L'intervista
che segue è stata registrata su un nastro magnetico il 24 aprile
1978 in casa del generale Umberto Nobile pochi giorni prima della sua
morte. Il grande esploratore del Polo Nord aveva a quella data 93 anni
di età, essendo nato a lauro nel 1885.
L'avevo conosciuto qualche giorno prima di questo incontro per motivi
di lavoro: avevo avuto bisogno di un suo breve intervento per una trasmissione
sul tema "Gli altri mondi" che in quei giorni stavo confezionando
per la Radio. Chi meglio di lui avrebbe potuto parlare sull'argomento!
Ebbe subito simpatia per me e, dopo aver concesso la breve dichiarazione,
mi chiese, cosa graditissima e insperata, di ritornare un altro giorno,
"non lontano però!", con molti nastri e il registratore.
Aveva bisogno di parlare. Lo capii subito e ne approfittai. Il generale,
uno dei più coraggiosi pionieri delle grandi esplorazioni del
nostro secolo, dopo le vicende dell'Italia e della tenda rossa aveva
dovuto passare il suo tempo a difendersi dalle accuse meschine che nemici
politici gli avevano rivolto. Rispondono a questa esigenza alcuni dei
tanti libri da lui scritti sulla sua impresa; primo fra tutti "Posso
dire la verità" (Mondadori, 1945), ma anche "La tenda
rossa" (Mondadori, 1969).
L'intervista che segue - smarrita, dopo molte peripezie ritrovata e
qui pubblicata per la prima volta - sotto un certo aspetto costituisce
un estremo tentativo di difesa di Nobile e il resoconto di quei nostro
secondo incontro.
Il generale, seduto sulla sua poltrona, accanto ad una enorme gabbia
piena di uccellini sistemata nei pressi di una finestra, ripercorre
per me le fasi salienti della sua vita. Ma non solo per me. Noto subito
che ha ancora, dentro di sè, come un malloppo da cui liberarsi.
Parla con piacere e libertà non appena sollecitato, appena appena
richiesto. Vaga sul filo di connessioni esili solo a lui note, sullo
stimolo di un sentimento momentaneo o per un rigurgito di idee e passioni.
Ne vien fuori quasi un monologo. Quello che gli importa è raccontare
ancora la sua storia, la sua verità. A volte lo fa come un aedo,
a volte come un imputato. Lo dimostrano le continue interruzioni, le
ellissi, i lunghi incisi, l'andamento ritmico che procede come linea
spezzata.
L'uomo che conquistò il Polo Nord, dall'affabile accento napoletano
mai perduto, ormai raggiunta la soglia della vita, con i lunghi capelli
bianchi come quelle nevi immacolate che tanta parte ebbero nella sua
storia, racconta; racconta come incalzato dal tempo, pressato, con Il
urgenza di chi sa che qualcosa sta per concludersi. Si rivede giovane
studente a Napoli, allievo prediletto di quei professore che altri non
era se non un illustre calimerese: Giuseppe Gabrieli, padre dell'arabista
Francesco. Poi a Roma studente di Aeronautica e, quindi, a Torino alle
prese con le funivie. la guerra, i dirigibili, Amundsen il norvegese
la sua spina nel cuore, il NORGE, i successi, le delusioni. Mussolini,
Balbo, l'impresa dell'ITALIA, la tenda rossa. Nobile è vecchio.
Si commuove. Non ce la fa più a raccontare. Tace. "Sa che
cosè?" - poi riprende - "Adesso glielo dico subito.
Credo d'essere giunto ormai alla meta ... ".
Generale Nobile,
mi può raccontare come è nata questa sua grande passione
per il volo?
Bisogna risalire al tempo in cui io ho desiderato di occuparmi di
aeronautica e questo rimonta a un tempo lontano. lo ero giovanissimo
allora, avrò avuto tutt'al più venti o ventuno anni.
Era venuto a Napoli... io ero studente di ingegneria, bravo anche.
è vero però che sono stato bravo anche al liceo. lo
ero il miglior latinista del mio liceo. Tutti si aspettavano, specialmente
il professore di latino, che io andando all'università continuassi
in quella direzone. Invece no. lo avevo stabilito che il latino mi
piaceva, l'avevo studiato, avevo ottenuto quello che volevo e perciò
desideravo passare ad un altro campo. E il campo che scelsi fu quello
dell'ingegneria... Mentre studiavo venne a Napoli nel 1910 Kinet.
Kinet era un aviatore francese. Erano i primordi dell'aeronautica
allora e gli apparecchi erano fragili, elementari. Non c'era nulla
che li facesse somigliare a un aeroplano moderno. Venne questo Kinet
e volò sul Campo di Marte, a Napoli. Conosce Napoli? Napoli
era interessante a quel tempo. Il Campo di Marte era un campo di aviazione.
Effettivamente era un campo dove si tenevano le corse dei carri tirati
dai cavalli. Era fantastico, sa! ... Mi scusi questa interruzione,
ma lei mi riporta a tempi lontani che avevano il loro fascino.
