§ ITINERARI PUGLIESI

Pietre e storia del Salento




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta



Li chiamavano Salentini, o Messapi, o Calabri. O semplicemente lapigi. Forse per disparità di vedute, o per una più generale denominazione di etnie diverse. Con gli Japigi, infatti, si era soliti denominare gli abitanti della moderno regione pugliese. Il termine si fa risalire agli lapodes illirici stanziati nella penisola istriana, con la quale la costa adriatica e la Puglia furono in contatto permanente, sin da tempi remotissimi. Il termine Messapi, invece, rientrava in un'ottica marinara, visto che potrebbe significare "coloro che abitano in mezzo alle acque". Ma allora, perchè Calabri? Ci si arrovella da parecchio sul problema. E una delle soluzioni possibili potrebbe essere questa: la denominazione sarebbe emersa in ambiente tarantino, dove "Rolabrizein" era sinonimo di "disprezzare" e lasciava trasparire l'ostilità e lo scherno verso gli autoctoni da parte degli esponenti di una civiltà più raffinata. Salentini, comunque, divennero tutti, nella Puglia meridionale, in età romana. Per quel che riguarda, poi, il nome dell'intera regione, secondo la tesi sostenuta da Emanuele Greco, i "passaggi" sarebbero stati questi: agli abitanti delle diverse aree locali si affiancarono in particolare le numerose migrazioni (Cretesi, leggende dei transfughi troiani, Diomede, e via dicendo) e un massiccio apporto sia etnico sia culturale proveniente dalla fascia iapado-liburnica, cui si deve la denominazione regionale: Japudia/Apudia/Apulia, con in mutamento di "d" in "l", tipico delle parlate oscosabelliche; saranno infatti i Sanniti a trasformare, all'epoca della pressione sulla Puglia settentrionale, il nome, trasmettendolo ai Romani.
Ma quali furono i centri vitali della Magna Grecia nella penisola salentina? E quale la loro dislocazione strategica sul piano dei traffici? Riferisce Greco che, a parte la Via Appia, che collegava Brindisi con Taranto, un'altra via percorreva il litorale adriatico, quella che in seguito avrebbe assunto il nome di Via Traiana, toccando Gnathia, Bari, Canosa; un'altra ancora andava da Brindisi ad Otranto, che era un emporio marittimo di prim'ordine, come testimonia Strabone, per coloro che non avessero incontrato venti favorevoli. In altre parole, con un unico tracciato si giungeva a Rudiae, e di qui la Via Calabria proseguiva per Brindisi, mentre per un altro percorso si toccava Taranto. "A Nord, a breve distanza dalla strada che costeggia la litoranea adriatica, si trova Ostuni, in prossimità del luogo dove gli antichi itinerari ubicavano la stazione di Speluncae ( ... ); Plinio nomina gli abitanti della regione gli Stlnini, sulla costa dove è ora Torre Santa Sabina, e a loro si son volute attribuire le monete con la leggenda STY; il presumibile nome Stulneum o Stulnium sarebbe poi alla base del moderno Ostuni: qualche resto del centro presupposto dalle iscrizioni funerarie ora venendo in luce in contrada Santo Stefano, dove sono state rinvenute tracce delle mura (databili al IV-III sec. a.C.) e una necropoli della prima età ellenistica".
Poi, il vicino paese di Carovigno viene identificato con Karbina, città messapica nota per un racconto di Clearco tramandato da Ateneo per aver subito saccheggi e violenze da parte di Taranto, (probabilmente 500 anni prima di Cristo). Alle spalle della Chiesa Nuova, alcuni resti di mura: blocchi squadrati, ma irregolari, con molte zeppe utilizzate per far coincidere i giunti. Per la cronaca (delle distruzioni!), l'intero perimetro venne riconosciuto dal De Giorgi alla fine del secolo scorso. Il Museo di Brindisi accoglie materiali provenienti da aree tombali di diverse epoche.
