessa,
onestamente, il risultato finale: il pronostico era facile come una
"fissa" al Totocalcio e i "parziali" della prima
giornata di consultazione telefonica (elaborati da un computer e annunciati,
col tono concitato e un po' febbrile di "Tutto il calcio, minuto
per minuto") lo confermano in pieno. L'indolenza svetta in graduatoria
col 56% delle preferenze.
Il discorso è un altro. Ciò che disturba, in questa
iniziativa, è il vizio culturale di fondo. Considerare il Mezzogiorno
come una cosa (gli studiosi, da tempo, denunciano questo processo
di "reificazione"). E per giunta come una cosa, una realtà,
uniforme, omogenea, ferma nel tempo, sempre uguale a se stessa. Una
realtà che, proprio per questo, può, al limite, definirsi
con un aggettivo. Una simile visione è sopraffattoria, di per
se stessa, della storia e della verità. Al di là della
considerazione delle profonde mutazioni avvenute nel Sud, delle zone
di rigoglio imprenditoriale che si alternano a sacche di stagnante
abbandono (la "pelle di leopardo" di cui parlò De
Rita), questo compattare artificiosamente il Mezzogiorno, senza considerare
i fermenti che vi si spiegano, le diversità che vi si esprimono,
le iniziative (culturali, politiche, imprenditoriali) che vi nascono,
è un modo, forse inconsapevole, per giustificare psicologicamente
il senso di separatezza che rispetto ai problemi del Mezzogiorno è
maturato da tempo in una parte della pubblica opinione. è il
modo più sottile e determinante per rimuoverli dalla coscienza
collettiva, per farne una questione irresolvibile, un peso da sopportare,
al meglio: un inguaribile malato da assistere. Scommetto: se tra gli
aggettivi da attribuire il Gr1 avesse proposto anche "fastidioso",
avrebbe vinto il fastidio sull'indolenza. La logica delle "due
Italie" vuole così.
Antonio Aurigemma
(Il Mattino, 7 maggio)
Non li abbiamo
inventati noi
Caro direttore, sono un assiduo lettore del "Giornale",
che apprezzo per la chiara capacitò di illustrare gli avvenimenti
palesi o reconditi della nostra asmatica società. Fra tanta
chiarezza, però, sento il desiderio di denunciarle un aspetto
"sommerso" delle argomentazioni espresse dal suo foglio:
un antimeridionalismo strisciante, mai confessato esplicitamente ma
sempre presente, che riduce i problemi del Sud, e di Napoli in particolare,
ad una serie di considerazioni più o meno folcloristiche, tutte
tendenti ad evidenziare gli elementi grotteschi, o ridanciani, o semplicemente
squallidi della realtà meridionale.
Ognuno è padrone di pensarla come gli pare, naturalmente; ed
io posso solo prendere atto, con profonda amarezza, dei pregiudizi
con i quali perfino lei (e quel perfino è elogiativo, glielo
assicuro) si allinea all'opinione del volgo nel formulare giudizi
tanto ingiusti ed epidermici sui "fratelli sciattoni" che
popolano la parte "bassa" dello stivale. Altre, cose, però,
credo di poterle contestare: ad esempio, la ricorrente abitudine di
sbattere il delinquente Cutolo in prima pagina (ma i delinquenti di
Milano o di Torino perché non ricevono mai un trattamento così
lusinghiero?); oppure il brutto vezzo di trattare il tema "camorra"
come se fosse una piaga che, partendo da Napoli, contagia gradualmente
tutta la penisola (questa città "stracciona", dunque,
è, "efficientissima" almeno in questo: nell'esportare
criminalità); oppure l'estrema leggerezza con la quale permette
al suo Salvatore Scarpino (12 marzo) di affermare, sempre in prima
pagina, che "certo popolino napoletano" va considerato come
"l'artefice delle truffe più sottili ed efficaci, dalle
patacche allo scartiloffio".
