§ SUD E CARTA STAMPATA

Un referendum per il Sud




Salvatore D'Agata



Referendum per il Mezzogiorno, non sul Mezzogiorno. Per, nel senso di a favore del Mezzogiorno, perché il Mezzogiorno sappia che cosa - a torto o a ragione - si pensa di lui, di una questione così antica, la vera e grande questione nazionale. Per sapere che cosa gli italiani in generale, del nord come del centro come dello stesso sud, pensano di un fenomeno tanto complesso e adesso anche tanto variegato, a un ennesimo passaggio cruciale della sua storia. Con questo spirito è stato ideato e lanciato il referendum del GR1 per, lo ripeto, per il Mezzogiorno, secondo un filone già felicemente sperimentato: dare appunto con i referendum, assieme alle notizie e agli approfondimenti delle notizie, anche un campione degli umori della gente su un tema grande o, piccolo, comunque significativo della nostra vita. Un microfono fra la gente, una sonda fra la gente. Per capire e far capire. Purtroppo non sempre c'è chi ha voglia di capire. Ma la nostra convinzione è forte come il pregiudizio che il referendum ha purtroppo rivelato.

Perché un referendum oggi per il Mezzogiorno.
L'iniziativa del GR1, all'inizio di maggio, si è inserita in un dibattito che aveva avuto una brusca accelerazione. Imprenditori, sindacati, banchieri, uomini di governo sembravano aver improvvisamente riscoperto la "questione meridionale". Non a caso. Dopo sei anni di vuoto legislativo erano entrate o stavano entrando in vigore tre nuove leggi, destinate a spostare un fiume di investimenti verso il Sud, ridisegnando totalmente l'intervento straordinario. Ed ecco il dibattito: come utilizzare al meglio quelle somme, 120 mila miliardi per l'intervento straordinario e tremila per la legge sull'imprenditoria giovanile? Come evitare gli errori del passato? Il dato di base è preoccupante. Nel Mezzogiorno la disoccupazione supera il 15 per cento, quella giovanile raggiunge il 25 per cento; il prodotto pro capite è inferiore di un quarto e i consumi del 30 per cento rispetto alle medie nazionali.

Perché quella formula del referendum.
La scelta della formula di un aggettivo da affiancare al sostantivo Mezzogiorno ha fatto molto discutere. Come si sa, l'ascoltatore è stato chiamato a scegliere fra quattro aggettivi: indolente, ingegnoso, arretrato, emergente. La proposta è stata elaborata, a livello scientifico, dell'équipe del prof. Gianni Statera, direttore del dipartimento di sociologia dell'Università di Roma. Ed è stata una proposta con una rosa di partenza di una trentina di aggettivi. Ne sono stati scelti due con valenza positiva (emergente e ingegnoso) e due con valenza negativa (indolente e arretrato). Come tutte le scelte conteneva, ovviamente, un margine di opinabilità. Ma il meccanismo estremamente semplificato obbediva alla legge del referendum, perché un referendum - rivolto a tutti - deve aver il massimo di semplificazione, tanto che, ordinariamente, a un referendum si risponde con un sì o con un no. Nel nostro caso, abbiamo optato per un meccanismo più articolato proprio per evitare - come dire? - giudizi sommari. Disconoscere la semplificazione, significherebbe quindi disconoscere l'istituto stesso del referendum.

I risultati del referendum
Il 57 per cento degli ascoltatori ha scelto l'aggettivazione negativa e, di questi, il 44 per cento l'aggettivo indolente.
Vediamo gli elementi di maggior rilievo o curiosità del voto:
1) La maggior parte delle risposte sono venute dal nord (47%) e dal centro (17,2%).
2) Chi ha scelto l'aggettivo indolente in genere non lo ha motivato se non usando un altro aggettivo o una descrizione già compresa nell'aggettivo indolente. In pratica, non lo hanno neppure spiegato, non ci hanno neppure provato, non hanno neppure fatto lo sforzo di tentare una argomentazione, per giustificare perché giudicano il Mezzogiorno indolente. E questo dimostra come sia veramente un pregiudizio.
3) Il giudizio negativo sul Mezzogiorno è più largo negli uomini (60%) che nelle donne (55%).
4) Il giudizio è stato tanto più negativo quanto più si è scesi nel livello di istruzione. Infatti, fra gli ascoltatori laureati il Mezzogiorno è stato giudicato positivamente dal 52%; dal 39% degli ascoltatori con istruzione media superiore; altrettanto per gli ascoltatori con livello di istruzione media; scende al 36 per cento per gli ascoltatori con istruzione elementare.
5) Da rilevare come sia stata esigua (5%) la fetta di ascoltatori che ha indicato nella malavita organizzata la causa della arretratezza e dell'indolenza attribuita al Sud e come sia stata attribuita scarsissima rilevanza (3%) a fattori climatici o di territorio per giustificare giudizi di arretratezza o indolenza.
6) Nelle motivazioni della scelta del secondo aggettivo negativo (arretrato) più che un giudizio critico nei confronti degli abitanti del Mezzogiorno, c'è un giudizio critico nei confronti di chi, nazionalmente e localmente, li ha amministrati. La causa del l'arretratezza viene infatti fondamentalmente attribuita a cause storiche, a trascuratezza politica, a ragioni di emarginazione socioculturale.
7) Il 43 per cento dei nostri ascoltatori ha scelto l'aggettivazione positiva. Di questi, il 17 per cento ha scelto l'aggettivo emergente.
E significativo che siano stati soprattutto i giovani e comunque persone con un livello di istruzione medio-alto. la maggior parte ha individuato nella spinta giovanile, nella sensibilità alle nuove tecnologie e nelle nuove iniziative del governo le cause e le caratteristiche del Mezzogiorno emergente.
8) Fra i giovani fino a 25 anni oltre il 61% giudica positivamente il Mezzogiorno. Questa percentuale cala progressivamente con il crescere dell'età. Per la classe di età compresa fra i 26 e i 45 anni scende al 42%; per la classe fra i 46 e i 65 anni al 39%; per la classe oltre i 65 anni al 37%.
9) L'atteggiamento nei confronti del Mezzogiorno è tutt'altro che negativo quando viene espresso da meridionali immigrati al Nord e da settentrionali che si sono trasferiti al Sud. Questo dimostra che il contatto diretto con una situazione diverso erode il pregiudizio.