Faccia tutte le
digressioni che vuole, generale.
A Napoli allora si facevano le corse con i carri. Il giorno delle
corse era un giorno speciale perchè tutti andavano nelle vie
principali a vedere le vetture a cavalli che rientravano dopo la gara,
e anch'io ci andavo. La competizione avveniva a Poggioreale.
Venne a volare questo aviatore, come dicevo, uno dei primi aviatori,
Kinet, e io ne fui affascinato. Allora c'era a Poggioreale... conosce
Napoli? A Poggioreale c'era La Rotonda. Era all'ingresso di Napoli;
credo che fosse una rotonda degli antichi tempi, quelli dei Borboni,
dove probabilmente si pagava il dazio. lo mi ricordo che montai sul
tetto di quella rotonda per meglio vedere l'aeroplano. Quando vidi
il fragile apparecchio fatto di tela, di corde e di legno volare sulla
mia testa ne fui preso proprio, e mi commossi debbo dire, perchè
certe cose mi commuovono. Mi sembrava una grande cosa che l'uomo potesse
volare come un uccello, su apparecchi primitivi. Venne allora il mio
gusto per le cose dell'aria e casi nel 1911 cominciai a studiare aeronautica.
Aeronautica? Dove
ha studiato, generale, aeronautica?
C'era in quel tempo, non molto lontano da qua (la casa di Nobile in
Via Monte Zebio a Roma. Ndr.), in Viale Giulio Cesare, un battaglione
che si chiamava Battaglione Specialisti del Genio. Ho studiato lì.
Non esisteva l'Aeronautica vera e propria; quel poco di aeronautica
veniva fatta dal Genio militare, quindi era un corpo del tutto diverso.
l'Aeronautica è stata fondato molti anni dopo, nel '22, al
tempo di Mussolini. Il Ministero della Guerra bandì allora
un concorso d'ammissione per frequentare una scuola di costruzioni
aeronautiche, qui a Roma, e io la frequentai. La frequentai... feci
l'esame, fui scelto e poi... Studiai per un anno Aeronautica. Furono
i miei primordi, i miei primi studi. Dopo non potei continuare perchè
avevo mia madre che... Ero molto attaccato a mia madre. Mia madre
era malata e non volevo allontanarmi da lei, quindi sacrificai le
mie aspirazioni e mi occupai di altri argomenti attinenti anche e
sempre a cose nuove. Mi occupai di funivie. Sa cos'è una funivia?
Una cosa in mezzo e di mezzo tra l'aria e la terra, no? Feci questo
per un anno a Torino poi, dopo, scoppiò la guerra. Chiesi di
prendervi parte in qualsiasi modo si credesse utile. Feci domanda
al Ministero della Guerra perchè, nonostante io non avessi
obblighi militari, mi utilizzasse come volesse. la domanda fu accolta
e, nel 1915, proprio all'entrata in guerra dell'Italia, partii.
Generale Nobile,
qual è stato il motivo reale, profondo che le ha dato la spinta
per tentare l'impresa del Polo?
Il fatto che gli altri non c'erano riusciti. Questo fu il fatto essenziale
che mi spinse per l'impresa del Polo. Come tipo ero ambizioso. Volevo
cose nuove. lo avevo costruito un nuovo tipo di aeronave, ma non ero
contento del modo in cui veniva utilizzata dai piloti, dagli ufficiali
dell'Aeronautica. Volevo pilotarla io perchè sapevo che poteva
rendere molto di più di quello che loro pensavano. E allora,
quando nel 1924 venne in Italia Amundsen, il norvegese... lui si interessava...
lui non era un tecnico, era semplicemente un esploratore che aveva
scoperto il Polo Sud e voleva arrivare anche al Polo Nord. Questa
era tutta la sua ambizione; a lui non premeva il come arrivarci ma
arrivarci, essere trasportato lì. Lui pressappoco mi ha considerato
un taxista, uno che possiede un taxi, al quale si dice: "Portami
all'Opera". E io l'ho accompagnato all'Opera. Pressappoco questo
è stato.
Amundsen già
la conosceva?
Lui non sapeva niente di niente. Nemmeno di me. Per il suo progetto
si era rivolto ai tedeschi, ma i tedeschi non acconsentirono. Non
hanno voluto saperne perchè trovavano che era pericoloso andare
al Polo con un'aeronave, e allora gli dissero: "Si rivolga a
Nobile, in Italia" e si rivolse a me. Gli dissero di rivolgersi
a me perchè io ero l'uomo capace di fargli realizzare questa
sua aspirazione. Venne in Italia nel '24 e io gli feci fare un volo
su uno dei miei dirigibili, l'ultimo, quello che poi effettivamente
andò al Polo; ma non ci fu seguito. Tempo dopo, avendo visto
tutti gli sforzi inutili che aveva fatto Amundsen per arrivarci con
un aeroplano, io cominciai a preparare un progetto di esplorazione
polare da fare invece con un dirigibile. Questo avveniva nel '24-'25.
