Le ragioni del Nord




Aldo Roselli



La Sicilia fa notizia ormai da tanto tempo, direi quasi permanentemente. Eppure, accanto ai fatti della mafia, della quotidiana violenza, e poi le proteste contro il pagamento del condono edilizio, con le sue marce e blocchi stradali, per chi siciliano non è perdura un fitto e inquietante mistero intorno a ciò che la Sicilia, al di là del più o meno facili miti, è o non è.
Ciò che oggi confonde l'opinione pubblica è la natura di questa protesta dal basso, da parte del muratore o del disoccupato che con le proprie mani ha costruito la suo casetta come coronamento di un lungo sogno. Che in tante zone dell'isola, nelle province di Agrigento, di Palermo o di Catania, ha voluto mettere al sicuro i soldi del piccolo benessere nato, in origine, dalla lunga e dolorosa emigrazione, e adesso, messo di fronte ai rigori di una legge nel resto dell'Italia considerata non solo giusta ma probabilmente impugnabile per difetto, erompe in una protesta di tipo vagamente populista. Da un lato sembra che i partiti siano stati spazzati via, anche se alla testa dei cortei si sono messi centinaia di sindaci, e alle spalle giunge un incoraggiamento dei Pci che certo privo di una volontà strumentalizzatrice non è.
La cronaca, anche spicciola, minuta, potrebbe aggiungere molti dettagli preziosi a una comprensione di questo fenomeno. Ma rimane, nonostante ogni analisi, una voragine di dubbi e perplessità che certamente, almeno in parte, costituiscono l'ignoranza spesso ingiusta e colpevole di chi affronta la Sicilia soltanto nelle pagine dei giornali o in un rapido viaggio turistico. Del resto anche i testimoni siciliani, tra cui i loro scrittori più acuti, serbano della loro terra e della crescita antropologica dei loro compaesani una nozione velata di riserbi e di contrarietà, insieme, si capisce, a un grande amore, però spesso altrettanto indeterminato o sommerso.
A costo di essere banali, bisogna citare Tomasi di Lampedusa quando osserva, a proposito della Sicilia risorgimentale ma anche chiaramente del Novecento, che "più le cose cambiano più sono la stessa cosa". Tesi cupa, anti-storica, ma che anche Pirandello non scartava, e che Vitaliano Brancati aveva con sotterranea genialità accettato come una condanna apparentemente eterna nei suoi eroi tormentati da fantasmi sessuali atroci e infingardi e da sviluppi edipici tristemente indistruttibili. E non potrebbe, il corpo intero della Sicilia, essere come questa descrizione, da Il bell'Antonio, di un personaggio disperato e perdente? "Un ronzio assordante salì alla testa di Antonio; egli sentì caldo alle pupille che videro tutto nebbioso; nello stesso tempo, come espulsa dalla sua stessa violenza, rompendo la dura corteccia in cui stava incapsulata, un'onda di desiderio gli esplose dall'interno dei nervi, gli arrivò su tutto la pelle, pulsò, con vigore di un cuore in tumulto, in un punto remoto, e per tanti anni abbandonato, del suo corpo".
Tuttavia, tra i quotidiani assassinii nel centro di Palermo e altrove, l'uccisione del generale Dalla Chiesa e altre nequizie di una mafia ancora molto forte ma certamente assai diversa da quella più "familiare" e localizzabile di qualche decennio fa, l'isola è stata negli ultimi anni invasa da un benessere non generalizzato e quindi spesso ingiusto, ma tuttavia palpabile. Tale, quindi, da cambiare drasticamente i connotati a una terra ancora ancorata a vecchi riti e organizzazioni familiari, talvolta ancora vicini all'antico feudalesimo. Tutto ciò si combina con l'opera spesso confusa e contraddittoria dei partiti, con una Dc per tanti decenni egemone che solo recentemente ha dovuto cedere amministrazioni provinciali e cittadine a partiti di sinistra.
E nel fervore di un nuovo affrancamento, spesso le leggi e l'operato delle amministrazioni non riescono a tener dietro, o a giustamente regolamentare, il subbuglio delle nuove iniziative. Anche rispetto ai piani regolatori edilizi molti ritardi ci sono stati, anche se, ad esempio, a Catania e a Palermo, le leggi-ponte del '72 avrebbero potuto essere un efficace puntello.
Invece ha regnato il caos, l'individualismo più anarchico, che tuttavia ritorce contro lo Stato le stesse accuse che gli vengono rivolte dalla legge. Come sempre, convivono nel piccolo bracciante o muratore vitalità e disperazione. Ci si aggrappa ai piccoli consumi, o alle piccole acquisizioni, ribellandosi a qualsiasi tipo di "invasore", che potrebbe anche essere chi, dal di fuori, vorrebbe semplicemente capire meglio. Nell'ultimo Sciascia corre un filo di pessimismo e di morte, e anche il manierismo di Bufalino forse non è più che una nuova torre d'avorio. Intanto resta la memoria dei blocchi stradali, spesso pittoreschi, ma la verità scomoda è che il rifiuto dell'applicazione della legge è rifiuto, sia pure inconsapevole, della democrazia. E ci sono troppi che ancora speculano sull'eterna confusione dei ruoli e dei significati.

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