Conclusione
A) Il referendum per il Mezzogiorno del GRI ha rivelato l'esistenza di un pregiudizio che era legittimo pensare si fosse, almeno in parte, attenuato.
B) Il pregiudizio è ancora talmente forte che continua a omogeneizzare e a racchiudere in un giudizio negativo realtà ormai molto diverse come quelle che ancora si identificano complessivamente nella "questione meridionale", che ormai come unico dato omogeneo ha purtroppo solo il tasso di disoccupazione.
C) E' indispensabile porsi per il Mezzogiorno il problema dell'immagine: bisogna fare un marketing serio dell'immagine del Mezzogiorno .
D) I mass-media, e anzitutto la Rai, possono fare uno sforzo eccezionale in questo senso. la nostra presenza qui, la presenza del direttore generale della Rai, testimonia che questo sforzo lo faremo.

Dal "Corpo 8"

Un aggettivo per il Sud
L'iniziativa è del Gr1: un referendum sul Mezzogiorno. L'invito è a definirlo con un aggettivo, come usa, ormai, col detersivo, con l'ultima vettura della gamma Fiat, con le dive dello schermo. Ma non sono ammessi guizzi di fantasia. Gli ascoltatori (hanno telefonato ieri, possono telefonare oggi, i risultati si avranno domattina) possono scegliere fra quattro aggettivi: indolente, arretrato, ingegnoso, emergente. Prendere o lasciare. Si potrebbe discutere già su questa indicazione. A ben vedere, è frutto dei più logori luoghi comuni che il benpensantismo nazionale e l'efficientismo razzistico delle aree privilegiate hanno coniato nel tempo: l'indolenza, come dato antropologico; l'arretratezza, come sua conseguenza ineluttabile; l'ingegnosità, come arte (in fondo simpatica) di arrangiarsi e di sopravvivere. E infine quell'emergere, generosa concessione alla speranza di qualcuno e alla logica possibilità di venir fuori dallo abisso. Ma non è questo che interessa. Né interessa, onestamente, il risultato finale: il pronostico era facile come una "fissa" al Totocalcio e i "parziali" della prima giornata di consultazione telefonica (elaborati da un computer e annunciati, col tono concitato e un po' febbrile di "Tutto il calcio, minuto per minuto") lo confermano in pieno. L'indolenza svetta in graduatoria col 56% delle preferenze.
Il discorso è un altro. Ciò che disturba, in questa iniziativa, è il vizio culturale di fondo. Considerare il Mezzogiorno come una cosa (gli studiosi, da tempo, denunciano questo processo di "reificazione"). E per giunta come una cosa, una realtà, uniforme, omogenea, ferma nel tempo, sempre uguale a se stessa. Una realtà che, proprio per questo, può, al limite, definirsi con un aggettivo. Una simile visione è sopraffattoria, di per se stessa, della storia e della verità. Al di là della considerazione delle profonde mutazioni avvenute nel Sud, delle zone di rigoglio imprenditoriale che si alternano a sacche di stagnante abbandono (la "pelle di leopardo" di cui parlò De Rita), questo compattare artificiosamente il Mezzogiorno, senza considerare i fermenti che vi si spiegano, le diversità che vi si esprimono, le iniziative (culturali, politiche, imprenditoriali) che vi nascono, è un modo, forse inconsapevole, per giustificare psicologicamente il senso di separatezza che rispetto ai problemi del Mezzogiorno è maturato da tempo in una parte della pubblica opinione. è il modo più sottile e determinante per rimuoverli dalla coscienza collettiva, per farne una questione irresolvibile, un peso da sopportare, al meglio: un inguaribile malato da assistere. Scommetto: se tra gli aggettivi da attribuire il Gr1 avesse proposto anche "fastidioso", avrebbe vinto il fastidio sull'indolenza. La logica delle "due Italie" vuole così.
Antonio Aurigemma
(Il Mattino, 7 maggio)