Nel '25 Amundsen tentò di arrivare al Polo con due idrovolanti,
tedeschi, che venivano però costruiti a Marina di Pisa: i Dornier
Wal. Il denaro per la spedizione glielo aveva dato un americano che
poi glielo diede anche per la spedizione che fece con me e che avvenne
l'anno successivo. Il tentativo di Amundsen di raggiungere il Polo
con due idrovolanti fallì: avvenne nel 1925, come ho detto.
Arrivato ad un certo punto dovette discendere perchè aveva
esaurito la benzina e tornò senza aver raggiunto la meta. Si
ricordò a quel punto che aveva volato su uno dei miei dirigibili;
persuaso che io ci potessi riuscire mi fece sapere che voleva incontrarsi
con me. lo intanto avevo già pronto il mio progetto e quindi
accettai con entusiasmo. Pensai: la partecipazione di Amundsen mi
faciliterà perchè mi aprirò quelle strade che
altrimenti mi sarebbero chiuse... Va bene così come parlo per
il microfono? Io ho poca voce.
A cosa tendeva,
generale Nobile, la prima impresa polare? Cosa in realtà scopriste
e quali furono i risultati scientifici?
Lo scopo che si prefiggeva la prima spedizione polare, quella che
si chiamo... scrivono NORGE ma si pronuncia in realtà Norghe
che poi vuole dire Norvegia e che si effettuò nel 1926, era
di scoprire che cosa c'era fra il Polo e le coste americane dell'Alaska.
Questa era una regione sulla quale nelle carte del tempo era scritto
"regione inaccessibile" perchè qualunque tentativo
era stato fatto per entrarvi non era mai riuscito. Era impervia, assolutamente
impervia. Così era ritenuta: "impervia", per lo meno
ai cani e alle slitte che erano il mezzo ordinario col quale si facevano
queste imprese polari.
Cosa scopriste
arrivando là?
Arrivati, scoprimmo che era un mare ghiacciato... Rimanemmo delusi
in qualche modo. lo no, perchè per me la cosa più importante
era il compimento del volo. Ero il comandante dell'aeronave. Avevo
preparato io l'aeronave, tutta la parte aeronautica, ed essendosi
risolta ogni cosa soltanto in un volo, io ho avuto la più grande
soddisfazione di tutti. Eravamo in 16, tra i quali c'erano l'americano
che aveva dato il denaro - Lincoln Ellsworth - e Amundsen che aveva
avuto l'idea di fare la spedizione e che era l'esploratore vero e
proprio. Se avessimo incontrato terra, lui sarebbe disceso. Invece
non trovammo niente. Trovammo un mare ghiacciato. Delusione dal punto
di vista dell'esplorazione quindi, non delusione dal punto di vista
scientifico perchè furono studiati fenomeni nuovi, non previsti
nemmeno, tra i quali la formazione di ghiaccio sull'aeronave... Dopo
il Polo, attraversando quella regione mai esplorata, sopraggiunse
la nebbia che causò una grande quantità di fastidi.
Bisognava tentare di sottrarsi alla nebbia. Per sottrarsi però
bisognava salire in alto e, allora, non si vedeva più il terreno
e noi volevamo vederlo; quindi eravamo obbligati a volare sotto la
nebbia. Da qui tutti i pericoli. Fu veramente un viaggio rischioso.
Scoprimmo che, certamente, fra il Polo e l'Alaska c'era un mare ghiacciato.
Fu chiamato Mare Artico, Oceano Polare e noi avevamo compiuto la prima
traversata di questo mare. Che a 84° di latitudine cessasse ogni
traccia di vita era cosa già più o meno risaputa perchè
a quella latitudine si era già arrivati. E noi a 84°, infatti,
non vedemmo più alcuna traccia di vita. Fino agli 84°,
di tanto in tanto, in prossimità della costa, si vedevano le
tracce degli orsi polari, che sono tipiche -sono due linee tratteggiate
una a fianco all'altra - e si vedeva anche qualche uccello, raro.
Nei tratti di acqua libera che c'erano tra una massa di ghiaccio e
l'altra noi vedevamo addirittura guizzare dei pesci.
Se dovesse compiere
un'altra impresa oggi, dove le piacerebbe andare?
Mi piacerebbe andare ovviamente fuori dall'atmosfera terrestre. Ovviamente.
Cioè negli spazi verso la Luna, verso Venere, verso, diciamo,
i pianeti esterni; ma questo, naturalmente, è utopistico oggi
per un solo uomo. Oggi non è più il tempo delle grandi
imprese individuali. Una volta c'era Colombo, c'erano grandi imprese,
ma compiute da individui, preparate da individui, con poche persone.
