"Non sono un seminatore di odio contro il Sud"




Sabino Acquaviva



Le statistiche della Svimez parlano chiaro: negli ultimi dieci anni il divario tra Nord e Sud è aumentato. Nel '70 il prodotto netto pro-capite dei Mezzogiorno era il 62,5 di quello del Centro-Nord, oggi è il 60,4. Inoltre: l'exploit italiano è soltanto per il 70 per cento di origine meridionale, la disoccupazione è il 14,9 per cento della forza-lavoro nel Mezzogiorno e l'8,5 per cento nel resto d'Italia. In una parola, dopo decenni di Cassa per il Mezzogiorno non abbiamo raggiunto gli obiettivi fondamentali che ci eravamo prefissi. Dunque, mi sono detto qualche tempo fa sul "Corriere della Sera", riflettiamo sui nostri errori. In tale occasione ho sostenuto che lo sviluppo di una regione non è soltanto il risultato dell'incentivazione economica e quindi, per accelerare lo sviluppo del Mezzogiorno, è necessaria una specie di rivoluzione culturale che consenta quel mutamento di atteggiamento, quello sviluppo d'imprenditorialità che, ad esempio, ha permesso il decollo di regioni come il Veneto e l'Umbria e, per certi aspetti, più di recente, dell'Abruzzo.
Sostenevo che per accelerare lo sviluppo (anche, se non soprattutto, un fatto di piccole e piccolissime imprenditorialità) occorre un altro tipo di cultura, più orientata sul sociale che sul privato, più sull'iniziativa del singolo che sulla filosofia dell'intervento statale. Cose note. Tra l'altro, in vista di questo mutamento di cultura, suggerivo di organizzare la scuola in modo da poter seguire i bambini, ma soprattutto i ragazzi, fino a sera, e questo per sottrarli alla strada. Sulla strada la mafia istruisce e recluta i suoi manovali, addestra le future figure di spicco della delinquenza organizzata.
Questo, della strada, è un vecchio discorso. Spesso i ragazzi cominciano con piccoli ricatti, piccole estorsioni, furtarelli. Poi, a poco a poco (i grandi insegnano ai grandicelli e questi ai più piccoli) diventano delinquenti addestrati. Ma certe cose, a quanto pare, non si possono dire chiaramente: bisogna adombrarle, a tacerle, o scriverle in qualche inchiesta sociologica destinata ad una élite di persone che non contano. Infatti, ai miei suggerimenti (forse sbagliati ma, comunque, dettati dai fatti) si è risposto con l'aggressività verbale e scritta, a volte con gli insulti.
Si è scritto fra l'altro che, con incomprensione del tutto settentrionale, suggerivo "la deportazione di tutto la gioventù" (meridionale) "in età da lavoro". Qualcuno mi ha messo fra gli individui "discutibili per le loro idee". Si è anche sostenuto, su un foglio calabrese, che non si deve permettere che "individui da rinchiudersi negli aboliti istituti" (cioè nei manicomi) "seminino sempre più odii, incomprensioni, e soprattutto attentino all'unità dello Stato". Meno pesantemente, "Il Giornale di Sicilia" ha parlato del "disagio di una generazione alle prese, in così tenera età, con gli abusi della carcerazione preventiva". La carcerazione preventiva, s'intende, sarebbe la mia proposta di estendere l'orario scolastico al pomeriggio. E potrei continuare, dato che la polemica dura da tempo e non sembra conclusa. Ma non voglio annoiare il lettore.
Rimane il fatto che di certi argomenti non si deve parlare: il Mezzogiorno fatica a decollare, ma - a quanto pare - per molti l'unica maniera accettato di affrontare il problema consiste nell'uso di strumenti analoghi alla vecchia Cassa del Mezzogiorno che, nonostante alcuni risultati ottenuti, ha tuttavia dimostrato parecchi limiti. E poi, soprattutto, non si accetta che certe cose le sostenga un settentrionale. Che abbia il coraggio di scrivere che il problema del Mezzogiorno non è soltanto un problema di denaro! A questo proprosito però devo disilludere i miei contestatori: i miei genitori sono ambedue nati e vissuti più o meno a lungo nel Mezzogiorno e dunque, semmai, dovrei essere considerato un traditore della causa del Sud.
Ma è vero il contrario. E'' il mio amore per il Mezzogiorno che mi fa parlare chiaro, che mi fa dire alcune cose che, è evidente, costa sostenere, almeno in termini di popolarità. Dunque, la cultura del Mezzogiorno è parte della mia. Almeno per questa ragione penso di poter dire alcune verità. Una di queste è che se vogliamo liberare il Mezzogiorno dalla mafia, dalla camorra, dalla 'ndrangheta, forse dobbiamo dare vita alla rivoluzione culturale di cui ho detto.
L'ímprenditorialità è anche espressione di un certo tipo di cultura: oserei dire che è soprattutto un fatto di cultura. Non c'è Cassa del Mezzogiorno (o analogo e nuovo strumento d'intervento) che possa sostituirsi a migliaia e migliaia di piccoli imprenditori stile "fai da te". Non è con il silenzio o con le crociate cartacee, o addirittura con gli insulti, che si risolvono i problemi. Né con i silenzi morali e politici che impediscono di analizzare le differenze fra una regione e l'altra e gli stili di vita e di pensiero che favoriscono o rallentano lo sviluppo: così non si libera il Mezzogiorno dalla morsa culturale che lo soffoca almeno quanto un'altrettanto ingiusta e antica povertà.
Un'ultima considerazione. Forse è tempo non di parlare più, in generale, del Mezzogiorno. Forse bisogna distinguere: l'Abruzzo e la Puglia sono profondamente diversi, ad esempio, dalla Calabria e dalla Sicilia, sia dal punto di vista economico che da quello socio-culturale. Inoltre, ci sono regioni, come il Basso Lazio, che non dovrebbero mai aver niente a che vedere con il Mezzogiorno e i suoi problemi. Le province di Belluno o di Cuneo, forse, ne avrebbero più diritto. Dunque, interventi economici, sociali, culturali, selettivi (e quindi più efficaci) concentrati in regioni come la Calabria, la Lucania, la Sardegna. Per il resto, meno suscettibilità, più coraggio e sincerità, e una maggiore attenzione ai fattori socio-culturali dello sviluppo.

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