Non credo di essere in grado di fornirle informazioni storiche. Mi
piace ricordarle, comunque (e mi scusi la presunzione), che la "camorra",
quella vera, è una realtà d'altri tempi. Sorta durante
la dominazione spagnola, agli inizi del '500, la "camorra"
propose se stessa come polo di "contropotere" tendente a
tutelare i settori più deboli della popolazione dalle angherie
di un vicereame che aveva a cuore quasi esclusivamente gli interessi
del lontano sovrano iberico. Le volgari bande di criminali che oggi
ammazzano, depredano, sequestrano e derubano divorandosi tra loro
ed attuando le infamie più raccapriccianti non sono la "camorra":
sono criminali, criminali moderni, perfettamente organizzati, rintracciabili
a Napoli come dovunque. E quando un giornale come il suo sbatte in
prima pagina un megalomane come Cutolo, presentandolo per di più
come il "Robin Hood" partenopeo, non fa altro che contribuire,
consapevolmente o meno, alla "criminalizzazione" di Napoli
e del Mezzogiorno.
Non crede sia il caso, signor direttore, di essere un po' più
cauti in avvenire? Napoli e il Mezzogiorno hanno dovuto subire, dal
1860 ad oggi, tutte le "immagini" elaborate dalla fantasia
contorta dei "mass media", della stampa e della grossa editoria:
prima il "mandolinismo", poi la "pezzenteria",
infine la naturale incapacità di essere, come tutti i popoli
civili, laboriosi e creativi. Adesso con la scusa della "camorra",
della "mafia" e della "'ndrangheta", ci vogliono
affibbiare anche l'esclusiva della criminalità. Mi pare veramente
troppo. E quando si tira troppo ogni corda si spezza.
Gennaro Ruggiero
Segretario organizzativo della lega Meridionale Napoli
Caro Ruggiero,
la ringrazio per l'apprezzamento, ma non accetto l'accusa di antimeridionalismo
strisciante che lei riserva al "Giornale". Cutolo e la camorra
non li abbiamo inventati noi e sono certo che anche i quotidiani di
Napoli li sbattono in prima pagina, quando la cronaca lo richiede.
In fatto di criminali non abbiamo mai usato due metri e due misure:
durante i suoi anni ruggenti, anche Renato Vallanzasca, milanese,
ebbe il privilegio della prima pagina. Per quel che riguarda Torino,
non mi viene in mente nessuno, ma mi. è difficile immaginare
un criminale subalpino del calibro di don Rafele, con i suoi codazzi
di killer e di mortammazzati. Ammetterò, poi, caro Ruggiero,
che mafia, camorra e 'ndrangheta danno più lavoro alla polizia,
in questi anni, di quanto non ne abbia mai dato nessun'altra organizzazione
criminale.
So perfettamente che le consorterie criminali non sono tutto il Sud,
sono soltanto una spina velenosa conficcata nel Mezzogiorno e mi rendo
conto che i meridionali onesti e laboriosi, certamente la maggioranza,
soffrono nel vedere che mafiosi e soci fanno aggio, nei giornali,
sulle altre realtà meridionali. Ma ignorandoli non si rende
un buon servigio a nessuno.
Infine, non abbiamo mai dipinto Cutolo come un Robin Hood, anzi abbiamo
denunciato la sua pretesa di atteggiarsi a vendicatore dei poveri.
L'articolo che lei cita sosteneva proprio questo: va rettificato l'opinione
che vuole i napoletani maestri di truffe, poiché essi da secoli
subiscono l'imbroglio dei vari Cutolo.
Ho molti amici del Sud, orgogliosi e intelligenti, i quali mi hanno
spiegato qual è il meccanismo di certe suscettibilità
sudiste: a parlare dei mali del Mezzogiorno sono abilitati soltanto
i meridionali. Loro fanno del meridionalismo, gli altri del razzismo
o, nella migliore delle ipotesi, dell'antimeridionalismo.
(Il Giornale, 7 maggio)
Indolente.
arretrato? Allora di certo è nato nel Sud
Indolente, arretrato, ingegnoso o emergente? Scegliete un po' voi.
Si parla del Mezzogiorno e dei meridionali e questo è il test
che, per due giorni, il Gr1 ha sottoposto ai radioascoltatori. I risultati
definitivi si avranno questa mattina, nel corso di uno "speciale"
del Gr1 (ore 8,30). Ma l'andamento è apparso chiaro fin dai
primi dati: il Sud sarebbe indolente
per oltre il 55% di coloro che hanno telefonato, mentre un altro 20%
lo giudica "arretrato". Insomma, il giudizio del 75% è
sul negativa spinto. Ieri le cose sono andate un po' meglio: recuperano
gli ingegnosi, diminuiscono gli indolenti. Ma non è questo
il problema.