Oggi questo non si può più fare. Oggi per tentare un'impresa
nuova bisogna avere a disposizione migliaia di persone. Per il primo
volo spaziale hanno lavorato, io penso, almeno centomila persone in
America. E' un grande sforzo collettivo, non è più un'impresa
individuale. C'è l'eroe, certo, dietro tutto questo, ma l'eroe
rimane nascosto e non è nemmeno onorato abbastanza perchè
nessuno dei giovani, oggi, cita Von Brown che è il personaggio
più importante delle imprese spaziali americane. Lui, era dentro
e dietro tutti i voli che sono stati realizzati! Era lui la mente
che concepiva, che sapeva come fare. Gli altri andavano, gli altri
eseguivano, ma eseguivano quello che lui preparava, quello che lui
voleva. l'uomo èstato condotto sulla Luna, praticamente condotto
come se fosse stato accompagnato da un personaggio fantomatico. In
sostanza il contributo individuale di Amstrong, il primo uomo sceso
sulla Luna, non è un granchè: sì, doveva avere
sangue freddo, doveva avere la calma, avere tutti i requisiti fisici
necessari per fare lui quello che però avrebbero potuto fare
molte altre persone. Von Brown invece era unico, era il solo preparato.
Von Brown veniva dalla Germania. Sì, è stato onorato,
ma poi... Oggi credo che lo abbiano anche dimenticato, in parte, eh?
Lei ne sente parlare tanto?
Generale Nobile
mi racconta un po' della spedizione dell'ITALIA? Mi pare abbia suscitato
varie polemiche e duri attacchi alla sua persona. Oggi, a tanto tempo
di distanza, che cosa può dire che non abbia ancora detto?
La seconda spedizione
fu effettuata esattamente due anni dopo quella del NORGE. Fu conseguenza
della prima. Col NORGE passammo sul Polo il 12 maggio del '26, con
l'ITALIA siamo passati il 24 maggio del '28. Pressappoco due anni
dopo. Il giorno in cui atterrammo felicemente in Alaska dopo aver
superato una giornata di tremende peripezie fu un grande avvenimento,
uno dei più grandi momenti che io abbia vissuto. Sì,
anche le prime due giornate di volo, col NORGE, furono interessanti,
molto interessanti... Era la prima volta che l'uomo giungeva al Polo.
Siamo stati i primi ad arrivarci, anche prima di Peary. Questo in
Italia è poco risaputo... Forse parlo troppo a bassa voce?
No no, va bene,
continui. Anzi io mi sposto di qua così ci guardiamo meglio
in faccia.
Eh, lei è una persona proprio simpatica. lo debbo dire.
La ringrazio,
generale.
Per quanto riguarda la seconda spedizione polare è stato affermato,
anche recentemente, da persone che leggono poco e parlano di cose
che non hanno letto, non conoscono, che la spedizione dell'ITALIA
sia sorta dal mio desiderio di dimostrare ad Amundsen che noi eravamo
capaci di fare da soli, senza di lui. Falsissimo. Non ho mai pensato
questo e non l'ho mai pensato per la semplice ragione che Amundsen
era rimasto estraneo alla parte che era riservata a me. Quello che
ha fatto lui non ha nulla a che vedere con quello che ho fatto io.
lui stesso lo racconta nel libro La prima traversata del Mare Polare.
lui dice: "Il mio compito era il più semplice di tutti.
lo sul Norge dovevo stare affacciato al finestrino a vedere se si
trovavano, se si incontravano delle tracce di un possibile continente
artico". Era questo il problema dibattuto. Era questo il problema
che Amundsen voleva risolvere dopo aver raggiunto il Polo Sud... Bene
o male è stato il primo che l'abbia raggiunto. Non sto qui
a discutere se fu leale o no verso Scott. Scott era il suo rivale;
ma Scott aveva annunziato molto tempo prima che preparava una spedizione
al Polo Sud. Amundsen - e questo è conosciuto - disse che partiva
per il Polo Nord, poi arrivato a metà strada, non so precisamente
dove, si fermò ed annunciò all'equipaggio che lui intendeva
andare al Polo Sud. Questa fu una brutta sorpresa per Scott. Scott
ne risentì molto. Arrivò al Polo poco tempo dopo che
c'era arrivato Amundsen e trovò un tumulo. Appena arrivato
Amundsen aveva eretto un tumulo con un messaggio che diceva: "Oggi,
ecc. ecc. la spedizione norvegese è giunta al Polo Sud".
Quando Scott scoprì che Amundsen, il quale era partito per
il Polo Nord, era giunto al Polo Sud, per lui fu un colpo tale che
certo contribuì anche alla sua fine. Morii sul posto. Mori.
Bisogna leggere come termina il libro di Scott: ècommovente.
Si vede che quando lui scriveva queste ultime righe - lui teneva un
diario - il suo pensiero andava al suo Paese, alla sua famiglia, ai
suoi amici. Dice... dice... "Per amor del cielo" (Nobile
piange)... si rivolgeva in sostanza ai suoi compatrioti... "Pigliatevi
cura della vostra vita"... (Piange)... Sapeva che erano le ultime
ore che viveva. E così termina. Non si possono leggere quelle
righe scritte da lui stesso, dalla sua mano senza...