Non li abbiamo inventati noi
Caro direttore, sono un assiduo lettore del "Giornale", che apprezzo per la chiara capacitò di illustrare gli avvenimenti palesi o reconditi della nostra asmatica società. Fra tanta chiarezza, però, sento il desiderio di denunciarle un aspetto "sommerso" delle argomentazioni espresse dal suo foglio: un antimeridionalismo strisciante, mai confessato esplicitamente ma sempre presente, che riduce i problemi del Sud, e di Napoli in particolare, ad una serie di considerazioni più o meno folcloristiche, tutte tendenti ad evidenziare gli elementi grotteschi, o ridanciani, o semplicemente squallidi della realtà meridionale.
Ognuno è padrone di pensarla come gli pare, naturalmente; ed io posso solo prendere atto, con profonda amarezza, dei pregiudizi con i quali perfino lei (e quel perfino è elogiativo, glielo assicuro) si allinea all'opinione del volgo nel formulare giudizi tanto ingiusti ed epidermici sui "fratelli sciattoni" che popolano la parte "bassa" dello stivale. Altre, cose, però, credo di poterle contestare: ad esempio, la ricorrente abitudine di sbattere il delinquente Cutolo in prima pagina (ma i delinquenti di Milano o di Torino perché non ricevono mai un trattamento così lusinghiero?); oppure il brutto vezzo di trattare il tema "camorra" come se fosse una piaga che, partendo da Napoli, contagia gradualmente tutta la penisola (questa città "stracciona", dunque, è, "efficientissima" almeno in questo: nell'esportare criminalità); oppure l'estrema leggerezza con la quale permette al suo Salvatore Scarpino (12 marzo) di affermare, sempre in prima pagina, che "certo popolino napoletano" va considerato come "l'artefice delle truffe più sottili ed efficaci, dalle patacche allo scartiloffio".
Non credo di essere in grado di fornirle informazioni storiche. Mi piace ricordarle, comunque (e mi scusi la presunzione), che la "camorra", quella vera, è una realtà d'altri tempi. Sorta durante la dominazione spagnola, agli inizi del '500, la "camorra" propose se stessa come polo di "contropotere" tendente a tutelare i settori più deboli della popolazione dalle angherie di un vicereame che aveva a cuore quasi esclusivamente gli interessi del lontano sovrano iberico. Le volgari bande di criminali che oggi ammazzano, depredano, sequestrano e derubano divorandosi tra loro ed attuando le infamie più raccapriccianti non sono la "camorra": sono criminali, criminali moderni, perfettamente organizzati, rintracciabili a Napoli come dovunque. E quando un giornale come il suo sbatte in prima pagina un megalomane come Cutolo, presentandolo per di più come il "Robin Hood" partenopeo, non fa altro che contribuire, consapevolmente o meno, alla "criminalizzazione" di Napoli e del Mezzogiorno.
Non crede sia il caso, signor direttore, di essere un po' più cauti in avvenire? Napoli e il Mezzogiorno hanno dovuto subire, dal 1860 ad oggi, tutte le "immagini" elaborate dalla fantasia contorta dei "mass media", della stampa e della grossa editoria: prima il "mandolinismo", poi la "pezzenteria", infine la naturale incapacità di essere, come tutti i popoli civili, laboriosi e creativi. Adesso con la scusa della "camorra", della "mafia" e della "'ndrangheta", ci vogliono affibbiare anche l'esclusiva della criminalità. Mi pare veramente troppo. E quando si tira troppo ogni corda si spezza.
Gennaro Ruggiero
Segretario organizzativo della lega Meridionale Napoli

Caro Ruggiero, la ringrazio per l'apprezzamento, ma non accetto l'accusa di antimeridionalismo strisciante che lei riserva al "Giornale". Cutolo e la camorra non li abbiamo inventati noi e sono certo che anche i quotidiani di Napoli li sbattono in prima pagina, quando la cronaca lo richiede. In fatto di criminali non abbiamo mai usato due metri e due misure: durante i suoi anni ruggenti, anche Renato Vallanzasca, milanese, ebbe il privilegio della prima pagina. Per quel che riguarda Torino, non mi viene in mente nessuno, ma mi. è difficile immaginare un criminale subalpino del calibro di don Rafele, con i suoi codazzi di killer e di mortammazzati. Ammetterò, poi, caro Ruggiero, che mafia, camorra e 'ndrangheta danno più lavoro alla polizia, in questi anni, di quanto non ne abbia mai dato nessun'altra organizzazione criminale.
So perfettamente che le consorterie criminali non sono tutto il Sud, sono soltanto una spina velenosa conficcata nel Mezzogiorno e mi rendo conto che i meridionali onesti e laboriosi, certamente la maggioranza, soffrono nel vedere che mafiosi e soci fanno aggio, nei giornali, sulle altre realtà meridionali. Ma ignorandoli non si rende un buon servigio a nessuno.
Infine, non abbiamo mai dipinto Cutolo come un Robin Hood, anzi abbiamo denunciato la sua pretesa di atteggiarsi a vendicatore dei poveri. L'articolo che lei cita sosteneva proprio questo: va rettificato l'opinione che vuole i napoletani maestri di truffe, poiché essi da secoli subiscono l'imbroglio dei vari Cutolo.
Ho molti amici del Sud, orgogliosi e intelligenti, i quali mi hanno spiegato qual è il meccanismo di certe suscettibilità sudiste: a parlare dei mali del Mezzogiorno sono abilitati soltanto i meridionali. Loro fanno del meridionalismo, gli altri del razzismo o, nella migliore delle ipotesi, dell'antimeridionalismo.
(Il Giornale, 7 maggio)