In verità, il primo meccanismo che scatta in un meridionale
(come chi scrive) di fronte a questo particolarissimo referendum è
l'ironia: la voglia - cioè -che la Rai chieda subito agli italiani
non solo di esprimere con un unico aggettivo cosa pensano dei "settentrionali"
e dei "centrali", ma anche quale opinione hanno degli arabi,
dei neri, degli ebrei o - perché no? - delle svedesi.
Nella formulazione stessa (ultrasemplificata e alquanto cervellotica)
dei test c'è, infatti, una stimolo all'irrazionale, un fastidioso
sottofondo razzista.
E c'è come un ritorno alla peggiore Torino degli anni 50 e
al "cordone sanitario" steso dalla Fiat di Valletta attorno
agli operai immigrati, supersfruttati in fabbrica e contemporaneamente
isolati dal "cuore antico" della città grazie alla
fitto selva di cartelli: "Non si fitta a meridionali". Ma
la domanda inquietante è proprio questa: perché questo
"clima" si ripropone oggi, in un'Italia che tutti gli indici
economici e sociali confermano sempre più "spaccata in
due" da quindici anni a questa parte e mentre autorevoli studiosi
denunciano, cifre alla mano, che proprio il Sud è stato sacrificato
durante la "grande crisi petrolifera" e chiedono che finalmente
si inverta la tendenza?
"Indolente" - cominciamo da qui - è un aggettivo
tranquillizante per una certo coscienza media nazionale. Vuol dire,
infatti, "è colpa loro, abbiamo fatto il possibile".
E'' anche un aggettivo che assolve in blocco scelte politiche e classi
dominanti locali e nazionali: "Se loro - i meridionali - sono
fatti così, che cosa ci si poteva fare" ?
Falsi dati, false coscienze: si può dimostrare scientificamente,
in questi ultimi quaranta anni, che cosa è stato fatto e perché.
Che cosa non è stato fatto e perché. E da chi. O per
colpa di chi. Anche mettendo nel conto le colpe di un "meridionalismo
accattone", teso a presentare il Sud come una "unità
indistinta", pur di ottenere sussidi dalla parte più sviluppata
del Paese.
E tuttavia qualcosa di profondo si è incrinato nella coscienza
nazionale (e nella solidarietà) in questi anni. Qualcosa che
non ha a che vedere con le "nubi ideologiche" o con la propaganda
con cui le classi dominanti hanno cercato di nascondere il loro macroscopico
fallimento.
Ed è una rottura che (purtroppo) ha riguardato l'Italia onesta
e generosa ed è nata da uno straordinario moto di generosità,
quello che si manifestò dopo il tragico terremoto che colpì
la Campania e la Basilicata.
Allora per gran parte d'Italia ci fu una vera e propria "riscoperta"
della questione meridionale, uno specchio gigantesco fu davanti agli
occhi di tutti e mise in moto processi non superficiali.
Emersero anche in tutto evidenza le responsabilità di chi aveva
governato (?) la cosa pubblica, a Roma e nel Sud. E fu chiaro che
non si trattava di ricostruire città o villaggi distrutti,
ma di far sì che un'Italia come quella non vi fosse più.
E invece che accadde? Che al posto delle "nuove scelte"
di cui tutti in un primo momento avevano denunciato l'urgenza, arrivò
la "vecchia assistenza". I miliardi arricchirono i furbi
o i ricchi. Finirono amministrati - per gran parte - dalle stesse
mani che avevano dilapidato le risorse precedenti o in quelle della
camorra o nelle une e nelle altre, come più di un clamoroso
processo ha poi confermato.
"Nulla sarò più come prima", aveva titolato
- dopo quel terremoto gigantesco e doloroso - "l'Unità".
E così fu. Ma in peggio. "Nulla fu più come prima"
sicuramente in quelle grandi aree del Mezzogiorno che erano state
colpite, ma perché la vita divenne sempre più pesante
e difficile. Specie per le persone oneste.
Ciascuno di noi ha oggi, in una città del Sud, giovani amici
e onesti professionisti che si sono trovati a un terribile bivio:
o la corruzione o la convivenza quotidiana con le minacce.
E lo Stato. Lo Stato è intervenuto quando non se ne poteva
più fare a meno, quando le bande armate erano ormai le sole
a poter circolare tranquille nelle città.
