Meno strada e pił scuola per i giovani del Sud




Sabino Acquaviva



Martedì, 1 aprile, come altri facevo la coda per pagare il mio piccolo condono edilizio. Con me quasi una fotografia della società: casalinghe che pagavano per un abbaino o una finestra in più, altri che attendevano per denunciare la copertura abusiva di una terrazza. Insieme a noi qualche pesce più grosso. Insomma, lo specchio di una società che, nel bene e nel male, sta alle regole del gioco e, tutto sommato, cerca la legalità. Ripensai a quell'atmosfera quasi paesana, casalinga, più tardi, alla sera, mentre osservavo le immagini provenienti dalla Sicilia, ritrasmesse da non so quale televisione locale o nazionale. Due mondi: quella di laggiù è quasi un'altra società, con altri valori, altri problemi.
Se vogliamo risolvere in radice la "questione meridionale" dobbiamo prendere atto seriamente di queste differenze, non facendo più finta di credere che il problema è soprattutto economico. Non riconoscere l'esistenza di un più grave problema di fondo, di cultura e di costume, significa non riuscire ad aiutare il profondo Sud. E' vero, il Mezzogiorno è meno industrializzato, vi sono meno posti di lavoro, una minore preparazione professionale, meno scuole e un più basso livello d'istruzione, meno piani regolatori, tecnici meno qualificati negli uffici che contano. Ma vi sono altri problemi, più di qualità che di quantità, che non possiamo dimenticare.
Comunque, il risultato di tutto questo, come abbiamo visto, è che una legge pensata a Roma per tutto l'Italia cambia di significato nel Mezzogiorno. Ed il condono edilizio è soltanto un esempio clamoroso, la spia di una situazione. Forse esagerando potremmo sostenere che la questione meridionale è anzitutto una questione morale e culturale. Nel senso che vi sono leggi e stili di gestione della cosa pubblica che vanno contro i valori dominanti, almeno in alcune regioni del Mezzogiorno. E almeno fra ceti e gruppi lì destinati a gestire la cosa pubblica. Molte leggi, dunque, quasi non sono prese in considerazione: passano gli anni, le amministrazioni, oserei dire i regimi, e poco cambia. Ma allora: ci rendiamo conto delle cause profonde, morali e culturali della situazione? Comprendiamo che non basta perseguire i colpevoli delle più clamorose violazioni della legge? Che deve cambiare il clima culturale? Che una stessa legge dà risultati radicalmente diversi in regioni differenti? Che nel nostro paese in molti casi è impossibile legiferare per un astratto ed inesistente cittadino italiano?
Un conto è stabilire i criteri del condono pensando alla Lombardia e un altro conto legiferare pensando a regioni in cui farsi una casa dove e come piace è considerato un diritto. E questo nel quadro di una cultura in cui lo Stato è comunque ritenuto, almeno da una parte della popolazione, sopraffattore, sfruttatore e insieme monopolizzato da pochi ai danni del più.
Si dice che questa mentalità è espressione di una storia del Mezzogiorno ed è vero. Si sostiene che deriva dal fatto che il Mezzogiorno è più povero. Ma questo è vero soltanto entro certi limiti: vi sono più province del Centro e dell'Alta Italia, altrettanto povere, nelle quali le violazioni alle norme edilizie sono contenute. D'altronde, che si tratti di un problema di costume è confermato dal fatto che purtroppo la geografia della mafia, della 'ndrangheta e della camorra corrisponde, grosso modo, a quella dell'edilizia selvaggia.
Naturalmente constatare le diversità fra questa Italia e l'altra non significa assolvere l'una e condannare l'altra. Vuoi dire semplicemente toccare con mano le differenze. Nel Mezzogiorno la famiglia e l'individuo rimangono valori dominanti: dunque - entro quel sistema di valori - famiglia e individuo hanno la meglio sullo Stato: subìto e mal tollerato. Esiste una sterminata letteratura, sociologica e non, che inutilmente sottolinea questa situazione. Una situazione che spinge ciascuno, di massima, a farsi gli affari propri. Di qui, o anche di qui, le conseguenze: lo spazio per la violazione della norma, una piú diffusa delinquenza organizzato, una minore efficienza degli apparati burocratici.