Indolente. arretrato? Allora di certo è nato nel Sud
Indolente, arretrato, ingegnoso o emergente? Scegliete un po' voi. Si parla del Mezzogiorno e dei meridionali e questo è il test che, per due giorni, il Gr1 ha sottoposto ai radioascoltatori. I risultati definitivi si avranno questa mattina, nel corso di uno "speciale" del Gr1 (ore 8,30). Ma l'andamento è apparso chiaro fin dai primi dati: il Sud sarebbe indolente
per oltre il 55% di coloro che hanno telefonato, mentre un altro 20% lo giudica "arretrato". Insomma, il giudizio del 75% è sul negativa spinto. Ieri le cose sono andate un po' meglio: recuperano gli ingegnosi, diminuiscono gli indolenti. Ma non è questo il problema.
In verità, il primo meccanismo che scatta in un meridionale (come chi scrive) di fronte a questo particolarissimo referendum è l'ironia: la voglia - cioè -che la Rai chieda subito agli italiani non solo di esprimere con un unico aggettivo cosa pensano dei "settentrionali" e dei "centrali", ma anche quale opinione hanno degli arabi, dei neri, degli ebrei o - perché no? - delle svedesi.
Nella formulazione stessa (ultrasemplificata e alquanto cervellotica) dei test c'è, infatti, una stimolo all'irrazionale, un fastidioso sottofondo razzista.
E c'è come un ritorno alla peggiore Torino degli anni 50 e al "cordone sanitario" steso dalla Fiat di Valletta attorno agli operai immigrati, supersfruttati in fabbrica e contemporaneamente isolati dal "cuore antico" della città grazie alla fitto selva di cartelli: "Non si fitta a meridionali". Ma la domanda inquietante è proprio questa: perché questo "clima" si ripropone oggi, in un'Italia che tutti gli indici economici e sociali confermano sempre più "spaccata in due" da quindici anni a questa parte e mentre autorevoli studiosi denunciano, cifre alla mano, che proprio il Sud è stato sacrificato durante la "grande crisi petrolifera" e chiedono che finalmente si inverta la tendenza?
"Indolente" - cominciamo da qui - è un aggettivo tranquillizante per una certo coscienza media nazionale. Vuol dire, infatti, "è colpa loro, abbiamo fatto il possibile". E'' anche un aggettivo che assolve in blocco scelte politiche e classi dominanti locali e nazionali: "Se loro - i meridionali - sono fatti così, che cosa ci si poteva fare" ?
Falsi dati, false coscienze: si può dimostrare scientificamente, in questi ultimi quaranta anni, che cosa è stato fatto e perché. Che cosa non è stato fatto e perché. E da chi. O per colpa di chi. Anche mettendo nel conto le colpe di un "meridionalismo accattone", teso a presentare il Sud come una "unità indistinta", pur di ottenere sussidi dalla parte più sviluppata del Paese.
E tuttavia qualcosa di profondo si è incrinato nella coscienza nazionale (e nella solidarietà) in questi anni. Qualcosa che non ha a che vedere con le "nubi ideologiche" o con la propaganda con cui le classi dominanti hanno cercato di nascondere il loro macroscopico fallimento.
Ed è una rottura che (purtroppo) ha riguardato l'Italia onesta e generosa ed è nata da uno straordinario moto di generosità, quello che si manifestò dopo il tragico terremoto che colpì la Campania e la Basilicata.
Allora per gran parte d'Italia ci fu una vera e propria "riscoperta" della questione meridionale, uno specchio gigantesco fu davanti agli occhi di tutti e mise in moto processi non superficiali.
Emersero anche in tutto evidenza le responsabilità di chi aveva governato (?) la cosa pubblica, a Roma e nel Sud. E fu chiaro che non si trattava di ricostruire città o villaggi distrutti, ma di far sì che un'Italia come quella non vi fosse più.
E invece che accadde? Che al posto delle "nuove scelte" di cui tutti in un primo momento avevano denunciato l'urgenza, arrivò la "vecchia assistenza". I miliardi arricchirono i furbi o i ricchi. Finirono amministrati - per gran parte - dalle stesse mani che avevano dilapidato le risorse precedenti o in quelle della camorra o nelle une e nelle altre, come più di un clamoroso processo ha poi confermato.
"Nulla sarò più come prima", aveva titolato - dopo quel terremoto gigantesco e doloroso - "l'Unità". E così fu. Ma in peggio. "Nulla fu più come prima" sicuramente in quelle grandi aree del Mezzogiorno che erano state colpite, ma perché la vita divenne sempre più pesante e difficile. Specie per le persone oneste.
Ciascuno di noi ha oggi, in una città del Sud, giovani amici e onesti professionisti che si sono trovati a un terribile bivio: o la corruzione o la convivenza quotidiana con le minacce.
E lo Stato. Lo Stato è intervenuto quando non se ne poteva più fare a meno, quando le bande armate erano ormai le sole a poter circolare tranquille nelle città.
Eppure, nel Sud, una risposta c'è stata: dei giovani, della gente. Che cosa sono state le marce contro mafia e camorra? E l'ostinazione con cui forze imprenditoriali o intellettuali si sono sforzate di introdurre il nuovo, dando prova di saper superare mille difficoltà? E che cosa è stato la manifestazione di duecentomila ragazze e ragazzi a Napoli per il lavoro, se non un "messaggio" a tutta l'Italia che vuole e può capire?
Ecco, è da qui che sarebbe necessario riprendere il discorso: che cosa fare, oggi, al Nord e al Sud per il Mezzogiorno.
Che poi vuoi dire che cosa fare oggi, al Nord e al Sud, per l'Italia intera.
E' su questa questione che (senza razzismo, né meridionalismo accattone) dovremmo di nuovo misurarci tutti.
Rocca Di Biasi
(Unità, 8 maggio)