Eppure, nel Sud, una risposta c'è stata: dei giovani, della
gente. Che cosa sono state le marce contro mafia e camorra? E l'ostinazione
con cui forze imprenditoriali o intellettuali si sono sforzate di
introdurre il nuovo, dando prova di saper superare mille difficoltà?
E che cosa è stato la manifestazione di duecentomila ragazze
e ragazzi a Napoli per il lavoro, se non un "messaggio"
a tutta l'Italia che vuole e può capire?
Ecco, è da qui che sarebbe necessario riprendere il discorso:
che cosa fare, oggi, al Nord e al Sud per il Mezzogiorno.
Che poi vuoi dire che cosa fare oggi, al Nord e al Sud, per l'Italia
intera.
E' su questa questione che (senza razzismo, né meridionalismo
accattone) dovremmo di nuovo misurarci tutti.
Rocca Di Biasi
(Unità, 8 maggio)
Pregiudizi
sul Sud In onda al Gr1
Polemiche, perplessità, proteste ha suscitato l'iniziativa
del Giornale Radio della prima rete Rai di indire tra i propri ascoltatori
un referendum sul Mezzogiorno. La domanda alla quale la gente è
stata invitata a rispondere nelle giornate di martedì e mercoledì,
telefonando alla redazione del Gr1, era: tra "indolente",
"arretrato", "ingegnoso", "emergente",
qual è l'aggettivo più adatto a qualificare il sostantivo
"Mezzogiorno"? E la gente, sollecitata ad esprimere il proprio
parere, ieri mattina ha fatto la suo scelta: il 44,6% degli ascoltatori
ha scelto "indolente", il 13,8% "arretrato", il
24,7% "ingegnoso", il 16,9% "emergente", confermando,
sia pure attraverso questa formula inusuale, che la maggioranza degli
italiani continua ad avere sul Mezzogiorno un giudizio negativo.
Le telefonate ricevute sono state circa 2.500, più dal Nord
che dal Sud, soprattutto durante la prima giornata di raccolta dati;
ma tra i molti che hanno indicato l'indolenza come prerogativa precipua
dei meridionali, pochi sono stati poi in grado di motivare questa
scelta.
Ad elaborare i dati, ieri mattina, durante uno "Speciale"
trasmesso subito dopo il giornale radio delle ore 8 (il più
ascoltato della giornata), è stato Gianni Statera, direttore
del dipartimento di sociologia dell'Università di Roma nonché
ideatore insieme con la sua équipe di questo test. E' stato
Gianni Statera a scegliere questi quattro aggettivi in mezzo a una
rosa iniziale di venticinque, perché, a suo avviso, questi
quattro meglio di qualsiasi altro si prestavano ad una corretta analisi
dell'idea che la gente ha del Meridione. Ingegnoso e indolente, infatti,
si riferiscono all'aspetto psicologico del carattere meridionale,
mentre arretrato ed emergente si riferiscono all'aspetto economico.
Tutte queste belle spiegazioni metodologiche, però, non sono
riuscite ad evitare l'irritazione dei meridionali, infastiditi per
essere stati ancora una volta considerati cittadini diversi, casi
da catalogare, fenomeni da osservare e da giudicare. Alcuni hanno
protestato direttamente dai microfoni del Gr1, altri lo hanno fatto
attraverso i loro quotidiani. Alcuni cittadini di Torre Annunziata
hanno addirittura presentato una querela in pretura, perché
ritengono questo referendum offensivo e diffamatorio.
Il direttore del Gr1, Salvatore D'Agata, non pare essere troppo scosso
da questa polemica. Di referendum, il Gr1 ne ha fatti tanti: il più
celebre fu quello di stabilire se era giusto o non era giusto che
il presidente Pertini avesse il premio Nobel.
Questo, sul Mezzogiorno, è un caso diverso. Ridurre la grande
questione meridionale a una questione di aggettivi non può
sembrare una banalizzazione eccessiva del problema? Salvatore D'Agata
dice di no. "Sul Mezzogiorno siamo ad una svolta, a un passaggio
nuovo. Si attendono investimenti sostanziosi, ci si aspetta un mutamento
di segno politico. Per tutte queste ragioni mi era parso giusto, proprio
in questi giorni, interrogare la gente per capire se l'antico pregiudizio
sul Meridione avesse ancora una sua vitalità. La risposta,
purtroppo, è stata sconfortante".
si. ro.