Ma adesso torniamo al nostro argomento. L'idea della spedizione dell'ITALIA
non ebbe nulla a che fare con la controversia che dopo il NORGE sorse
fra me e Amundsen. Fra noi la controversia sorse infatti molto tempo
dopo che io avevo avuto l'idea. Di questa idea io parlai l'indomani
del nostro arrivo a terra, quando i miei rapporti con Amundsen erano
normali. Non c'era stato nessun battibecco tra noi due, nessuna controversia.
Di quanto è successo, in fondo, non avemmo colpa nè
io nè Amundsen. Lo non feci nulla per eccitarlo. lo rispettavo
Amundsen come esploratore e naturalmente esigevo che lui mi rispettasse
come volatore. lo, avevo preparato tutti i voli, l'intero volo. Fosse
andata male, la colpa sarebbe stato mia non di Amundsen. Lui stesso
scrive nel libro: "lo avevo il compito più facile di tutti.
lo dovevo semplicemente stare affacciato al finestrino a vedere se
c'erano tracce di un possibile continente. E gli altri badavano a
fare andare l'aeronave"... e questi altri ero io. lo con gli
altri italiani, aiutato naturalmente molto bene dai norvegesi che
io stesso avevo istruito in Italia sul dirigibile "N". N
è l'iniziale deilmio nome: Nobile. lo volevo dirle che il giorno
dopo l'arrivo a terra, arrivo che io annunziai a casa mia, a mia moglie,
con un semplice telegramma che dice... "Siamo arrivati. è
come un sogno ... " (Piange. lunga pausa)... Sa che cos'è?
Adesso glielo dico subito. Credo d'essere giunto ormai alla meta.
Dopo una vita così intensa, così intensamente vissuta
io mi commuovo... molto facilmente al ricordo... perchè rivivo
quei momenti, li rivivo come se fosse oggi. legga le pagine che io
ho scritto e capirà la gioia che mi procurarono Amundsen ed
Ellsworth quando mi dissero... lo scrissero anche nel libro che hanno
poi pubblicato: "... E ci rivolgemmo a ringraziare Nobile che
ci aveva tratti... sani e salvi... attraverso... questa grande avventura",
e più avanti ancora: "Bisogna togliersi il cappello -
dice testualmente - davanti a questo italiano che ci ha pilotati fuori
dalla tempesta". Non c'era nessun malinteso quindi fra me e Amundsen
in quel momento, perchè ognuno aveva avuto la sua parte e la
parte più importante era stato riservata a me, e questo...
E questo forse
è il motivo...
Se avessimo trovato delle montagne in quell'immenso spazio, o un continente,
sarebbe stato molto meglio! Nessuna polemica sarebbe sorta perchè
in quel caso Amundsen si sarebbe trovato nel pieno delle sue possibilità;
era un esploratore lui, andava in slitta con il cane, questa era la
sua professione e quindi... Noi invece non trovammo niente. Trovammo
un mare ghiacciato che è stato chiamato Mare Polare; non si
poteva chiamarlo diversamente. Se avessimo trovato delle terre, un'isola,
una penisola... avrebbero avuto oggi il nome dell'Italia; mi sarebbe
piaciuto molto. E piaceva più ancora ad Amundsen di dargli
il suo nome, un nome norvegese. Tutto ciò però non era
avvenuto. lui, allora, con questa impresa aveva inteso chiudere la
sua carriera: aveva dichiarato infatti che dopo il Polo Sud voleva
andare al Polo Nord. Poi l'appetito è venuto mangiando, come
si dice, e dopo il Polo...
Allora si pensava che al Polo c'era già stato l'americano Peary,
cosa che poi è stata dimostrata falsa... Oggi in America si
asserisce che siamo stati i primi in assoluto a giungere al Polo Nord,
prima ancora di Peary. Si credeva che Peary fosse lo scopritore del
Polo Nord e invece Peary nemmeno c'era arrivato. Siamo arrivati noi
per primi. E' un primato che si deve soprattutto a noi italiani. Si
deve anche all'iniziativa di Amundsen, perchè senza di lui...
lo avevo già incominciato a lavorare ad un progetto, avevo
gettato le basi per una spedizione completamente italiana fin dal
1925, ma non credo che sarei riuscito a realizzarlo mai se non fosse
venuta la proposta di Amundsen che chiedeva il mio aiuto.
Ma torniamo all'idea
della spedizione ITALIA.
Eravamo in perfetto accordo dopo l'arrivo a Teller, in Alaska, col
NORGE, ma il giorno stesso del nostro arrivo io cominciai a pensare
a questa seconda spedizione e ne parlai con il braccio destro di Amundsen,
Riiser-Larsen, un pilota di aeroplano, molto bravo... lui mi venne
a trovare un giorno in quella casetta dove ero ospite e: "Che
stai esaminando?" disse. "Sto considerando che avevamo benzina
sufficiente per arrivare fino in America. Potevamo anche non fermarci
dove ci siamo fermati, a Pederty. Sto pensando adesso che noi potremmo
fare una nuova spedizione per esplorare il resto"". Avevamo
appena cominciato e c'erano ancora molte migliaia di chilometri quadrati
da esplorare sulla calotta artica. Gli dissi: "Possiamo continuare".