Pregiudizi sul Sud In onda al Gr1
Polemiche, perplessità, proteste ha suscitato l'iniziativa del Giornale Radio della prima rete Rai di indire tra i propri ascoltatori un referendum sul Mezzogiorno. La domanda alla quale la gente è stata invitata a rispondere nelle giornate di martedì e mercoledì, telefonando alla redazione del Gr1, era: tra "indolente", "arretrato", "ingegnoso", "emergente", qual è l'aggettivo più adatto a qualificare il sostantivo "Mezzogiorno"? E la gente, sollecitata ad esprimere il proprio parere, ieri mattina ha fatto la suo scelta: il 44,6% degli ascoltatori ha scelto "indolente", il 13,8% "arretrato", il 24,7% "ingegnoso", il 16,9% "emergente", confermando, sia pure attraverso questa formula inusuale, che la maggioranza degli italiani continua ad avere sul Mezzogiorno un giudizio negativo.
Le telefonate ricevute sono state circa 2.500, più dal Nord che dal Sud, soprattutto durante la prima giornata di raccolta dati; ma tra i molti che hanno indicato l'indolenza come prerogativa precipua dei meridionali, pochi sono stati poi in grado di motivare questa scelta.
Ad elaborare i dati, ieri mattina, durante uno "Speciale" trasmesso subito dopo il giornale radio delle ore 8 (il più ascoltato della giornata), è stato Gianni Statera, direttore del dipartimento di sociologia dell'Università di Roma nonché ideatore insieme con la sua équipe di questo test. E' stato Gianni Statera a scegliere questi quattro aggettivi in mezzo a una rosa iniziale di venticinque, perché, a suo avviso, questi quattro meglio di qualsiasi altro si prestavano ad una corretta analisi dell'idea che la gente ha del Meridione. Ingegnoso e indolente, infatti, si riferiscono all'aspetto psicologico del carattere meridionale, mentre arretrato ed emergente si riferiscono all'aspetto economico.
Tutte queste belle spiegazioni metodologiche, però, non sono riuscite ad evitare l'irritazione dei meridionali, infastiditi per essere stati ancora una volta considerati cittadini diversi, casi da catalogare, fenomeni da osservare e da giudicare. Alcuni hanno protestato direttamente dai microfoni del Gr1, altri lo hanno fatto attraverso i loro quotidiani. Alcuni cittadini di Torre Annunziata hanno addirittura presentato una querela in pretura, perché ritengono questo referendum offensivo e diffamatorio.
Il direttore del Gr1, Salvatore D'Agata, non pare essere troppo scosso da questa polemica. Di referendum, il Gr1 ne ha fatti tanti: il più celebre fu quello di stabilire se era giusto o non era giusto che il presidente Pertini avesse il premio Nobel.
Questo, sul Mezzogiorno, è un caso diverso. Ridurre la grande questione meridionale a una questione di aggettivi non può sembrare una banalizzazione eccessiva del problema? Salvatore D'Agata dice di no. "Sul Mezzogiorno siamo ad una svolta, a un passaggio nuovo. Si attendono investimenti sostanziosi, ci si aspetta un mutamento di segno politico. Per tutte queste ragioni mi era parso giusto, proprio in questi giorni, interrogare la gente per capire se l'antico pregiudizio sul Meridione avesse ancora una sua vitalità. La risposta, purtroppo, è stata sconfortante".
si. ro.