E Napoli si
irrita "Che sciocchi ... "
Il più acceso è un settentrionale colato nei problemi
del Sud, don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra: "Trovo l'idea
di questo referendum riduttiva e insultante: duemila anni di cultura
non possono essere liquidati in quattro aggettivi". Alberto Abruzzese,
docente di sociologia delle comunicazioni di massa, alla reazione
preferisce invece l'analisi: "Indolente, arretrato, ingegnoso,
emergente? Credo che rispetto al Sud, e a Napoli in particolare, ciascuno
di questi aggettivi si regga sull'altro. Certe reazioni comunque mi
paiono eccessive: in fondo, quello del Gr1 era solo un giochetto".
Luigi Compagnone, scrittore, è caustico: "Se Croce, Spaventa
o Giustino Fortunato avessero preteso di definire il Sud con quattro
parole li avremmo presi per pazzi. Questi della Rai li prendiamo per
stupidi ... ". Lo strano "referendum" lanciato tre
giorni fa dal Gr1 ha decisamente urtato la suscettibilità dei
napoletani. L'altro ieri, a Torre Annunziata, quattro persone si sono
addirittura rivolte al pretore: tre aggettivi su quattro, affermano,
sono "dequalificativi", mentre l'ultimo, quell'"ingegnoso"
dai molti possibili significati, rappresenterebbe solo un artificio
per mascherare il contenuto "denigratorio, dispregiativo e discriminatorio"
dei precedenti. Come meridionali, i quattro di Torre si sentono diffamati
e chiedono al pretore di punire "esemplarmente gli ideatori,
i diffusori e i propagatori della trasmissione".
Il giudice, Luigi Pentasselo, non ha potuto accogliere la richiesta,
se non altro perché la competenza a intervenire spetterebbe
al pretore di Roma, città da cui la trasmissione è partito.
Adesso un quotidiano di Napoli suggerisce quattro pesanti opzioni
per un eventuale referendum sull'autore del programma rodiofonico.
Politici ed intellettuali vengono interrogati o tappeto: ai mali del
Sud si contrappongono l'inquinamento e il metanolo. Sull'opportunità,
il valore e soprattutto il buon gusto dell'iniziativa del Gr1, i dubbi
paiono davvero pochi: ma, detto questo, era davvero il caso di prendersela
tanto?
Don Riboldi dice di sì: "Capisco benissimo certe reazioni,
certe suscettibilità: hanno una storia, motivazioni precise.
Vogliamo proprio ricorrere agli aggettivi? E allora definiamo il Sud
affascinante e incompreso; o meglio ancora, affascinante perché
incompreso ... ". Maurizio Valenzi, ex sindaco di Napoli, si
mostra disincantato: "A me - dice - quel sondaggio sembra soprattutto
puerile". E Giuseppe Galasso, sottosegretario ci Seni Culturali,
va anche un po' più in là: il fatto che la gente del
Sud sia stata definita anzitutto indolente, a suo avviso, "dimostra
che i pregiudizi sul Mezzogiorno sono duri a morire, ma anche che
noi non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto, per abbatterli".
g. z. (La Stampa, 9 maggio)
Rai & Sud
Sentiamo un po', qual è l'aggettivo che meglio definisce i
meridionali agli occhi dei settentrionali? Tramite il Gr1, diretto
da Salvatore D'Agata, la Rai ne ha proposto quattro, organizzando
un rapido referendum fra i propri ascoltatori. Essi potevano scegliere
fra: "indolente", "arretrato", "ingegnoso",
"emergente". La netta maggioranza delle persone che hanno
telefonato alla Rai ha scelto l'aggettivo "indolente" (44,6%),
il 27,7% ha preferito "ingegnoso", il 16,9 "emergente",
il 13,6 "arretrato". E nel Sud la gente ha reagito male.
Un gruppo di cittadini di Torre Annunziato ha querelato la Rai. Molti
cittadini hanno telefonato alla redazione del Gr1 per protestare.
Uomini di cultura hanno commentato la faccenda con amara ironia. Sul
referendum radiofonico, noi abbiamo rivolto qualche domando allo scrittore
napoletano Domenica Rea. Ecco l'intervista.
- Lei ha ascoltato la trasmissione del Gr1 sui meridionali?