E lui: "Ma Amundsen ha finito. Ha chiuso la sua carriera di esploratore".
Ed io: "Continueremo noi". Amundsen aveva annunziato infatti
che quella era l'ultima sua impresa. Quindi io del mio progetto ho
parlato subito dopo l'arrivo a Teller. Avevo già deciso. La
mia seconda spedizione, dunque, non ha nulla a che fare con la polemica.
Dico questo perchè anche recentemente ho visto pubblicato un
libro in cui si dice bene tutto il resto ma incomincia subito con
questo errore, ripetendo questo errore. Non è che io sia andato
al Polo per dire al mondo: "Guardate che noi non avevamo bisogno
di Amundsen". Non ci ho pensato proprio, perchè Amundsen
per volare fino al Polo non aveva fatto niente. Nè poteva far
niente. Sarebbe stato un non senso da parte mia dire una cosa simile;
ma insomma, lo hanno scritto e io ho risposto a questo in qualche
maniera.
Dunque. Mi venne quest'idea, ma io dovevo andare in Giappne - avevo
un vecchio impegno, era una vecchia promessa - e quindi non ci pensai
più e, tornato dalla spedizione del NORGE, andai in Giappone.
Mentre ero ancora in Giappone mi rimisi a pensare a questa nuova spedizione.
Volevo andarci con un grande dirigibile con il quale ero certo che
saremmo partiti e direttamente arrivati in queste regioni non ancora
esplorate. Pensavo che avrei portato il dirigibile in Giappone anche,
perchè i giapponesi erano entusiasti. L'avrebbero comprato
dal governo italiano. Ho costruito, e questa è una parentesi,
parecchie aeronavi per i governi esteri: per gli Stati Uniti d'America,
per l'Argentina per la Spagna e anche per il Giappone. Le aeronavi
che io costruivo allora erano conosciute in tutto il mondo e già
mi avevano dato popolarità. Ora, io tornavo dal Giappone con
quest'intenzione, ma Mussolini, personalmente, prima ancora che io
partissi, mi aveva impegnato a fare un viaggio nell'America del Sud
con un'aeronave, una grande aeronave che era in costruzione. Lui non
aveva molto interesse per
Aveva sfruttato sì l'impresa
del Polo per farsi della pubblicità, ma non aveva interesse
per il Polo.
Sì, ammirava tutto quello ecc. ecc.. Mi ha esaltato ripeto,
ma lui aveva interesse politico agli italiani dell'America del Sud,
e voleva che io arrivassi Il con un'aeronave partita da Roma e, poichè
ce n'era una, mi fece annunziare che decideva questa impresa. Mentre
io ero in Giappone, però, l'impegno di Mussolini fu cancellato
da Balbo senza che Mussolini lo sapesse, come poi accertai dopo. Mussolini
non aveva modificato il suo desiderio che io portassi un'aeronave
italiana in Argentina. Per lui era una grande cosa che io arrivassi
là. Ma Balbo era un nemico, dichiarato, fin da principio, e
quindi mi fece fermare la costruzione dell'aeronave e mi avverti di
questo con un telegramma. Dice: "D'accordo col Duce abbiamo stabilito
di sospendere la costruzione rinunciando al volo" e non era vero.
Non era vero perchè Mussolini non era affatto d'accordo. Lo
scoprii quando tornai dal Giappone. In sostanza, tramontato questo
viaggio, questo volo in Argentina, tornai alla mia idea della spedizione
polare che volevo fare subito dopo la prima, e ne parlai con Balbo.
Balbo era indeciso... Balbo non sapeva cosa fosse un'aeronave? Sì,
non lo sapeva. No. Non l'amava nemmeno. Lui dichiarò ad un
giornalista italiano del Corriere della sera, Tomaselli: "Tu
pensi che io sia una persona coraggiosa?", "Non c'è
dubbio" - dice questo giornalista. E senza dubbio lo era. Aveva
coraggio Balbo. Dice: "Beh, io ho paura di sedere su un dirigibile.
Su un dirigibile non ci metterei piede a nessun prezzo". E infatti
fu un nemico dichiarato. Dichiarato perchè lui stesso lo disse.
Aveva paura della mia popolarità. Tutto questo è oggetto
di un mio nuovo libro. Un libro che avevo il dovere di scrivere. Sarebbe
stata una cattiva azione verso il mio Paese se non l'avessi scritto.
Ci fa una brutta figura Balbo... e anche altri, ma questo è
inevitabile. Balbo poteva essere un coraggioso aviatore ma è
stato cattivo verso questa impresa italiana. Doveva ricordarsi che
sempre ITALIA era! Ma questo lui lo aveva dimenticato. Partì
in guerra contro di me, con tutti i mezzi. Tutta la sua potenza utilizzò.
è penoso anche ricordarlo. Tutto questo è raccontato.
Ho dovuto, utilizzando i documenti venuti alla luce fino al '73. C'erano
ancora delle cose da raccontare. Ho dovuto raccontarle.