Tra Ostuni e Grottaglie è Ceglie Messapico, senza dubbio uno dei centri più rilevanti dell'antica area, tuttora non esplorato sistematicamente. E fu confine tra Messapia e Taras: muro o canale di comunicazione, è ancora in gran parte da stabilire. Comunque, di un centro di nome Caeliae abbiamo monete d'argento e di bronzo; col dubbio, però, che possano essere appartenute alla Ceglie peucetica, oggi Ceglie del Campo, alla periferia di Bari. Iscrizioni vennero trovate su un'altura (a Monte Vicoli, forse acropoli della città), con dediche ad Afrodite, tanto che si èpensato che potesse esserci un tempio dedicato alla dea. Numerosi gli arredi tombali. Resti di mura di cinta, il "Paretone" nel linguaggio locale. Uno splendido vaso attico, raffigurante Diomede che combatte contro gli Japigi, è al museo di Berlino. Nulla che ci racconti di questo centro dopo la guerra annibalica.
Fra Taranto e Oria (circa a metà strada), gli antichi itinerari tramandano la presenza di una stazione, non grande, denominata Mesochorum. E in greco vuoi dire "spazio di mezzo": probabilmente ha derivazione di origine militare. E non a caso la stazione è a metà strada tra Taras e l'area messapica. Recenti scavi hanno portato alla localizzazione presso la Masseria Vicentino di un centro abitato con acropoli di piccole dimensioni. Tre gli ordini di mura, innestati con stradine e carrarecce anche incassate nella roccia. Altri resti di un centro abitato, presso la Masseria Misicuri, con strutture che rivelano persino la presenza di un edificio termale.
Presso Francavilla Fontana, resti di tombe, iscrizioni, una villa romana. Poi, èterritorio di Oria, che Strabone situa al centro dell'istmo Taranto-Brindisi. Nobilissimo il passato: fu sede di un dinasta messapico, il cui palazzo residenziale esisteva ancora proprio ai tempi di Strabone. Sulle origini del nome, molta incertezza. Erodoto afferma che le origini del Messapi sono cretesi. Ma Strabone non sa dire che Oria sia la Hyria fondata dai Cretesi: egli la chiama Ouria, e una Hyria diventa in seguito Quereton-Veretum. Oltre tutto, sono tramandate altre Hyria: una, dal nome identico, dalla Campania; un'altra, nome Ourion, dallo sperone garganico. Restano, di Oria, tratti di mura. Il materiale delle tombe è nei musei di Taranto e di Brindisi, mentre un'altra parte costituisce il nucleo della raccolta privata del Martini-Carissimo: questa è custodita nel castello federiciano sorto sull'acropoli; comprende frammenti architettonici, vasi apuli e vasi in stile Gnathia, pezzi di sculture, monete. La raccolta è stata depauperata dai ladri.
Procedendo verso Brindisi, due aree archeologiche, quelle di Muro Tenente, presso Latiano, con resti di mura e con una stazione vicina, Scamnum, che forse ebbe notevole importanza; e Muro Maurizio, tra Mesagne e San Pancrazio, con resti di fortificazioni. Rinvenute, in particolare a Muro Tenente, numerosissime trozzelle, un tesoretto di oltre 300 didrammi tarantini, un caduceo di bronzo (prerogativa del culto di Hermes, non raro in Messapia), e localizzata un'ampia fascio lastricata.
Tra S. Pietro Vernotico e Torchiarolo, in una località che forse non a caso si chiama "Valisu", si deve ubicare Valesium o Baletiun, altro centro nodale della Messapia. Qui (ma alcuni dicono ad Alezio) si coniò in argento, utilizzando il simbolo tarantino dell'eroe sul delfino e la leggenda "Balethas-Valethas". Restano tre chilometri di mura e modesti resti di un edificio romano. Recuperi di materiali tombali nei musei di Brindisi e Taranto. Nel 1926 si scoprì un tesoro di 1.849 monete d'argento (ora al museo tarantino), con monete provenienti da numerose zecche di Magna Grecia. Forse apparteneva a un santuario.
Tra Lecce e Otranto, Plinio annota un "portus tarentinus", forse uno scalo adriatico: Fratuertium, di ignota ubicazione, e/o Soletum (presso Soleto?) che è definito "desertum".