- No, non l'ho ascoltata. Però ne ho sentito parlare.
- Le sembra un referendum interessante?
- No, vogliamo scherzare? Intanto è stato fatto in maniera
coloniale, e certamente da persone che del Sud sanno ben poco.
- Quindi anche lei, come tanti meridionali, pensa che l'aggettivo
"indolente" ribadisca una fama immeritato?
- Si. Basterebbe fare una verifica fra gli americani del Nord, i sudamericani
e gli australiani. Per non parlare del Settentrione italiano, dove
i meridionali hanno occupato quasi tutti i posti-chiave. Se fossimo
indolenti, le cose sarebbero andate molto diversamente. Non si dimentichi
che Giovanni Agnelli ha sposato una Caracciolo, napoletana.
- Però, subito al secondo posto, c'è l'aggettivo "ingegnoso".
Questa qualità almeno vi viene riconosciuto.
- Sì, grazie tante. Non occorre mica un grande sforzo per arrivarci.
A pensare, in Italia, se è vero che la filosofia significa
ancora qualcosa, sono stati soltanto i meridionali.
-Caro Rea, non le sembra eccessivo?
- No, affatto. lo credo che davvero non si possa paragonare con un
D'Azeglio quel Giordano Bruno che si fa arrostire in pieno spagnolismo
italiano. Vogliamo ricordare anche uomini come Campanella e Giovan
Battista Vico? E potrei continuare ancora.
- Una minoranza degli ascoltatori, quella che vi ha definito "emergenti",
pensa che nel Sud qualcosa si stia muovendo.
- No, lasciamo perdere. Se devo dire la verità, a proposito
di questo "emergenti", io mi sono sempre meravigliato che
i meridionali non abbiano bruciato tutto.
- La definizione "arretrati", al quarto posto, si riferisce
naturalmente alla mentalità più che alla situazione
socioeconomica.
- Sì, appunto, alla mentalità. Allora, a proposito di
arretratezza mentale, vorrei solo rammentarvi che Milano, la città
italiana più vicina al futuro, soltanto nel mese di aprile
ha dato i natali a due ragazze nordicissime
che, uscite incinte, si sono liberate dei figli, una buttandolo dal
balcone e l'altra nel cesso. è questa la mentalità evoluta?
- Lei pensa che la Rai non dovrebbe fare trasmissioni come questa,
o piuttosto che la Rai si è limitata a raccogliere le opinioni
di un certo Nord italiano?
- Sì, io credo che queste risposte riflettano un certo modo
settentrionale di pensare il Sud. Ma è gravissimo che la Rai,
che è un ente pubblico, dica simili castronerie. Proprio la
Rai, che è una riserva di caccia servile dei partiti e il luogo
in cui il merito non conta nulla, ma proprio nulla! Ecco perché
vi possono accadere certe cose.
- Sento, Rea, forse anche i meridionali, che sicuramente patiscono
la sopravvivenza di vecchi pregiudizi in una metà del paese,
non hanno fatto abbastanza per modificare la mentalità del
Nord.
- No, qui ne salterebbe fuori un discorso molto lungo, mica possiamo
liquidare il problema in qualche battuta. Venga a trovarmi a Napoli,
le offrirò un piatto di triglie e faremo una bella chiaccherata.
Fausto Pezzato
(Il Resto del Carlino, 10 maggio)
Meridione e
fichi secchi
Per mia scelta, oltre che per gli indiscussi meriti di impostazione
e strutturazione didattica, adopero nella mia IV classe elementare
il testo edito da "La Scuola" dal titolo "Uomo, Natura
e Civiltà", ma ciò che prima poteva sembra re una
prevenuta interpretazione di certe sottolineature discriminatorie,
via via si è tradotto in perplessità e disorientamento.
Prescindendo dalla presentazione di ciascuna regione sembrerebbe quasi
che gli Autori facessero una tabella meritocratica in cui il giudizio
sulle reali condizioni sottintendesse torti e colpe, errori e castighi.