Questa è la situazione, nota a tutti ma spesso Ignorata formalmente: per ragioni morali, per amore di quieto vivere. Ma, appunto perché se ne tiene poco conto, una politica legislativa uniforme applicata a tutta la penisola provoca fenomeni di rigetto e problemi analoghi a quelli sottolineati dalla recente legge sul condono. Inoltre, vi sono conseguenze anche per quanto riguarda gli interventi economici, per cui - ad esempio - la politica di intervento della Cassa del Mezzogiorno in gran parte si perde nel mare della delinquenza organizzata, di un costume e una tradizione culturale che rifiutano lo Stato. Che fare?
A parte i consueti interventi repressivi di dubbia efficacia, le strade per avviare a soluzione il problema sembrano essere almeno due. La prima potrebbe basarsi su una maggiore autonomia delle singole regioni. Ogni regione, cioè, potrebbe amministrarsi e svilupparsi secondo la logica della propria cultura. In tal caso, lo Stato dovrebbe affidare alle Regioni una serie di strumenti legislativi strategici limitandosi, anche in aree fondamentali, ad emanare soltanto delle leggi-quadro. Si creerebbe così uno spazio in cui le Regioni potrebbero legiferare a partire da differenti contesti economici, sociali e culturali. Questa impostazione eviterebbe conflitti molto pericolosi per l'unità nazionale come quello che si profilo in Sicilia in seguito alla proposta di legge regionale per il condono. Ma, così facendo, aumenterebbero invece le differenze fra regione e regione. Dunque una via difficilmente praticabile e piena di pericoli.
La seconda via potrebbe essere quella di tentare una vera unificazione dei valori e della cultura del Paese. Ma questa seconda operazione richiederebbe un'autentica trasformazione culturale perseguibile lavorando in profondità, ad esempio nella scuola.
Anzitutto l'educazione civica non dovrebbe più essere la cenerentola, ma diventare la prima materia per importanza, e dovrebbe essere insegnata sistematicamente nelle regioni più lontane dai valori medi della nazione da docenti specializzati. In queste stesse zone, dove la strada è scuola di delinquenza, il tempo pieno dovrebbe essere la regola: i ragazzi dovrebbero stare a scuola dalle 8 del mattino alle 8 di sera, e così sottratti, appunto, alla strada, alla grande università della mafia, della 'ndrangheta, della camorra. Dieci anni di questo lavoro toglierebbero un'intera generazione al controllo della malavita e le consentirebbero, forse, di fare propria una nuova cultura. Naturalmente il lavoro di promozione culturale dovrebbe investire anche gli adulti e stimolare capillarmente l'amore per la città e la regione, per l'efficienza della burocrazia dei servizi, per le buone leggi.
Infine sarebbe utile, anzi necessaria, una politica di vigoroso sostegno, anche finanziario, alla libere associazioni (ossatura della vita democratica di ogni società), come quelle per la tutela dell'ambiente, dell'assetto urbano, dei monumenti, della natura.
In non molti anni avremmo un Mezzogiorno alquanto diverso, più disponibile verso l'accettazione (applicazioni) di leggi destinate uniformemente a tutto il Paese, più capace di utilizzare produttivamente le risorse messe a disposizione per il suo sviluppo. Il vantaggio di questi interventi culturali andrebbe a tutto il Paese: non dimentichiamo infatti il problema della burocrazia romana, inadeguata ad una società ad alto sviluppo tecnologico. La nostra burocrazia, infatti, è in buono parte il prodotto della cultura del Mezzogiorno. Ma una cultura familistica ed individualistica produce una burocrazia familistica, non adeguata ad una società ad alta sofisticazione tecnologica. La conseguenza, noto a tutti, è una burocrazia che è un'eterna palla al piede dello sviluppo. ,Nuovo Mezzogiorno, visto che la burocrazia è figlia del Mezzogiorno che le fornisce i cervelli, significherebbe anche una nuova burocrazia, piú moderna e adeguata a un Paese in rapida evoluzione.

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