E Napoli si irrita "Che sciocchi ... "
Il più acceso è un settentrionale colato nei problemi del Sud, don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra: "Trovo l'idea di questo referendum riduttiva e insultante: duemila anni di cultura non possono essere liquidati in quattro aggettivi". Alberto Abruzzese, docente di sociologia delle comunicazioni di massa, alla reazione preferisce invece l'analisi: "Indolente, arretrato, ingegnoso, emergente? Credo che rispetto al Sud, e a Napoli in particolare, ciascuno di questi aggettivi si regga sull'altro. Certe reazioni comunque mi paiono eccessive: in fondo, quello del Gr1 era solo un giochetto". Luigi Compagnone, scrittore, è caustico: "Se Croce, Spaventa o Giustino Fortunato avessero preteso di definire il Sud con quattro parole li avremmo presi per pazzi. Questi della Rai li prendiamo per stupidi ... ". Lo strano "referendum" lanciato tre giorni fa dal Gr1 ha decisamente urtato la suscettibilità dei napoletani. L'altro ieri, a Torre Annunziata, quattro persone si sono addirittura rivolte al pretore: tre aggettivi su quattro, affermano, sono "dequalificativi", mentre l'ultimo, quell'"ingegnoso" dai molti possibili significati, rappresenterebbe solo un artificio per mascherare il contenuto "denigratorio, dispregiativo e discriminatorio" dei precedenti. Come meridionali, i quattro di Torre si sentono diffamati e chiedono al pretore di punire "esemplarmente gli ideatori, i diffusori e i propagatori della trasmissione".
Il giudice, Luigi Pentasselo, non ha potuto accogliere la richiesta, se non altro perché la competenza a intervenire spetterebbe al pretore di Roma, città da cui la trasmissione è partito. Adesso un quotidiano di Napoli suggerisce quattro pesanti opzioni per un eventuale referendum sull'autore del programma rodiofonico. Politici ed intellettuali vengono interrogati o tappeto: ai mali del Sud si contrappongono l'inquinamento e il metanolo. Sull'opportunità, il valore e soprattutto il buon gusto dell'iniziativa del Gr1, i dubbi paiono davvero pochi: ma, detto questo, era davvero il caso di prendersela tanto?
Don Riboldi dice di sì: "Capisco benissimo certe reazioni, certe suscettibilità: hanno una storia, motivazioni precise. Vogliamo proprio ricorrere agli aggettivi? E allora definiamo il Sud affascinante e incompreso; o meglio ancora, affascinante perché incompreso ... ". Maurizio Valenzi, ex sindaco di Napoli, si mostra disincantato: "A me - dice - quel sondaggio sembra soprattutto puerile". E Giuseppe Galasso, sottosegretario ci Seni Culturali, va anche un po' più in là: il fatto che la gente del Sud sia stata definita anzitutto indolente, a suo avviso, "dimostra che i pregiudizi sul Mezzogiorno sono duri a morire, ma anche che noi non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto, per abbatterli".
g. z. (La Stampa, 9 maggio)

Rai & Sud
Sentiamo un po', qual è l'aggettivo che meglio definisce i meridionali agli occhi dei settentrionali? Tramite il Gr1, diretto da Salvatore D'Agata, la Rai ne ha proposto quattro, organizzando un rapido referendum fra i propri ascoltatori. Essi potevano scegliere fra: "indolente", "arretrato", "ingegnoso", "emergente". La netta maggioranza delle persone che hanno telefonato alla Rai ha scelto l'aggettivo "indolente" (44,6%), il 27,7% ha preferito "ingegnoso", il 16,9 "emergente", il 13,6 "arretrato". E nel Sud la gente ha reagito male. Un gruppo di cittadini di Torre Annunziato ha querelato la Rai. Molti cittadini hanno telefonato alla redazione del Gr1 per protestare. Uomini di cultura hanno commentato la faccenda con amara ironia. Sul referendum radiofonico, noi abbiamo rivolto qualche domando allo scrittore napoletano Domenica Rea. Ecco l'intervista.
- Lei ha ascoltato la trasmissione del Gr1 sui meridionali?
- No, non l'ho ascoltata. Però ne ho sentito parlare.
- Le sembra un referendum interessante?
- No, vogliamo scherzare? Intanto è stato fatto in maniera coloniale, e certamente da persone che del Sud sanno ben poco.
- Quindi anche lei, come tanti meridionali, pensa che l'aggettivo "indolente" ribadisca una fama immeritato?
- Si. Basterebbe fare una verifica fra gli americani del Nord, i sudamericani e gli australiani. Per non parlare del Settentrione italiano, dove i meridionali hanno occupato quasi tutti i posti-chiave. Se fossimo indolenti, le cose sarebbero andate molto diversamente. Non si dimentichi che Giovanni Agnelli ha sposato una Caracciolo, napoletana.
- Però, subito al secondo posto, c'è l'aggettivo "ingegnoso". Questa qualità almeno vi viene riconosciuto.
- Sì, grazie tante. Non occorre mica un grande sforzo per arrivarci. A pensare, in Italia, se è vero che la filosofia significa ancora qualcosa, sono stati soltanto i meridionali.
-Caro Rea, non le sembra eccessivo?
- No, affatto. lo credo che davvero non si possa paragonare con un D'Azeglio quel Giordano Bruno che si fa arrostire in pieno spagnolismo italiano. Vogliamo ricordare anche uomini come Campanella e Giovan Battista Vico? E potrei continuare ancora.
- Una minoranza degli ascoltatori, quella che vi ha definito "emergenti", pensa che nel Sud qualcosa si stia muovendo.
- No, lasciamo perdere. Se devo dire la verità, a proposito di questo "emergenti", io mi sono sempre meravigliato che i meridionali non abbiano bruciato tutto.
- La definizione "arretrati", al quarto posto, si riferisce naturalmente alla mentalità più che alla situazione socioeconomica.
- Sì, appunto, alla mentalità. Allora, a proposito di arretratezza mentale, vorrei solo rammentarvi che Milano, la città italiana più vicina al futuro, soltanto nel mese di aprile ha dato i natali a due ragazze nordicissime
che, uscite incinte, si sono liberate dei figli, una buttandolo dal balcone e l'altra nel cesso. è questa la mentalità evoluta?
- Lei pensa che la Rai non dovrebbe fare trasmissioni come questa, o piuttosto che la Rai si è limitata a raccogliere le opinioni di un certo Nord italiano?
- Sì, io credo che queste risposte riflettano un certo modo settentrionale di pensare il Sud. Ma è gravissimo che la Rai, che è un ente pubblico, dica simili castronerie. Proprio la Rai, che è una riserva di caccia servile dei partiti e il luogo in cui il merito non conta nulla, ma proprio nulla! Ecco perché vi possono accadere certe cose.
- Sento, Rea, forse anche i meridionali, che sicuramente patiscono la sopravvivenza di vecchi pregiudizi in una metà del paese, non hanno fatto abbastanza per modificare la mentalità del Nord.
- No, qui ne salterebbe fuori un discorso molto lungo, mica possiamo liquidare il problema in qualche battuta. Venga a trovarmi a Napoli, le offrirò un piatto di triglie e faremo una bella chiaccherata.
Fausto Pezzato
(Il Resto del Carlino, 10 maggio)