In poche parole, si esclude un chiaro riferimento alle cause della
realtà attuale, assegnando alla sola storia antica il pregio
della suo fioritura nel Meridione. Così si legge che al Nord
c'è cultura, intelligenza, imprenditorialità e sagacia,
e al Sud c'è ... solo il dono della natura e del clima che
una gente poco solerte non rivolge a suo beneficio né usa appropriatamente
(es., la Campania "dono del Vesuvio"; la Calabria "sede
di antiche civiltà"). E a pag. 50: "Il clima e la
fertilità del suolo" hanno la loro importanza, ma la ricchezza
della regione (Emilia-Romagna) proviene principalmente "dalla
sua gente laboriosa, tenace, ingegnosa, che alla spontanea cordialità
e alla gioia di vivere unisce un notevole senso pratico".
Mentre a pag. 94: "Per quanto riguarda le industrie, qualcosa
c'è, d'accordo: produzione di fertilizzanti, distillerie di
profumi (la Calabria), produzione di vini, di olio,... e conservazione
delle castagne e di fichi secchi e altro ancora. Attività numerose
se vogliamo, ma che dal punto di vista economico valgono... un fico
secco, perché impegnano poca parte della popolazione".
Qui i bambini si sono guardati in viso, interdetti, poi una vocina:
"Maestra, ma se ogni attività per l'uomo ha valore, perché
queste valgono un fico secco?! ... ". E qui si chiude anche il
mio discorso pedagogico.
Anna Pellegrino Napoli
(Il Mattino, 12 maggio)
Accenti razzisti
nel test sul Mezzogiorno indolente
Non sarebbe giusto archiviare, come replica improvvido di cose già
viste, il test con cui il Gr1 ha chiesto ai radioascoltatori se il
Mezzogiorno (ed i meridionali) è indolente, arretrato, ingegnoso
o emergente. Al di là delle risposte ottenute, si avverte nella
cervellotico formulazione del test non solo il riferimento a stereotipi
irrazionali, ma anche la sensazione di un fastidioso e stupido sottofondo
razzista. A nessun programma radiofonico verrebbe, probabilmente,
in mente di fare un sondaggio per sapere se il Nord, o il Centro,
è svogliato, indifferente, accaparratore o rampante. In questa
discutibile iniziativa c'è, dunque, l'eco sgradevole di certa
pedagogia sabauda. Quella, per intenderci, che alla fine degli anni
Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta aveva eretto, con una selva
di cartelli "non si affitta ai meridionali", una sorta di
cordone sanitario verso quanti, partì ti dal Sud, erano arrivati
a Torino per far girare la giostra delle catene di montaggio della
Fiat.
Dire che il Sud è "indolente" è, forse, un
modo per mettere la coscienza in pace. Se le cose non vanno, lo colpo
è, infatti, loro; è dei meridionali Nel secondo dopoguerra
lo sviluppo economico meridionale è stato veloce ed anche le
trasformazioni strutturali, sia economiche che sociali, sono sta,
te profonde. Chi ha girato il Mezzogiorno all'indomani della guerra
e lo girasse nuovamente oggi a quaranta anni di distanza, stenterebbe
a riconoscere gli stessi luoghi.
Manlio Rossi Doria dice con rara efficacia che chi come lui ha conosciuto
l'estrema miseria dei contadini del Sud non avrebbe mai creduto di
vederne la scomparsa nell'arco della propria vita. Nel 1945 il problema
del Mezzogiorno si poneva in termini di sopravvivenza fisica, oggi
si esprime come ritardo rispetto alle altre regioni, e quindi in termini
di squilibrio economico, ed ancora più come problema di degrado
sociale. Nel Sud disoccupati e sotto-occupati sono quasi due milioni.
Si tratta in prevalenza di giovani e di donne. L'industria di base
è in crisi in quasi tutto il Mezzogiorno. In agricoltura c'è
una riduzione dell'occupazione, dei finanziamenti, dei redditi, c'è
difficoltà di sbocchi ai propri prodotti. Gli investimenti
e la spesa sono diminuiti. Il livello dei servizi sociali continua
ad essere fortemente inadeguato rispetto ai bisogni della vita civile.
Tutti gli indicatori economici e sociali rivelano la gravità
della situazione meridionale.
Il Mezzogiorno non è però un avamposto del Terzo Mondo.
è anche estremamente differenziato al suo interno, ma ciò
che appare con grande evidenza è il divario, che in particolare
in alcune aree e nel suo insieme ha, con il resto d'Italia, cori l'Europa.