Poi, Otranto, città che si è detta anche costruita da Taras, senza che l'ipotesi sia suffragata da alcuna testimonianza. Scavi anche recentissimi ne hanno messo in rilievo la funzione e il ruolo di scalo di prim'ordine sulle rotte della Grecia. Fu "municipium" in età romana, ed ebbe rilevanza enorme sotto i Bizantini. Resti di una città medioevale emersi grazie a scavi inglesi. Alcuni capitelli riutilizzati nella cripta del Duomo. Dinu Adamesteanu la tiene continuamente d'occhio, anche se - dice - bisogna impiantare cantieri tra casa e casa. Ma il sottosuolo non è stato sconvolto, com'è accaduto a Brindisi e a Taranto. L'archeologia, qui, è ancora in gran parte da scoprire.
All'interno, alcuni siti antichi. Il primo è Muro Leccese, con una possente doppia cinta muraria: con ogni probabilità, fu uno dei centri più importanti. Poi, frazione di Poggiardo, Vaste, antica Basta, che Plinio collocò a diciannove miglia da Otranto. E, ancora, Diso, che alcuni identificano con una Thuri salentina espugnata da Cleonimo nel 302 a. C.
Sulla costa, dopo il Capo d'Otranto, le splendide grotte preistoriche. Poco all'interno, Castro, da identificare con Castrum Minervae, ove Strabone trovò un ricco santuario di Athena. Quel tempio fu ricordato anche da Virgilio. Ma noi non ne conosciamo ancora l'ubicazione. Le ricerche hanno portato alla luce solo resti di una gran cinta muraria di blocchi squadrati sul ciglio dello strapiombo a mare. E sulla costa doveva trovarsi il "portus" di cui narra lo stesso Virgilio: probabilmente, il "portus Veneris" di cui parla Dionigi d'Alicarnasso.
Più a sud, il "Promontorium Sallentinum" dei latini, l'"Akra lapygia" dei Greci: Leuca, la bianca, con presenze umane fin dalla preistoria, con interessanti scavi nella Grotta della Porcinara. Identificato un piccolo santuario, meta di marinai, che vi hanno lasciato iscrizioni graffite in greco e in latino. Frammenti di ceramiche nelle vicinanze di un piccolo altare, del quale rimane qualche blocco, innalzato all'esterno della grotta. E forse Leuca fu scalo ed emporio marittimo di Veretum, centro localizzato sulla Serra di Vereto, dove si trova la chiesa della Madonna di Vereto, presso Patù. Città di cui si sa poco.
All'interno, i centri citati da Plinio: oltre a Basta e a Veretum, anche Aletium, con tombe che continuano a venire alla luce; e Parabita-Bavota, ove furono rinvenute le celebri "Veneri", dee-madri, simboli della fecondità. Poi, ancora verso il mare, alla volta di Uzentum-Uxentum, miniera di reperti (e di saccheggi, tuttora in corso), area nella quale venne alla luce il celebre Zeus, e nella quale emersero belle tombe, fra le quali una con tracce di decorazione dipinta e con suppellettili in bronzo e ceramica. Vicino, Marina di San Giovanni, con segnalazione di resti di opere portuali, e dunque anche scalo marittimo di Ugento.
Risalendo verso Nord, Neretum, da identificare con l'attuale Nardò. Sulla costa compresa tra Gallipoli e Maruggio, sbocco a mare di Manduria (città-confine della Messapia), le stazioni preistoriche di Santa Maria al Bagno e di Santa Caterina. E' un emporio di nome Nauna, finora di ignota ubicazione, ma attestato da un'iscrizione latina, e certamente scalo di Neretum. Maggiore importanza ebbe comunque Sasina, ormai identificato con sufficiente certezza con Porto Cesareo.
Infine, Scala di Furno, penisoletta nella quale si continua a scavare, e nella quale sono state trovate testimonianze che vanno dall'età preistorica alla piena età storica. Cospicue le ceramiche micenee, importate da Cipro e da Rodi (quelle più antiche), e da Itaca e dalle coste occidentali della Grecia. L'area fu interessata da un sacello dedicato alla dea Thana, forse identificabile con la dea Diana. Nelle vicinanze, Torre Chianca, stazione marittima di età romana. E', oltre, lo Scoglio del Tonno, che ci riporta in terre di dominio e d'influenza della greco Taranto, fondata dagli Spartani.

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