Per concludere, alla fine fu decisa la spedizione dell'ITALIA perchè
Mussolini trovò un compromesso con Balbo. Gli disse: "Se
voi fate la spedizione senza che l'Aeronautica italiana vi sia impegnata
e se la città di Milano assume la responsabilità finanziaria
allora io non ho nessuna difficoltà. E inoltre l'impresa deve
figurare come compiuta dalla Società Geografica italiana".
Tutto questo fu facile da ottenere perchè Milano era una città
industriale, la Società Geografica era contenta e ad organizzare
ero io. Fu deciso. Ma era una decisione che Balbo aveva preso malvolentieri.
Non poteva fare diversamente! Doveva pur darmi da fare qualcosa dopo
il mio ritorno dal Giappone! Quando poi avvenne la disgrazia lui finse
di ignorarla. Come se non fosse avvenuta! Era a fare una crociera.
Quando gli portarono la notizia che l'ITALIA era scomparso nel cielo
polare lui cinicamente rispose: "Ben gli sta. Ha fatto male ad
andare!" e questo ripetè in una lettera scritta ad Arturo
Mercanti. Arturo Mercanti era un aviatore milanese molto conosciuto
nel mondo sportivo. Era presidente dell'Automobile Club di Milano
e fu lui a prendere l'iniziativa di una spedizione di soccorso all'ITALIA
quando noi scomparimmo. L'ITALIA scomparve nel cielo polare dopo 134
ore di volo, quando avevamo già battuto il record del NORGE.
Di gran lunga. Con il NORGE attraverso la regione artica eravamo volati
per 71 ore di seguito, con l'ITALIA 134: molto più. Avevamo
fatto molto anche in campo scientifico perchè ci eravamo spinti
in altre regioni fino ad allora sconosciute con tutta una serie di
nuove esperienze, e anche in questo avevamo superato il Norge. Tutto
ciò è raccolto in un libro scientifico che è
stato il primo pubblicato sulla spedizione dell'ITALIA. Porta la data
del '29, dell'anno successivo alla spedizione, e il titolo I risultati
scientifici della spedizione dell'ITALIA al Polo Nord. Fu pubblicato
per la prima volta in lingua tedesca da un grande editore di Gotha,
Justus Perthes, e presentato da alcuni scienziati tedeschi: insomma
un libro che ebbe la sua importanza nel far conoscere il valore e
i risultati della nostra spedizione nonostante la disgrazia avvenuta.
Erano stati salvati quasi tutti i risultati scientifici, specialmente
quelli ottenuti con il secondo grande volo. Noi con l'ITALIA abbiamo
compiuto 3 voli di esplorazione. Con il primo ci siamo fermati al
Capo Nord. Il tempo era diventato proibitivo e non potendo fare nulla
di ciò che ci eravamo proposti tornammo indietro. Durò
soltanto poche ore.
Il secondo volo invece fu un volo di quasi tre giornate consecutive
- esattamente 69 ore - nella regione sconosciuta della Terra del Nord-est.
Raccogliemmo molti dati scientifici. Fummo i primi ad attraversare
in volo la Terra del Nord-est, una delle grandi isole dell'arcipelago
della Svalbard. Questo è il nome norvegese delle Spitzbergen.
Noi per primi scoprimmo il suo interno. I risultati scientifici, insomma,
ci furono e ci furono anche riconosciuti... Poi venne la tragedia
e vennero i soccorsi. Questi furono una conseguenza della spedizione
dell'ITALIA. Si mobilitarono una quantità di paesi: l'Italia
innanzitutto con i suoi idrovolanti, con Penzo e Maddalena che furono
i primi aviatori a scoprire la tenda rossa e ci portarono viveri e
altre cose essenziali. Poi gli svedesi. Vennero con parecchi aeroplani.
Una parte importante l'hanno avuta proprio gli svedesi con la loro
base. in fondo bisogna dire che tutto il mondo confinante con l'Artide
si commosse quando seppe della disgrazia dell'ITALIA. Tutto il mondo.
E tutti fecero quel che poterono per venire in nostro soccorso. Soprattutto
i paesi finitimi, quelli vicini alla regione dove noi eravamo scomparsi;
quindi anzitutto i norvegesi - eravamo in casa loro - e poi gli svedesi,
poi i francesi con Amundsen e poi i finlandesi e poi finalmente i
russi. I russi hanno fatto la parte decisiva, meravigliosa, con un
impeto straordinario...
Generale Nobile,
mi parli del Krassin, della tenda rossa, degli aiuti.
Il Krassin si era fermato tra i ghiacci al Nord della Norvegia. Non
poteva proseguire. Aveva un'elica rotta, un timone guasto e poco carbone.
Samoilovic che stava per tornare giù, a sud, per rifornirsi
di carbone e riparare l'elica del Krassin, fu fermato da me. Se il
Krassin non fosse tornato nessuno più avrebbe proseguito le
operazioni si soccorso. Fortunatamente mi diede retta e si fermò.