A questo stato di cose non porta sollievo né un persistente
"meridionalismo accattone" che presenta ti Sud come una
unità indistinto per la quale chiedere sussidi, o chiudere
un occhio (si pensi all'abusivismo), né l'idea di quanti pensano
che la ricetta per il Mezzogiorno è che finalmente si decida
a "lavorare, produrre, risparmiare", senza rendersi conto,
a parte ogni altra considerazione, che è arduo chiedere di
lavorare a chi il lavoro non ce l'ha ed in assenza dei cambiamenti
necessari da parte di tutti noi non ha nemmeno la speranza di trovarlo.
Pierre Carniti
(il Giorno, 12 maggio)
Mezzogiorno.
Gr1, razzismo: una polemica singolare
Francamente appare incomprensibile la polemica avviata in qualche
ambiente politico e sindacale contro il referendum sul Mezzogiorno
realizzato dal Gr1 fra gli ascoltatori.
Chiedere al pubblico - come ha fatto il Gr1 - se il Sud è "arretrato,
indolente, ingegnoso o emergente" e riscontrare che il pregiudizio
antimeridionale è una pianta tuttora ben radicata, non significa
affatto incoraggiare i sentimenti più retrivi, addirittura
alimentare il razzismo a danno del Mezzogiorno. Ma tant'è:
è proprio questo che qualcuno dei critici ha voluto mettere
a carico dei promotori dell'iniziativa. Che invece a noi pare rientrare
nei termini corretti di un'indagine di costume. E come tale ha saputo
rivelare un fenomeno, questo sì inquietante: il permanere dei
pregiudizi di cui sopra nelle menti di oltre il cinquanta per cento
degli italiani.
Rivelare un aspetto di tali dimensioni della coscienza collettiva
significa fornire un motivo di riflessione in più proprio a
quei politici e a quei sindacalisti che preferiscono rifugiarsi dietro
l'albero di una polemica davvero singolare invece di preoccuparsi
della foresta che si intravede oltre le cifre fornite dal Gr1.
(Voce Repubblicana, 13 maggio)
Non solo meridionali
Caro direttore, tra i suoi molti amici del Sud, per quei poco che
la cosa posso interessarle, può annoverare anche me, con famiglia
nel Nord acquisito e conseguente parentela.
Forse non sarò tanto orgoglioso e abbastanza intelligente come
la gente dice siano di solito i meridionali (ma chi può dirlo
che tutti i meridionali lo siano, e dove è scritto che tutti
i nordisti siano intraprendenti e lavoratori' indefessi?), se ritorno
con lei sul tema abusato dell'antimeridionalismo ricorrente. Ma sono
convinto che sarebbe giunto l'ora di cominciare a fare l'Italia un
po' meno sbrigativamente di come si credette di realizzarla alla maniera
di Cavour, con tutti i meriti e le attenuanti che gli si possono concedere.
Il dizionario della nostra lingua dimostra che la nostra civiltà,
la nostra cultura, derivano dall'innesto grecolatino verificatosi
da più di un millennio nel nostro Paese; e qualcuno di noi
anziani mugugnoni - lo spero - vorrà ricordare dai suoi vecchi
studi di scuola media quale apporto significativo dette alla cultura
e alle arti in tante nostre contrade l'appassionato mecenatismo della
corte di Federico Il di Svevia. I castelli svevi in Puglia, per non
parlare di quelli normanni e aragonesi tuttora esistenti nel Meridione,
perlomeno indicano che a non tutti noi possono essere attribuiti progenitori
ostrogoti o arabi.
A mio giudizio del meccanismo sudista che scatterebbe in noi meridionali
allorché altri parli - entrando nelle nostre case per mezzo
del mass-media - dei nostri difetti e del nostri mali, soffriamo un
po' tutti: sia al Sud che al Centro che al Nord. Lei, caro direttore,
non manderebbe volentieri all'inferno (con le belle maniere, s'intende)
il lettore straniero che pontificasse sui nostri difetti nazionali
per porre in risolto soltanto le virtù e i meriti della suo
gente?
A me pare evidente che quella sudista reazione non sia soltanto dovuta
ad un'impennata di orgoglio spesso mai riposto. è piuttosto
autodifesa, che, volenti o nolenti, è difesa istintiva delle
nostre rodici nei confronti dello sconosciuto, dell'estraneo che ci
contesta la suo supposta superiorità dal di fuori del nostro
mondo, del nostro vero modo di sentire e di agire individuale.
Alessandro Fiore Chiavari
(il Giornale, 21 maggio)