Meridione e fichi secchi
Per mia scelta, oltre che per gli indiscussi meriti di impostazione e strutturazione didattica, adopero nella mia IV classe elementare il testo edito da "La Scuola" dal titolo "Uomo, Natura e Civiltà", ma ciò che prima poteva sembra re una prevenuta interpretazione di certe sottolineature discriminatorie, via via si è tradotto in perplessità e disorientamento. Prescindendo dalla presentazione di ciascuna regione sembrerebbe quasi che gli Autori facessero una tabella meritocratica in cui il giudizio sulle reali condizioni sottintendesse torti e colpe, errori e castighi. In poche parole, si esclude un chiaro riferimento alle cause della realtà attuale, assegnando alla sola storia antica il pregio della suo fioritura nel Meridione. Così si legge che al Nord c'è cultura, intelligenza, imprenditorialità e sagacia, e al Sud c'è ... solo il dono della natura e del clima che una gente poco solerte non rivolge a suo beneficio né usa appropriatamente (es., la Campania "dono del Vesuvio"; la Calabria "sede di antiche civiltà"). E a pag. 50: "Il clima e la fertilità del suolo" hanno la loro importanza, ma la ricchezza della regione (Emilia-Romagna) proviene principalmente "dalla sua gente laboriosa, tenace, ingegnosa, che alla spontanea cordialità e alla gioia di vivere unisce un notevole senso pratico".
Mentre a pag. 94: "Per quanto riguarda le industrie, qualcosa c'è, d'accordo: produzione di fertilizzanti, distillerie di profumi (la Calabria), produzione di vini, di olio,... e conservazione delle castagne e di fichi secchi e altro ancora. Attività numerose se vogliamo, ma che dal punto di vista economico valgono... un fico secco, perché impegnano poca parte della popolazione". Qui i bambini si sono guardati in viso, interdetti, poi una vocina: "Maestra, ma se ogni attività per l'uomo ha valore, perché queste valgono un fico secco?! ... ". E qui si chiude anche il mio discorso pedagogico.
Anna Pellegrino Napoli
(Il Mattino, 12 maggio)

Accenti razzisti nel test sul Mezzogiorno indolente
Non sarebbe giusto archiviare, come replica improvvido di cose già viste, il test con cui il Gr1 ha chiesto ai radioascoltatori se il Mezzogiorno (ed i meridionali) è indolente, arretrato, ingegnoso o emergente. Al di là delle risposte ottenute, si avverte nella cervellotico formulazione del test non solo il riferimento a stereotipi irrazionali, ma anche la sensazione di un fastidioso e stupido sottofondo razzista. A nessun programma radiofonico verrebbe, probabilmente, in mente di fare un sondaggio per sapere se il Nord, o il Centro, è svogliato, indifferente, accaparratore o rampante. In questa discutibile iniziativa c'è, dunque, l'eco sgradevole di certa pedagogia sabauda. Quella, per intenderci, che alla fine degli anni Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta aveva eretto, con una selva di cartelli "non si affitta ai meridionali", una sorta di cordone sanitario verso quanti, partì ti dal Sud, erano arrivati a Torino per far girare la giostra delle catene di montaggio della Fiat.
Dire che il Sud è "indolente" è, forse, un modo per mettere la coscienza in pace. Se le cose non vanno, lo colpo è, infatti, loro; è dei meridionali Nel secondo dopoguerra lo sviluppo economico meridionale è stato veloce ed anche le trasformazioni strutturali, sia economiche che sociali, sono sta, te profonde. Chi ha girato il Mezzogiorno all'indomani della guerra e lo girasse nuovamente oggi a quaranta anni di distanza, stenterebbe a riconoscere gli stessi luoghi.
Manlio Rossi Doria dice con rara efficacia che chi come lui ha conosciuto l'estrema miseria dei contadini del Sud non avrebbe mai creduto di vederne la scomparsa nell'arco della propria vita. Nel 1945 il problema del Mezzogiorno si poneva in termini di sopravvivenza fisica, oggi si esprime come ritardo rispetto alle altre regioni, e quindi in termini di squilibrio economico, ed ancora più come problema di degrado sociale. Nel Sud disoccupati e sotto-occupati sono quasi due milioni. Si tratta in prevalenza di giovani e di donne. L'industria di base è in crisi in quasi tutto il Mezzogiorno. In agricoltura c'è una riduzione dell'occupazione, dei finanziamenti, dei redditi, c'è difficoltà di sbocchi ai propri prodotti. Gli investimenti e la spesa sono diminuiti. Il livello dei servizi sociali continua ad essere fortemente inadeguato rispetto ai bisogni della vita civile. Tutti gli indicatori economici e sociali rivelano la gravità della situazione meridionale.
Il Mezzogiorno non è però un avamposto del Terzo Mondo. è anche estremamente differenziato al suo interno, ma ciò che appare con grande evidenza è il divario, che in particolare in alcune aree e nel suo insieme ha, con il resto d'Italia, cori l'Europa. A questo stato di cose non porta sollievo né un persistente "meridionalismo accattone" che presenta ti Sud come una unità indistinto per la quale chiedere sussidi, o chiudere un occhio (si pensi all'abusivismo), né l'idea di quanti pensano che la ricetta per il Mezzogiorno è che finalmente si decida a "lavorare, produrre, risparmiare", senza rendersi conto, a parte ogni altra considerazione, che è arduo chiedere di lavorare a chi il lavoro non ce l'ha ed in assenza dei cambiamenti necessari da parte di tutti noi non ha nemmeno la speranza di trovarlo.
Pierre Carniti
(il Giorno, 12 maggio)