Disse: "Beh, va bene, ci fermiamo e mandiamo il nostro aviatore
a fare una ricognizione sulla tenda rossa". Così passò
alla storia il nome...
Benchè rossa non sia mai stata. E' stata rossa il primo giorno,
per un giorno o due, perchè per farla vedere meglio dall'alto
fu dipinta con del colore di anilina che conservavamo come sempre,
e poi dopo svanì. Infatti, quando tornai in Italia, era già
bianca, un bianco sporco. Rossa non è mai più stata.
Adesso al Museo di Vigna di Valle ci sarà un modello, perchè
quella originaria che tornò, io... feci male, le mandai -me
l'avevano chiesta - a Milano, al Museo della Tecnica. Ma l'hanno conservata
male lì, perchè era seta e doveva quindi essere custodita
con particolare riguardo. La seta non dura indefinitamente, ha bisogno
di aria, di essere trattata bene. Adesso è ridotta, mi dicono,
quasi cenere. E' in polvere, quasi polverizzata, tanto che è
rimasta lì perchè non è trasportabile quaggiù:
andrebbe a pezzi ed è un peccato. Se l'avessi tenuta in casa
mia sarebbe stata in perfette condizioni, sarebbe stata trattata come
si deve. Ci sarà un esemplare: l'hanno ricostruita e la mandano,
ma non è la stesso cosa che avere l'originale, questo è
chiaro...
E la spedizione
russa quindi?
Fu quella che risolvette il dramma perchè salvò gli
uomini della tenda rossa, salvò il capitano Sora e Van Dongen
che avevano tentato di raggiungere la tenda rosso con cani e slitte:
un'impresa assurda. Sora nel suo entusiasmo si lanciò in quest'impresa
e, alla fine, si dovette pensare a salvare lui. Questa fu la tragedia,
si dovette pensare a salvare lui! E fu salvato dal Krassin perchè
il Krassin lo scorse sulla costa dell'isola Foyn che Sora aveva raggiunto
con Vari Dongen e da dove entrambi facevano segno con le braccia.
Il Krassin non poteva fermarsi perchè aveva fretta di arrivare
alla tenda rossa per mettere in salvo gli italiani che stavano lì
- gli italiani e i cecoslovacchi - e allora avvertì la spedizione
svedese dicendo: "Badate, sull'isola Foyn abbiamo visto due uomini.
Pensiamo che siano Sora, capitano degli alpini e Van Dongen, che era
un guidatore di cani, olandese. E furono salvati. Fu un'impresa insensata
quella di Sora. Alla famiglia Sora è seccato molto che io abbia
dovuto dire queste cose, ma non potevo cambiare la storia, la storia
era quella. Son partiti per soccorrere quelli della tenda rossa e
poi sono stati salvati da quelli che... da noi, dal Krassin. Quella
dei soccorsi fu un'impresa veramente grande e furono fatte grandi
esperienze, esperienze di... Al Polo, per esempio, non c'era stato
mai nessun aeroplano e invece dopo di allora sono andati molti aeroplani
ancora. Una delle ragioni per cui più ha progredito l'aviazione
nelle regioni artiche credo proprio che derivi da quello che hanno
fatto le spedizioni di soccorsi organizzate... E' strano! Mi manca
la voce in questi giorni.
Torniamo in Italia,
generale. Qual era il suo vero rapporto con Mussolini? Mi dica più
esattamente, per concludere, come si comportò Mussolini nella
faccenda di Balbo e del volo in Argentina.
Mussolini fu fuori da tutto quell'intrigo che ho raccontato. Non soltanto
fu fuori perchè per natura sua non era un intrigante - poteva
essere un violento semmai, ma un intrigante no - ma perchè
era stato fuori di proposito, perchè si sapeva che Mussolini
mi proteggeva. Mussolini era favorevole a me perchè era contento
del risultato ottenuto con il NORGE. Era un successo anche per lui,
indirettamente. Per lui ero uno degli uomini nuovi che portava in
alto il nome del nostro Paese. Balbo agì in modo che Mussolini
non potesse sospettare niente del suo intrigo fino all'ultimo momento.
lo tutto questo lo sapevo attraverso Francesco Giunta. Giunta era
il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, quindi
era l'uomo che viveva accanto a Mussolini. Giunta non gode di una
grande fama perchè era un uomo violento anche lui, però
era leale. E' stato un aperto nemico di Balbo e quindi era amico mio.
Così andarono le cose. Era amico mio in quanto era nemico di
Balbo. (Ride). Lui aveva un dossier contro Balbo e me lo fece vedere
anche. C'erano dieci capi d'accusa che non facevano onore a Balbo.
Disse. "Glielo ho fatto vedere a Mussolini", ma Mussolini
non era uomo da mettersi a lottare contro Balbo. Balbo gli dava fastidio
perchè Balbo era realmente un uomo temibile, anche ad averlo
come collaboratore. Mussolini quando volle liberarsi di lui lo promosse
e lo nominò Governatore della Libia. la vecchia saggezza di
Machiavelli: si promuove per allontanare una persona. Questo è.