Mezzogiorno. Gr1, razzismo: una polemica singolare
Francamente appare incomprensibile la polemica avviata in qualche ambiente politico e sindacale contro il referendum sul Mezzogiorno realizzato dal Gr1 fra gli ascoltatori.
Chiedere al pubblico - come ha fatto il Gr1 - se il Sud è "arretrato, indolente, ingegnoso o emergente" e riscontrare che il pregiudizio antimeridionale è una pianta tuttora ben radicata, non significa affatto incoraggiare i sentimenti più retrivi, addirittura alimentare il razzismo a danno del Mezzogiorno. Ma tant'è: è proprio questo che qualcuno dei critici ha voluto mettere a carico dei promotori dell'iniziativa. Che invece a noi pare rientrare nei termini corretti di un'indagine di costume. E come tale ha saputo rivelare un fenomeno, questo sì inquietante: il permanere dei pregiudizi di cui sopra nelle menti di oltre il cinquanta per cento degli italiani.
Rivelare un aspetto di tali dimensioni della coscienza collettiva significa fornire un motivo di riflessione in più proprio a quei politici e a quei sindacalisti che preferiscono rifugiarsi dietro l'albero di una polemica davvero singolare invece di preoccuparsi della foresta che si intravede oltre le cifre fornite dal Gr1.
(Voce Repubblicana, 13 maggio)

Non solo meridionali
Caro direttore, tra i suoi molti amici del Sud, per quei poco che la cosa posso interessarle, può annoverare anche me, con famiglia nel Nord acquisito e conseguente parentela.
Forse non sarò tanto orgoglioso e abbastanza intelligente come la gente dice siano di solito i meridionali (ma chi può dirlo che tutti i meridionali lo siano, e dove è scritto che tutti i nordisti siano intraprendenti e lavoratori' indefessi?), se ritorno con lei sul tema abusato dell'antimeridionalismo ricorrente. Ma sono convinto che sarebbe giunto l'ora di cominciare a fare l'Italia un po' meno sbrigativamente di come si credette di realizzarla alla maniera di Cavour, con tutti i meriti e le attenuanti che gli si possono concedere.
Il dizionario della nostra lingua dimostra che la nostra civiltà, la nostra cultura, derivano dall'innesto grecolatino verificatosi da più di un millennio nel nostro Paese; e qualcuno di noi anziani mugugnoni - lo spero - vorrà ricordare dai suoi vecchi studi di scuola media quale apporto significativo dette alla cultura e alle arti in tante nostre contrade l'appassionato mecenatismo della corte di Federico Il di Svevia. I castelli svevi in Puglia, per non parlare di quelli normanni e aragonesi tuttora esistenti nel Meridione, perlomeno indicano che a non tutti noi possono essere attribuiti progenitori ostrogoti o arabi.
A mio giudizio del meccanismo sudista che scatterebbe in noi meridionali allorché altri parli - entrando nelle nostre case per mezzo del mass-media - dei nostri difetti e del nostri mali, soffriamo un po' tutti: sia al Sud che al Centro che al Nord. Lei, caro direttore, non manderebbe volentieri all'inferno (con le belle maniere, s'intende) il lettore straniero che pontificasse sui nostri difetti nazionali per porre in risolto soltanto le virtù e i meriti della suo gente?
A me pare evidente che quella sudista reazione non sia soltanto dovuta ad un'impennata di orgoglio spesso mai riposto. è piuttosto autodifesa, che, volenti o nolenti, è difesa istintiva delle nostre rodici nei confronti dello sconosciuto, dell'estraneo che ci contesta la suo supposta superiorità dal di fuori del nostro mondo, del nostro vero modo di sentire e di agire individuale.
Alessandro Fiore Chiavari
(il Giornale, 21 maggio)


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